Passa ai contenuti principali

Lila May - Star★Power - IX★


IX
Orthilla si prese comunque dei giorni di riflessione, indecisa sul da farsi. L’idea di uscire dal suo piccolo mondo frantumato non aveva fatto altro che crescere, nelle ultime ore, e Brendan aveva alimentato quel desiderio ancora di più, descrivendole di paesi lontani e di gente dal grande cuore.
E lei, voleva incontrarla davvero, la “gente dal grande cuore”.
Ne aveva bisogno.
Moriva dalla voglia di assaggiare il mondo esterno, di provare le emozioni descritte nelle lettere di Adriano e dai racconti dell’amico, pieni di passione e bellezza. Aveva ancora una paura folle, ma doveva sconfiggerla, perché lo zio ci era riuscito, e lei era da sempre stata molto più tenace di lui.
Ce la poteva fare.
E poi, non era sola.
Brendan impersonava il ruolo di Alice, in quella piccola, grande avventura.
Quando decise di partire, si assicurò che tutto fosse sistemato per il meglio, a partire da se stessa. Si concesse il lusso di una doccia, e l’acqua calda sul corpo fu una toccasana per i sensi. Si raccolse i capelli come osava portarli una volta, tanto per sfidare la vecchia e mistica Orthilla; una coda alta con due lunghe ciocche cristalline ai lati delle orecchie, la cui sinistra terminava con un maestoso ciuffo arricciato. Aprì le ante dell’armadio e, con mano tremante si infilò in alcuni dei vestiti più chic che possedeva.
Si sentiva estranea nel portarli, troppo inadatta, troppo... brutta. Non rispecchiavano affatto lo squallore in cui si era buttata a capofitto, ma erano comunque i suoi, di abiti.
Appartenevano a lei, e dovevano aver bramato il suo corpo da mesi, sperando di poter, un giorno, essere rindossati con la stessa grazia di un tempo.
Forse di grazia ora ce n’era ben poco, ma il giorno almeno era arrivato.
Sempre con titubanza scelse anche di coprire i segni della sofferenza con una buona dose di fard. Riavviò le ciglia con un po’ di mascara e si coprì le labbra secche con un lucidalabbra color pesca. Una tonalità intensa avrebbe sicuramente stonato con i suoi capelli luminosi, e sarebbe parsa ancora più ridicola di quanto già non fosse.
Si guardò allo specchio un ultima volta, prima di uscire.
Eccola, la “sfolgorante” Orthilla.
Infilata in un banale maglioncino color cielo, con dei jeans cenere ad evidenziarle le gambe magre e due vistose bretelle a brillanti blu che le cingevano con forza le spalle basse, magre, sconfitte ma speranzose. Sorrise mesta. Non sapeva se definirsi brutta o tragicamente bella. A Brendan la parola, lei non ne voleva sapere.
Fece per raggiungere la porta, ma si ricordò di una cosa importantissima. Raccolse la lettera che parlava di Alice e se la cacciò nella tasca dei pantaloni.
Voleva rileggere le parole finali, così intrise di vita, speranza. Felicità.
Per non collassare, nel caso quel viaggio controcorrente si sarebbe improvvisamente trasformato in un incubo senza fine.
 
