La Danza Delle
Nuvole
28 Dicembre. Luminopoli, sede principale della Polizia Internazionale.
L’ascensore si muoveva rapido fra i diversi piani, scorrendo con
velocità costante. Ogni tanto, l’ambiente si oscurava quando l’enorme cabina
passava dietro uno dei contrafforti, limitando la vista di Luminopoli.
Quella era una delle cose che trovava piacevoli sul suo posto di
lavoro. Il corridoio verticale su cui si muoveva l’ascensore di quel lato del
grattacielo era fatto interamente in spesso vetro, trattato appositamente per
resistere alle intemperie e al forte vento che spira a quella altezza. Matière
era diretta dall’attico, dove si trovavano gli uffici degli alti gradi della
Polizia Internazionale.
Non aveva dormito tutta la notte, restando nei laboratori sotterranei,
a lavorare sui campioni di sangue e altre prove raccolte da Bellocchio. Aveva
finalmente scoperto qualcosa, e si era quindi precipitata verso l’ufficio di
Alberta.
Dopo aver picchiettato nervosamente sul pulsante di chiamata
dell’ascensore, era finalmente riuscita a entrarci e a iniziare la lunga
risalita verso l’alto.
Ora, dall’altezza a cui si trovava, riusciva a vedere chiaramente il
sole che iniziava a farsi vedere, sbucando dalle cime degli alberi, in
lontananza. Il cielo era ancora quasi completamente oscuro, e la città
addormentata riposava ai suoi piedi. Matière seguì con lo sguardo una coppia di
nuvole che sembravano rincorrersi nel cielo, lì in alto dove il vento doveva
essere così forte da spostare senza problemi un’auto.
Da basso, invece, la luce del sole stava iniziando a riflettersi sui
laghi dei parchi di Luminopoli, e nelle zone dove la neve era ancora fresca e
morbida, soprattutto sui tetti delle villette residenziali.
Volse nuovamente il suo sguardo verso l’alto, andando alla ricerca
delle due nuvole che stava osservando prima, senza più trovarle. Per qualche
attimo perse tempo, cercandole nel cielo, poi un canto le giunse dalla
lontananza.
“Non sono nuvole, sono degli
Altaria!”.
Come a confermare i suoi pensieri, i due Pokémon ripresero a
rincorrersi, stavolta ad altitudini molto più basse, arrivando quasi col
toccare la cima del grattacielo. Uno dei due stava librandosi nell’aria, mentre
l’altro gli volava intorno, creando dei cerchi sempre più stretti, rilasciando
al suo passaggio una leggera nebbia che risplendeva ai colori dell’arcobaleno,
alla luce del sole. Quello davanti si fermò d’improvviso, con una brusca
inversione a centottanta gradi. Il secondo lo superò in velocità, continuando a
rilasciare quella nebbia dal suo becco. Matière continuò a osservarli un altro
po’, fino a che sentì l’avviso acustico che dell’arrivo al piano richiesto. Si
voltò un’ultima volta, in stasi sull’uscio dell’ascensore. Li vide lì, liberi
nell’aria, giocando uno con l’altro. I colli che ora s’intrecciavano, ora si
allontanavano, mentre i due continuavano a cantare, avvolti dalla brina
rilasciata dal lento e costante battere delle loro ali, colorata d’arcobaleno
dalla luce del giorno nuovo.
Sorridendo, Matière ritornò al mondo reale. Prese a camminare all’interno
dell’atrio, mentre il suono dei suoi passi, alterato dalle scarpe classiche,
rimbombava all’interno della sala.
“Per fortuna ho imparato a
godermi l’attimo. Altrimenti non avrei mai visto quei due Altaria giocare nel
cielo”.
Si diresse direttamente verso la porta, chiusa, dell’ufficio di
Alberta. Superò il giardino in stile giapponese lanciandogli una frugale
occhiata, pensando per un attimo a quanto sarebbe stato bello potersi
rimpiccolire e andare a vivere lì, dove tutto era piccolo e i problemi del
mondo sembravano non intoccare quella calma. Le dispiacque non fermarsi cinque
minuti vicino alla scrivania di Dafne, la segretaria di Alberta, anche lei in
ferie.
