XII★
Brendan la aspettò tutto il giorno, e anche quello dopo.
Quello della sua partenza.
Non
se l’era sentita di rinviare il suo cammino per la Via Vittoria: non
era del tutto determinato ad affrontarla, vero, ma proprio non se la
sentiva di mollare solo per colpa di una Idol che, stando a tutta la
fama e la gloria che nonostante tutto possedeva, nemmeno avrebbe dovuto
avercelo, il tempo per lui.
Eppure
sperava ancora di poterla salutare, in qualche modo. Voleva che sapesse
che non l’avrebbe abbandonata, e un sentimento strano si era fatto
strada dentro di lui, provocandogli un lieve mal di pancia. Se avesse
vinto contro Rocco, sarebbe diventato Campione…
Degno di lei… sarebbero stati alla pari.
No, no. Non sarebbe mai riuscito a prendere quel posto tanto ambito. Quel tipo era molto meglio di lui, in tutto.
«Allora, il grande giorno è giunto!»
La
dottoressa Joy gli si avvicinò con una sacca tra le mani. Sembrava
dispiaciuta, ormai si era quasi abituata a vedere quel ragazzo
esuberante rientrare sempre - o quasi - per l’orario di cena. La
mortificava doverlo lasciar andare. «Questo è per te e per i tuoi Pokémon.»
Brendan
afferrò il sacchetto con rammarico e lo strinse tra le mani: era caldo,
e profumava deliziosamente. Sceptile allungò il collo per annusarne il
contenuto, curioso. Tra tutti, sembrava l’unico a non soffrire, e il
ragazzo lo invidiò molto per quel suo forte atteggiamento. Il Pokémon
Foresta pareva avere solo la Lega in testa, e a giudicare dalla
rinnovata energia con la quale faceva danzare la coda, non vedeva l’ora
di lottare e mettersi alla prova.
Brendan invece si sentiva uno straccio.
Uno schifo.
«La Via Vittoria è lunga, quindi ho pensato di prepararvi qualcosa da mangiare. Così non morirete di fame!»
«Grazie mille, dottoressa, davvero. A presto.» Brendan infilò lentamente il saccoccio nello zaino. Poi si alzò dal divanetto, si tolse il cappello e uscì dal Centro Pokémon.
Faceva
fresco, e un lieve refolo d’aria increspava il perfetto specchio
d’acqua di Ceneride, creando piccole ed irregolari onde bianche.
Il sole era coperto dalle nuvole, decolorando ogni lato della città.
Sospirò.
Tutto
sapeva di Orthilla, lì. Gli alberi, il mare, le case di pietra, l’ aria
gravida di salsedine che in quel momento gli stava fornendo ossigeno
per vivere. Scosse il capo. Doveva togliersela dalla testa, non aveva
senso continuare a pensarci; lei aveva una vita da rispolverare, portare
agli antichi splendori, mentre lui doveva terminare un viaggio durato
anche troppo a lungo.
Insomma,
Orthilla non aveva davvero tempo per lui, solo, doveva capacitarsene!
Tantissimi fan l’adoravano, i flash la reclamavano, i riflettori
volevano tenerla di nuovo puntata… tutto si era fermato ad aspettarla,
bastava solo che trovasse un po’ di forza per seppellire il male e
buttarsi, tutto qui. Ce la poteva fare. Aveva tutto l’aiuto del mondo.
“Basta spaccarsi la testa Brendan, o di questo passo diventerai matto. La sua vita non deve essere più affar tuo.”
Strinse
le spalline dello zaino e si lasciò trasportare dalle possenti pinne di
Mantine, che immersosi nell’acqua profonda di Ceneride, cominciò a
nuotare rapidamente verso l’uscita.
Gli
aspettava un lungo viaggio in mare; l’acqua fredda contro la pelle
abbronzata gli scrollò di dosso il dolore, svuotandogli la mente.
Socchiuse
gli occhi argentei quando Mantine aumentò la velocità. I capelli
castani del ragazzo sembravano un coacervo di alghe, snelle e danzanti;
ricordava di essere partito di casa con i capelli corti, invece ora
erano insolitamente lunghi. Tutto di lui era cambiato.
Il tempo era passato così in fretta…
Iridopoli
era un piccolo ammasso di scogliere fiorite che calavano a picco sul
mare, odoranti di salsedine. Il fragore delle cascate librava in aria
grosse volute di vapore acqueo, e tutt’intorno si respirava un’aria
fremente e nervosa.
