Passa ai contenuti principali

Andy Black - Unravel Me: 17. Diciassette (XVII) pt.1


UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).



“Tanto è sempre questione di tempo. Tempo che passa, tempo che abbiamo perso. Tempo.”.


Unima, Austropoli, Main Street, Casa di Ruby (Appartamento 19-C), 16 Luglio 20XX

Una sottilissima lingua di vento baciò le gambe di Yvonne, scoperte.
Il suo corpo era bollente, perché era luglio e il sole in quel periodo si stava impegnando troppo. L’aria fresca quasi la fece rabbrividire.
Produsse un leggerissimo gemito, unito a un tremore tanto flebile quanto visibile.
Irrigidì i muscoli e allungò le gambe.
Yvonne Gabena aveva dato il buongiorno al mondo in quel modo.
Nuda, lei, coi capelli spettinati e il trucco metà sul volto e metà sul cuscino.
Eppure era ancora la donna più bella del mondo.
Gli occhi, quei grigi acquitrini, si aprirono lentamente. Riconobbe di non essere nella sua stanza d’albergo, il profumo che aleggiava non era lo stesso e la luce che inondava la camera era assolutamente un’altra.
Era da Ruby.
Ricordò rapidamente poi sorrise, allungando la mano verso destra.
Le natiche del ragazzo erano scoperte.
Si sporse e lo vide, nel suo riposo statuario: le dava la schiena, dove erano delineati perfettamente tutti i muscoli. I capelli neri, arruffati, poggiavano sul cuscino che lui stringeva tra le braccia.
Tutto a un tratto i ricordi le balzarono rapidi davanti agli occhi, con lei che l’aveva baciato nell’ascensore e lui che aveva deciso di abbattere tutte le difese che aveva posto prima della sua rottura con Sapphire, baciandola nell’ascensore e poi in casa, prendendola in braccio e spogliandola.
Fecero l’amore.
E fu la cosa più bella che quella avesse mai provato.
L’aveva baciata tutta, dalla testa ai piedi, le aveva accarezzato e massaggiato l’intero corpo.
L’aveva amata con delicato vigore e aveva adorato il suo sorriso compiaciuto quando quella si era abbandonata al piacere provocato dalla loro unione.
Durò tutta la notte, con lui che la plasmava sotto i suoi colpi, e lei che si scioglieva ogni volta che quell’estasi meravigliosa raggiungeva la sua mente.
Non voleva svegliarlo.
Avrebbe fatto meglio a preparargli la colazione; una volta riuscita ad acciuffarlo non avrebbe dovuto lasciarselo scappare per nulla al mondo.

Non passò molto prima che Ruby aprisse gli occhi.
Al contrario d’Yvonne lui sapeva bene dove si trovasse.
Ciò che non sapeva era dove fosse la donna che aveva rapito i suoi occhi, la sera prima.
Si alzò, andando in bagno e sbrigando le rapide pratiche mattutine, indossò poi un paio di boxer neri e una maglietta intima dello stesso colore e si diresse verso la cucina.
Lì, una statua dai capelli dorati e la maglietta troppo corta per coprirle le natiche era piegata in avanti a guardare qualcosa all’interno del forno.
“Buongiorno…” sorrise Ruby. Era in paradiso.
Quella si voltò rapida, alzandosi e sorprendendo l’uomo con cui aveva condiviso il letto a guardarle il sedere. Come se non l’avesse visto altre volte, per altro.
“Oh, ciao Ruby…”.
“Che fai già sveglia?”.
Arrossì violentemente, lei. “Ho preparato le madeleine… Ma non sembra che siano venute très bien…”.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia e le si avvicinò, baciandole dolcemente le labbra.
“Saranno sicuramente deliziose”.

Non lo erano.
Ma Yvonne non era una cuoca, era una modella, e a Ruby era bastato vederla in cucina, sporca di farina e coi capelli legati per innamorarsene ancora, nuovamente.
Mangiarono, riordinarono la cucina e la stanza, condivisero la doccia e fecero nuovamente l’amore.