Bussò alla porta che recava il nome della direttrice e aspettò la sua
risposta.
- Avanti, è aperto – la voce di Alberta arrivò dall’altro lato del
vetro opaco.
Matière entrò, trovando la sua amica intenta a esaminare diversi file
al computer.
- Anche tu odi il Natale?
- Decisamente. Hai cinque minuti? È importante, riguarda il caso che
sta seguendo Bellocchio.
Quelle parole ebbero come un effetto magico su di Alberta, la cui
concentrazione cadde come il flusso di una cascata su di Matière.
- Hai scoperto qualcosa?
- Sì. È stata una cosa incredibile, Plutarch sta ancora in laboratorio,
chino sul microscopio. Non ha voluto staccarsi neanche per un secondo, mi è
stato di grande aiuto.
Alberta si tolse una ciocca di capelli, ribelli, dal volto,
sistemandoli nuovamente dietro l’orecchio destro. Matière l’aveva vista fare
quel gesto infinite volte e, come sempre, parve esaltare la bellezza già
fulminante della donna.
- Non a caso sei la migliore mente a nostra disposizione, facevo
affidamento su di te per questo. Allora, buone o cattive notizie?
- Beh… piuttosto cattive. O almeno, è ciò che crediamo, non si era mai
visto nulla di simile. Quindi, non essendoci precedenti, non ne sappiamo
esattamente la portata o un metodo sicuro per neutralizzare l’infezione.
- Si tratta di un virus, batteri o cose simili?
- Più o meno. Plutarch sta osservando gli ultimi particolari in questo
momento. Io l’ho lasciato appena abbiamo saputo qualcosa, ho preferito correre
a riferirtelo.
- E hai fatto benissimo. In che laboratorio avete analizzato le prove?
- Il quattro, come sempre.
- Portamici.
Le doppie porte blindate si aprirono davanti le due, le quali vennero
accolte da una zaffata di odore di disinfettante. Secondo le disposizioni di
Matière, il suo laboratorio era stato riempito con i più vari e innovativi
macchinari, molti dei quali inventati da lei stessa, come la camera di
rigenerazione cellulare, ancora un prototipo ma destinata a diventare la chiave
nella battaglia alle malattie.
A differenza degli altri laboratori, lì non c’era alcuna luce fredda al
neon, bensì dominava il colore del caldo, con lampade e altre fonti di
illuminazione a colori naturali. La stanza era rettangolare, più larga che
lunga, col lato lungo che misurava una cinquantina di metri. Lì si trovavano
parecchi piani sotto il livello del terreno, quanto più possibile protetti da
occhi indiscreti, data la natura della maggior parte dei macchinari lì situati.
I banconi da lavoro e ricerca erano distribuiti a distanze identiche
gli uni dagli altri, tutti indirizzati verso i grandi schermi a ologrammi
situati dietro la scrivania di Matière. Plutarch era di fianco la grande
scrivania, intento ad armeggiare con un microscopio. Mentre le due donne si
avvicinavano, Plutarch sembrava come colto da frenesia: correva dalla sua
poltrona alla piccola camera dove si eseguivano gli esperimenti più delicati.
- Abbiamo pensato di analizzare i due campioni separatamente, uno al
microscopio, l’altro invece con procedure molto più complicate. Questa è la
sesta…
- Settima, ho ripetuto nuovamente le analisi mentre eri via – la corresse
Plutarch.
- … Settima volta che ricontrolliamo tutto, e incrociando i dati
ricavati dagli esperimenti, abbiamo trovato questo.
Alberta salutò Plutarch, il quale gli strinse con fin troppa foga la
mano, come faceva sempre, per poi riprecipitarsi all’interno della camera,
tornando all’esterno con un piccolo vetrino da microscopio.
Lo passò a Matière, la quale lo sistemò al di sotto del suo scanner.
Aspettò un paio di secondi, poi il macchinario fece il suo lavoro. L’oloschermo
si accese e una riproduzione del vetrino apparve agli occhi di tutti.