Sceptile
si sentiva euforico, mentre camminava a testa alta tra i fiori ben
colti dei prati. Accanto a lui stava Brendan, a testa china. Sembravano
uno l’opposto dell’altro, in quel momento, perché se il Pokémon emanava
sicurezza da ogni squama color smeraldo, il suo allenatore era abbattuto
come non mai.
Aveva
pensato che una volta arrivato lì si sarebbe concentrato solo sulla
Lega, invece si era sbagliato: persino su quella remota isola di Hoenn,
lontana da tutto e tutti, i grandi occhi verdolini di Orthilla erano
riusciti a sottometterlo alla confusione più totale.
Stava male, era evidente.
Quella
dolce ragazza cominciava già a mancargli troppo, ma doveva farsene una
ragione. Orthilla si sarebbe benissimo potuta consolare con i fan,
giusto?
Immerso
nei suoi pensieri, andò a sbattere contro il corpo rigido di Sceptile;
il Pokémon si era immobilizzato al centro del sentiero, e subito prese a
mordicchiargli la testa con fare affettuoso.
Si abbracciarono, e Brendan sentì un calore improvviso avvolgergli le membra.
«Ah, fai il dolce ora, eh…? Scemo.»
Sceptile
ridacchiò e lo strinse più forte. Voleva che anche il suo allenatore
potesse condividere con lui quel momento tanto speciale, non sopportava
di vederlo così giù di morale.
«Hai fame? Il viaggio è stato lungo… se vuoi possiamo consumare qualcosa prima di ripartire.»
I
due si sedettero su uno scoglio fiorito, e mentre si concedevano un
veloce spuntino, Brendan si distese sulla lunga coda del Pokémon.
Sospirò, inalando poi l’aria salata dell’isola.
Quel mare così vasto gli ricordava Orthilla.
I
suoi lunghi capelli turchini, il collo magro, lo sguardo vispo… il
dolore senza confini che l’aveva tenuta a bada per tutti quei mesi.
“Lega, Brendan. Lega. Adesso basta.”
Il
malinconico blu dell’oceano presto lo cullò in un sonno agitato, e si
ritrovò a sonnecchiare con l’immagine della giovane Idol impressa nella
mente.
Mezzo addormentato, dunque, non si accorse di due morbidi stivaletti bianchi che gli si avvicinarono furtivi.
Un fruscio di vestiti, il tintinnio di un delicato braccialetto e una mano candida sulla spalla.
Si svegliò, e quando i suoi occhi grigi cozzarono con due profonde iridi turchesi si sentì morire dentro.
Balzò in piedi, quasi calpestando la coda di Sceptile che, divertito, rimase disteso a godersi la scena.
«O-Orthilla!»
«In persona, caro mio Brendan!» Orthilla librò le braccia in aria e sorrise smagliante, smuovendo appena la lunga coda celeste.
Era bellissima, infilata in una corta gonna indaco dai bordi cotonati e una graziosa camicetta bianca.
Brendan
respirava affannosamente, il cuore gli batteva frenetico contro il
petto e le mani avevano cominciato a sudargli per la forte emozione. Non
poteva credere di averla davanti. Era così meravigliosa, energica…
perché aveva scelto di seguirlo? Si grattò tra i capelli ancora umidi,
in imbarazzo. Non sapeva dove guardare, se non fisso su di lei. Sembrava
una splendida dea apparsa in tutto il suo devastante potere. Brillava
di luce propria, davvero.
Era perfetta.
«Non ci posso credere… che ci fai qui…»
Orthilla
strinse la tracolla della borsa, gonfia di utensili e aggeggi vari, e
guardò la sua Altaria con convinzione. Poi prese un tremolante respiro e
ritornò a specchiarsi negli occhi sgranati del castano. «Ho deciso di partire.»
«Di… di partire?»
«Sì! Quello che fate voi allenatori, no? Lotte, crescita psicologica…» Orthilla si voltò, e cominciò a fissare la lunga distesa d’acqua dinanzi a sé. Ebbene sì, aveva deciso di partire.
Era
stata una decisione sofferta, ma ben studiata: la verità era che
rimanendo chiusa in quel cratere isolato non avrebbe concluso niente.
Non erano i fan che le portavano felicità in quel momento, ne le amate
lettere dello zio.
No,
per ritornare a brillare prima di tutto aveva un disperato bisogno di
trovare se stessa. Viaggiare, poter conoscere a fondo le sue capacità,
sfidare le persone, comprendere bene i suoi sentimenti e quelli del suo
Pokémon…
Aveva
scelto di buttarsi in quel suo piano folle perché ora come ora,
desiderava solo cercare un punto di accordo con l’Orthilla seppellita in
lei. Smettere di pensarsi come un essere inutile, una carogna, una
buona a nulla…
Voleva capire e capirsi. Solo così sarebbe potuta tornare sul palcoscenico.
