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Lila May - Star★Power - VIII★



VIII



Rocco Petri.
Che ci faceva lì, a quell’ora del mattino?
La lotta venne interrotta da Orthilla, che si avvicinò all’emergente – e già tanto adorato – Campione di Hoenn con trepidazione, ansia e anche un po’ di risentimento. Era davvero affascinante, un ragazzo di classe che dentro di sé covava una forza bruta inimmaginabile. Brendan lo fissava da lontano, ammutolito. E così era lui, l’ultimo, temibile avversario che avrebbe dovuto affrontare. Chissà come si comportava in campo, sembrava un tipo così pacato visto da lontano. Tuttavia, non era sicuro che la camicia ben abbottonata e la giacca nera bastassero a classificarlo come un soggetto quieto. Osservò la scena, rimanendo al suo posto.
«Ciao, Orthilla».
La ragazza lo scrutò da oltre le inferriate, quasi impaurita. Che cosa voleva? Erano settimane che non si scrivevano, aveva perso il conto dei mesi, ormai. E ora si presentava alla porta di casa sua puramente a caso, con una sacca di pelle tra le mani e un sorriso nervoso dipinto sul volto.
«Ne ho approfittato di questo giorno di festa per venire a trovarti. Sembrano passati secoli dall’ultima volta che ci siamo scritti. Posso entrare?».
Brendan si fece infiammare da un insano moto di gelosia. Orthilla si scriveva, o meglio, si era scritta con Rocco?
Lo guardò. Era molto più bello di lui. Molto più alto, molto più uomo, molto più tutto. Aveva un taglio affascinante degli occhi e il viso perfetto che ogni ragazzo sogna di avere. Mentre lui… cos’era lui? Una mezza calzetta, al confronto. Scosse la testa. Non gli era mai successo di confrontarsi e trovarsi inferiore. Forse, voleva avere un posto unico nel cuore di Orthilla?
Non fece in tempo a riflettere. Sceptile gli tirò una capocciata contro la spalla, per distrarlo. Lo abbracciò. Al suo Pokémon piacevano i suoi occhi tondi, piaceva la sua statura bassa, la sua voce rauca e il suo corpo ancora acerbo. Per fortuna che c’era lui. Non aveva bisogno di chissà quale canone per andargli bene, si erano accettati così per come erano, debolezze e bruttezze.
Una coppia vincente.
A riportarlo di nuovo con i piedi per terra fu la mano di Orthilla nella sua.
«Forza, entriamo».
Brendan si sentì il terzo incomodo, ma non disse nulla, mentre si lasciava trascinare dentro casa dalla forza prodigiosa della ragazza. Le aveva promesso che ci sarebbe stato. Anche quando le cose non lo riguardavano appieno, proprio come stava accadendo in quel momento.
Presero posto sul tavolo, e Orthilla, per la prima volta vergognandosi del caos, servì un bicchiere d’acqua a Rocco. Era imbarazzatissima, e a disagio.
Il giovane Campione, d’altro canto, non smetteva di guardarsi intorno con tristezza. Il caos regnava sovrano in quella casa, ma non sapeva dire se era peggio quello o la tempesta che sbatteva pericolosamente Orthilla contro gli spigoli della brutta fama, ferendola gravemente.
Come doveva sentirsi sola. Lui non sapeva prendersi cura delle persone, affatto, ma sperava comunque di venirle in soccorso con la notizia che stava per darle.
«A cosa devo la tua presenza?».
«Ho una cosa per te». Il Campione di Hoenn posò con delicatezza la busta sul tavolo. Poi, si accomodò contro lo schienale della sedia e fece cenno alla ragazza di frugarvici dentro. Orthilla la aprì con timidezza; si sentiva nervosa, eppure non aveva nulla di cui preoccuparsi, apparentemente. La prima sensazione fu puramente olfattiva. Un forte odore di carta le invase le narici. Poi, si concentrò sul contenuto.
Lettere. Centinaia e centinaia di lettere, tutte per lei, rinchiuse in una borsa da chissà quanto tempo. Le si strinse la gola.
Ecco dov’era finito lo zio. Nelle mani di Rocco. Serrato in una borsa dalla fibbia consumata.