- Questo è del comune sangue di Pokémon, riesci a vedere i globuli
rossi e i bianchi?
- Sì, per fortuna biologia del liceo me la ricordo bene, riesco anche a
distinguerli.
- Ottimo, adesso inietterò una minima quantità del sangue del Delibird,
guarda cosa succede.
Plutarch si avvicinò, iniettando sul vetrino una piccola goccia del
sangue infetto. Nel predominio rosso, apparve una piccola macchia verde, che
lentamente iniziò ad avvicinarsi a uno dei globuli bianchi presenti nel
campione. Arrivato in prossimità, lo circondò in un attimo, per poi inglobarlo.
In pochi attimi, tutto il fluido verdognolo andò a inserirsi all’interno del
globulo bianco.
- Ora ho bisogno di aumentare lo zoom in modo da farti vedere ciò che
succede.
Matière ingrandì ancora l’immagine, finché il globulo bianco infetto
non apparve perfettamente sullo schermo. Ormai, da bianco, era diventato verde
scuro, molto tendente al nero. Delle strane protuberanze iniziarono a spuntare
da un lato, dalla forma simile a delle pinze di un Pinsir, mentre dal lato
opposto apparve quella che sembrava una piccola coda. Infine, molte altre
protuberanze più piccole iniziarono a costellare l’intero corpo del globulo
bianco infetto.
- E… ora…
Matière ridusse lo zoom appena in tempo. L’infetto iniziò a muoversi,
diretto verso il globulo rosso più vicino. Gli si arpionò e in pochi attimi,
anche quello divenne dello stesso tipo. I tre rimasero in silenzio per svariati
minuti, fino a che tutti i globuli, bianchi e rossi, presenti all’interno del
vetrino non furono infettati. Una volta soppresso anche l’ultimo, i globuli
infetti iniziarono a muoversi uno intorno all’altro, senza mai urtarsi o
intralciare i movimenti dei vicini.
- Abbiamo notato che, col tempo, iniziano a riprodursi fra di loro. Ma
solo se c’è fonte di nutrimento nel sangue e nel corpo ospite. Tramite una
simulazione al computer sono riuscita a capire il motivo dell’aggressione dei
Pokémon: l’istinto primordiale, quello di cacciare e mangiare. Si tratta di un
parassita, prende il controllo del corpo ospite utilizzando il suo stesso
sangue per arrivare al cervello, impossessandosi così di tutto. Infettando i
globuli bianchi, per qualche strano motivo, non viene individuato dal sistema
immunitario ed è quindi libero di vagare come più gli pare e piace. A quanto
pare, ogni singola riproduzione del parassita è in grado di riprodursi a sua
volta, infettando ancora. Ma sembra trattarsi comunque di un singolo parassita,
non molteplici.
- Come uno singolo? Si è moltiplicato a vista d’occhio, saranno
migliaia.
- Abbiamo notato una mente ad alveare. Ogni singola riproduzione del
parassita collabora con le altre, facendo tutte riferimento a questa.
Matière lanciò a schermo l’immagine di una riproduzione di un cervello
di un Delibird, all’interno del quale si notava come fosse cresciuto a
dismisura quel parassita, fino a imbrigliare completamente la massa grigia del
cervello, avvolgendolo come una rampicante.
- È rigorosamente la prima cellula infetta a dirigersi verso il
cervello, moltiplicandosi per la strada. Una volta giunto lì, il parassita cresce
a dismisura nel giro di pochissimo tempo, arrivando al culmine dello sviluppo
dopo dodici ore scarse. Dopodiché, inizia il processo di sopravvivenza. Preso
il controllo del corpo ospite, il parassita lo dirige verso fonti di cibo,
senza però dimenticarsi della possibilità di infettare altri corpi nel durante.
- Mio dio… è orribile. È infettivo per l’uomo?
- No, qualsiasi simulazione ed esperimento ha dato risultato negativo
sul soggetto umano. Pare prediligere i Pokémon.
- Un problema in meno. Sappiamo per caso questo parassita da dove è
arrivato?
- Nessuna idea. Io e Plutarch non abbiamo mai visto nulla di simile,
credo sia una nuova specie, appartenente agli endofagi, cioè vivente all’interno
del corpo ospite.
