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Levyan - Nubian - 18 - Il lupo solitario


XVIII
Il lupo solitario


«Ehi» mormorò Yellow.
«Ehi» rispose Crystal.
La bionda era comparsa accanto al lettino dell’amica, aveva con sé due tazze di cartone probabilmente colme di caffè. Si trovavano all’interno di una tenda che ospitava altri cinque pazienti. Tutti tranquilli, niente malattie infettive o casi particolarmente difficili, erano perlopiù pazienti in riabilitazione. Come Crystal.
«Ti va?» chiese timidamente la Dexholder di Kanto.
Crystal prese una delle due tazze e la afferrò con entrambe le mani. Aveva risposto al suo saluto e aveva accettato il caffè, due ottimi per quanto piccoli segni, per la speranzosa Yellow.
«Silver sta bene, la sua stanza è sicura, gli apparecchi non sono stati danneggiati» disse la bionda, tanto per fare conversazione.
«Tu dov’eri?» chiese Crystal.
Tre parole. Tre parole e la mente di Yellow sprofondò in un abisso di paranoia oscuro e opprimente. Non sapeva come rispondere. Non sapeva quale fosse esattamente la domanda. Che cosa voleva sapere, Crystal? Forse si riferiva all’incidente in cui lei aveva perso una gamba e Silver era entrato in coma. Dov’era Yellow, mentre un palazzo crollava addosso ai suoi amici? Oppure parlava di tutta la settimana passata all’inseguimento di Zero. Lei e Red erano scomparsi nel nulla, senza dire niente a nessuno.
«Dov’eri quando è arrivata la scossa?» chiese Crystal.
Yellow la fissò per qualche istante, senza rispondere.
«Dormivo. Ho una camera in un B&B, qui vicino» disse, osservando il viso dell’amica. Aveva profonde borse sotto gli occhi e guance scavate. Il suo sguardo era spento e assonnato. Non aveva dormito. Forse perché era spaventata, forse preoccupata per Silver, forse non dormiva affatto da giorni.
«Come stai?» la domanda scese sulla coppia come la lama di una ghigliottina.
Trascorsero alcuni glaciali secondi di mutismo corale.
«Signorina... Kotone» fece distrattamente un medico, passando per i regolari controlli «vedo che i suoi valori stanno tornando nella norma» mormorò il tipo in camice studiando la cartella clinica e lanciando una rapida occhiata alla paziente «ci dispiace che le cose siano andate in modo imprevisto, ma per ora questa stanza improvvisata è il massimo del comfort che possiamo assicurarle».
Il dottore trotterellò via, passando al lettino successivo.
«Sto lavorando alla Zona Safari» riprese parola Yellow, prendendo in contropiede un ulteriore silenzio imbarazzante «così mi tengo occupata».
«Come stanno gli altri?» domandò Crystal.
«Blue mi tiene aggiornata. Sono ancora tutti a Sinnoh, tentano di risolvere il problema della neve, so che Ruby e Sapphire hanno avuto un incidente, ma si sono ripresi».
«Perché non sei andata con loro?»
Yellow fu colpita in un punto debole. Crystal era una delle donne più forti che conoscesse, se ne fosse stata in grado, avrebbe fatto di tutto per correre in aiuto dei suoi amici, anche a costo di abbandonare Silver in ospedale. Come avrebbe fatto a giustificarsi per essere rimasta con le mani in mano, tutto quel tempo.
«Io... non potevo»
«Potrebbero aver bisogno di aiuto, chissà che cosa stanno passando là» il tono della Dexholder di Johto, però, non era accusatorio. Non sembrava voler attaccare Yellow per la sua debolezza «Gold è con loro, spero» chiese, come alla ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi.
Yellow ebbe un altro tuffo al cuore.
«Oh no» fece Crystal, cogliendo l’esitazione dell’amica.
«Lui... è ad Austropoli» pronunciò Yellow, senza guardare altro che il terreno.
«No, no... maledizione» si lamentò l’altra, coprendosi la bocca con entrambe le mani.
Non aveva parlato con nessuno per una decina di giorni, ma si era tenuta aggiornata. Sapeva bene delle condizioni in cui versasse la capitale di Unima, tenuta sotto scacco da un gruppo di terroristi e ridotta alla legge marziale.
«Mi hanno riferito che lui, Platinum e Celia, una dei membri della Resistenza, sono andati ad Austropoli per indagare su una società che sembra aver finanziato alcune operazioni della Faces. Sono partiti una settimana fa» spiegò Yellow.
