In
camera mia è tutto buio, tengo sempre la luce spenta e le tende tirate. Troppa
luce mi dà fastidio, a malapena sopporto quella dello schermo che mi si trova
davanti.
Dovrei
staccarmene, sono ore che sto giocando ininterrottamente senza quasi andare in
bagno, ma non ce la faccio. Anche il mio corpo mi dice che è ora di smetterla,
ho la nausea, una nevralgia molto fastidiosa e mi lacrimano gli occhi, ma non
posso proprio spegnere la mia console.
Mamma
dice che è colpa di Tapso, è stato lui a farmi scoprire questo mondo e a
farmici appassionare fin troppo. Per questo ormai non vuole più che ci vediamo:
vuole cercare di farmi smettere di giocare e il modo migliore sarebbe - secondo
lei - far sì che io e Tapso non ci vediamo.
Per
ora non è servito a nulla: finché lei è a casa, sono costretto a non giocare
troppo. Ogni tanto mi ha anche staccato la console dalle mani e l’ha nascosta
per non farmela trovare.
Ma
appena si allontana da casa, chiamo immediatamente mio cugino. Lui riesce
sempre a scoprire dove mamma la nasconde e grazie a lui posso tornare a
giocare.
È
l’unico che mi capisce: se non mi metto a giocare, inizio a stare pure peggio
di quando gioco.
Comincio
a camminare avanti e indietro per la casa, mi sento molto nervoso e se cerco di
fare altro non riesco a concentrarmi. Non riesco neppure più a lottare coi miei
Pokémon o leggere un manuale di informatica, che erano le cose che prima mi
interessavano di più. Posso solo accendere una console e giocare, battere
record su record e portare a termine tutti i giochi che ho.
I
miei genitori dicono che non è normale, che alla mia età dovrei pensare ad
uscire e ad andare a scuola, ma Tapso dice che è normalissimo. Da ragazzini è
normale cambiare spesso passioni, dice, questo è solo un periodo che forse
prima o poi mi passerà.
E
anche se non mi passasse, va bene così: non c’è niente di male ad adorare i
videogiochi. È vero, forse è una passione un po’ particolare rispetto a quelle
dei miei coetanei, ma mica siamo tutti uguali. Il mondo è bello perché è vario,
giusto?
Stacco
un attimo gli occhi dallo schermo illuminato per gettare un’occhiata a mio
cugino, seduto a terra vicino alla presa elettrica. Non ci siamo ancora detti
niente, ma ultimamente non ci parliamo nemmeno più.
Lo
invito quando i miei non ci sono, lui viene, mi trova la console e tutti i
giochi e poi si mette a passare il tempo al suo computer. Non so cosa faccia, ma
in fondo non mi interessa.
Riprendo
a guardare il videogioco: a breve dovrò affrontare una battaglia importante,
non posso permettermi di distrarmi.
Mentre
le mie dita viaggiano sui tasti, però, la mia mente è altrove. Anche se dovrei
rimanere concentrato su quello che sto facendo.
Sono
mesi che non esco di casa se non è strettamente necessario, ormai non vado
quasi più nemmeno a tavola a mangiare. Appena posso, mi rinchiudo in questo
mondo digitale e non me ne stacco. Mi sembra più bello del mondo reale: qui
posso veramente sentirmi me stesso. È difficile da spiegare.
Tapso
mi ha chiarito le idee, qualche tempo fa: ha detto che riesco a proiettare
tutte le mie emozioni nei videogiochi, quindi non ho bisogno di vivere
esperienze reali. Sicuramente lo sa meglio di me, d’altronde si occupa di
informatica da molto più tempo di me. Fatto sta che ho deciso di farmi bastare
questo piccolo mondo fatto di zeri e di uno, perlomeno le delusioni qui sono
poche.
Mi
asciugo col dorso della mano gli occhi: capita spesso che inizino a lacrimare
dopo tante ore passate davanti ad uno schermo.
Sono
a casa di Chrys, seduto a terra. Devo tenere attaccato il computer alla presa,
non posso permettere che si scarichi. La batteria non durerà parecchio se la
sforzo in questo modo, ma ci penserò quando sarà il momento.
I
rumori della stanza mi toccano appena appena: sento il basso ronzio del
ventilatore, la musica che proviene dalla console che mio cugino sta usando e
ogni tanto le sue imprecazioni quando sbaglia una mossa.
