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John Hancock - Bloodborne - 8. Sulle Ali Del Coraggio




8. Sulle Ali Del Coraggio 
27 Dicembre. In una zona non specificata, fra le montagne antecedenti Nevepoli.

Il vento fischiava forte e inesorabile tutt’intorno a lui, mentre il cielo si tingeva del rosso che preannunciava l’alba.
Volse il suo sguardo verso est, lì dove il bianco della neve veniva inondato dai primi raggi di sole, riflettendo quest’ultimi come fosse un candido specchio naturale.
“Finalmente” pensò, assaporando l’idea di godersi un po’ di calore dopo il lungo viaggio che aveva intrapreso.
Sul dorso del suo Pidgeot, aveva volato il più velocemente possibile, da Johto fino a Sinnoh, non appena aveva ricevuto la convocazione da parte di Alberta. Quella era stata l’occasione ideale per sperimentare la sella con l’imbracatura e la tuta speciale che lui stesso aveva costruito per volare a simili velocità. Non aveva creduto a ciò che si diceva sulle velocità dei Pidgeot fino a che non l’aveva sperimentata lui stesso. Probabilmente, senza quella sella speciale e la sua tuta da volo, sarebbe precipitato già da molto tempo, o sarebbe morto congelato, tagliato in due dalle raffiche di vento.
Pidgeot si lanciò in una grande nuvola, piroettando su se stesso. Uscì lasciando dietro di sé una coda di tante piccole gocce che in un attimo precipitarono verso il basso.
Il suo cavaliere si voltò indietro, godendosi per un attimo lo spettacolo creato dai cristalli d’acqua che riflettevano la luce nascente del sole. Notò le piccole lame di ghiaccio che si erano formate sulle punte delle piume del suo Pidgeot e fu felice di essere ormai quasi arrivato.
Avrebbe dovuto prendere un aereo, per poi incontrarsi poi all’aeroporto di Giubilopoli con il suo partner e infine insieme dirigersi a Nevepoli. Ma questo, non era nel suo stile.
Invece, non appena Alberta lo aveva contattato chiedendogli di andare ad aiutare Bellocchio con delle indagini, lui aveva lasciato i suoi doveri da Capopalestra e si era diretto lì, in groppa al suo Pidgeot. Delle cose strane stavano succedendo nei boschi adiacenti Violapoli, incidenti con Pokémon molto aggressivi, e lui era deciso a scoprirne la causa.
 “Bellocchio sta seguendo una serie di omicidi causati da Pokémon con caratteristiche simili, Valerio. Forse lì troverai le risposte che cerchi. Nel frattempo, tutto il nostro settore scientifico è a lavoro su questo caso”. Le parole di Alberta gli risuonarono nella mente, mentre Pidgeot iniziava la manovra di discesa, seguendo gli ordini che gli aveva impartito utilizzando gambe e braccia.
Il suo Pokémon aveva volato tutto il tempo al limite, sfidando le leggi della natura. Mentre Pidgeot descriveva dei cerchi concentrici sempre più ristretti e vicini al terreno, per ridurre gradualmente la velocità e non rischiare di danneggiare il suo allenatore, Valerio controllava l’HUD del proprio casco. Analizzò tutti i dati raccolti durante il tragitto, restandone completamente stupito.
Pidgeot, grazie alla sua vista incredibile, era stato in grado di individuare la stazione di polizia di Nevepoli e atterrò nella candida neve proprio davanti l’ingresso. Valerio impiegò qualche minuto a massaggiarsi le gambe per riattivare la circolazione, evitando così di cadere una volta sceso dalla groppa del Pokémon. Una volta a terra ripulì il dorso e le piume di Pidgeot, liberandolo dal ghiaccio formatosi ad alta quota.
Infine, si tolse il casco, assaporando l’aria gelida che gli sferzava il viso, madido di sudore. I lunghi capelli, schiacciati dal peso del casco, erano ora liberi, mossi dal vento. Solo il grande ciuffo che gli ricadeva sul volto, coprendogliene la metà di destra, sembrava essere sempre in ordine. Valerio non ricordava un giorno della sua vita in cui era stato in grado di domarlo, quel ciuffo. Soffio di lato, quello destro, cercando di allontanarlo dal suo viso. Senza riuscirci.