*


Unima, Austropoli, B&W Agency, Ufficio di White, 21 Luglio 20XX

“Sì, Ruby, aspetta un momento…”.
Il condizionatore gettava aria ghiacciata, emettendo un fastidiosissimo ronzio.
Necessario, tuttavia. Il caldo fagocitava tutto, stendendosi come un velo impietoso, che non guardava in faccia a nessuno.
White camminava lentamente sulla moquette color antracite e spalancò gli occhi. L’interlocutore doveva averla stupita.
“Cosa diamine stai dicendo?! Logicamente abbiamo prenotato il salone per primi!”.
“Mi siedo” disse il ragazzo, conscio che la Presidentessa non lo stesse ascoltando. Si accomodò sulla poltroncina e rimase in attesa di quella che doveva essere probabilmente una sentenza, dato che quel mattino Whiteley lo aveva stoppato non appena aveva messo piede in atelier.
“Ti ha chiamato White, prima. Dice che devi andare da lei prima di subito”.
Il taxi fu rapido e ormai non lo facevano neppure aspettare più, in sala d’attesa. Salutava con un cenno del capo le ragazze e andava avanti.
Lo squalo con la fede nuziale in bella vista camminava spazientita, sbuffando e portando una mano alla fronte, dove i lunghi capelli castani le coprivano la fronte.
“Senti, fermati un attimo. Hai capito con chi stai parlando? Hai presente chi sono io? Non dovrei neppure essere io a telefonarti! La prossima settimana abbiamo la settima sfilata di Ruby Normanson e con questi presupposti la vedrai col cannocchiale! Altro che alta classe! Farò sfilare le mie modelle per strada piuttosto che portarle in quel cesso di salone!”.
Il ragazzo rimase interdetto, vedendo White inarcare un sopracciglio.
“Non m’interessa più. Buona giornata”.
Attaccò la telefonata e gettò il cellulare sul divanetto.
“Ma vaffanculo…” sbuffò nuovamente, andando verso il socio. Spostò la poltroncina accanto a quella del ragazzo e vi si sedette accanto.
“Allora…” sospirò, puntellando i gomiti sulle ginocchia e affondando la testa tra le mani. “Mi serve una vacanza…”.
“Quando partirai per la luna di miele?”.
“Sabato prossimo, ma non è questo il punto”.
Il silenzio calò pesante su di loro. Ruby puntò i suoi occhi rossi in quelli di White.
“Cosa succede?” chiese.
La Presidentessa rispose senza troppi giri di parole.
“Ti stai scopando Yvonne?”.
Il ragazzo batté un paio di volte le palpebre e sospirò, rimanendo muto.
Fu l’altra a storcere le labbra e a rovesciare la testa indietro.
“Oh, dannazione, ci mancava soltanto questa…”.
“White, io e Yvonne siamo…”.
“Lo so cosa siete! Lo siete da mesi, ormai! Speravo però che foste più professionali di così!”.
La voce squillante della donna rimbombò nell’intero ufficio.
“Non urlare e calmati… Posso spiegare…”.
“Non c’è nulla da spiegare! Austropoli è una metropoli che pullula di qualsiasi tipo di donna e tu decidi di portarti a letto una tua modella!”.
“Io la amo, White!”.
“Lo so che la ami! Si vedeva! Però non è questo il punto!”.
“E qual è il punto?”.
L’altra sospirò nuovamente, nascondendo il viso dietro un reticolo di dita intrecciate.
Decise di alzarsi, e Ruby la seguì con lo sguardo.
“Io e te facciamo un lavoro particolare… e non lo facciamo per l’amore… o per la gloria. Tu lavori per la gloria?”.
“In che senso?”.
“No. La risposta è no. Tu lavori per i guadagni”.
“Ah, okay, sì…”.
“Se non guadagni non mangi, e se non mangi non sei in forze. E se non sei in forze non hai l’energia per portarti Yvonne a letto. Mi segui?”.
“Stai un tantino esagerando la cosa”.
“Se tu e Yvonne intraprendeste una relazione, e poi vi lasciaste, io perderei la migliore modella sulla piazza, Ruby. E questo perché non sei stato capace di tenerlo nei pantaloni”.
Il ragazzo abbassò la testa.
“Sai quanto mi costa Yvonne?”.
“No”.
“Perché non ti sei mai posto il problema di saperlo, Ruby. Lei mi costa quasi più di te. Il problema è che tu sei il vettore che i soldi me li fa guadagnare e Yvonne è un tuo strumento! È come se ti scopassi l’ago e il cotone! Ti scoperesti l’ago e il cotone, Ruby?”.
Il ragazzo sospirò. “No…”.
“Perfetto!” urlò l’altra, che intanto si avvicinò al divanetto dove aveva lanciato il cellulare e si era lasciata cadere sui morbidi cuscini. “E allora per quale dannatissimo motivo vuoi scoparti una tua modella?”.
“Io non me la scopo, White”.
“Tu la ami…” scimmiottò la Presidentessa. “Ma il concetto è lo stesso! Yvonne è il tuo lavoro, non il tuo passatempo”.
E fu lì che un moto d’orgoglio spinse Ruby ad alzarsi in piedi.
“Non è così…”.
White lo guardò. “Ho passato sei mesi della mia vita qui inseguendo la persona sbagliata, che era dall’altra parte del mondo… e mi ha deluso. Mi ha deluso profondamente, infliggendomi un duro colpo che nessun uomo si aspetterebbe dalla donna che ama. E poi c’è Yvonne, che da quando sono in questo schifo di città mi è sempre stata accanto, ed è sempre stata disponibile. Ed è bella… White, tu non la vedi quant’è bella? Ogni volta che vedo i suoi occhi il mio cuore diventa liquido e non… non so più che dire. E poi mi bacia e tutto diventa confuso, e quando arriva la notte vuole che io la ami. E niente nella mia vita, niente! Proprio niente, è mai stato così semplice, per me… Perché ora come ora non riuscirei a vedere nessun altro accanto a me, che non abbia la sua voce dolce e il suo profumo delicato”.
White rimase a fissarlo in silenzio, e Ruby dovette attendere quasi un minuto, guardandola dritto in quei pozzi azzurri, prima che abbassasse la testa, sconfitta.
“Vai via. E fai funzionare le cose… Tu è Yvonne siete la nostra più grande risorsa. Non rompere questo giocattolo”.
Ruby annuì, si voltò e se ne andò.

