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Lila May - Star★Power - X★


X 



Orthilla si trattenne ancora qualche istante. Numerosi ragazzi le chiesero autografi e foto, e realizzò i loro desideri con rinnovato piacere, sentendosi la protagonista assoluta di quel momento.
Era diventata uno spettacolo, lo spettacolo della vita, con i suoi momenti di crisi alternati a quelli di gioia. Un riflettore che cambia costantemente luce. E ora brillava, potente.
Brendan la guardava da lontano, cupo, e per questo non si rese conto dell’avvicinamento furtivo della ragazza. I fan erano andati, soddisfatti, e lei si sentiva piena di promesse da realizzare, piena di vita.
Finalmente aveva un obbiettivo, e avrebbe fatto di tutto per realizzarlo. Voleva condividere la sua gioia con Brendan, e lo strinse.
Forte, fortissimo.
«Grazie…» soffocò le lacrime trattenute nella sua t-shirt verde, ancora scossa dall’emozione. «Grazie Brendan, grazie…». 
Il ragazzo l’avvolse di nuovo in un globo di amore, lo stesso, protettivo gesto che aveva cambiato le cose tra i due, avvicinandoli come calamite. Tuttavia sembrava distaccato… come se si fosse estraniato dalla cosa.
«Avevi ragione… avevi ragione, fin dall’inizio, e anche lo zio, grazie… grazie a Rocco, che mi ha portato quelle lettere, grazie… a tutti… mi sento amata, ora… so che sembra strano, è accaduto tutto così velocemente… ma c’è ancora della gente che crede in me…». Orthilla rise, emozionatissima. «Posso fare qualcosa per loro! Hanno bisogno di me! Capisci? Hanno bisogno di me! Hai visto quanti erano? Ho trovato un nuovo motivo per vivere Brendan… avevi ragione, la vita non fa così schifo… voglio ritornare ad esibirmi… ! Forse non ora, è troppo presto ancora… mi sento confusa, impaurita, ma anche grata di questa uscita… no… non lo so… è tutto così sbagliato…» prese un respiro, frantumato dall’ansia. «... mi hanno dato una speranza, Brendan. Devo ritrovare me stessa, perché voglio renderli felici… e anche ad Altaria piacerà vedermi di nuovo realizzata…».
«Dovresti scrivere ad Adriano, in questi giorni, e dirgli di quello che è appena successo» mormorò Brendan, scrollandosi dolcemente la ragazza di dosso. Lei non ci fece caso. «Sono sicuro che sarebbe orgoglioso di te. E se stravolgi completamente le credenze in cui entrambi siete intrappolati, lo potrai rivedere senza problemi. E presto. Sono così felice per te, Orthilla…».
«Voglio andare a trovare la mia Arena».
Orthilla lo disse con possessione, e malcelata malinconia. La sua arena esatto. Lì, a pochi passi da lei.

Durante il tragitto, si preparò mentalmente a fare un precipitoso tuffo verso il passato.

Un relitto dimenticato.
Quelle furono le prime parole che vennero in mente ad Orthilla, non appena i suoi occhi s’imbatterono con ciò che le luci del Porto illuminavano dell’Arena delle Virtù.
Fece qualche passo in avanti, e il suo corpo venne inghiottito dalle ombre della notte. Brendan invece rimase fermo al suo posto, perso ad ammirare quella gigante struttura a bocca aperta. Così vuota e scura faceva quasi paura.
Doveva essere rimasta in completo disuso, da quando Orthilla si era ritirata, eppure non trovava tracce di decadenza.
La ragazza pensò la sua stessa cosa, mentre allungava la mano per toccarne i muri.
Perfetti come li ricordava; l’alto battiscopa di rosso vivido, ampie vetrate e poi oro, oro e ancora oro, perché anche dall’alto potesse vedersi, brillante come un cristallo prezioso.
Passò un dito sulle finestre, rimuovendo strati di polvere che poi soffiò via dalla falange, con malinconia.
Non sapeva cosa provare. Si pulì il dito sul maglione. Nessuno l’aveva più toccata, dopo il suo ritiro.
Proprio come lei. Abbandonata al tempo, in attesa di essere di nuovo notata.
Ne percorse i lati, facendo attenzione a non incappare in ramoscelli, cespugli, erbacce e bottiglie spaccate che di quello spiazzo dimenticato ne avevano fatto la loro casa.
Si sentiva colpevole, in qualche modo traditrice.
Quel posto era così a causa sua. Sbucò dal lato destro, e andò a stringere una delle due lisce colonne che stavano dinanzi all’ ingresso, dorate come il resto.
Il metallo freddo le irrigidì le guance, quando ve ne posò sopra una.
Chiuse gli occhi, e i ricordi si librarono nella mente, riportandola indietro di mesi.