- Pidgeot, amico mio, sei stato fenomenale. Abbiamo raggiunto una velocità pari a Mach 2 per tutte le sette ore di tragitto, anche se volavi oltre lo strato di nubi.
Gli accarezzò il volto, sotto l’angolo sinistro del becco, dove tanto gli piaceva. Notò, sorridendo, che anche Pidgeot aveva quel ciuffo ribelle, una piuma del capo che gli ricadeva sul lato destro del volto.
- Adesso ti spetta solo un pasto caldo, un buon riposo e tutte le comodità di cui hai bisogno, ok?
Continuò ad accarezzarlo, lui, mentre gli rimuoveva la sella e l’imbracatura, per poi farlo ritornare nella sua Poké Ball, dato che era troppo grosso per passare attraverso l’ingresso della stazione di polizia.
Valerio lasciò cadere le proprie valigie di fianco la grossa porta in legno massiccio, per poi spingerla, aprirla ed entrare.
L’interno era completamente tappezzato da legno.
Ovunque si girasse, Valerio posava il suo sguardo su parquet, mura rivestite di legno, mobili in legno, e, sparsi qui e là, quadri ritraenti vecchi poliziotti sorridenti, intenti a giocare con qualche Snover o altri Pokémon, spesso degli Starly, dopo averli liberati da fili e recinsioni perimetrali delle case di Nevepoli. Una fotografia in particolare attirò la sua attenzione. Una istantanea in bianco e nero, non più grande del palmo della sua mano, la cui cornice era stata ornata con un paio di fiorellini da campo, da poco colti.
La foto era sbiadita dal tempo, ma ancora era possibile vederne il soggetto, seppur sfocato. Un bambino, in riva a un lago, che dà da mangiare a uno strano Pokémon fluttuante sull’acqua, con quelle che, Valerio non ne era del tutto sicuro, sembravano delle code.
Una signora anziana, bassa e piuttosto in carne sbucò da una porta secondaria. I suoi capelli argentati, il modo in cui si aggiustava i boccoli che le ricadevano ai lati del viso e il grande fermaglio d’osso che li teneva legati dietro la nuca, unito anche al suo lieve ondeggiare mentre camminava, ricordò a Valerio sua nonna, a cui era molto affezionato. Questo rese l’anziana signora molto simpatica ai suoi occhi.
- Salve bel giovanotto, le serve qualcosa? Se è qui in vacanza per sciare, mi duole avvisarla che le piste sono chiuse.
Solo allora Valerio notò la targhetta appuntata sul cardigan dell’anziana signora, che la identificava come la segretaria d’ufficio.
- Oh, non sono un turista, Caroline, sono un agente della Polizia Internazionale. Sono qui per seguire le indagini di un mio collega, l’agente Bellocchio. Con lui dovrebbe trovarsi anche Bianca, la Capopalestra del luogo.
- Ah certo, certo. Ci è arrivata la comunicazione qualche giorno fa del vostro arrivo. Vi aspettavamo oggi pomeriggio, in realtà. E in due.
- Sì, avrei dovuto viaggiare con l’aereo col mio partner, ma ho preferito volare sul mio Pidgeot, sono un fan del cielo.
- Non sarà pericoloso? Vuole un biscotto? Li ho sfornati stamattina, prima di venire a lavoro.
Caroline si mosse rapida, con un’agilità che Valerio non credeva possibile in una persona anziana. S’inchinò sotto la sua scrivania, aprendone un cassetto e ne estrasse un grosso contenitore di plastica trasparente, con il coperchio rosso acceso, da cui proveniva un intenso aroma di biscotti fatti in casa.
- È pericoloso viaggiare a quelle velocità, certo. Ma io sono un esperto di Pokémon volanti. In effetti, sono il Capopalestra di Violapoli, e ho pensato io a questa – diede un colpetto al proprio casco da aviatore, per poi indicare la tuta che indossava.
