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John Hancock - Bloodborne - 7. Blues




7. Blues
 26 Dicembre, Luminopoli.



L’intera città era ancora immersa nell’abbraccio di Morfeo. Le stelle brillavano vive e forti nel cielo notturno, completamente immerse nelle profondità dello spazio, nero come un mare in cui imperversa una tempesta portatrice della furia degli dei stessi. La luna, una falce di pura luce, si divertiva a nascondersi fra le vesti delle poche nubi lì presenti. All’estremo oriente, un lieve bagliore bluastro si levava dall’orizzonte, segno del risveglio del sole.

Luminopoli, la città che non dorme mai, era in completa stasi. I festeggiamenti degli ultimi giorni si erano conclusi con il nuovo “Space Day” in cui, per una notte intera, ogni singola attività era interrotta, ogni luce veniva spenta e la città intera pareva trattenere il respiro. In questo modo, era possibile vedere la maggior parte delle costellazioni che, altrimenti, sarebbe stato impossibile ammirare a causa dell’inquinamento luminoso. L’idea era stata accettata con grande enfasi da parte di tutti i cittadini, che la sera prima si erano goduti l’apertura dei regali di Natale alla luce delle stelle.

Anche lei vi aveva partecipato, camminando fra i viali e i parchi, con la luce lunare a baciarle il viso. A malincuore si era ritirata nel suo appartamento, costringendo sé stessa a racimolare almeno un paio di ore di sonno, prima di tornare a lavoro il giorno dopo. Non avrebbe mai potuto perdere un giorno di lavoro, anche se le spettavano le vacanze, mentre Bellocchio era lì fuori a rischiare la vita.

“Ha bisogno di me, e io non posso permettermi il lusso di riposare mentre potrei aiutarlo” continuava a ripetersi, sulla via di casa.

Con questo loop in mente, interrotto da ammirazioni ora di stelle in particolare, ora di giochi di luce fra le acque degli stagni del parco vicino casa sua, ritornò al suo appartamento, non ricordando neanche quando e come si era inoltrata fra l’erba verde e fresca di rugiada.

Furono solo un paio di ore, eppure parvero giovare quanto una notte intera di buon sonno. E quando si alzò, come sempre tre minuti prima che la sveglia delle cinque suonasse, la città parve immutata ai suoi occhi.

Scivolò fuori dal piumone, con addosso solo la leggera camicetta da notte. Ebbe un brivido e le venne la pelle d’oca quando i piedi nudi toccarono sul parquet. Si avvicinò alla finestra e cliccò sul pulsante di apertura: le tende iniziarono a ritirarsi ai due lati dell’enorme finestrone che faceva da parete alla sua camera da letto. Aveva avuto la fortuna di avere un appartamento nell’attico, da cui godeva di una vista a trecentosessanta gradi di tutta Luminopoli. In particolare, la sua camera da letto si esponeva a est, e quindi adesso i primi, timidi e tenui raggi di sole facevano da contorno al panorama.

Sotto di lei si apriva, un po’ in lontananza, il Viale Inverno, una delle vie principali, su cui si era accumulata la neve caduta in nottata. Lì la luce del sole parve stendersi e stiracchiarsi, con le dita che si allungavano sempre di più.

Lei l’imitò, facendo schioccare la colonna vertebrale quando portò in alto le mani, congiunte fra di loro. La camicetta le seguì, alzandosi e lasciandole le gambe completamente scoperte fino a poco sotto i glutei. Ebbe un brivido quando la stoffa le solleticò il seno, provocandole prurito.

Sbadigliò, controllando il grande letto che condivideva con la sua Espurr. Lei dormiva ancora, come faceva ogni mattina. Decise di lasciarla riposare ancora un po’ e si diresse verso il suo armadio, prendendo una delle sue tute da allenamento.