«Allora? Dove si va?».
Orthilla si sfiorò la tasca con due dita, fiduciosa. Prima di allora non aveva avuto una meta ben precisa. Brendan le aveva parlato di tanti posti, tutti bellissimi ed interessanti, dai paesini rurali come la placida Solarosa e Mentania alle città più importanti, quali la modernissima Ciclamipoli, una vera e propria metropoli coperta.
Anche Cuor di Lava sembrava appetitosa, con le sue sorgenti termali e la sua aria tiepida.
Eppure ora ce l’aveva, una meta. Una destinazione.
Porto Selcepoli. Voleva vedere il Mercato, lo stesso di cui aveva parlato lo zio nella lettera, respirare aria fresca, lasciarsi cullare dal verso dei Wingull.
Ed inoltre, voleva visitare l’Arena delle Virtù. La sua arena*, non una come tante. Voleva sapere cosa si provava, dopo mesi di insuccessi, a ritrovarsi faccia a faccia con la sua, possiamo dirlo, casa vera e propria, fatta di palchi, riflettori, il calore del pubblico e la bellezza del suo Pokémon.
«Porto Selcepoli» disse, risoluta.
«Ma…» Brendan spalancò la bocca. Porto Selcepoli distava tantissimo da Ceneride. Era un viaggio improponibile. «Ma è lontana!».
«Credi che non ci abbia pensato?» in cambio ricevette un occhiolino, il primo, vero, sicuro ed efficace ammiccamento dopo mesi.
Il ragazzo sorrise, chinando il capo a tanta testardaggine. Orthilla era davvero incantevole, quella sera. I vestiti le donavano alla perfezione, e per la prima volta la vedeva motivata, spinta dal desiderio crescente di uscire.
Provare a vivere, almeno un po’.
Non poteva credere che una singola persona potesse nascondere tante sfaccettature e personalità all’interno di un corpo così fragile. Orthilla era davvero un’esplosione di bellezza: non solo per l’aspetto, ma anche per il suo essere così… così triste, malinconica, ma allo stesso tempo affamata di vita, dopo mesi passati a patire una patetica esistenza - secondo lei – con una remissione indicibile.
Sembrava una fenice in attesa di risorgere dalle ceneri. Uno spettacolo degno di essere visto da tutti. Ma tutelato solo da uno.
A lui il grande onore, ovviamente.
«Altaria, vai!».
La Pokéball si librò nell’aria fresca della sera, e in pochi secondi Altaria si materializzò davanti agli occhi dei due giovani, fiera e superba nel suo sgargiante azzurro.
Si posò sul terreno cadendo soffice come una piuma, e attese ordini. Brendan osservò Orthilla accarezzarle il collo con infinito amore.
«Ti va di volare, piccola mia?».
Altaria parve svenire di gioia, e stese le immense ali con rinnovata allegria, cantando orgogliosa. Non vedeva l’ora di farlo, e mostrò loro il dorso per invitarli a salire.
Sembrava molto più impaziente di loro.
«Conosce Volo? Non lo sapevo!».
«E conosce anche il posto.  Ci siamo andate tantissime volte, per fare le nostre gare».