- Dev’essere stato così emozionante! – Caroline gli spinse praticamente sotto il naso il contenitore con i biscotti, da cui proveniva un invitante aroma di cioccolato al latte, caldo e rassicurante.
- Lei è gentilissima, davvero, ma mi dispiace dirle che andrei leggermente di fretta, mi è stato detto di trovare il prima possibile Bellocchio e fornirgli le mie informazioni.
- Non ti preoccupare. L’agente Hopkins ha parlato ultimamente con Bianca, dammi un istante e lo chiamo per farti ricevere. Prima, però, assaggia uno di questi biscotti. Li ho fatti io, sono buonissimi. E tu devi sicuramente mangiare, dopo il viaggio che hai fatto.
Caroline prese un biscotto e lo fece scivolare fra le mani di Valerio, sorridendo di nuovo.
- Di sicuro avrai fame, non è così? – gli chiese.
Quasi come se il suo stomaco avesse vita propria, decise di rispondere a modo suo, con un brontolio più simile al richiamo sonar di un Wailord che a un rumore umanamente generabile.
- ... Effettivamente… forse posso assaggiarne uno – rispose il ragazzo, il cui viso era diventato livido per la vergogna.
“Menomale che ho questo ciuffo che mi copre”.
- Mangiali pure tutti, mettiti comodo qui, su questa poltrona – Caroline lo trascinò fino alla poltroncina che si trovava davanti la sua scrivania, morbida e calorosa al tatto – E mangia pure tutti i biscotti che vuoi. Sei proprio affamato, tesoro, prendi pure tutta la confezione, tanto ne ho delle altre con me.
Caroline si voltò d’improvviso, tagliandogli ogni possibilità di reclinare l’offerta. Scomparì dietro la porta principale che dava sugli uffici dei pochi poliziotti presenti a Nevepoli, tranquillizzandolo.
- Vado a chiamarti Hopkins, è lui ad aver parlato con Bianca, poco prima che lei andasse nel bosco con Bellocchio. Dammi cinque minuti.

Esattamente cinque minuti dopo, un’allegra Caroline si affacciò dalla porta, facendo segno con la mano a un ora meno affamato Valerio di seguirla all’interno.
Lui si alzò e rimosse le briciole che gli erano cadute sulle gambe, posò il contenitore coi biscotti sulla scrivania di Caroline e oltrepassò la soglia d’ingresso.
Lì all’interno c’erano diversi box dentro i quali gli agenti svolgevano il loro lavoro, raccogliendo segnalazioni di cittadini e facendo il possibile per aiutarli. Un paio di loro erano impegnati con un computer che non aveva la benché minima voglia di collaborare nel copiare dei file cartacei tramite scanner.
In fondo alla sala c’era una piccola stanza con delle mezze finestre come pareti e una porta di vetro opaco, e dietro ognuna di quelle aperture sul mondo esterno, si trovavano delle tende lamellari rigorosamente chiuse.
Valerio aprì la porta dopo aver bussato un paio di volte con le nocche della mano. Non appena la sua mano spinse verso l’interno e aprì uno spiraglio in quello che gli ricordava un nido di Spearow, venne investito da una zaffata di puzza di fumo.
Tossì un paio di volte, facendosi forza a entrare. L’interno era molto diverso dall’esterno: ogni angolo utilizzabile della stanza era stato riempito con qualcosa, dagli scaffali per archivi ai quadri affissi alle pareti, al piccolo mobile bar su cui erano stipate diverse bottiglie di vari liquori differenti e decine di merendine, radunate in base al tipo di appartenenza, dal cioccolato alla marmellata.
Al lato destro della stanza c’era un piccolo acquario con degli oranda all’interno, ai quali era stato affiancato un piccolo pesce rosso comune. Il getto della pompa del filtro agitava gli apici di una pianta acquatica dalle foglie larghe, mentre uno dei piccoli oranda, di colore nero scuro con degli strani occhi sporgenti, cercava invano di afferrarne una con la bocca, venendo respinto di volta in volta dalla corrente d’acqua.