*


Unima, Austropoli, Main Street, 28 luglio 20XX

“Siamo per strada… Questa cosa è un tantino bizarre…”.
“Lo so, Yv, neppure io condivido ma la cosa ci sta portando un casino di pubblicità… Voltati un momento”.
Nascosti da un grosso panel pubblicitario con sopra la faccia di Yvonne, Ruby stava sistemando meglio il vestito addosso alla modella.
Era un semplice ed elegante tubino a fantasia floreale, con un grosso fiocco sulla schiena.
“Benissimo” fece, voltandosi e guardando Kimberly indossare le scarpe.
“Mi sta bene il vestito?” domandò Yvonne.
“L’ho disegnato pensando a come ti sarebbe stato, piccola. Questo come tutti gli altri. Se ci fossero venti versioni di te, con ogni probabilità sarei ricco già da un pezzo”.
Yvonne sorrise e si avvicinò all’orecchio dell’uomo. “Saresti con ogni probabilità l’uomo più fortunato della Terra…” sussurrò tra i denti. Gli baciò una guancia e si allontanò.
La musica in sottofondo era come sempre alta e invadente, e non permetteva alle persone di parlare a un volume normale; le modelle però non sembravano minimamente disturbate dalla cosa.
Erano ormai abituate alla folla. Ma quella non s’accalcava sui marciapiedi, spingendo sulle transenne per poter toccare quelle bellissime ninfe avvolte in abiti preziosi quanto i materiali che li componevano.
La gente era affacciata dai palazzi, chi infastidito dalla musica, chi strabiliato dalla bellezza degli abiti, chi da quella delle modelle.

La settima sfilata, White l’aveva organizzata per strada. Proprio come aveva minacciato di fare.
Aveva bloccato la Main Street di Austropoli.
Tanto è pedonale…” aveva ribattuto, al timido tentativo di Ruby di farle cambiare idea.
Non ci sarebbe mai riuscito.
Aveva ottenuto immediatamente i permessi dal comune, per quella cosa.
Sì, i marciapiedi saranno liberi. La gente potrà camminare tranquillamente alla destra e alla sinistra della passerella…”.
Hai pensato proprio a tutto, vero?”.
“Sì. Hai disegnato qualche abito nuovo?”.
“Li ho anche confezionati, White”.

