INNESCO. UNA RACCOLTA BY Doppiakappa
“Sei talmente egoista che ti sei preso tutto il dolore…”
Una lingua di luce penetrò attraverso le persiane, carezzandole il volto, e poco dopo Platinum volse lo sguardo ancora assonnato verso l’orologio digitale sul comodino: il display mostrava le cinque in punto.
Sembra che il tempo abbia abbandonato questa città…
3. Addio
"Cara Agatha,
quel che ti scrivo non è che un umile tentativo di chiederti perdono. Te lo chiedo con le ultime forze che mi rimangono e che presto mi abbandoneranno.
quel che ti scrivo non è che un umile tentativo di chiederti perdono. Te lo chiedo con le ultime forze che mi rimangono e che presto mi abbandoneranno.
Per anni sono stato talmente egoista da attribuire ad altri la colpa del tuo cambiamento, dei tuoi atteggiamenti e dei tuoi sbagli.
La causa di tutto il male che hai fatto, che ti è stato fatto, sono io.
Io che ho messo in primo piano il mio futuro abbandonando la persona che amavo, pensando solo e unicamente a me stesso. All’inizio provai vergogna di te, di noi. Solo adesso capisco che la vergogna dovevo provarla per me stesso.Decisi di nascondermi dal passato e isolarmi in un falso miraggio dove io ero il buono e tu eri la cattiva.Pensai che rimanere solo mi avrebbe fatto sentire meglio , ma dopo aver scoperto la malattia, la solitudine mi stava diventando lentamente fatale.Più il tempo a mia disposizione diminuiva più mi rendevo conto che la mia vita, per quanto realizzata potesse sembrare, altro non era che il guscio vuoto di una noce ormai marcita all’interno. E così mi sono ritrovato improvvisamente vecchio, a vivere con il solo scopo di regalare un Pokémon a un giovane allenatore.
Io che ho messo in primo piano il mio futuro abbandonando la persona che amavo, pensando solo e unicamente a me stesso. All’inizio provai vergogna di te, di noi. Solo adesso capisco che la vergogna dovevo provarla per me stesso.Decisi di nascondermi dal passato e isolarmi in un falso miraggio dove io ero il buono e tu eri la cattiva.Pensai che rimanere solo mi avrebbe fatto sentire meglio , ma dopo aver scoperto la malattia, la solitudine mi stava diventando lentamente fatale.Più il tempo a mia disposizione diminuiva più mi rendevo conto che la mia vita, per quanto realizzata potesse sembrare, altro non era che il guscio vuoto di una noce ormai marcita all’interno. E così mi sono ritrovato improvvisamente vecchio, a vivere con il solo scopo di regalare un Pokémon a un giovane allenatore.
Quelli stessi allenatori costituivano l’unica e brevissima compagnia che gettava una fioca luce sulla mia solitudine.
L’unica compagnia rimastami è il rimorso di averti perso, di averti lasciato andare via.
Tornare indietro è impossibile e credimi che ritornerei indietro e cambierei il mondo mille, milioni di volte per te.
So di averti abbandonato, so di averti fatto del male, ma ti chiedo solamente di non dimenticarmi come hanno fatto tutti.
So di averti abbandonato, so di averti fatto del male, ma ti chiedo solamente di non dimenticarmi come hanno fatto tutti.
Fammi vivere nei tuoi ricordi come io facevo vivere in me i ricordi del tempo che abbiamo passato assieme.
Addio, Agatha.
Samuel Oak”
Le mani dell’anziana donna iniziarono a tremare mentre gli occhi scuri come tizzoni ormai spenti, scorrevano le ultime parole della lettera.
La donna si ritrovò in un silenzio tombale. Non si udivano le voci dei bambini che giocavano spensierati sui vasti prati di Smeraldopoli, non si udiva nemmeno il vento soffiare.
L’unica cosa che la donna sentiva era il fischio della sua acufene che veniva come amplificato dalle grigie pareti del bilocale. La notizia della morte di Samuel Oak, il pluripremiato e onnisciente professore, era arrivata veloce; una sottile freccia che aveva trapassato il cuore della vecchia Superquattro lasciando aperta una ferita ormai incurabile.