«Posso avere l’onore di stare davanti?» domandò il ragazzo, eccitato.
Orthilla sorrise. Brendan alternava momenti di estrema serietà a momenti di allegria quasi fastidiosa. Ma era bellissimo, proprio perché si lasciava stupire dalle cose più banali.
Come un bambino. Come un sognatore.
«Certo!».
I due ragazzi salirono su Altaria, che non sembrò affatto soffrire il peso, e ben presto si ritrovarono col vento in faccia e il cielo tutt’intorno, a fare da sfondo alla mitica impresa.
La salita fu così ripida che Orthilla, con un grido, si aggrappò istintivamente alla schiena dell’allenatore, sperando di non finire a terra.
Brendan arrossì fino alla radice dei capelli, mentre con le braccia si allacciava stretto al collo del Pokémon Drago. Il cuore perse qualche battito.
Orthilla l’aveva afferrato con una fiducia tale da lasciarlo completamente spiazzato. Sentì le mani di lei stringergli la maglietta, i piccoli seni caldi premere contro la schiena, e brividi di piacere gli attraversarono il collo, stuzzicandogli la mandibola.
“Non porta il reggiseno” pensò, imbarazzato. Immaginò quel candido petto fare pressione contro il suo corpo, allargandosi, e per la prima volta nella sua vita si rese conto di aver appena desiderato il corpo di una femmina.
Era una sensazione magnifica. Chiuse gli occhi, godendosi appieno quel contatto intimo e proibito che lei aveva creato senza badarci, cercando l’appiglio che solo lui, in quel momento, poteva fornirle.
Era tutto bellissimo, con lei così vicino.
Così stretta a lui. Poteva scorgere i suoi lunghi capelli verdi accarezzargli le braccia, scossi dal vento, sentire la sua ansia di volare dopo tanto tempo.
La sua paura, sottomessa alla voglia di buttarsi verso una felicità nemmeno garantita al cento per cento.
Sorrise.
«Anche io ti voglio bene, Orthilla».
La ragazza si riscosse.
«Oh? Scusa… non sono più abituata… » si staccò, allentando la presa delle mani, e Brendan sentì il calore di quel petto grazioso abbandonarlo di punto in bianco. Il vento lo spazzò via dalla schiena, ma non si lamentò. Andava bene così, non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Altaria, d’altro canto, era felicissima. Poter finalmente sfiorare le nuvole con le ali, e diventare un tutt’uno col cielo, la sua casa, la sua patria. La libertà tanto bramata era arrivata, e se la stava assaporando con piacere, proprio come la sua padrona.
Il vento le accarezzava il collo sinuoso, la lunga coda tagliava in due l’aria perfetta, ne troppo calda ne troppo fredda.
La gola cantava note di libertà, rendendo quell'andata ancora più emozionante. Era al settimo cielo, anzi, all’ottavo, e condivise quella piccola gioia con i due passeggeri, che risero di gusto quando si esibì in magnifiche piroette e giravolte vorticose.
 