«Io…».
«Ti chiedo scusa se mi presento solo ora con queste lettere» anticipò Rocco. «Adriano mi ha chiesto di dartele appena avessi avuto un momento libero, e solo oggi l’ho trovato. La Lega mi occupa maggior parte del tempo. Lasciamo perdere la Devon, poi...».
 «Come mai ha smesso di inviarle a me…?» mormorò semplicemente la voce di Orthilla, flebile come un battito d’ali morente. Brendan se ne accorse, e le poggiò una mano sulla spalla per infonderle coraggio. Non poteva immaginare quanto potesse essere diventato delicato quel momento. Ma gli occhi di lei non mentivano: era paralizzata dal nervoso.
«Temeva per la tua incolumità. Temeva in qualche intercettazione, o peggio, che finissero nelle mani sbagliate. Con tutto quello che sta succedendo a entrambi, ha preferito fartele recapitare tramite me».
«Come sta?».
«Bene. Ma non spetta a me dirlo, giusto?».
La domanda di Rocco suonò come un invito a scartare quelle lettere, ma Orthilla non osò nemmeno prenderne una. Le tremavano le mani, e vistosamente. Per tutti quei mesi, l’unica compagnia che aveva avuto era stata quella di Altaria; nemmeno un contatto umano, o una carezza, o un incoraggiamento da parte di qualcuno, niente.
Niente. Lei non lo aveva cercato, si rifiutava di crederci, stop.
Le lettere dello zio avevano smesso di arrivarle un giorno, di punto in bianco. La buca delle lettere si era presentata vuota e desolante come la sua inutile esistenza. Inizialmente aveva pensato ad un errore, un giorno sbagliato, ma poi le settimane erano volate, e di quei vitali fogli di carta neanche l’ombra.
Ora ricomparivano così. Tenuti al sicuro da mani d’acciaio.
Non sapeva se sentirsi felice o arrabbiata. Quanto avrebbe voluto che lo zio fosse lì con lei… al posto di Rocco.
Ma non poteva incolpare quel ragazzo. Anzi, doveva solo ringraziarlo; in qualche modo si era preso cura di Adriano, di lei e del rapporto che c’era tra loro. Sapeva che non poteva trattenersi per sostenerla, anche perché questo avrebbe sicuramente comportato un calo della sua immagine ben lavorata, ma gli fu comunque grata.
«Non mi sento pronta» dichiarò, ritraendo le mani dalla tavola e nascondendole tra le cosce, come se fossero dotate di chissà quale allarmante potere. Come se con un solo tocco potessero infettare quella carta bianca, e sgretolarla, farla sparire.
Perché tornasse di nuovo sola, quello che si meritava per aver pensato che tutto sarebbe andato liscio.
«Bene…». Rocco si alzò, si sistemò la cravatta e le sorrise incoraggiante. «Ci sono anche quelle più recenti. Prenditi il tuo tempo. Questo ragazzo chi è?».
Brendan sobbalzò. Era finito sotto la lente, nonostante avesse cercato di dare nell’occhio il meno possibile.
«Colui che prenderà il tuo posto». Aggrottò le sopracciglia e sfoderò un sorriso che valeva più di tutto. «E presto, anche».
«Eh, cosa sento!» il Campione rise di gusto, e gli anelli sulle dita brillarono alla luce del debole sole. «E presto conto di vederti…».
«Brendan».
«Brendan. Me ne ricorderò».
Uno sguardo d’acciaio si rifletté negli occhi del giovane allenatore, e con quell’ultima azione anche Rocco se ne andò, lasciando i due soli in quella casa troppo grande.
Orthilla sembrava essersi isolata nel suo mondo.
«Ehi».
«Non so che cosa dire». Si voltò di scatto verso Brendan, nervosa. «Mesi che aspetto queste lettere, e alla fine le aveva lui…».
«Cerca di capire che tuo zio tenta solo di proteggerti».
«Lo so, ma…». Orthilla prese un respiro. Era agitata, inutile nasconderlo. Scoprire di essere rimasta, nonostante tutto, nel cuore e nei pensieri dello zio era un’emozione troppo forte da sopperire, o da spiegare con semplici parole. «Le leggerò questa sera, forse».
E così decise.