“Sei talmente egoista che ti sei preso tutto il dolore…”
Alla voce rauca e tremola si aggiunse un sottile velo di lacrime che inumidì gli occhi dell’anziana, distrutti ormai da una pesante congiuntivite che le aveva causato non poca difficolta a leggere le ultime parole dell’uomo che per tutta la vita aveva preteso di odiare, ma che in realtà avrebbe voluto soltanto vederlo a proprio fianco.
Con l’ausilio del suo bastone si fece strada fino al balcone, esponendo l’ormai anziano corpo alla leggera brezza che carezzava le chiome di Smeraldopoli.
Alzò gli occhi al cielo per poi chiuderli e stringere a se la lettera.
Un’ultima lacrima scese sulle guance della donna seguendo le curve delle rughe, un’ultima parola scivolò via dalla stretta morsa delle sue labbra:
“Addio.”
4. Free Again
- Non è possibile… - sussurrò, sbadigliando e posandosi una mano sulla fronte.
Nell’ultima settimana la ragazza aveva dormito sempre meno, nonostante andasse sempre a letto presto, disturbata dallo stress che si portava a casa dalla giornata lavorativa.
Il che non era strano, dati i suoi venticinque anni e la sua carica di capo filiale delle aziende Berlitz, uno dei marchi col valore azionario più alto in tutta Sinnoh, una carica che, a fatica, suo padre era riuscito a sopportare per quasi quarant’anni.
Platinum scese dal letto posando i piedi scalzi sul morbido e poco sobrio tappeto rosa-shocking, la soffice sensazione che le percorreva le piante dei piedi le donava un briciolo di sollievo che andava ad affievolire lo stress. Si mise davanti al suo costosissimo specchio, un regalo di famiglia, passandosi la spazzola tra i lunghi capelli scuri che le scendevano morbidi lungo la schiena. Una rapida occhiata alla foto che la ritraeva assieme ai suoi due amici le fece ritornare alla mente diversi ricordi del tempo passato assieme. Le sue iridi dorate si fermarono a fissare il vuoto per qualche secondo per poi tornare rapidamente a osservare il riflesso delle setole che fluivano lente fra i capelli.
Uscì dalla stanza ancora barcollante, passando davanti alla camera di Diamond.
Sorrise lei, ripensando a quando suo padre le aveva regalato una lussuosa villetta nella periferia di Evopoli. Aveva immediatamente contattato i compagni di una vita per chiedergli di convivere.
Loro avevano accettato senza remore.
Riguardò Diamond che dormiva, e si concentrò poi sul disordine che aveva invaso il pavimento e i mobili. Vi erano sparse statuine raffiguranti personaggi della serie Proteam Omega e cadaveri di energy drink, che giacevano ormai consumati qua e là. Il disordine di quella tana metteva la ragazza a disagio, lei che era abituata a una forse eccessiva perfezione. Diamond giaceva spaparanzato sul letto, con addosso solo una canottiera azzurra e un paio di mutande blu con tanti Combee disegnati. Russava, come di consueto.
Forte. Lo si poteva sentire dal salotto, con la porta chiusa.
La ragazza raggiunse la cucina, dove una moka aspettava di essere messa sul fuoco. L’aroma penetrante pervase velocemente la stanza, arrivando anche fuori al corridoio, fino alla stanza di Pearl. Il ragazzo aprì gli occhi, stimolato dal profumo.
- Buongiorno… - disse assonnato, mentre varcava la soglia della cucina.
- Ehi, buongiorno!
- Che ci fai già sveglia?
- Non lo so… è da una settimana che mi sveglio prestissimo…
- Secondo me ti stressi troppo al lavoro.
- Parli proprio tu, che rimani sveglio fino a tardi a compilare moduli per la Palestra!
- Non ho tempo durante il giorno, devo per forza farlo la sera! – rispose, accigliandosi.