Alberta fissò per qualche momento l’immagine del cervello infetto sullo
schermo, con le venature verdi che l’avvolgevano, simile a una rete.
- Quindi è per questo che ci sono stati quegli omicidi.
Matière riconobbe immediatamente quello sguardo e quella posa. Alberta
tendeva a caricare il peso sul piede sinistro, inarcando leggermente la
schiena, mentre si portava la mano sinistra al mento e con la sinistra andava a
cingersi il gomito del braccio opposto. Stava riflettendo, ed era così assorta
da non accorgersi delle ciocche di capelli che gli ciondolavano davanti agli
occhi.
- Prima hai detto che erano notizie piuttosto cattive. Immagino che non
abbiate trovato un modo per curarlo, vero?
- Già. Mi dispiace, Alberta, io e Matière abbiamo passato giorno e
notte qui, ma nessun rimedio, nessun farmaco, nessuna procedura sembra
funzionare. Con l’aiuto dei computer abbiamo simulato praticamente qualsiasi
metodo conosciuto per combattere ogni parassita, ogni virus e ogni batterio in
cui l’essere umano si è imbattuto. Nulla ha funzionato, anzi a volte ha portato
anche alla morte dell’ospite. Nel malaugurato caso in cui il corpo venga
mangiato da qualcun altro, verrebbe infettato anche dopo mesi dal decesso. Questo
bastardo è maledettamente resistente – s’intromise Plutarch, dicendo la sua.
Matière si avvicinò ad Alberta, reggendo un quaderno fra le braccia,
stretto al petto. Il cuore iniziò ad accelerare, la mente vagò fino a
focalizzarsi su ciò che l’occupazione e il lavoro avevano rimosso: Bellocchio.
Lui era ancora lì, a contatto con un qualcosa che non conosceva, a rischiare la
sua vita.
- Matière? A cosa stai pensando?
La voce di Alberta la scosse dai suoi pensieri.
- Bellocchio, dobbiamo informarlo immediatamente, la cosa è molto più
grave e pericolosa di quanto non credessimo – l’affetto per l’uomo che l’aveva
accolta in casa e gli aveva dato un obiettivo nella vita pilotò le sue parole.
- Sta tranquilla, Bellocchio sa cavarsela molto meglio di noi due. Io
devo parlare con una persona, ci puoi pensare tu a contattarlo? Mi raccomando,
però, non farti trascinare dalle emozioni. Spiegagli cos’hai scoperto e mettilo
in allerta su tutti i pericoli che comporta questo parassita. Digli anche che
ora questo caso è di massima priorità, e di fare rapporto, chiamandomi.
- Va bene.
- Ottimo, ci vediamo dopo allora. Quando hai finito, vieni nel mio
ufficio.
Alberta salutò Plutarch e s’incamminò verso l’ascensore. Matière le
andò dietro, la bloccò tenendole una spalla con la mano e la fece voltare.
- Con chi devi parlare? Sei tu il capo della Polizia Internazionale.
Alberta le sorrise, mostrando tutta la dolcezza del viola dei suoi
occhi.
- Camilla, la Campionessa di Sinnoh.
- La conosci?
- Certamente, siamo ottime amiche. Qualche volta devi venire a prendere
il thè con noi.
Detto questo, Alberta ribadì l’urgenza delle comunicazioni da fare e
ritornò nel suo ufficio.
Matière non perse tempo. Si diresse verso il telefono del laboratorio e
digitò il numero di telefono di Bellocchio. Aspettò per quella che le sembrò un’ora,
mentre la paura iniziava a montare dentro di lei.
- Bellocchio.
- Papà! Stai bene? Perché ci hai messo così tanto a rispondere?
- Sto abbastanza bene. Ho avuto un paio di problemi con dei ragni ma
ora è passata. Ti racconterò tutto appena ci vedremo, adesso sono da Bianca,
sto preparando la colazione a me, Bianca e Valerio, sono arrivati i rinforzi.
Più tardi andiamo a prendere anche il secondo agente. Per qualche motivo
Alberta non ha detto a Valerio chi sarebbe stato il suo partner.