Si cambiò ai piedi della sua poltrona da lettura, e poi uscì dalla camera da letto in punta di piedi. Camminò di fianco alle grandi finestre che costituivano le sue mura, tenendole al lato sinistro. Premette tutti i relativi tasti per tirare via tende e rimuovere gli scudi esterni, rivelando il cielo stellato e, sotto, Luminopoli. Il salone con cucina dove si trovava ora condivideva la vista del Viale Inverno con la stanza da letto. Continuò a camminare nel suo grande appartamento, arrivando all’altro lato dell’enorme salone. Passò attraverso la porta e si ritrovò nel corridoio che aveva a sinistra altre pareti di vetro, stavolta rivolte verso Piazza Centrale, e a destra si alternavano a distanza regolare le porte di diverse stanze: dispense, il bagno di servizio, la libreria, il ripostiglio, la stanza del relax dove vi trovavano posto tutte le cose a lei più care, le camere degli ospiti, tutto era alla sua destra. Anche la stanza che, raramente, occupava Bellocchio quando riusciva a farle visita, l’ultima della serie, confinante da un lato con la sua stanza da letto. Subito prima di questa, si trovava l’ingresso del suo attico e, di fianco, la sala d’allenamento.

Alla porta c’era appeso il quadro con la raccolta di polaroid. Grazie a esse, era riuscita a fermare un attimo nel tempo, quando lei e Bellocchio si erano presi la prima vacanza, anche se solo di un paio di giorni.

Sotto una di quelle vecchie foto, la dedica che Alberta le fece era ancora ben visibile.

“Grazie per gli attimi passati assieme. Sono sicura che senza voi due questa serata sarebbe andata molto diversamente. Se Bellocchio non ti avesse già adottata, l’avrei fatto io”.

Ricordare la faccia di Alberta, leggermente su di giri per colpa dell’alcool, la fece ridere di nuovo, come ogni volta che guardava quelle istantanee.

E ricordò anche il divertimento di Bellocchio, quando decise insieme a lei che quella sera avrebbero rapito Alberta dal suo ufficio per portarla fuori a divertirsi.

Poi Matière le aveva fatto bere un bicchiere soltanto, l’aveva giurato più volte a Bellocchio quando quello tornò dopo aver rincorso un cameriere per ordinare, e Alberta era già quasi completamente fuori controllo.

- Dobbiamo organizzare di nuovo qualcosa di simile, appena ci ritroviamo tutti e tre a Luminopoli.

Cercò di non pensare ai regali di Natale per loro due, ancora lì sotto l’albero che aveva addobbato da sola, suo malgrado e varcò la porta della stanza. L’interno della sala attrezzi era completamente insonorizzato, in modo da non disturbare i vicini con tutto il rumore che avrebbe fatto a quell’ora così follemente precedente al canto dei galli.

Scrollò le spalle, lasciando precipitare tutti i pensieri dalla sua schiena. Aprì la porta ed entrò nella sua sala d’addestramento. Iniziò a riscaldarsi con i vari attrezzi e pesi per un venti minuti buoni, eseguendo anche esercizi per sciogliere i muscoli e alleggerire la tensione. Dopodiché, quel giorno, decise che avrebbe utilizzato il sacco da boxe.

Strinse forte le bende attorno alle sue mani, lasciando parte delle dita libere. Tastò la malleabilità del tessuto e la sua capacità di aprire e chiudere i palmi. Soddisfatta, iniziò a colpire il sacco, lentamente.

Non aveva intenzione di farsi male, non era più inesperta come i suoi primi allenamenti.

L’attività fisica iniziò a fare il suo lavoro, mentre il cuore pompava adrenalina in tutto il corpo. Matière si fermò un istante per accendere lo stereo. Collegò il suo telefono e mise, in loop, “Your Love” di Mr. Jukes.

Ritornò al sacco e riprese a colpirlo, aumentando mano a mano il ritmo dei colpi.

Il tempo perse valore, il suo mondo si ridusse al nero del rivestimento esterno del sacco, alle sue bende bianche attorno ai pugni e al ritmico respirare che scandiva i movimenti del suo corpo. Non si ricordò neanche di essere passata ai calci. Iniziò a pensare a Bellocchio che stava rischiando la vita, lì da solo a Nevepoli, mentre lei era confinata dietro la sua scrivania. Improvvisamente si sentì impotente.

Alberta e Bellocchio, le due persone da cui aveva imparato tutto, viaggiavano di Regione in Regione, affrontando innumerevoli pericoli e rischiando perennemente le proprie vite. Le cose non erano affatto andate a migliorare quando ad Alola avevano fatto la loro comparsa le Ultracreature. E adesso, con questo nuovo caso a Nevepoli, Bellocchio era sceso nuovamente in pista.