Platinum rimase per qualche secondo a osservare la faccia dell’amico, persa nelle sue iridi d’ambra. Cercò di trattenere una risata ma l’espressione del ragazzo la fece scoppiare.
- Sembri un bambino con quel broncio!
- Detto da quella che ride guardando una faccia… Comunque… Dovremmo prenderci una settimana di ferie e andare tutti e tre in vacanza; il lavoro ci sta ammazzando… - aggiunse, passandosi le mani fra i capelli biondi.
- Magari… Sono bloccata con dei sopralluoghi fino ad agosto…
- E poi bisogna vedere com’è messo il bradipo lì, con il ristorante…
- Giusto… Dia mi aveva accennato di essere in un brutto momento, per il ristorante.
- Uff… Bella merda…
Nella stanza calò il silenzio, i due ragazzi terminarono la colazione e Pearl fece per alzarsi, quando Platinum richiamò la sua attenzione.
- Sai… è da un po’ che ci penso: sono passati secoli da quando abbiamo fatto qualcosa assieme, noi tre…
La sua voce esternò improvvisamente una nota di tristezza.
- Mi mancano i tempi in cui non dovevamo preoccuparci di nulla, quando facevamo tutto per puro divertimento… - aggiunse, guardando l’amico.
- Hai ragione, dovendo lavorare non siamo più riusciti a ritagliarci un po’ di tempo per stare assieme, e la cosa ridicola di tutto ciò è che viviamo sotto lo stesso tetto…
- Non possiamo farci nulla… la vita è così… abbiamo accettato degli incarichi importanti, dobbiamo assumercene la responsabilità.
Una terza voce, poi, si aggiunse improvvisamente a disturbare il silenzio mattutino.
- Potreste parlare un po’ più a bassa voce voi due…?
I ragazzi si voltarono verso l’ingresso della cucina e videro Diamond appoggiato al montante della porta. Sbadigliava.
- Di solito non ti svegliano nemmeno le cannonate, che è successo? Anche tu problemi di insonnia? – chiese Pearl.
- Insonnia? No, credo sia per il turno di lavoro: mi sono dovuto fermare al ristorante fino alle tre e con tutto il caffè che ho bevuto è già tanto che sia riuscito a chiudere occhio…
Platinum sorrise e lo stuzzicò: - Essere uno chef famoso ha i suoi svantaggi…
- Non sono poi così famoso, dai… lavoro solamente in un ristorante in voga fra i turisti…
- Famoso e modesto… - sbuffò Pearl, levandosi un ciuffo biondo davanti agli occhi. Sbadigliò e si stiracchiò in punta di piedi.
Gli altri due scoppiarono a ridere, e lo fecero come non succedeva da tanto, troppo tempo.
Realizzarono che, nonostante le soddisfazioni che il lavoro gli desse, la vita divenisse sempre più triste, vuota e monotona.
La giornata proseguì come di consueto: dopo essersi preparati, i tre ragazzi si erano recati al lavoro più stanchi e svogliati del solito, persi nei loro pensieri.
Un’altra noiosissima riunione… non ne posso più…
Platinum vagava con la testa, mentre sistemava una pila di fascicoli. Era in attesa che tutti i membri del consiglio di amministrazione prendessero posto attorno a quel tavolo rettangolare e grigio, al centro di quella stanza grigia, in quel palazzo grigio. Era lì, in piedi, che illustrava apatica il bilancio dell’azienda e le varie direttive da seguire ai colleghi; loro, quasi più svogliati di lei, lasciavano scappare ogni tanto un’occhiata alle generose curve della ragazza.
Pearl invece stava osservando il suo Pokémon mettere k.o. l’avversario, senza fare il benché minimo sforzo. Le battaglie andavano così ormai da mesi, facili, troppo per i gusti del nuovo Capopalestra di Pratopoli. Il ragazzo fu parecchio entusiasta il giorno in cui Omar, il suo maestro, decise di cedergli il titolo; si aspettava un’avventura, una vita ogni giorno diversa, ogni giorno migliore, ma quelle aspettative utopiche furono però schiacciate dalla solida realtà, e dell’entusiasmo del ragazzo rimaneva a malapena l’ombra.