Orthilla era sconvolta. C’era un sacco di gente quella sera, al Mercato, e non sapeva proprio dove, cosa e soprattutto chi guardare. Fissò gli occhi a terra, timorosa di incrociare brutti sguardi, e istintivamente si portò le mani dietro la schiena, alla ricerca del cappuccio.
Dannata lei, che aveva scelto un maglione.
L’agitazione ben presto s’impose sovrana, sconfiggendo tutto. Tutto. Nel panico più totale si sciolse i capelli, sperando di non essere riconosciuta.
Sapeva che già in molti l’avevano notata, era sempre stata molto appariscente.
E sapeva anche che, sempre in molti, l’avevano già squadrata, e male. Sentiva quegli occhi corroderle la pelle, sciogliergliela.
Voleva sparire. Diventare microscopica, e rifugiarsi di nuovo dietro le mura di casa sua, lontana da tutta quella gente. Nel suo perfetto casino.
«No, Orthilla». Brendan l’afferrò per le spalle e attese che dalla cascata di capelli emergessero due occhi illuminati di una piccola speranza, ma non accadde.
Lo sguardo rimase basso. Sconfitto dalla paura.
La trascinò in disparte, dietro un albero. Così non andava bene. La serata sembrava essere partita per il meglio, ma adesso era precipitata. Orthilla era premunita, senza fiducia.
«Orthilla, rifatti la coda. Che aspetti?».
«No, mi riconoscerebbero all’istante…! Va beh…» se la fece con frustrazione, incastrando nell’elastico anche i due ciuffi che era solita portare ai lati del volto. «Tanto ormai mi hanno già vista».
«Proprio quello devono fare! Riconoscerti! E tu, devi mostrarti senza paura! Solo così si guadagna il rispetto!».
«Portami a casa, Brendan…» supplicò Orthilla, poi si strinse nelle spalle; stava già occupando troppo posto, in mezzo a tutta quella gente. Non voleva approfittarne, ne condividere con loro la stessa aria. Non lo meritava. Non meritava niente. Che ci faceva lì? Sentì di voler piangere, mentre la paura le comprimeva il petto. «… mi sbagliavo…».
«Che stai dicendo?!» Brendan le afferrò il mento. La guardò. «Non puoi arrenderti così, non fare la mocciosa!».«Non sono affatto mocciosa! Che ne sai tu?!».
«Ma Orthilla! Hai volato fino a qui per un motivo, e ora ti tiri indietro?! Cosa dicevano le parole di Adriano?».
La ragazza lo fissava, terrorizzata e arrabbiata al contempo. Volle aprire bocca per recitargliele, ma uscì solo un rantolo sconsolato.
Circondati di amore e vai.Vai, Orthilla. Esci, stendi le ali. Va a brillare nipote mia, e non farlo sola.
Brendan gliele sussurrò con decisione, sperando che la potenza di quelle parole le entrasse nelle vene e la rianimasse, proprio come nei giorni scorsi. Orthilla le aveva ripetute così tanto che persino Sceptile ormai le aveva apprese. «Pensi davvero che tuo zio non abbia avuto paura, all’inizio?».
«Mio zio è un uomo adulto… meno complicato…».
«E davvero pensi che le accuse che ha ricevuto da tutta quella gente ignorante valgano meno delle tue?» le lasciò andare il mento. Orthilla se lo massaggiò, imbarazzata.
«Anzi, è più difficile. Molto più difficile. Ma tuo zio non si è lasciato sottomettere. E scommetto che aveva una paura folle, ma quando ha visto che, nonostante tutto, la vita non è così brutta come sembra, lo ha fatto. E’ uscito. E non era solo, c’era Alice con lei…».
«A proposito, tu sai chi è questa Alice?».
Brendan sorrise a quella domanda tanto ingenua in un momento del genere.
«È una capopalestra di tipo volante. La conoscerai, un giorno».
«Capisco». Orthilla parve rifletterci su un momento. Poi cercò di sorridere, riacquistando un po’ della fiducia persa. Perché Brendan ultimamente aveva sempre ragione? Non riusciva a spiegarselo, ma dette da lui le cose non sembravano così tanto gravi.
Sentì un moto di invidia, per quella presa di vita così leggera e facile, almeno all’apparenza. Avrebbe voluto averla lei.
«Forza, andiamo. L’arena aspetta solo te. E anche tantissime persone ti aspettano, vedrai».
Si lasciò guidare dalla mano di Brendan, assaporando con dolcezza le sue dita intrecciate a quelle di lui. Almeno non era sola. Non del tutto, almeno.