La notte arrivò lenta, chiazzando di blu le lettere lasciate con cura sul tavolo della cucina.
 
«Ehi! Hai già finito di leggere?».
Orthilla si lasciò cadere accanto a Brendan, a peso morto. Il vento soffiava tra le fronde degli alberi, liberando in aria foglie color smeraldo, e la notte aveva tinto di nero ogni cosa, risparmiando solo loro due. La temperatura pareva un po’ calata.
O forse era lei ad avere sempre, costantemente freddo.
Cercò di farsi calore con i capelli, sistemandoli come meglio poteva su spalle, schiena e petto, in modo che la coprissero non solo dalla pena che faceva, ma anche dal gelo che percepiva. 
«Ne ho scartata una…» prese un ramoscello lì vicino, lo spezzò e cominciò a disegnare Pokéball sul terriccio morbido. «Ma non ci sono riuscita… mi sono sentita abbandonata per tantissimo tempo e… mi fa ancora troppo strano contare così tanto per qualcuno…».
«Perché parli così?».
La ragazza si massaggiò le gambe intorpidite, lasciate scoperte dai pantaloncini. Non lo sapeva nemmeno lei. Perché parlava così? Lo zio non l’aveva abbandonata, e Brendan era lì, a respirare quell’aria impregnata di sale assieme a lei. Guardò il cielo, chiedendosi che cosa stesse facendo Adriano in quel momento. Dormiva? La pensava? Era sicura di sì. Un piccolo sorriso le increspò le labbra quando si immaginò le mani grandi dello zio carezzarle con orgoglio la testa. Gli mancava tantissimo. E ora che si era fatto di nuovo vivo, faceva ancora più male saperlo lontano.
«Non so… non so più nulla, ormai».
«Devi leggere quelle lettere».
«Lo so».
«Devi farlo oggi».
«Lo so…».
 Brendan le sorrise fiducioso. «Hai visto, Orthilla? La gente è capace di odiarti, ma anche di amarti. Là fuori funziona allo stesso modo. E con tuo zio, uguale».
Orthilla ricambiò, lasciandosi trasportare dal suo ingenuo ottimismo.
«Perché domani non vieni con me a…».
Gemette forte per lo stupore. Che cavolo di richiesta era? Assolutamente NO.
«Non voglio uscire!».
«Perché?».
«Perché tutti mi odiano…! Ancora non capisci?!».
«Ma prima ti amavano, o sbaglio? Se non dimostri agli altri di che pasta sei fatta, non ti aspettare di ricevere indietro quello che meriti».
«Non voglio».
«Non fare la stupida…».
«Vado a leggere quelle lettere. Ho deciso». Orthilla gli cacciò un’occhiata mista tra la sicurezza e il timore, poi tirò lontano il bastoncino e si barricò in casa. Voleva stare lontana da quei discorsi. Brendan l’attese al suo posto, rilassato come non mai. Era sicuro che una volta che avrebbe terminato di leggere, sarebbe corsa da lui per raccontargli tutto, ansie e paure. E magari fargli anche vedere qualche scorcio di lettera. Non poteva nascondere il fatto che fosse curioso di saperne i contenuti.
Orthilla aveva paura, troppa paura di mostrarsi al mondo esterno. Ancora era priva di corazza, e i tempi erano così poco maturi… si preparò un bicchiere d’acqua e si fiondò sulle lettere con disperazione, combattendo l’incertezza. Dentro di se sperava in quei pezzi di carta, come se potessero infonderle il giusto coraggio e potessero darle il giusto consiglio.
Afferrò quella scartata in precedenza e cominciò a leggerla, nervosa. Non sapeva se erano messe in ordine, ma poco importava. Lo zio non faceva mai le cose con cronologia. Prendeva la vita come capitava, lasciandosi stupire dalla sua bellezza ogni giorno. Esattamente come faceva lei, quando ancora le cose belle la lasciavano a bocca aperta.


Nipote mia,
cucciolotta, come stai?

Una lacrima precipitò su “cucciolotta”, facendone delle lettere una macchia informe di colore grigio. Cucciolotta.
Lo zio ancora la chiamava così.
Cucciolotta.
Mille abbracci in una sola parola.
Le si strinse il cuore, gli occhi divennero due palpebre velate di tenerezza. Si rilassò, cadendo sulla sedia, sentendo i ricordi riemergere dalla testa mescolandosi alla confusione, l’ansia e la trepidazione del momento.