Un’impercettibile eco consumata dalla noia.
Diamond stava servendo l’ennesima comanda appesa al bancone, assente, senz’alcun ardore. Mai avrebbe creduto di poter arrivare a odiare il proprio lavoro, lui che era capace di dimenticare ogni cosa per dedicare alla cucina tutto se stesso.
- Chef, due bistecche di Kobe e tre piatti di ravioli al vapore!
- Eh…? Sì, subito…
Il ragazzo esitò un momento prima di riprendersi dai propri pensieri e mettersi a preparare i vari piatti; pareva quasi un automa.
- Che succede, chef? La vedo sciupato… - disse uno dei cuochi, guardando il viso di Diamond: le iridi argentee parevano incantate da qualcosa; dei ciuffi sudati sbucavano dal cappello del ragazzo e il colorito della pelle era pallido.
- È tutto okay, sono solo un po’ stanco... Non è il momento di distrarsi però, preparami il granchio.
- Sì chef!
Quel giorno durò un’eternità.
I tre ragazzi, finito il lavoro, fuggirono velocemente da quelle gabbie di stress e monotonia.
Per la prima volta, dopo secoli, si trovarono tutti e tre sul divano, uno di fronte all’altro.
Gli sguardi si incrociarono più e più volte, ma nessuno aveva la forza per dire qualcosa, nonostante gli argomenti di cui parlare fossero tanti, troppi.
Pearl si alzò in piedi e volse le spalle agli amici.
- Sapete… vederci qui, in questo stato, mi fa pensare che forse la vita che stiamo conducendo non sia affatto come la sognavamo.
Gli altri due rimasero in silenzio, con lo sguardo basso, in attesa che l’amico continuasse.
- Sembriamo delle marionette: ci alziamo, facciamo le solite cose di routine, lavoriamo e andiamo a dormire, pronti per ripetere questo cazzo di ciclo infinito… Non ne posso più! Non passiamo del tempo assieme da un sacco di tempo! Non abbiamo più un attimo di respiro!
Fu Diamond a rispondergli per prima, usando parole spente e consumato. - Cosa vuoi farci, Pearl… siamo incasinati col lavoro…
- Perché non mandiamo a cagare tutto e ci prendiamo delle ferie?! Saranno nove, dieci mesi che lavoriamo non-stop! Sarebbe anche ora! – disse, con voce carica.
- Pearl ha ragione! Anche io sono esausta, non ce la faccio più! Fanculo il lavoro, sapranno cavarsela anche senza di noi, per due settimane!
Le parole di Platinum erano cariche di una rabbia e una volgarità che non le appartenevano, i due ragazzi rimasero stupiti da tale sfogo.
Pearl e la ragazza si misero di fronte all’amico, tendendo le mani verso di lui.
- Allora, sei con noi? – chiese lui.
- Sentiamoci liberi di nuovo, assieme!
Diamond posò la mano su quelle degli amici, sfoggiando quel suo tipico e radiante sorriso, che era stato represso dallo stress del lavoro.
- Come ai vecchi tempi… - disse a voce bassa, guardando i due ragazzi negli occhi.
- Come ai vecchi tempi…
In quel momento, i tre ragazzi si liberarono di tutto quello stress tossico che per anni aveva gravato sulla loro salute ed emotività, e finalmente poterono sentire nuovamente le sensazioni provate a stare assieme.
Come ai vecchi tempi.
Quel giorno divennero nuovamente i padroni della propria vita.
Quel giorno divennero nuovamente il trio di amici che erano sempre stati.
Quel giorno, quello, divenne nuovamente il loro mondo.
Un dolce fruscio di foglie si librava nell’aria, proveniente dal silenzioso bosco a sud della città.