Mentre lei era rimasta lì, nel comfort di casa sua.

Pensò di dover essere lì con lui per aiutarlo, così come in tutti quegli anni lui si era preso cura di lei. Cosa a cui Alberta aveva dato il suo contributo.

Urlò senza accorgersene, concatenando decine di colpi consecutivi. Ogni impatto delle nocche contro il rigido sacco da boxe la rendeva meno conscia di sé, e al tempo stesso, più libera.

Si lasciò cadere per terra, seduta e ansante. Il sudore che faceva brillare il suo volto.

La testa sembrava sul punto di esploderle, con il sangue che le martellava nelle orecchie.

- Ora va meglio – commentò parlando da sola.

Matière si alzò, spense la luce e ammutolì la musica. Si liberò con foga dalle bende legate alle mani e le lasciò cadere in un cesto, dove poi lanciò anche la sua tuta. Raccolse il tutto e si diresse verso la lavanderia, dove unì i vestiti a quelli presenti nel raccoglitore di vestiti sporchi. Non aveva voglia di fare la lavatrice, quel giorno, quindi decise di lasciare il tutto così. Uscì e si diresse verso il bagno della sua camera da letto.

Espurr dormiva ancora, e continuò a dormire quando lei scivolò dentro la camera, silenziosa, con i piedi nudi che battevano sul pavimento, generando un fruscio quasi impossibile da udire. Prese i vestiti puliti dall’armadio e poi entrò dentro il bagno. Aspettò che l’acqua si scaldasse prima di entrare nella doccia. Sentì tutta la stanchezza della notte scivolarle via, accompagnata dal caldo abbraccio in cui era avvolto il suo corpo. Si sedette sul piatto doccia, con le gambe incrociate come faceva da piccola. Chiuse gli occhi e si abbandonò per un po’ alle sue fantasticherie.



Un’ora dopo, Matière uscì dal bagno con soltanto i capelli a coprirle il corpo. Scivolavano in lunghe onde sulle sue spalle, lasciati liberi di prendere la forma che più desideravano, andando poi ad arricciarsi su sé stessi all’altezza del seno, come se volessero proteggerla da sguardi sgraditi. Era da tempo ormai che Matière aveva abbandonato l’acconciatura con le due trecce che utilizzava di solito. In questo modo recuperava molto tempo e, inoltre, le piaceva quel look un po’ selvaggio, primitivo. Si divertiva ogni giorno a osservarli, notando come mutavano di volta in volta.

Si spostò una ciocca ribelle dal viso, liberando l’occhio destro e prese a vestirsi. Quel giorno optò per un paio di pantaloni neri che scorrevano dritti sulle sue gambe, seguendo la linea del suo fisico. Prese inoltre una leggera camicia bianca, che poi coprì con un maglioncino grigio, semplice se non per dei ricami a forma di fiore sui polsi. Si guardò allo specchio e sistemò il colletto della camicia, per poi prendere gli scarponi, ancora leggermente bagnati dall’ultimo utilizzo, la notte appena passata. Vide Espurr che si stava svegliando. Un sorriso le spuntò incondizionatamente sul volto.

- Resta pure qui, oggi. Ti sei stancata molto ieri e non hai dormito proprio. Bada tu alla casa, ok?

Si sporse sul letto, lasciando un lieve bacio sulla guancia di Espurr. Quella tornò quasi immediatamente a dormire, scomparendo sotto le coperte.

Matière rise quando vide la sua forma appallottolarsi sempre di più, creando una piccola collina fatta di piumone e coperte in pile.



Le strade di Luminopoli erano già piene di gente. Essendo una grande metropoli, c’era sempre qualcuno intento a camminare lungo le sue strade. Per lei, quella città non era mai in grado di dormire, continuamente intenta a svolgere qualche lavoro di qualsiasi tipo. Camminando per Viale Inverno vide panettieri che in quel momento erano intenti a sfornare le prime, calde pagnotte della giornata. L'odore del pane le fece brontolare lo stomaco, decise quindi di anticipare la sua colazione e non prendere il solito dal bar sotto il suo ufficio.

Si avvicinò a uno dei forni e aprì la porta d’ingresso.

- Siamo chiusi… - commentò il panettiere.