Entrò nel camerino. Le luci candide che illuminavano lo specchio le investirono il corpo all’istante, mettendo in risalto la pelle sudata.
Anche quel giorno aveva vinto. Era stata dura, ma ce l’aveva fatta, splendendo come sempre.
Si spogliò degli abiti, che caddero a terra con un lieve stropiccio, e accese l’acqua della vasca. Poi, si avvolse in un morbido asciugamano bianco che riportava il suo nome e prese posto dinanzi allo specchio.
Sospirò di piacere.
Si sentiva una regina, lì dentro, e mentre lo pensava roteò vorticosamente sulla sedia lillà, ridacchiando soddisfatta. Il palco, il suo palco, e il suo camerino… erano la sua casa. La residenza di Ceneride non poteva nemmeno competerci contro; avrebbe perso, così fredda e remota, distante. Mentre il vapore si disperdeva per tutta la stanza, si concesse del tempo per spogliarsi dei vari gingilli. Posò il suo fermacapelli sul bancone in marmo bianco, contenente la megapietra, si tolse gli orecchini a forma di diamante e tirò fuori i vari prodotti per la rimozione del trucco. 
Stava davvero bene, lì dentro. Si sentiva protetta tra quelle mura, ma era come se i riflettori non smettessero mai di farla brillare. Ogni suo gesto, ogni sua parola era come amplificata. Tutti pendevano dalle sue labbra, dalla sua bellezza.
Era la principessa indiscussa di quel regno di magia e colori, ormai l’immagine più completa di se stessa.
Profumato come lei, lucido e smagliante come lei.
Ogni muro, ogni quadro, ogni sala ed ogni luce parlava di Orthilla e delle sue vittorie.
Il palco.
Le poltrone per il pubblico.
Il pubblico stesso.
Tutto, parlava di lei, lì dentro. Quasi come se entrare nell’Arena significasse entrare nella sua mente, nel suo cuore.
E conoscere tutto di quella giovane, magnifica stella, dal più futile dettaglio alla più grande impresa.
Sprizzava bellezza da tutti i pori, quel luogo.
E lei, con lui.


Ora invece sprizzava rancore, tristezza e debolezza.
E lei, con lui. O forse no?
Forse era il momento di dire basta a tutta quella sofferenza insensata. Forse era il momento di sollevarsi e aprirsi al mondo, mostrarsi in tutto il proprio splendore.
Sospirò.
Era così confusa… da una parte sapeva che era giusto, ma dall’altra…
Ancora tanta gente la odiava.
Voleva entrare e visitare il suo camerino, ma le porte d’ ingresso erano bloccate.
Tutto sigillato, come nuovo.
«Tornerò presto» sussurrò, facendo qualche passo indietro.
Guardò la struttura con trepidazione, come in attesa di una qualche risposta.
Ma non ce n’era poi così bisogno. Orthilla sapeva quello che doveva fare, adesso. L’avrebbe fatto? Forse no, oppure sì.
L’Arena l’avrebbe aspettata, semplicemente.
E così i suoi fan.


Il viaggio di ritorno fu più tranquillo. Questa volta fu la ragazza a stare davanti, e Brendan ne approfittò della posizione per appoggiarsi sulla schiena di lei e cadere in un sonno profondo.
Era stanco, triste, e l’aria fresca della notte lo cullava come un bambino.
Anche Orthilla era assonnata, ma l’emozione la teneva attiva.
Attiva e felice.
“Finalmente la vita.” pensò, accoccolata al collo del suo Pokémon. Si scambiarono uno sguardo che valeva più di mille parole, e si sorrisero.
Orthilla l’accarezzò, affondando le mani nel piumaggio celeste che tante volte l’aveva tenuta al caldo nei momenti bui.
«Ti voglio bene, Alty».
Altaria non rispose, concentrata a volare, ma sapeva che l’aveva udita, e sapeva anche che era rimasta contenta di quella dolce dimostrazione d’affetto.
Il dolore ancora c’era, ed entrambe potevano sentirlo vivido scorrere nelle vene. Faceva male, marciava graffiando e ferendo, allucinando il cervello e distorcendo la realtà.
Ma insieme a lui, da quel giorno scorreva limpido anche un misero goccio di speranza, e sembrava molto più potente. Una linfa di vita, in mezzo al morto che si era fissato in loro.
La ragazza era contentissima, e si perse a fissare le case sottostanti, mentre il cielo scorreva nero ed uniforme in cima alla sua testa. Tutta quella gente, dormiente al sicuro nelle proprie case.
In quanti di loro la odiavano? Tantissimi, ne era certa. Poteva percepire il disprezzo da lassù.
Ma in quanti ancora la adoravano? Nonostante tutto?
Non lo sapeva, ma sentiva una devozione strana aleggiare in aria, e la raccolse tutta, avida.
Si sentiva viva.
Scelse di non pensare più a niente, preferendo godersi l’euforia dell’attimo.
Fino alla fine.





Nda
Ciao ragazzi!
Vi dico subito che l'euforia di Orthilla scemerà nel prossimo capitolo: spero abbiate compreso tutti che la sua felicità è legata al momento, e che non è destinata a durare.
Insomma, i fan l'hanno ubriacata di gioia e quindi si sente onnipotente (?)
Non sottovalutate la cupezza di Brendan. Ho preferito accennarvela e basta perché il chappy era un focus esclusivo sulle sensazioni della ragazza, ma nel prossimo capitolo verrà spiegato con chiarezza il suo stato d'animo. No, non è gelosia.
Scusate se non ho risposto alle ultime recensioni, è diventato un inferno stare al PC o al cell con una madre come la mia D:
Come vi è sembrato il capitolo?
Fatemi sapere nei commenti! Per adesso vado <3
Grazie a tutti per aver letto

Lou

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