Hopkins si trovava dietro la scrivania in legno, molto vecchia e sbiadita dal tempo. Staccò gli occhi dal computer una volta che Valerio fu entrato nel suo ufficio.
- Caroline, grazie puoi andare – fece lui, congedando la segretaria con un gesto della mano.
- Valerio, giusto? Agente Hopkins, Jim per gli amici – disse poi, indicando la sedia davanti a sé.
Valerio allungò la mano, stringendo quella del suo collega in segno di saluto, dopodiché si sedette.
- Sì, sono stato mandato qui come rinforzo per Bellocchio. So che siete già al corrente di tutto.
- Esattamente. Mi dispiace che non ci sia il mio capo qui, il sergente Hoffman. È lui a dirigere la baracca ma ora è impegnato con altre faccende. Io lo sostituisco nel frattempo.
Valerio notò che quello, con una certa frequenza, tendeva a passarsi i polpastrelli fra i peli della sua barba, lasciata crescere quel tanto che bastava per poterci giocherellare, ma curata alla perfezione. Jim raccoglieva dei ciuffi fra le dita, per poi tenderli, girarli su sé stessi formando degli intrecci momentanei, o semplicemente spingerli da un lato all’altro. Il tutto, mentre parlava.
“Probabilmente lo fa quando sta sotto stress o in situazioni che non gli piacciono” pensò Valerio.
Però, poco prima di finire, risistemava il tutto, dando nuovo ritegno alla sua barba.
Quell’uomo gli pareva un tronco d’albero in autunno, con le sue sopracciglia cespugliose, i capelli castani, mossi, che gli ricadevano sulle spalle e anche oltre, lasciati crescere come un degno discendente vichingo.
Forse davvero lo era, un vichingo. Aveva il petto ampio e grosso, con spalle larghe e i muscoli delle braccia che apparivano in rilievo al di sotto della camicia dell’uniforme. Senza un filo di grasso, quell’uomo enorme era surreale lì seduto, su quella poltrona che scompariva alle sue spalle.
- … E questo è quanto. Derek ha preso suo figlio, è risalito sul suo Hammer ed è corso qui, dandoci la notizia di quel luogo strano di cui ti ho appena parlato. Io ho pensato di avvisare immediatamente Hoffman, ma non era raggiungibile, quindi ho optato per Bianca. Ero presente quando quel Bellocchio ha analizzato la scena a casa dei Parker, impressionante. Sapevo che lui sicuramente avrebbe colto qualcosa da tutto questo.
- Quindi hai detto a Bianca e Bellocchio che, da qualche parte in questi boschi, c’è questa specie di giardino con piante e fiori giganti?
- No, ho fatto di meglio.
Jim aprì un cassetto della scrivania, cercò per un po’ all’interno e poi mise sul piano di legno una mappa di Nevepoli, con vari punti rossi e linee viola che li univano.
- Questo è il tragitto di Derek e suo figlio. I punti rossi sono i luoghi dove si sono fermati più a lungo, le linee viola rappresentano invece la strada che hanno percorso. Qui, con le tormente, è facile perdersi, quindi abbiamo fatto una raccolta fondi fra tutti gli abitanti e con quei soldi abbiamo preso dei telefoni satellitari da dare in dotazione a tutte le famiglie. Uno, due, quattro, in base alle necessità. Inoltre, tutti i satellitari hanno, al loro interno, un GPS che rileva automaticamente la loro posizione ogni cinque minuti, e poi manda il tutto qui, alla centrale. I computer analizzano i dati e tracciano un percorso di ogni persona. Così facendo, abbiamo ridotto i casi di sparizioni a due negli ultimi tre anni. Non male, vero?
Il grosso uomo rise, ricordando a Valerio una grandinata di sassi che scivolano all’interno di una grondaia. Pensò che probabilmente quell’uomo era in grado di spostare un’auto di peso, possente com’era.
- È davvero un’ottima idea. Quindi sapevate esattamente dove si trova questo posto, latitudine e longitudine, vero?
- Bingo.