«Non siete riusciti a mettervi in contatto?»
La bionda scosse lievemente la testa.
«Stupidi incoscienti» imprecò Crystal rivolta a non si sa di preciso chi.
«Sono certa che stanno ancora bene» cercò di confortarla Yellow.
L’attacco terroristico ad Austropoli aveva fatto quasi cento morti in una settimana, contando solamente quelle accertate. Le parole scivolarono addosso alla Catcher come pioggia sulle rocce.
«Devi andare da Blue e gli altri» pronunciò Crystal «aiutali a salvare Sinnoh e poi potrete andare anche ad Austropoli».
Questa volta, Yellow non aveva scuse.
«Non posso farlo» sussurrò.
Gli occhi adamantini dell’amica sembravano riflettere qualsiasi e nessun colore allo stesso tempo «io e Silver non abbiamo bisogno di te, perché non puoi?»
«Sono incinta».
Crystal tacque, tentando di nascondere ogni emozione che imperversava all’interno del suo cranio dietro ad un’espressione impossibile. Lo stupore e l’incredulità avevano avuto la meglio sulla gioia, senza riuscire però a estinguere l’ultimo accenno di sorriso. La ragazza sembrava star contemplando un bellissimo quadro del quale non riusciva a cogliere il reale soggetto.
«E’ di Red?»
«Sì».
«Lui lo sa?»
«Sì».
«Chi lo sa?»
«Solamente Blue... e adesso tu».
«E’ per questo che siete scomparsi?»
«No, insomma... anche. No».
«Maledizione»
«E’ una bella cosa...» la Dexholder di Kanto tentò di apparire sicura, ma fallì miseramente.
«Che diavolo sta succedendo?» pianse Crystal, alzando gli occhi gonfi al cielo.

I fiocchi di neve si agitavano violentemente nella convulsa danza del vento gelido. I pini erano immersi in una morbida coperta di neve e sulle soglie dalle rocce delle scarpate pendevano grosse stalattiti di ghiaccio. Gli Snover selvatici, che raramente scendono a quote dove il passaggio umano è più che frequente, si tuffavano tra i cespugli innevati come se stessero cercando qualcosa. Sapevano bene che, di lì a poco, il Percorso 215 sarebbe diventato un luogo pericoloso: al calare della notte, gli Sneasel iniziavano ad aggirarsi in cerca di prede e solamente gli Abomasnow più grossi erano in grado di tenere alla larga quelle malevole creature.
La calma naturale di quello scenario fu interrotta dalla comparsa di una figura poco in armonia con l’ambiente. Era un ragazzo avvolto in un piumino di colore nero che affondava i suoi pesanti scarponi nella neve. Questi giunse davanti all’entrata della grotta più grande, quella che d’estate era attraversata da tutti gli Allenatori diretti a Nevepoli, e si guardò attorno. Appurò di essere solo e sbuffò consapevolmente. A Kalut era stato assegnato il percorso più lungo ed era riuscito comunque ad arrivare per primo. Tipico. Gli Snover lo fissavano dai loro nascondigli. Vedevano in lui una creatura nuova, strana. Solitamente si mostravano amichevoli con i pochi umani che riuscivano ad arrivare da quelle parti, ma quello era differente. Percepivano un’aura di sacralità in lui che incuteva rispetto e ossequio, come se fosse stato allo stesso tempo un essere umano e uno dei grandi Abomasnow del loro clan. Lo videro avvicinarsi all’entrata della grotta e controllare se fosse possibile attraversarla senza rompere il ghiaccio che la bloccava per più della metà. Un corpo umano, appiattendosi contro la parete, ci passava normalmente. Bene.
Kalut si nascose sul ciglio dell’entrata, praticamente invisibile per chiunque si fosse avvicinato senza aspettarsi di incontrare qualcuno. Posò lo zaino sul terreno e controllò il GPS. Attese.
Trascorse una dozzina di minuti, prima che la sua percezione extrasensoriale lo allertasse di una presenza vicina. Anzi due. Non erano gli Snover, quelli li aveva già individuati al suo arrivo. La presenza si fece sempre più prossima, avanzando a passo svelto, seguendo un preciso percorso. Kalut si affacciò a guardare, spiando dall’angolino. Vide Green e Blue che venivano dal percorso a est, quello che conduceva ad uno dei valichi del Monte Corona. Erano stanchi e affaticati, camminavano da oltre un giorno. Le intemperie avevano ricoperto di neve e ghiaccioli le pellicce dei loro cappotti, il freddo aveva tinto di rosso le loro guance. Quando videro una figura umana spuntare improvvisamente dall’ingresso della caverna, esitarono per un brevissimo istante, prima di riconoscere il loro alleato. In una simultaneità quasi cronometrata, dall’interno della caverna giunsero alle orecchie di Kalut il suono dei passi di due persone, molto probabilmente Ruby e Sapphire.