La merce che offriva il Mercato era uno spettacolo di colori, sapori e odori miscelati insieme. Ogni banco mostrava i prodotti in vendita con una certa fierezza, aprendoli al pubblico, e dietro di questi i commercianti, soddisfatti del proprio lavoro. Era pieno di gente quella sera, e Orthilla ascoltava le loro conversazioni, osservando come i piedi le camminavano incerti sull’asfalto chiaro.
Le pietre incastonate regolarmente lungo tutta la strada ricordavano tanto l’acqua dell’oceano, pura, intensa e velata di azzurro.
E le ricordavano anche i suoi occhi, quando ancora brillavano.
Già in molti le avevano sparlato dietro, e tanti avevano anche criticato Brendan. Le era venuta voglia di scappare, piangere, si era irrigidita diverse volte, colpita violentemente da ogni singola parola sputata con rabbia contro il suo ego morto. Ma quando aveva visto il ragazzo prenderla così alla leggera, si era sforzata anche lei.
Sembrava quasi facile sopravvivere a quell’ondata di insulti e frecciatine con l’atteggiamento di lui. Un gioco da ragazzi.
Ricordava chiaramente un giovane che, passandole dietro, le aveva ghignato “Ora ti attacchi ai mocciosi? Non sai più chi usare? Rocco non ti attira?”
Brendan si era voltato.
Aveva sorriso, mostrando i denti in modo quasi spaventoso.
E se n’era uscito con un “Qui l'unico moccioso sei tu, che nonostante l'età, ancora si sfoga contro le ragazzine”, freddando quell’insulso individuo. Orthilla l’aveva ammirato tantissimo per quella risposta secca e fiera, anche un po’ imbarazzante, e ancora stava continuando a farlo, mentre gli passeggiava appena più indietro.
Avrebbe dato tanto per essere come lui.
Tanto.
«Ora che ci penso…». Brendan si fermò dinanzi ad un banco colmo di pietanze all’apparenza deliziose. «... non abbiamo nemmeno cenato!»
«Effettivamente…» mormorò la ragazza, e lo stomaco parlò più forte di lei. Rise, nel sentirlo brontolare. Rise sinceramente. Si sentiva felice nell’avere fame, non lo provava da tanto.
Si misero in fila, ignorando i continui sguardi che li fissavano, e Orthilla si rese conto con sollievo che alcuni di questi non erano irritati, o ironici.
Erano… incuriositi. Straniti. Quasi… timorosi di vederla, dopo tutto quel tempo. Eppure la gente che la fissava in quel modo la evitava alla stessa maniera di quelli che, invece, non sopportavano di averla tra i piedi.
Arrivato il loro turno, presero due cartocci di calde baccastagne e due frullati, per rinfrescare il palato. Si sedettero su un tavolo nei paraggi e consumarono la loro cena.
«Come ti senti?» gli occhi di Brendan le si posarono addosso, scivolandole appena sul profilo del petto. Non era generoso, ma le luci del Mercato ne tratteggiavano il profilo, creando un gioco di luci ed ombre armonico e perfetto. Proprio come lei.
Orthilla sorrise, nel vederlo innervosirsi così tanto.
«Ora calma. Ho notato che alcuni sguardi…».
«Non ti guardano con odio. Hai visto? Tu che la facevi lunga… frignona».
Orthilla si fiondò sulle bacche calde e morbide, afferrandole con una mini forchetta di plastica.
«Ammiro molto il tuo atteggiamento verso le critiche, Brendan, sai?».
Brendan volse il capo verso la folla, ma non disse nulla. La stava ascoltando.
«Ti sei comportato da ragazzo maturo, e non ti sei lasciato abbattere. Io come vedi, ancora non ci riesco… sono sopravissuta solo perché c’eri te, sarei scappata altrimenti… vorrei tanto essere come te, a volte… non ti nascondo che ti invidio molto».
«Solo tu ci hai prestato attenzione, Orthilla. Il segreto è ignorare, oppure rispondere a tono - ma senza mostrarti offeso -. Solo così la gente ti da il rispetto che meriti. Credo che tu lo sappia molto bene. Non hai bisogno di me come credi. Come facevi prima, devi fare adesso, semplice!».