Fu la superstar della sfilata, quella sera.
Tutti non ebbero occhi che per lei. E a fine evento tutti chiamarono a gran voce lo stilista, che si presentò accanto a lei e a White, salutando il pubblico.
Yvonne lo baciò davanti al mondo, con le telecamere che puntavano su di lui.
Tornarono a casa, fecero l’amore e si svegliarono direttamente l’indomani, più leggeri e sorridenti.

*


Unima, Spiraria, 22 agosto 20XX

Il mare era calmo. Il sole batteva ma una leggera brezza riusciva ad alleggerire gli animi più accaldati presenti su quella spiaggia.
Yvonne indossava un monokini celeste, che risaltava tanto sulla sua pelle dorata. Quella aveva levato i grossi occhialoni da sole neri e il cappello a tesa larga beige, correndo faticosamente verso la battigia, dove la sabbia non scottava.
Ruby sorrise, qualche metro più indietro; le pareva una bambina.
“Bon Dieu! L'eau est très froide!” urlò, sotto gli occhi incuriositi dei presenti. “Vieni!”.
Il ragazzo sorrise, vedendola tendere una mano in sua direzione, nonostante fosse a più di venti metri di distanza da lei.
“Un momento! Un momento…” fece, levando la maglietta e appendendola sotto il loro ombrellone.
Levò gli occhiali e avanzò, dapprima lentamente, poi i piedi cominciarono a bruciare e quella che doveva essere una camminata lenta e posata divenne una corsa sgraziata in piena regola.
Yvonne rideva.
Ruby affondò i piedi nell’acqua, che da lontano pareva turchese, diventando trasparente non appena vi fu vicino. La sabbia era chiara e piccoli pesciolini nuotavano accanto alle dita smaltate di Yvonne.
“Ti prego, non schizzarmi… è freddissima”.
Il ragazzo si limitò a sorridere e a caricarla in spalla, facendola urlare, e cominciò a camminare robotico in avanti, fino a quando l’acqua non gli arrivò all’ombelico.
“Piano! Fai piano!” urlò ancora lei, e dopo qualche secondo entrambi s’immersero nell’oceano congelato.
Sott’acqua, i capelli della ragazza si muovevano sinuosi. Quando uscì si ordinarono educatamente lungo la sua schiena.
Tu es un connard!”.
Ruby riemerse pochi secondi dopo, con l’acqua salata che gli baciava le labbra. Riaprì gli occhi e sorrise alla donna, che gli si avvinghiò addosso.
“Mi hai chiamato stronzo…” sussurrò lui.
“… è la verità…”.
Rimasero entrambi in silenzio, avvolti dal vociare lontano dei bambini e dal sottofondo soffice delle onde del mare.
“Sei davvero bellissima” disse quello, puntando gli occhi rubini sul volto della ragazza di Kalos. Quella abbassò leggermente lo sguardo, catturando qualche goccia che ballava sulla sua bocca.
“Anche tu”.
Strinse con vigore la schiena di Ruby, lei, avvicinandosi al suo viso e poggiando le labbra sulle sue.
Le loro lingue ballarono una danza lenta e sinuosa, culminando in uno sguardo tormentato e voglioso.
“Io ti amo…” sussurrò lei, affondando il viso nel suo collo.

I loro cuori presero a battere all’unisono.

“Anche io”.

Quella sorrise, stretta tra le sue braccia e sorretta dall’oceano.
Yvonne aveva assaggiato il paradiso.