 Qui è lo zio. Ti ho già raccontato del mio trasferimento? Sono andato ad abitare con Alice, alla fine della fiera. Stiamo bene insieme,vive in una città tranquilla e lei è la donna che amo. Possiede una villa enorme con un giardino incantevole; so che a te non piace stare all’aria aperta, ma lo ameresti, c’è anche un labirinto di siepi.
Ah, vedessi com’è grande. Io sto bene, piccola mia ,mi sto rialzando piano piano. Alice mi sta aiutando, con le sue premure e il suo affetto. Anche tu tesoro, fatti aiutare.
Fatti aiutare, non rifiutare mai le persone che ti sono accanto.
Alice la scorsa settimana mi ha portato al Mercato di Selcepoli, proprio dove si trova la tua amata arena. C’erano spezie, bacche e utensili provenienti da tutte le regioni, era un’esplosione di colori: so che tu adori creare Pokémelle, dunque io ed Alice ti abbiamo comprato un PortaPoffim e degli attrezzi da cucina appositi alla loro realizzazione; funziona come le Pokémelle, solo che i Poffim li usano a Sinnoh, a Cuoripoli. Anche lì c’è un’arena, ma la nostra vanta molta più bellezza. Te lo darò di persona, un giorno, quando verrò a trovarti. Mi sono soffermato poco nel parlare dell’arena, perché forse il ricordo può farti soffrire, ma devo proprio dirti che è caduta in disuso. Sì, dimenticata in un angolo.
Nessuno va più a guardare le gare, perché non ci sei più tu, e nessuno si iscrive, sempre per lo stesso motivo.
Sono convinto che se tornerai, renderai felice tantissime persone. Alice la pensa come me.
Il mondo è collegato, Orthilla, ricordatelo. Come esiste l’odio, così l’amore. Ti confesso, ero restio ad uscire, ma come ho incontrato tanta gente che mi disprezza, ho conosciuto molte persone che ancora mi adorano, nonostante tutto. E’ così che mi faccio forza, io. Con loro, con Alice, e scrivendo a te.
Circondati di amore e vai.
Vai, Orthilla. Esci, stendi le ali.
Va a brillare nipote mia, e non farlo sola.

Orthilla rimase a leggere altre lettere, imprimendosi nella mente e nel cuore ogni singola parola tracciata da Adriano. Stava piangendo, di gioia, di dolore, di tutto, ma non se ne rese conto fino a quando le lacrime non cominciarono a imbrattare la carta. Voleva lo zio accanto a se, che la coccolasse e rassicurasse con lo stesso affetto che aveva utilizzato per raccontarle le sue avventure con Alice.
Lesse di percorsi, città, persone, Pokémon, e la voglia di mettere piede fuori casa cominciò a scavarsi nel profondo di lei, stimolandole i sensi.
La paura presto cedette posto alla curiosità, e la curiosità al coraggio. Brendan forse aveva ragione. Anzi, aveva ragione.
E lei era nel torto.
Si rigirò le lettere tra le mani, ripassando le frasi più importanti. Lo zio sembrava divertirsi, fuori di casa. L’esterno non gli faceva affatto paura, e se era vero che erano dello stesso sangue, allora nemmeno lei doveva possedere tutto quel timore insensato.
Continuò a leggere, come se quelle parole contenessero saggi consigli di vita, e fece tesoro di ogni esperienza dello zio.
Vivendole come se fossero sue.




Nda
eccomi qua con l'ottavo capitolo.
Allora, che dire?
Non ho idea di come sia il carattere di Adriano, ma a vedere la sua faccia mi viene da pensare ad un uomo vanesio e sicuro di sé.
Qui l'ho fatto dolce, incoraggiante, perché Orthilla potesse tranquillizzarsi con le sue parole. Non picchiatemi.
Vi aspettavate che Rocco possedesse tutte le lettere? Sinceri e.e
Ora vado, sperando in qualche recensione **
Come ultimo, ringrazio tutti quelli che leggono la storia, attivamente o passivamente, e tutti coloro che l'hanno messa nei preferiti o nei seguiti.
Grazie mille.
Segnalatemi eventuali errori o sviste, se ci sono.
A presto!

Lou 

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