Erano passati ormai vent’anni dall’ultima volta che Red aveva messo piede in quella piccola oasi di tranquillità; aveva deciso di viaggiare in tutto il mondo, visitare quanti più luoghi possibile, conoscere culture, tradizioni, persone.
La città non era cambiata di una virgola, al suo ritorno: graziose casette in legno e mattoni proiettavano piccoli spazi d’ombra sull’immensa distesa verde della città. Una staccionata e due bidoni diventavano una porta per un gruppo di ragazzini che giocavano col pallone e il vento fluiva leggiadro attraverso le chiome degli alberi, nei vari cortili.
Il ragazzo fece un gran respiro e inalò quanta più aria riuscì, pura e fresca.
Sembra che il tempo abbia abbandonato questa città…
Camminava, il ragazzo, lungo i sentieri di ciottolo che si inoltravano nei frutteti e nelle campagne attorno alla cittadella. Ogni tanto uno sbuffo di vento muoveva i suoi capelli mori.
Osservava il paesaggio: un manto di colori estivi ricopriva le alte montagne, dove era solito allenarsi da ragazzino. Stormi di Pidgey volavano liberi in quel meraviglioso cielo limpido, tracciando traiettorie stravaganti.
Davanti a lui si erigeva una distesa di filari di vite.
Red si fermò per un istante, posando le sue iridi vermiglie sulla piccola figura femminile che lavorava minuziosamente tra i filari: un cappello di fili intrecciati copriva la chioma bionda della ragazza dal caldo pomeridiano e una cintura di pelle marrone le stringeva un vestito del medesimo colore attorno ai fianchi delicati. Le sue mani erano protette da un paio di guanti da lavoro neri, sporchi di terreno.
Sentendosi osservata, quella si girò, detergendosi con la manica il sudore sulla fronte.
Squadrò una, due, tre volte il ragazzo dalla testa ai piedi: giacca di pelle marrone, maglietta nera, jeans rovinati e scarpe consumate.
Occhi rossi.
Lo riconobbe.
Nel suo petto, il cuore cominciò a battere freneticamente.
Riconobbe quell’espressione seria che dava luce a un sorriso.
Riconobbe quel sorriso.
Quando fu davanti a lei, riconobbe il suo profumo. Abbassò la testa e fu investita dai ricordi degli anni passati assieme.
Fu lui ad alzarle il viso, incrociando le iridi paglierine e vedendo le lacrime colare lungo le guance rosee.
- Ti ho trovata…
- Red… Sei tornato…
Sentiva il cuore in gola; le parole non riuscivano a uscire, e le mani lasciarono scivolare le grosse cesoie dai manici di legno.
Quando le braccia di Red la strinsero, poggiò il viso sul suo petto. Si riabbracciarono, dopo tanto tempo.
- Ho tante cose da raccontarti… Mi sei mancata…
Lei annuì e sorrise, emozionata. – Vieni, andiamo.
Quello la prese per mano e assieme cominciarono a camminare verso la piccola magione immersa nel verde, le cui mura di ciottoli ospitavano delle graziosissime finestre in legno.
Yellow preparò del thè, come era solita fare quando aveva ospiti a casa. Si sentiva emozionata, le mani tremavano leggermente, tant’era che la ragazza lasciò che qualche goccia d’acqua bollente le balzasse sulle mani, scottandola.
- Ahi! – gridò, attirando l’attenzione di Red.
- Tutto bene?!
- S-sì, n-non è niente. Mi sono solo scottata. – mormorò, sentendosi improvvisamente imbarazzata.
Si guardò attorno, cercando nei piccoli scaffali dal gusto rustico, che ornavano le pareti di mattone della cucina, le migliori tazzine che potessero offrire.
Decise di prendere le sue preferite: erano di porcellana azzurra, con una rosa disegnata in prossimità del manico; le posò delicatamente sul grazioso tavolino in legno di fronte al divano.
Red la osservava sorridendo. Non era cambiata di una virgola: quando era emozionata si agitava, faceva le cose velocemente e appariva imbranata.
Era ancora la sua Yellow.
La vide avvicinarsi cautamente.