*


Unima, Austropoli, Main Street, Casa di Ruby (Appartamento 19-C), 12 Ottobre 20XX

L’aria era diventata ormai molto più fredda, nella regione della libertà.
I corpi scoperti e accalorati venivano nascosti da panni più pesanti, che deformavano l’aspetto della gente ma che la proteggeva dai forti venti che venivano dal mare.
La salsedine tagliava la faccia, in inverno, quando si camminava sul lungomare.
Il giorno prima, Yvonne e Ruby erano andati a passeggiare nella zona portuale, dove i palazzi non riuscivano ad arrivare e dove il rumore delle onde che sbattevano contro le banchine avevano il potere di allontanarti dal mondo, anche solo per un istante.
Lui l’aveva stretta in un forte abbraccio, lei sorrideva, lui era felice di essere lì.
“Mangiamo qualcosa?” domandò lei.
“Grassona…”.
L’altra sbuffò e si avvicinò al carretto verde sulla sinistra, dove un vecchietto dalla salopette di jeans che si faceva chiamare Sammy Sam (al secolo Samuel Samson), vendeva pannocchie bollite.
“Me ne dia due” sorrise Ruby, mettendo mani al portafogli e vedendo Yvonne stopparlo.
No. Queste le offro io”.
Ruby rimase fermo, mentre vedeva la modella aprire la piccola borsetta e tirare fuori i tre dollari che il re della pannocchia (così c’era scritto sul suo carretto) aveva chiesto per le due spighe.
Mangiarono, tenendosi per mano.
Lei si sporcò, ma tant’era, si sporcava sempre.
Arrivati verso la punta sud, dove un grande veliero nero era ormeggiato e ballava sotto l’incedere delle onde aggressive di quel pomeriggio, lei lo tirò a una panchina.
Si sedettero e lei lo guardò, sorridente.
Je suis tres…”.
“Yv… Usa la mia lingua”.
Excuse-moi… Sono molto felice di essere qui con te…”.
Si stava impegnando, la ragazza, a non usare più il francese. Ruby di tanto in tanto l’aiutava.
“Anche io, mia piccola baguette…”.
Quella inarcò il sopracciglio destro e arricciò il naso, facendo ridere il ragazzo.
“Non sono una baguette”.
“Non parlare francese”.
“Non è francese! Baguette è baguette!”.
“Lo hai fatto di nuovo…”.
“È un soprannome orribile!”.
“Probabile…” sorrise lui, affondando la faccia nella spiga. “Ma è così. Come dovevo chiamarti? Madeleine?”.
“No, per carità!” esclamò. “Avevo una compagna di classe che si chiamava così, e la odiavo. E anche lei odiava me!” fece, mangiando a sua volta. “Era così… antipatica…” continuava, masticando il mais. “E poi mi tirava i capelli. Era soltanto gelosa di me”.
“Beh, non è stata l’ultima…” sorrise l’altro.
Quella lo guardò, confusa.
“È un complimento?”.
L’altro rise di gusto. “Ovviamente. Vuol dire che t’invidiano”.
“Oh, grazie mon petit croissant…”.
Parla la mia lingua…” sbuffò l’altro. Quella sorrise e poi si baciarono. Finirono per tornare a casa subito dopo.
Cenarono leggero, levarono quei panni grigi, come quella giornata uggiosa e finirono sfiniti nell’abbraccio reciproco, trovando il corpo caldo che tanto bramavano e che finiva per completarli.
E Yvonne toccava le stelle, quando lui la riempiva, si muoveva su di lei e la faceva danzare ai suoi ritmi, facendola sentire liquida come acqua che scivolava tra le dita.
S’addormentarono, lui prima, lei dopo.
Ma poi lei si alzò, e quando tornò sentì Ruby lamentarsi.
Sognava.
Sognava qualcosa.
No.
Sognava qualcuno.
“No… Sapphire…” bofonchiava, con le labbra baciate dalle prime coperte invernali, nonostante quell’autunno possessivo stentava a lasciare il passo ai freddi più pungenti.
Ma nella testa della donna c’era solo un nome.
Solo un dubbio.
“Merd”.