Senza che nessuno potesse vederlo, un uomo stava assistendo da lontano a quella scena. Indossava la mimetica bianca degli agenti Faces, restava accucciato tra i blocchi di ghiaccio, poco sopra i Dexholder, e osservava il gruppo di cinque ricomporsi. Sapeva dove fossero diretti, lui li avrebbe seguiti.

«Quanto manca?» si lamentò Sapphire.
«Non molto, l’altitudine è questa, devo solo ricordare più o meno la zona» rispose Kalut.
«Dovremmo fare silenzio» ricordò a tutti Green.
Il gruppo, immerso nella neve e nella bufera fino alle ginocchia, tornò taciturno
«Non devi per forza essere così acido...» gli diede contro Blue, sottovoce.
«Shhh» la zittì Sapphire.
«Sapph, che diavolo...»
«Ha ragione, fate silenzio» la difese Kalut.
Improvvisamente, il, gruppo comprese che Sapphire e Kalut avevano percepito qualcosa.
«Sono da quella parte?» chiese lei, come controprova della sua deduzione.
«Sì, dovrebbero essere in due, probabilmente si tratta di un normale giro di ricognizione» rispose Kalut.
«Cosa facciamo?»
«Ho un’idea» si intromise Ruby, estraendo la sfera di Gardevoir.
Pochi minuti dopo, una coppia di agenti imbacuccati nelle loro tenute mimetiche bianche, apparve all’orizzonte, salendo da una scarpata poco distante. Camminavano svogliatamente, parlando di fatti personali. Uno dei due aveva un Glalie al seguito, un silenzioso osservatore dei ghiacci. Si guardavano attorno, giusto per dare alla loro ronda un tono di serietà, ma era completamente inutile. In quasi due settimane di permanenza della loro squadra, non si erano visti intrusi, nemmeno avventurieri finiti lì per caso. Neanche il gruppo che li aveva preceduti, quello che aveva curato l’installazione del macchinario Nubian, aveva avuto contrattempi del genere.
«La prossima missione voglio che sia ad Alola, ne ho abbastanza di questo freddo» esclamava uno dei due.
«Mi sarei portato il mio Hard-Disk con tutte le stagioni di Dr. House, se ci avessi pensato in tempo» ribatté l’altro.
«Ci pensi che quell’idiota di Jules, l’altro giorno, ha perso due dita per la scommessa? Siamo veramente alla frutta, ormai...»
I due avanzavano, senza rendersi conto che, a pochi metri da loro, ben cinque persone stavano trattenendo il fiato e pregando perché a nessuno dei due venisse in mente di tastare proprio la parete di quel massiccio al quale avevano aderito. Non sarebbe stato difficile individuare quel manipolo di persone abbigliate in tenute non propriamente mimetiche, se Ruru, la Gardevoir di Ruby, non avesse utilizzato una impeccabile tecnica Schermoluce per circondare il gruppo, rendendolo praticamente invisibile. La bufera, inoltre, aiutava a coprire la curvatura della luce che sarebbe stata alquanto sospetta a condizioni di visibilità naturali.
Le due sentinelle passarono oltre, continuando a parlare di fatti personali tanto per ammazzare il tempo. Quando furono abbastanza lontane, Gardevoir calmò la mente e spense lo Schermoluce. Ruby la ringraziò, facendola rapidamente rientrare nella sfera. La vide chiaramente tremare di freddo, quello non era un clima adatto ad un Pokémon come lei.
«Avevano dei fucili...» commentò Sapphire.
«Andrà tutto bene» la tranquillizzò Ruby.
«Se qualcosa dovesse andare storto...» si pose in antitesi Kalut, molto più realista.
L’intero gruppo si voltò verso di lui, aveva l’aria di dover dire qualcosa di importante.
«Ho allertato alcuni membri della Resistenza, sono pronti a darci una mano, in caso di necessità. Sperando che non ce ne sia comunque bisogno» spiegò.
«Di chi si tratta?» chiese Green, un po’ spiazzato da quella rivelazione inattesa.
«Alleati» tagliò corto Kalut, che non intendeva chiaramente parlarne.