Matière tirò un sospiro di sollievo sapendo che Bellocchio fosse al
sicuro, e soprattutto inerme. Le sembrava un po’ scosso, ma nulla di grave. Se
ne accorgeva immediatamente quando Bellocchio non stava bene, anche solo
ascoltando la sua voce.
- Senti, abbiamo avuto i primi risultati dei test sul sangue da te
raccolto da Delibird e Abomasnow, non ti piaceranno.
- Cioè? – la voce di Bellocchio arrivò alterata e soffocata.
Sicuramente stava mangiando qualcosa, ne era certa.
- Si tratta di un parassita.
Matière passò i successivi venti minuti parlando ininterrottamente,
conscia del fatto che Bellocchio stesse ascoltando senza perdersi neanche un
particolare. Si ricordava sempre tutto, lui, e riusciva a vedere connessioni lì
dove altre persone non ne vedevano.
Fu solo quando lei ebbe concluso che lui parlò.
- Quindi è per questo che stanno accadendo tutte queste cose strane.
Per caso, questo parassita può comportare anche una crescita spropositata nel
corpo ospite?
- Osservando il tipo di sviluppo che ha il parassita, è possibile.
Perché questa domanda?
Fu quindi il turno di Bellocchio di raccontare, partendo dalla radura e
arrivando alla loro fuga dal nido di Ariados.
Matière lo tempestò di domande e rovesciò su di lui tutte le sue
preoccupazioni, facendolo affogare nella mole di parole dette con velocità tale
da far venire il mal di testa.
- Calma, calma, calma. Stiamo tutti e tre bene, siamo indenni. Anche i
nostri Pokémon non hanno subito danni, non c’è bisogno di preoccuparsi tanto.
Lei stava per controbattere immediatamente. Gli avrebbe detto che era
un idiota immaturo, senza un briciolo di autoconservazione e che prima o poi l’avrebbe
ucciso, per vendicarsi di tutte le volte che l’aveva fatta preoccupare a morte.
- Fidati di me.
Ma lui la fregò sul tempo. Bellocchio si era guadagnato pienamente la
sua più cieca fiducia, col passare degli anni insieme. Lei non poteva fare a
meno di ascoltarlo, quando usava quelle tre parole che la fregavano sempre,
anche se ogni volta si rivelavano veritiere.
Lei ci cascò di nuovo.
- Ti credo, sono solo preoccupata.
- So badare a me stesso, sta tranquilla. Inoltre ora ci sono Valerio e
Bianca con me. A proposito, devo aiutare Bianca coi piatti di ieri sera, lei è
quella che è rimasta più segnata dallo scontro con quei Pokémon.
- Inutile che continui, ti ho già capito. Va pure, hanno bisogno di te
lì.
- Grazie mille, sei un tesoro. Ci sentiamo presto.
Matière chiuse la telefonata, sospirando. Era in pensiero per
Bellocchio, non poteva farci nulla, era nella sua natura preoccuparsi degli
altri. Cercò un qualsiasi appiglio per non pensarci e, lentamente, la sua mente
la portò di poco indietro, fino a quando aveva visto i due Altaria danzare e
giocare nel cielo. Pensò a quanto sarebbe bello poter volare via da tutto e
tutti, potendo andare dove si vuole, con chi si vuole, con la leggerezza dei
due Pokémon. Senza pensieri per la testa, liberi da ogni stress del mondo
caotico in cui viviamo. Senza freni emotivi, senza legami relazionali, senza
più obblighi. Liberi di fare ciò che più ci piace, liberi da ogni catena
sociale.
“Ma varrebbe la pena di vivere
così? Senza obiettivi né legame, cosa resterebbe di noi, in grado di
identificarci?”.
Senza farci caso, Matière riuscì comunque nel suo intento di distrarsi.
Con i pensieri che ritornavano inevitabilmente ai due Altaria di poco prima, arrivò
all’ascensore. Stavolta, però, era piuttosto felice di trovarsi di nuovo fra
quelle pareti di vetro, libera di osservare la danza delle nuvole sospinte dal
vento.
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