*


Unima, Austropoli, Main Street, Casa di Ruby (Appartamento 19-C), 15 Ottobre 20XX

“Tieni”.
Pioveva.
L’acqua batteva sulle grandi finestrate, mentre il vento spingeva qui e lì foglie rossastre e giallastre.
Yvonne alzò lo sguardo, illuminato dal fuoco del camino, non appena sentì la voce del suo uomo chiamarla. Lui le porse una tazza di cioccolata calda, fumante, che lei accolse e poggiò sul petto.
Merci…”.
“Non in francese…”.
Uff…”.
Il fuoco scoppiettò, lasciando che qualche scintilla salisse verso l’alto e sparisse oltre il comignolo.
Incessante, la pioggia aumentò d’intensità. Gli schizzi che battevano sui pavimenti del terrazzo rimbalzavano sui vetri e davano alla città un aspetto malinconico e buio.
Tutto, nell’appartamento di Ruby, si stava nascondendo nelle ombre. Soltanto il fuoco combatteva come l’ultimo soldato, a illuminare l’ambiente.
E gli occhi di Yvonne, che risplendevano.
“È un paio di giorni che ti sento strana… È successo qualcosa con le altre modelle?” domandò Ruby, accomodandosi accanto a lei e stendendo sulle loro gambe un caldo plaid a rombi celesti.
“Nessun problema, con le ragazze”.
“Sicura? Ho sentito che qualcuna si stia lamentando… Credono che ti dia gli abiti migliori perché vieni a letto con me”.
“Hanno ragione” annuì l’altra, sorridendo leggermente, tornando poi a indossare l’espressione seria, quasi persa a ogni movimento sinuoso delle fiamme. “Ma non è questo. Ho una bocca e so rispondere a queste stronzate…”.
Ruby inarcò le sopracciglia. Yvonne non era mai sboccata.
“Sicura che non c’è nulla di cui tu mi voglia parlare?”.
Quella annuì, affondando poi le labbra nella cioccolata bollente. “Sì” fece. “Vai tranquillo”.
Lui annuì, ipnotizzato come l’altra dallo spettacolo rosso davanti ai suoi occhi, e cinse la donna con un braccio dietro al collo.
“Sei sicura?”.
“Hai sognato Sapphire” fece lei. “Un paio di giorni fa, quando abbiamo mangiato la spiga. Siamo tornati a casa e abbiamo fatto l’amore. E tu hai sognato Sapphire…”.
Il ragazzo dagli occhi rossi sospirò.
“A dire il vero non ricordo…”.
L’altra sbuffò e poi sorrise, lungi dall’essere divertita.
“Sei gelosa?” chiese l’altro, col piglio di chi voleva sdrammatizzare. L’altra però lo bruciò con lo sguardo, riflettendo le fiamme che nascevano dal camino e che le illuminavano lo sguardo.
“Non sono gelosa. Ma ho paura”.
Ruby inarcò un sopracciglio.
“Paura? Di che cosa?”.
Yvonne sospirò e si alzò in piedi, poggiando la tazza piena di cioccolata sul bordo del tavolino. Poi si voltò verso il suo ragazzo.
“Siete stati assieme per vent’anni, forse di più… è giusto che lei sia ancora nei tuoi pensieri, fino a poco tempo fa non ero che lavoro, per te… ci può stare. Ma se è così io voglio saperlo”.
Gli occhi del ragazzo diventavano sempre accesi ogni secondo che passava. La pioggia continuava a battere.
“Io non penso a Sapphire”.
L’altra fece rapidamente cenno di no con la testa.
“Tu l’hai sognata. Tu hai pronunciato il suo nome” ribatté Yvonne, alzando leggermente la voce e cominciando a gesticolare. “Ed eri contrariato con lei. Aveva fatto qualcosa che ti dispiaceva…”.
“Yv, cambiamo discorso, per favore. Non posso… spiegarti, al momento, ma è complicato… Sto vivendo questa storia alla giornata”.
“Alla giornata?!” esclamò l’altra. “Io e te condividiamo un loft, Ruby! Stiamo assieme, abbiamo una relazione e se c’è un problema è giusto che tu mi dica tutto!”.
Il ragazzo sbuffò e girò la testa dall’altra parte. Gli appartamenti del palazzo di fronte erano tutti illuminati.
“Non so che dirti, Yv. Era un sogno. Io sto con te, ora. Sapphire fa parte del passato”.
“Io ho soltanto paura che un giorno tu mi abbandonerai, perché vorrai tornare con lei!”.
“Non ho alcuna intenzione di farlo”.
“E anche allora non ti fermerò! Ma ti prego: se lo sai, adesso, dimmelo. Perché ho già sofferto tanto e non voglio che succeda più…”.
Una lacrima adornò come un gioiello il viso della bella. Ruby si alzò in piedi e la prese per mano, tirandola a sé e stringendola in un abbraccio accogliente.
Si guardarono, loro. Gli occhi dell’una negli occhi dell’altro.
“Non ho intenzione di perderti. Sei il treno che passa soltanto una volta, nella vita”.
Lei chiuse leggermente gli occhi, poggiando la testa contro il petto dell’uomo. Sentiva il cuore battere e il suo profumo, pungente ed elegante, entrarle nelle narici.
“Io ho paura di perderti…”.
“Non mi perderai”.
“Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e non voglio perderti”.
“Ho detto che non mi perderai”.