Il gruppo riprese il passo, Kalut si guardava attorno con particolare attenzione, tanto per individuare eventuali sentinelle quanto per cercare di orientarsi in quel luogo sperduto e tutto uguale in cui solamente lui era stato.
Quando giunsero nei pressi di una sorta di piccolo dislivello nel quale si apriva l’entrata di una grotta, il ragazzo dai capelli bianchi sembrò illuminarsi all’improvviso. Affondò tre grosse falcate nello spesso manto di neve, come in un entusiastico impeto di soddisfazione. Aveva ritrovato la grotta in cui aveva dormito l’ultimo giorno di spedizione.
«Conosco bene questo luogo» rispose al gruppo che era interrogativo a proposito del suo improvviso cambiamento attitudinale «ci ho passato una notte, la base Faces è qui vicino» spiegò.
Come per accertarsi di non aver fatto una gaffe, entrò nella grotta. Era certo di non sbagliare, ma un controllo di sicurezza non avrebbe fatto male a nessuno. Mosse due passi al suo interno, si rese conto di star camminando su del terreno asciutto e compatto: qualcuno aveva dormito e acceso un fuoco lì dentro, non molto tempo prima. Ragionò rapidamente: probabilmente erano stati i due che avevano incontrato poco prima, sarebbe stata una supposizione plausibile.
«Andiamo, siamo sulla strada giusta» annunciò Kalut.
«Quanto manca ancora?» chiese Ruby, visibilmente più affaticato degli altri.
Kalut ebbe un momento di esitazione «poco più di un’ora, ma se preferite possiamo riposare qui, per un po’» rispose poi.
«Quando saremo là, dovremo combattere» sottolineò Blue.
«Sì» confermò Kalut, tornando all’interno della grotta e ricominciando a tastare il terreno.
«Quanto tempo fa si sono fermati qui?» chiese Green, capendo le azioni del ragazzo.
«Non riesco a capirlo bene dalle tracce, hanno nascosto tutto abbastanza bene, quanto abbiamo impiegato per arrivare qui, da quando li abbiamo incontrati?»
«Meno di un’ora» rispose Green.
«Non erano attrezzati per un’uscita prolungata, era solamente un giro di ricognizione, ma probabilmente avremmo qualche ora di sicurezza» fece Kalut «provate a riposare, ma non disfate i bagagli, io resterò di guardia».
Il gruppo prese posto in una zona non troppo profonda della grotta. Accesero un fuoco grazie ai loro Pokémon e si rifocillarono attingendo alle provviste che avevano portato. Ruby si sedette sul terreno e fece riposare la gamba, Sapphire fu pronta ad aiutarlo. Green e Blue si accoccolarono in un angolo e tentarono di chiudere gli occhi, senza alcun successo. Il gruppo rimase fermo per del tempo, i ragazzi attesero che i loro corpi riprendessero vigore. Parlarono del più e del meno forzandosi ad essere spensierati, fino a quando la stanchezza cominciò a zittirli, uno dopo l’altro. Ruby era seduto con la schiena addossata alla ruvida parete, ma protetta da essa dallo spesso strato di abiti da escursione. Sapphire era invece poggiata su di lui, nascondeva la sua impazienza, ma ogni tanto cominciava a batteva nervosamente il piede a terra, tradendosi. Kalut sedeva nei pressi dell’uscita, vigile e attento.
Ruby ascoltava il rumore delle gocce d’acqua che ticchettavano irregolarmente sulle rocce. Si muoveva il meno possibile per non scomodare Sapphire e ogni tanto tastava il muscolo della sua gambe per verificarne la funzionalità. Senza rendersene conto, chiuse gli occhi, cadendo addormentato.

Il chiaro di luna illuminava i terrazzamenti imbiancati del Monte Corona, la notte era calma e la neve aveva smesso di scendere. Una tranquillità che Sinnoh non provava da molti giorni, ormai. Kalut osservava il panorama dai ricercati colori che si stagliava di fronte a lui, sul ciglio della grotta in cui si era rintanato il gruppo. Durante il suo primo viaggio in quella zona, la bufera gli aveva impedito di apprezzare quella bellezza naturale.
Gli altri ragazzi stavano dormendo. Lui vegliava con attenzione, concentrandosi per espandere il proprio raggio di percezione.
“Lo stai sentendo” fece Xatu. Non era una domanda.
«Sì» rispose Kalut, perdendo tuttavia la concentrazione.
“Non perderlo di vista” lo esortò il Pokémon.
Kalut non parlò, tornò a focalizzarsi sull’entità che era riuscito a captare, in lontananza. La ritrovò.