Rimasero in silenzio per un po’, e mentre consumavano il pasto, la ragazza si sentì in dovere di estrarre quella lettera. Rilesse le Parole, le stesse che nei giorni prima aveva evidenziato con colori diversi per rimarcarne l’importanza, emozionata. Allora ce lo avevano, un fondo di verità.
Ad un certo punto, quattro ragazze le si avvicinarono con cautela. Orthilla strinse il cartoccio di baccastagne, ma mantenne una calma apparente, respirando piano. Brendan aveva ragione.
Doveva tirare fuori la vera Orthilla, quella morta, quella perduta. Almeno provarci.
«S-sei… sei tu?» sentì balbettare, e quando colse in quella voce paura, ansia ed eccitazione si voltò.
Un enorme sorriso le solcò il volto, mostrando sicurezza.
Era il richiamo dei fan. Ancora lo aveva saputo riconoscere, nonostante i mesi passati nel silenzio dei suoi pianti.
«Proprio Orthilla».
«Ommioddio, n-non ci credo…» le quattro ragazze presero posto al suo fianco, emozionate. Respiravano a fatica, tanta era l’eccitazione di avere il loro idolo così vicino.
E perfetto, ma quello lo era sempre stato.
«Ma dov’eri finita!».
«Orthilla, non abbiamo notizie di te da mesi…».
«Quando tornerai a fare le gare?».
«È così emozionante starti vicino…».
«Che bei vestiti, e con quale grazia ti stanno… sembri una regina…».
Orthilla sentiva la testa vorticarle. Se quelle ragazze erano emozionate, lei lo era ancora di più. Percepì quelle mani sfiorare le sue, il calore dell’amore circondarla come una coperta calda. Non credeva di valere ancora tanto per qualcuno, ma a quanto le stava suggerendo il momento, era proprio così. Quelle ragazze erano lì per lei, emozionate per lei, in ansia per lei, lei.
Avevano occhi solo per i suoi, ed era evidente quanto la sua assenza le avesse segnate. Ma ora che l’avevano ritrovata, così, per caso, al Mercato di Porto Selcepoli, non potevano essere che più felici.
Il cuore prese a batterle più veloce, come schiaffeggiato da un’andante adrenalina. Si stava rendendo conto di tutto. Di quanto fosse odiata, e al contempo amata, anche se in minoranza.
«Orthilla, abbiamo bisogno di te».
«Orthilla!? Ommioddio è lei, ragazze, Orthilla è qui, non ci posso credere, ommioddio!» un altro gruppo di giovani la circondò. Intravide sorrisi e anche lacrime, sguardi sognanti.
Tutti per lei. Non sapeva cosa dire, era emozionatissima, le mani le tremavano. Cercò Brendan con lo sguardo, e lo vide qualche metro più in là, impegnato ad afferrare una baccastagna che non voleva saperne di finire nella sua bocca.
Apprezzò il fatto che si fosse allontanato. Quel momento era suo, e  solo lei poteva gestirlo al meglio. Sentì la vecchia Orthilla liberarsi dal guscio e prendere possesso di lei, mentre si alzava. Li abbracciò tutti, forte. Nel frattempo la piccola folla si era allargata, e intorno a lei si respirava tantissimo fermento.
«Torna, per favore!» esclamò un ragazzo, inchinandosi al suo cospetto come uno schiavo.
Le brillarono gli occhi, dinanzi a tutte quelle persone così bisognose di lei, così desiderose di vederla di nuovo sul palcoscenico, a splendere.
Torna Orthilla, torna.
Torna. Per davvero, una volta per tutte. Emergi.
«Ve lo prometto, tornerò!» esclamò, e a fatica trattenne lacrime di gioia. «Tornerò, l’arena riaprirà e potrete partecipare tutti alle mie gare!».
«Grazie, Orthilla! Hoenn non è più la stessa cosa senza te…».
«Orthilla, sei più forte delle critiche! Fatti forza e schiacciali tutti, quei vermi schifosi che credono a certe scemenze!».
«Posso contare sul vostro sostegno?» lo chiese, sapendo già la risposta.
Un potente “sì!” si levò tutt’intorno, scuotendole il cuore. Era felicissima. Gli sguardi impauriti di prima ora brillavano di ammirazione, nell’averla davanti.
Era davvero così indispensabile? Sentì di avere un ruolo, in quel mondo, e che tutto era rimasto fermo ad aspettarla. Brendan aveva ragione.
Lo zio, aveva ragione.
Fa tutto meno male, quando qualcuno ti ama.