L’uomo anziano si girò verso l’ingresso non appena la campanella posta sulla porta tintinnò. Matière lesse sul suo volto il disappunto per l’ottusità di quel cliente che aveva insistito nell’entrare, nonostante il suo negozio fosse ancora chiuso.

- È così che tratti i tuoi clienti? Forse dovrei smettere di venire qui…

- Oh Matière, sei tu! Scusami, non ti avevo riconosciuta – rispose lui, sporgendosi da dietro il bancone per salutarla.

- Pensavo di trovarti chiuso oggi, Frank.

- Lo pensavo anch’io. Poi però l’anca ha iniziato a fare male mentre stavo sul prato con Lysa e quindi me ne sono tornato qui. Non potendo dormire, tanto valeva fare qualcosa di utile. Sempre il solito? L’ho fatto apposta per te, ho avuto come l’idea che saresti passata di qui, stamattina.

- Sì grazie. Lysa come sta?

- Bene, dorme. Quelle medicine che ci hai rimediato la stanno aiutando non poco, non so ancora come ringraziarti – le porse la piccola pagnotta di pane ancora calda, morbida e con la crosta croccante.

- Continua a vendermi del pane così, e siamo pari.

Matière pagò e uscì dal negozio, ritornando per strada. Aveva ripreso a nevicare, seppur lievemente. La pagnotta di pane caldo iniziò a fumare a contatto col vento freddo del mattino. Matière l’addentò e s’incamminò verso la sede della Polizia Internazionale.



L’imponente grattacielo si trovava sul limitare di Piazza Centrale, dominante sullo sbocco di Viale Inverno. L’esterno era sobrio, con le grandi finestre dei piani superiori a specchio, in modo da nascondere gli interni da occhi indiscreti. Il piano terreno, invece, aveva per mura esterne degli spessi e resistenti vetri blindati, sui quali si apriva l’ingresso con le porte automatiche verso cui si stava dirigendo adesso Matière, situate proprio sotto la scritta a grossi caratteri tridimensionali che recitava “Polizia Internazionale” e, più piccolo e subito sotto: “Sede principale di Kalos”.

Salutò l’addetto all’accoglienza e si diresse direttamente verso l’ascensore. Non gli piaceva molto quel modo di spostarsi nelle strutture, ma era il modo più veloce. Inoltre farsi ventiquattro piani di scale avrebbe messo a dura prova anche la sua stamina. Per questo, come ogni mattina, inspirò a fondo e poi vi entrò. Le parve di trattenere il fiato per tutto il tragitto e fu sollevata quando alla fine le porte si aprirono, seguite dal segnale acustico che avvisava i più sbadati.

La sala con i tanti box degli attendenti erano tutte rigorosamente vuote. Anche la segretaria all’ingresso mancava. C’era da aspettarselo, era pure sempre il ventisei di Dicembre. Quasi tutti erano a casa, per festeggiare con i propri parenti. L’intero piano su cui lavorava Matière si era sincronizzato in modo da avere tutti quanti ferie in quei giorni. Avevano parlato per settimane della grande cena fra colleghi, con tanto di famiglia, che si era tenuta la notte prima. Adesso probabilmente erano tutti a casa, intenti a dormire e a riposarsi.

Lei aveva preferito continuare a lavorare anche oggi. Bellocchio era lì a Nevepoli, intento a combattere contro qualcosa di molto strano e pericoloso, e i suoi rapporti non facevano altro che consolidare i dubbi della ragazza. Superò i box degli attendenti e imboccò il corridoio di destra, in fondo al quale si trovavano l’ufficio di Bellocchio e di Alberta. Il suo, invece, si trovava poco prima, sulla sinistra. Aprì la porta in vetro dando una rapida occhiata al nome sopra scritto. “M. Looker”, ancora non ci si era abituata e probabilmente mai ci sarebbe riuscita. Si sedette alla sua scrivania, lasciando la borsa libera di precipitare vicino alla pianta grassa che aveva di fianco la libreria stracolma di fascicoli. Aprì la bottiglietta d’acqua che aveva lì vicino e innaffiò il suo piccolo cactus. Era uno di quelli snelli e slanciati, completamente solo nel vaso, se non per il piccolo figlio che stava nascendo sul suo lato, vicino al terreno umido e nero.