«Cercami, hai bisogno di me se vuoi veramente salvare il mondo» disse qualcuno, dall’ombra.
Ruby percepiva una presenza. Sentiva una voce nella sua testa, ma la persona a cui apparteneva era lontana, quasi irraggiungibile. Era una voce conosciuta, i ricordi sembravano schiudersi lentamente come fiori in primavera. La sua mente era in completa confusione, non si sentiva più un essere umano. Dopo un tempo surreale, la sua mente rievocò l’esperienza avuta sulla Vetta Lancia, molti giorni prima. Si rese conto di star percependo la stessa sensazione: si sentiva incorporeo, parte di un enorme sistema universale che prescindeva dall’esistenza fisica, dal tempo, dallo spazio.
«Hai bisogno di me, per salvare il mondo» ripeté la voce. Era una chiaramente una donna.
«Chi sei?»
«Concentrati, Ruby, puoi arrivare a me, pacifica la tua mente».
«Sei lontana...»
«Ho bisogno di incontrarti, Hoenn ha bisogno di te, tutti hanno bisogno di te» la voce non stava rispondendo alle sue domande, sembrava parlare a vanvera e rendere Ruby partecipe dei propri pensieri.
«Svegliati, Ruby, svegliati».
Per un secondo, il mondo scomparve. La presenza smise di esistere, l’entità lontana scomparve oltre l’orizzonte, Ruby tornò un essere corporeo, umano, vulnerabile.
«Dobbiamo muoverci» esclamò Sapphire, ricomponendosi e tirandolo per un braccio.
Ruby fu subito in piedi. Si rese conto di essere sveglio. Si rese conto di essere vivo.
«Che succede?» chiese, con la bocca impastata.
«Kalut ha captato qualcuno, poco lontano da qui, non è un agente Faces e ha con sé dei Pokémon molto potenti» gli rispose Blue.
«Dobbiamo muoverci» ordinò Green.
Il gruppo fu di nuovo in movimento. I ragazzi si lasciarono la grotta alle spalle, voltando lo sguardo al percorso che Kalut stava indicando loro. Il ragazzo stava ragionando, cercava di dedurre l’identità di quel qualcuno che si era avvicinato così pericolosamente a loro. Difficilmente sarebbe potuto essere un esploratore, un avventuriero o un altro civile anonimo. C’era un motivo se quelle zone erano rimaste inesplorate per anni e nessuno avrebbe mai avuto motivo di girare da quelle parti, specialmente in quel periodo. Non aveva riconosciuto Yellow né tantomeno Red, quindi si trattava al cento per cento di un agente Faces, un pezzo grosso.
«E’ sicuro dirigerci direttamente verso la base e attaccarla?» chiese Blue, in extremis.
«Sì, credo sia l’ultima possibilità, la mia ipotesi è che abbiano mandato qualcuno di forte per fermarci... o comunque per provarci, il che vuol dire che si sono accorti che siamo arrivati qui» rispose Kalut.
«Abbiamo un piano?» domandò Ruby.
«Non ci serve, nella base troveremo una ventina di agenti al massimo, possiamo affrontarli frontalmente senza alcun problema» sottolineò il ragazzo.
«Ma così chiameranno delle squadre di supporto» lo contestò Green.
«In tal caso, farò intervenire gli alleati di cui vi parlavo prima, sono poco sotto di noi, su ogni versante del monte. Non abbiamo tempo per un azione stealth».
«Odio quando sei così misterioso» si lamentò Blue.
«I membri della resistenza non si fidano nemmeno di loro stessi, se facessi i loro nomi smetterebbero di aiutarmi» si scusò Kalut.
«Riesci a percepire ancora quell’Allenatore?» chiese Sapphire.
«Non riesco a concentrarmi così, prima ero in totale tranquillità... ma...»
«Cosa?»
«Percepisco altre presenze»
«Ci hanno raggiunti?»
«No, siamo arrivati» fece Kalut.
Erano stupiti di aver impiegato così poco tempo, probabilmente avevano corso senza rendersene conto, per evitare il possibile incontro con l’Allenatore sconosciuto. Oltrepassarono una grossa roccia ricoperta di neve e individuarono la ringhiera di una scaletta metallica. Davanti a loro si apriva il buco che collegava la superficie alla grotta, sembrava una voragine naturale, ma era stata scavata artificialmente. Non si vedevano guardie, attorno, le uniche due di guardia, erano lontane. I ragazzi si presero un momento, per far calmare le palpitazioni e prendere coraggio.
«Siete pronti?» domandò Kalut.

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