“Sembra abbia paura…” pensò, vedendola poi prendere posto vicino a lui sul morbido divano rosso.
Yellow presa da un’improvvisa nostalgia, si lasciò scivolare tra le braccia del ragazzo, assaporandone gli odori.
Percependone il calore.
Lui rimase un attimo stupito ma subito dopo la strinse dolcemente a sé.
Lasciarono sedimentare un paio di sospiri nell’aria.
- Sai… Ho visitato molte regioni… una più bella dell’altra! Ho lavorato come insegnante, ho fatto l’allevatore, il fotografo… ma ti ho sognata tutte le notti. Guardavo le stelle e pensavo a te…
Red poggiò delicatamente la fronte su quella della ragazza.
- Mi dispiace non averti portato con me… Sono stato un egoista…
- Ci siamo sentiti spesso… Non avresti dovuto stare così in pensiero a causa mia.
- Non mi bastava sentire la tua voce. Ti volevo tra le mie braccia… volevo sentire il tuo respiro sulla mia pelle, le tue mani sul mio corpo… il sapore delle tue labbra…
I due incrociarono gli sguardi, prima di scambiarsi un bacio incandescente.
La sera arrivò veloce, facendo calare in un silenzioso concerto di friniti la piccola valle di Smeraldopoli. Un mare di stelle inondava gli sguardi dei due ragazzi, distesi l’uno affianco all’altra sul prato, mano nella mano, immersi nella quiete della campagna.
- Ti ricordi quando da ragazzini venivamo qui a guardare le stelle? Il cielo non è cambiato da allora…
- Tutto è rimasto come prima… sembra che il tempo abbia smesso di scorrere.
- E tu? Anche tu sei rimasto quello di un tempo, Red?
Una folata di vento sospese per un istante l’atmosfera.
- Io non sono mai cambiato.
Yellow sorrise sommessamente e addolcì lo sguardo. Vedeva soltanto la sagoma del viso dell’uomo nel buio diffuso, unito al riflesso dei suoi occhi.
Lui si voltò verso di lei e la tirò a sé, tirandola sul suo corpo di e baciandola dolcemente.
La baciava avidamente, assaporando il sapore delle sue labbra e colmando un vuoto che aveva sopportato per vent’anni.
La mano destra dell’uomo andò a infilarsi tra i capelli, mentre la sinistra andò a carezzarle i fianchi.
E rimasero lì, con le stelle a fargli da spettatori.
Almeno per qualche minuto.
Decisero poi di tornare in casa; si buttarono sul letto, gettarono i vestiti per terra e rimasero guardarsi per un lunghissimo attimo.
Sarebbero state tante le parole d’amore che avrebbero voluto scambiarsi quella notte, dopo vent’anni.
Ma no. Quella notte decisero che sarebbero stati i loro corpi a parlare.
,._ e a capo;
Queste erano le prime cinque shot, il vero e proprio innesco di quella che vorrei fosse la mia "avventura" con Andy e gli altri Couragers.
Sono soddisfatto di ciò che ho scritto, spoprattutto perché avevo delle regole e delle scadenze da rispettare. Vedere che dagli embrioni di idee che mi ronzavano in testa sono riuscito a tirare fuori qualcosa che effettivamente mi paiceva è stato appagante.
E quindi nulla, se avete apprezzato questi miei primi passi vi ringrazio, mi piacerebbe lasciaste qualche commento e qualche feed.
Alla prossima!
Queste erano le prime cinque shot, il vero e proprio innesco di quella che vorrei fosse la mia "avventura" con Andy e gli altri Couragers.
Sono soddisfatto di ciò che ho scritto, spoprattutto perché avevo delle regole e delle scadenze da rispettare. Vedere che dagli embrioni di idee che mi ronzavano in testa sono riuscito a tirare fuori qualcosa che effettivamente mi paiceva è stato appagante.
E quindi nulla, se avete apprezzato questi miei primi passi vi ringrazio, mi piacerebbe lasciaste qualche commento e qualche feed.
Alla prossima!
KK
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