Matière si sedette alla sua scrivania e, prima di accendere il computer o controllare se c’erano messaggi in segreteria, si godette un po’ di calma. Quel posto di solito era più rumoroso di un macinasassi, mentre ora riusciva addirittura a sentire il proprio battito del cuore. Così chiuse gli occhi e si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, affondando mentre quello si piegava sempre di più verso il pavimento. Rimase in quella posizione mentre i suoi sensi si amplificavano. Le pareva quasi sentire le energie ritornare in gran forza, scacciando via tutta la stanchezza accumulata in quei giorni e le ore di sonno ormai perse. Stava assaporando il sapore del silenzio quando le parve di sentire qualcosa. Aprì gli occhi, incuriosita. Si mise a sedere e si concentrò per aumentare il raggio d’azione del suo udito. Sì, c’era sicuramente qualcosa che faceva da sottofondo.

Si alzò e si diresse verso la porta, aprendola. Immediatamente il suono aumentò d’intensità e riconobbe la sua fonte: era musica, proveniva dalla parte opposta del corridoio. S’incamminò, incuriosita, verso gli uffici di Bellocchio e Alberta, da dove sembrare provenire la melodia.

Arrivò nella grande sala circolare dove, al centro, si trovava il giardino in stile giapponese dell’ufficio, con bonsai vari e costosissimi, erba tagliata e curata e quelle particolari sabbie che a lei infondevano tanta calma. Il tutto era contenuto da un perimetro di lastre di legno finemente lavorate, con altorilievi di diversi tipi di Pokémon d’erba e acqua. Il suo preferito era un piccolo Bulbasaur intento ad annusare un fiore. Al lato sinistro si trovava l’ufficio di Bellocchio, muto e chiuso. A destra, invece, c’era l’ufficio più grande di tutta la struttura, era da lì che proveniva la melodia. Le piccole tende interne erano aperte e quindi Matière poté vedere Alberta intenta a lavorare all’interno, china sulla scrivania.

Mano a mano che Matière si avvicinò, la musica aumentò di volume, arrivando al massimo quando

lei aprì la porta. Alberta non si accorse della sua presenza, e continuò indisturbata il suo lavoro.

- I tried so hard and got so far.
  But in the end it doesn't even matter.
  I had to fall to lose it all.

  But in the end it doesn't even matter.

- Ehm ehm – tossì Matière, per manifestare la propria presenza.

Alberta smise istantaneamente di cantare e alzò gli occhi dalle sue scartoffie. Avvampò immediatamente.

- Matière, credevo di essere da sola… - lei cercò immediatamente di scusarsi per la palese figuraccia in cui pensava di essere incappata.

- Linkin Park, non male. Non pensavo ti piacesse quel genere di musica.

- Oh, beh, ci sono cresciuta. Mio padre ne era un patito, insieme agli ACDC e molti altri.

- Io invece li ho conosciuti prettamente tramite i video che giravano di Dragonball con le loro canzoni come sottofondo.

- Io li adoro quei video, li ho visti non so quante volte.

- Non ti facevo così nerd, Alberta.

- Potrei sorprenderti – rispose lei, per poi scoppiare a ridere.

L’ilarità contagiò Matière, che prese a ridere insieme alla sua amica.

- Ma come mai sei qui? Si sono presi tutti quanti le ferie in questi giorni, pensavo saresti stata a festeggiare con loro. Donna non ha fatto altro che chiedermi di venire con voi due alla festa del dipartimento.

- Lo so, ha insistito anche con me. Ma ho preferito continuare a lavorare.

- Fammi indovinare: Bellocchio, giusto?

- Esatto. Potrebbe aver bisogno del mio aiuto, mi sembra da sconsiderati festeggiare mentre lui potrebbe essere in pericolo.

Alberta sospirò vistosamente, massaggiandosi le tempie.

- Te l’ho già detto. Sta bene, c’è anche Bianca con lui.

Alberta iniziò a spostare le scartoffie che sovrastavano la sua scrivania, già sapendo che quella era una conversazione che non sarebbe finita facilmente.

- Siediti – le indicò la sedia davanti a sé, una volta sgomberata la scrivania.