*tra le tante arene presenti in ORAS ho scelto di dare a quella di Porto Selcepoli un'importanza superiore, semplicemente perché è lì che incontriamo il personaggio di Orthilla per la prima volta. Ma nella realtà dei fatti un'arena vale l'altra, ovviamente.

Nda
via col nono!
Allora, non so se Altaria è in grado di portare più di una persona a bordo, non so né quanto misura né quanto pesa, mi sono affidata ad alcune fanart che spesso e volentieri lo mostrano davvero molto grande.  Ecco, non linciatemi.
E no, non mi sono dimenticata dell'arena se qualcuno se lo stesse chiedendo (?), voglio che abbia un capitolo a parte tutto per lei, per rimarcarne l'importanza.
Detto questo vi annuncio che la storia sta per terminare, non so quanti capitoli mancano, ma... pochi.  SOB.
Per il resto... come vi è parso questo capitolo?
Ora vado, devo fare un sacco di cose!
Grazie a chi leggerà, chi recensirà e chi inserirà questa storia in una delle tre cartelline :3
Bacioni!

Lou

Commenti

Post popolari in questo blog

Zack vs Campione della Lega

Ciao ragazzi! Finalmente è arrivato il momento di leggere come va a finire l'avventura, ambientata nel recente passato di Zack, in cui sfida la Lega Pokémon di Adamanta. Come semrpe troverete tutte le informazioni sui nostri blog ed altro sulla pagina Facebook Pokémon Adventures ITA , dove DOVETE passare! Troverete di tutto! Martedì prossimo uscirà il nuovo capitolo del manga di Pokémon Back To the Origins! Non mancate! Andy $ Ok. L’ultima porta era stata chiusa. Ora l’unica cosa da fare era calmarsi un attimo e rilassarsi. Quella giornata aveva regalato fin troppe emozioni. Una piccola anticamera buia, poco illuminata, precedeva un lungo corridoio, che si concludeva con un’enorme porta dorata. Zack decise di tirar fuori tutti i suoi Pokémon. Gyarados, Torterra, Lucario, Braviary ed Absol. E Growlithe, naturalmente. Tutti lì, tutti fermi, tutti in   ansia, tutti in attesa che qualcosa fosse accaduto. Aspettavano che le parole uscissero dalla bocca di

Frammenti - Shot 1 - Levyan

Frammenti - Orizzonte Frammenti. Deboli soffi di vita nella violenta tempesta che è l’esistenza. A volte destinati a sparire, a volte pronti a moltiplicare. Come un soffio di vento trasporta il polline che andrà a fecondare un'altra pianta dalla quale nascerà la vita, alcuni momenti, per quanto brevi, danno il via a qualcos’altro, qualcosa di più grande.   L’aria era fredda, il gelido inverno era alle porte e i sempreverdi costellavano i boschi innevati che circondavano la cittadina di Nevepoli. Quell’anno, le grandi nevicate erano arrivate prima e già, il ventesimo giorno di dicembre, i fiocchi di neve scendevano copiosi sui tetti della città. Lo spettacolo che davano quelle minuscole e complesse opere d’arte di cristalli di ghiaccio, passando di notte sotto la luce dei lampioni per poi andare a posarsi a terra sciogliendosi, era qualcosa di meravigliosamente inquietante. Un gelido calore pervadeva le strade, ridotte ormai a soffici torrenti di neve. Nell’attimo

Quindicesimo Capitolo - 15

Salve ragassuoli, mi dispiaccio ogni volta per il ritardo nella pubblicazione, e mi rendo conto che sta diventando un disagio. Ecco perchè, dalla settimana prossima, per problemi di lavoro, la fan fiction sarà pubblicata il MARTEDì. Chiedo ancora scusa, e spero di non aver recato disagio. Ringrazio tutti quelli che hanno messo mi piace alla pagina   Pokémon Adventures ITA . Vedere il seguito crescere ogni giorno di più è una grande soddisfazione. Sei su EFP? Vieni a recensirci anche lì!  Andy Black, autore su EFP Ricordo sempre che il nostro progetto, Pokémon Courage ha bisogno di sostegno da parte vostra...niente soldi, tranquilli, basta solamente un po' di partecipazione. Siamo davvero così pochi a leggere questa bellissima storia? Entrate anche voi a far parte della famiglia di Pokémon Courage . Ho finito con le raccomandazioni. Cominciamo. Stay Ready...Go! Andy $   “Rachel...sei davvero tu?” chiese sgomento Ryan, quasi commosso. Zorua fece un