Non
ho tempo per concentrarmi su tutto questo, però: c’è un motivo per cui sono qui
ed è trovare finalmente un po’ di pace. A casa mia la situazione è diventata
pesante: i miei genitori dicono che sto troppo spesso davanti al computer e che
dovrei anche fare altro. Non sono più un bambino e ho delle responsabilità da
assumermi. La verità è che questo mondo è troppo complicato: non sono
all’altezza di quello che gli altri si aspettano da me.
Una
casa, un lavoro, una nuova famiglia: sono obiettivi difficili da raggiungere.
Troppo.
All’inizio
aprivo Internet solo per svagarmi un pochino, era la mia evasione quotidiana
dalla realtà, anche se durava poco. Per i primi tempi mi bastava un’ora,
massimo un’ora e mezza al giorno, ma poi quel poco tempo non mi faceva più
sbollire il nervosismo che accumulavo durante la giornata.
La
soluzione più ovvia era aumentare il tempo da dedicare alla mia evasione, e
così ho fatto. Sono passato da un’ora e mezza a due ore.
Che
poi sono diventate tre, quattro, cinque.
Adesso
per stare bene ho bisogno di starci almeno dieci ore, ma ultimamente non mi
basta più nemmeno quel tempo. È un circolo vizioso: più sto su Internet, più
vengo rimproverato. Più vengo rimproverato, più ho bisogno di stare su
Internet. Non c’è uscita.
L’unico
che mi capisce è Chrys: anche lui ha una passione poco convenzionale che lo
porta a stare molto in casa, tra noi ci intendiamo. Ci veniamo a trovare appena
possiamo e abbiamo i nostri momenti di solitudine: pur essendo insieme, siamo
isolati. Non ci guardiamo, non ci parliamo, non interagiamo in alcun modo. Solo
un breve saluto quando ci incontriamo e quando ci separiamo.
Ogni
tanto ripenso a com’era la mia vita prima che passassi tutto questo tempo sulla
rete: andavo a scuola, avevo degli amici. Una vita da adolescente normale.
Eppure
non rimpiango nulla: la rete è un altro mondo. Qui tutto è concesso, si trovano
milioni di informazioni e, soprattutto, si può rimanere connessi solo con le
persone più interessanti. Estromettere chi ci è antipatico dalla nostra vita è
parecchio facile: basta bloccarlo. Non bisogna sostenere l’imbarazzo di vederlo
tutti i giorni e doverlo salutare per circostanza.
Spesso
mi si obietta che il mondo della rete non è come il mondo reale, che non si
conoscono mai a fondo gli amici virtuali. Paradossalmente, nella sua falsità
Internet è il mondo più vero che esista: nascondi la tua identità, ma sei
veramente te stesso. Puoi dire quello che pensi e fare quello che vuoi senza
preoccuaprti di cosa accadrebbe se i tuoi genitori, i tuoi famigliari o i tuoi
conoscenti lo venissero a sapere.
È
questo che mi piace: poter essere me senza dovermi mostrare troppo.
Scorro
rapidamente la pagina di recensioni che avevo iniziato a leggere a casa: è
stato lanciato da poco un nuovo prodotto capace di immagazzinare diversi
terabyte di dati, devo capire se funzioni davvero o sia solo fuffa. La maggior
parte delle recensioni in realtà è positiva: potrei acquistarlo, mi aiuterebbe
parecchio. Per le prestazioni che offre non costa nemmeno troppo.
Sposto
il portatile sul pavimento: è diventato troppo caldo e mi sta scottando le
gambe. Sfilo gli occhiali per pulirmeli e per un attimo le scritte nelle sullo
schermo si sfocano.
Meno
male che Chrys ha un ventilatore in casa, con questo computer morirei di caldo.
ANGOLINO AUTRICE
Ciao
e bentornati a questa edizione di Addictions!
Questo
mese ho fatto una cosa un po’ particolare: ho scelto due personaggi molto
legati tra di loro (Chrys e Tapso, appunto) per parlare di due vizi piuttosto
simili (rispettivamente quello per i videogiochi e quello per internet). La
scelta non era obbligata, ma quasi: sono entrambi molto legati alla tecnologia
e, data la loro giovane età, non sarebbe impossibile sviluppare una dipendenza.
Contando anche il fatto che appunto sono molto legati, è facilissimo che uno
trascini l’altro in una brutta spirale: è proprio quello che è successo in
questa puntata. Anche per questo motivo i due episodi sono legati tra di loro,
non ne ho fatto uno unico solo per mantenere una certa continuità con gli
episodi precedenti e successivi (e soddisfare in questo modo il mio OCD).
Ciancio alle bande, che vi sarete già rotti le scatole di leggere, ringrazio
solo Andy Black per avermi concesso questo spazio di pubblicazione!
Al
mese prossimo!
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