- Jim, puoi darmi la sua posizione? Devo raggiungere il mio collega al più presto.
- Certamente, nessun problema.
Jim scribacchiò dei numeri su un blocco note, strappò il foglio e lo consegnò fra le mani di Valerio.
Quest’ultimo lo ringraziò e poi si diresse verso l’esterno, facendo una tappa da Caroline e prese un altro biscotto. Dopodiché, una volta fuori, inspirò a fondo, per poi indossare il casco, completando nuovamente il suo assetto da volo, e prese la terza Poké Ball dalla sua cintura.

Nevepoli, 64.823094, -15.595758

Valerio non aveva mai visto una cosa del genere. Una simile crescita di flora, in un luogo freddo e inospitale come quello, credeva non fosse possibile. Ma il suo stupore derivava soprattutto dall’enorme depressione che si trovava al centro della radura, con terreno fresco che era sprofondato su sé stesso. La maggior parte dei fiori erano morti, sotterrati e con le radici all’aria, ormai gelide e avvizzite.
Avanzò con cautela, con gli scarponi che facevano crepitare la neve al di sotto dei suoi passi. Il rumore metallico che accompagnava la sua avanzata lo rassicurava ma, al contempo, aveva paura che troppo peso potesse farli sprofondare, come in delle sabbie mobili.
- Che c’è, Skarmory? – Valerio guardò nella direzione puntata dal suo compagno.
Si avvicinò a lui, intento a scavare con gli artigli metallici fra il terreno, sbriciolandolo come fosse nulla.
Valerio sbiancò quando Skarmory gli posò in mano il distintivo della Polizia Internazionale identificativo di Bellocchio.
In quello stesso momento, una delle sue Poké Ball iniziò ad agitarsi. Ancora stordito, Valerio abbassò lo sguardo, notando il suo Crobat che si agitava.
Conoscendo bene i suoi compagni, Valerio decise di liberare Crobat, nonostante il freddo.
- Che succede, bello?
Il Pokémon iniziò ad agitarsi, volando in circolo tutt’attorno alla radura, emettendo ultrasuoni a grande velocità. Una volta calmato, un feroce grido proruppe dalla sua gola, inondando Valerio.
Per fortuna, per il Capopalestra, i Pokémon non erano semplici strumenti, e lui aveva imparato a conoscere i suoi amici meglio di sé stesso.
- Hai trovato qualcosa, vero?
Conscio dell’abilità di Crobat di trovare oggetti, nemici e pericoli grazie ai suoi ultrasuoni, Valerio aveva la sensazione che il suo Pokémon avesse trovato qualcosa.
“Che si tratti di una galleria? Bellocchio potrebbe esserci entrato e poi è crollato tutto” pensò, mentre armeggiava con le tasche del suo zaino degli utensili.
Alla fine riuscì a trovare il sonar modificato che aveva sviluppato Matière proprio per loro due. Conosceva alla perfezione la frequenza di onde sonore utilizzate da Crobat, e questo gli rese praticamente immediato il lavoro.
- Ok, quando vuoi.
Valerio puntò il sonar verso di Crobat, che funse da trasmittente. Lentamente, sullo schermo, apparve una mappa di centinaia di gallerie sotterranee, tutte convergenti le une nelle altre, molte delle quali si univano in un grosso tunnel che passava proprio sotto i loro piedi.
E, lontano, fra le gallerie, c’era un particolare disturbo, simile a quando delle onde sonore vengono in parte assorbite e in parte riflesse da un corpo umano.
- Skarmory, sei pronto? Sappiamo dove sono.
Valerio diede una pacca sulla testa di Crobat, per poi farlo rientrare nella sfera; le sue ali già stavano iniziando a gelare, non voleva esporlo troppo a quel clima estremo.
Salì poi sulla groppa di Skarmory. La sua nuovissima tuta quasi lo isolava dal gelido corpo del suo Pokémon.
Con un clangore metallico, Skarmory dispiegò le taglienti ali e partì alla massima velocità, lacerando la neve che aveva ripreso a cadere.

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