Matière si sedette e si strofinò le mani sui pantaloni, le stavano iniziando a diventare umide a causa del sudore. Non sapeva perché, Alberta era sua amica, ma quando doveva rivolgersi a lei in ambito lavorativo aveva perennemente paura di essere sotto esame.

- Allora, cosa c’è che non va? Avete litigato, credi che Bianca non sia idonea.

- No no, nulla di tutto ciò – l’interruppe Matière.

- Solo che… non mi sembra giusto. È passato Natale, Bellocchio sarebbe dovuto rientrare ieri notte, dopo aver controllato quell’Ultravarco. Invece è finito in un caso che ha del raccapricciante. Non mi piace, non ho una bella sensazione.

- Sai vero che non ti posso mandare da lui? Non hai la preparazione necessaria per essere un agente sul campo. Inoltre mi servi qui, sei la nostra migliore tecnica e ricercatrice; senza di te il laboratorio della scientifica non farebbe neanche il metà del suo lavoro.

- Sono pronta invece! Sarei molto più utile sul campo, dove potrei fare analisi e tutto sul momento, con campioni freschi, invece di dover aspettare Plutarch. Sono la vostra migliore ingegnera e biochimica, sai bene che sarei molto più utile lì. Inoltre, come sai bene dato che mi hai addestrata tu, sono più che allenata per andare sul campo.

Alberta espirò dalla bocca, come se quello che stava per dire le dolesse sul petto, e con aria rassegnata. Allungò una mano e andò a trovare quella di Matière, stringendola nella sua.

- Non basta, quello che abbiamo fatto io e te. Hai bisogno di affinare le tue tecniche, non posso rischiare che ti succeda qualcosa di brutto o che tu non abbia i nervi per gestire qualche situazione.

Vedendo che Matière continuava a fissarla, improvvisamente muta, aggiunse altro.

- Come avresti reagito, nel vedere i due piccoli Parker?

- Io… io… - Matière non riuscì a trovare le parole.

Gli occhi le si inumidirono e, prima che potesse anche accorgersene, iniziò a piangere silenziosamente. Cercò inutilmente di contenersi e, quando Alberta si alzò e andò ad abbracciarla, la cosa non fece altro che peggiorare. Affondò la testa nel petto della sua amica, lasciandosi andare completamente.

Dopo che la crisi fu passata, lentamente, Matière si ricompose.

- Meglio? – le chiese Alberta.

- Sì, grazie. Scusami, mi preoccupo troppo, a volte dimentico quello che ha già superato Bellocchio.

- Non ti devi preoccupare.

Alberta le parve improvvisamente titubante, come se stesse lottando con sé stessa interiormente.

- Senti, non dovrei dirtelo dato che è un’informazione riservata. Ma probabilmente così starai più tranquilla: a breve Bellocchio non sarà più da solo. Questi Pokémon aggressivi, con gli stessi sintomi osservati da Bellocchio, sono stati trovati anche in altre Regioni. Sembra che si stia diffondendo, simile a un virus. Avevo dei miei agenti sul posto, ma le loro tracce sono tutte svanite, gli unici indizi portavano tutti a Nevepoli. Quindi ho deciso di mandarli lì a dare man forte a Bellocchio.

- Si sta diffondendo? Com’è possibile?

- Non ne abbiamo idea, per questo tu mi servi qui. Dove potrai lavorare anche giorno e notte se lo vuoi, ma trovami le cause di quello che sta succedendo e una soluzione. Ne abbiamo bisogno, non credo che questi Pokémon siano gli unici così, si sta spargendo.

Improvvisamente, Matière ritrovò la ragione e la fermezza che le serviva per svolgere al meglio il suo lavoro. Ora aveva anche una nuova motivazione e una sicurezza in più per Bellocchio, così non si sarebbe preoccupata così tanto, sapendolo isolato dai suoi colleghi.

- Conta pure su di me, farò tutto il necessario per aiutarvi.

Alberta le sorrise e l’abbracciò di nuovo. Stavolta il suo corpo aveva un profumo diverso per Matière, e quell’affetto un altro significato.

- Comunque, chi sono i due agenti?

- Oh, ne rimarrai entusiasta. Ecco i loro fascicoli.

Matière sgranò gli occhi vedendo le due fotografie che ritraevano i due agenti che si stavano dirigendo da Bellocchio.

- Sono davvero loro…? – chiese, stupita.


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