Solo così avrebbe potuto affrontare a testa alta quelle dicerie, e smentirle.
Che ci voleva?
Brendan
le fu addosso, e la strinse con vigore tra le braccia. Non sapeva cosa
dire. Voleva solo sentirla premuta contro di sé, e basta. E non
lasciarla mai più andare. Orthilla rise, ricambiando la scarica di
affetto improvvisa, e percepì un intreccio di sensazioni stritolarle lo
stomaco. Dei grovigli piacevoli, agitati, una tempesta di dolcezza a cui
non sapeva ancora dare nome. Ma che durò per tutto l’abbraccio, e anche
oltre. «Verrò con te.» dichiarò,
prendendogli le mani. Uno strano calore le invase il petto e le
braccia. Le gambe si fecero molli, mentre gli stritolava le palme ruvide
in un avvinghio di possessione che la spaventò e compiacque allo stesso
tempo. «Poi
quando avrai affrontato la Lega, vorrei crearmi un team e affrontare le
varie palestre per conto mio. Ma questo tratto di avventura possiamo
concluderlo accanto, ti va?»
«Una proposta allettante.»
Si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono con imbarazzo.
Brendan
volle baciarla, ma non appena si fece di qualche centimetro più avanti,
lei balzò lontano con una corsa e ordinò ad Altaria di scaraventarsi
contro Sceptile.
Il Pokémon Foresta per fortuna schivò l’attacco, sibilando per la sorpresa mentre ritraeva la coda.
Il castano lasciò andare un rantolo rilassato, mentre ripensava all’azione che lo aveva spinto in avanti qualche secondo prima.
Ora sì che si sentiva carico.
«Prima di andare, lottiamo!» esclamò lei, e la sua voce cristallina, ancora intrisa di dolore, suonò più potente di un rintocco di campana. «Voglio metterti di nuovo alla prova, questa volta niente scherzi.»
«Accetto la sfida. Scept, Megaevoluzione!»
«Altaria, splendi!»
I
due Pokémon, reagendo alle Megapietre degli allenatori, si circondarono
di una fortissima luce arcobaleno, prima di riemergere più forti, più
fieri e più belli di prima.
Orthilla
osservò Altaria librarsi in volo con un’ ammirazione senza fine: presto
anche lei sarebbe arrivata a splendere tanto in alto.
Avrebbe solcato i cieli del successo, toccato le nuvole della meraviglia, assaporato i venti del traguardo.
Si
sarebbe fatta illuminare dal candore del sole, e avrebbe brillato come
un diamante in controluce, risplendendo di mille riflessi arcobaleno.
Solo così, lo sapeva bene…
Lei, una stella ormai morta, si sarebbe fatta forza e sarebbe tornata a dominare sul vasto cielo della fama.
Questione di mesi, forse di qualche anno, ma che importava.
Adesso era lì, distrutta, ma pronta a raccogliere cocci di se stessa per rimetterli insieme.
E questo bastava.
Nda
e con immenso rammarico annuncio a tutti che Star Power, il mio piccolo parto, purtroppo finisce qui.
* sad song *
Nonostante
ciò, sono contentissima del traguardo che ho raggiunto, dei tempi
abbastanza veloci di pubblicazione e dell’ispirazione che non mi ha mai
abbandonata. Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in questo
progetto, a tutti coloro che hanno recensito i capitoli e che hanno
seguito la storia attivamente e con interesse. Il piccolo successo che
ha avuto questa long è in gran parte dovuto a voi, per cui grazie tante,
a tutti, davvero! Sono molto soddisfatta di aver portato a termine un
lavoro così ben riuscito.
Ringraziamenti
speciali vanno in particolare a shadowmewtwo99, che oltre ad avermi
dato l’idea di base, mi ha letto tutti i capitoli e mi ha sempre fornito
qualche dritta per renderli più realistici. Se ci sono errori
perdonatemi, quella è comunque colpa mia (?), li correggerò prima o poi.
Orthilla
e Brendan sono stati un po’ un esperimento nuovo per me, così come la
regione di Hoenn - e qui ringrazio sempre il mio eroe Shadowmewtwo99 per
avermi passato il gioco di ORAS in tempo (?) -; non credo che riuserò
ancora questi personaggi, in futuro, però mi sono trovata molto bene a
rappresentarli in questa chiave.
Come vi è sembrato il capitolo?
Lasciate pure una recensione, se vi va! Ringrazio tutti ancora una volta, seriamente.
A presto!
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