*


Unima, Austropoli, Charity Avenue, 16 Ottobre 20XX

"No, ma parla, che ti ascolto...".
"Non mi ascolti per niente...".
"Hai proprio ragione. Aspetta un minuto".
Le Loboutin della Presidentessa battevano rapide sul marciapiede elegante di una delle zone più in dell'Austropoli residenziale.
Lì non c'erano cartacce che svolazzavano nel vento autunnale o crepe nel cemento che si riempivano d'acqua.
Lì c'erano gli alberi, accerchiati da deliziose aiuole circoscritte a ogni angolo.
Le foglie erano quasi tutte per terra. I rami erano praticamente nudi.
"Sì, aspetto..." disse Ruby, vedendo White allontanarsi per un attimo e attaccarsi al cellulare. Probabilmente un giorno avrebbe pagato l'aver abusato di tale diavoleria ma doveva ammettere che era soltanto grazie a quella che era schifosamente ricca e potente.
La guardava, nel suo cappottino a quadri grigio e nero, seduta sul cofano di una vecchia Lincoln. Blaterava qualcosa riguardo uno spot che sarebbe finito in televisione con protagonista Aloé.
Ruby neppure li sentiva più, quei discorsi. Si limitava a fare bene il suo lavoro, per poi tornare a casa e aspettare Yvonne che ritornasse dalle sue commissioni.
Ultimamente era spesso fuori. La discussione del giorno prima l'aveva fatta uscire dal proprio nido di silenzio, ma era diverso tempo che si comportava in maniera strana.
Per via di Sapphire, poi...
Non aveva molto senso. Lui aveva deciso di cancellare Sapphire.
Di cancellare la sua vecchia vita.
Eppure era bloccato a metà su di una scaletta tra il cielo e il baratro, con la paura di scendere e di salire.
Non stava davvero pensando a Sapphire. Cioè, la stava sognando, ma sognare qualcuno che ti è stato accanto per anni forse era normale.
Insomma, sognava ancora gli esaminatori scolastici il giorno del diploma.
No, non sognava di esser nudo.
Sognava di non saper nulla, e la cosa era disagevole. La viveva come un'onta, lui, che era sempre stato il migliore della classe.
"Va beh, sono con Ruby Normanson a Charity Avenue, ci sentiamo dopo per i dettagli tecnici... l'importante è aver stabilito quelli economici".
White si avvicinò, riponendo il cellulare nella borsetta e sorridendo con sguardo pulito all'uomo.
"Eccomi. Ora sono tutta tua. Mi volevi parlare d'Yvonne?".
Il ragazzo riprese a camminare.
Era combattuto. White era stata ben chiara:

Non rompere il giocattolo.

Ma la sua donna era triste e sinceramente non aveva voglia di prediche.
Sbuffò; tutta quella compagnia femminile stava cominciando a diventare un peso.
"No, lascia perdere, ho risolto. Ma dove diamine siamo?".
"A Charity Avenue, l'ho detto prima" fece quella, riprendendo a camminare energica.
Ruby sbuffò.
"Questo lo avevo capito. Intendo dire, che ci facciamo qui?".
"Volevo portarti a vedere casa mia".
Il ragazzo spalancò gli occhi.
"Tu hai una casa?".
White lo guardò torva, sbuffando. "Non dormo in ufficio, nonostante abbia la vista migliore di Austropoli".
Percorsero l'intera strada, altri tre minuti di passeggio, costellati di chiacchiere di circostanza.
"Ma Yvonne sa che tu vivi qui?".
"Sì, c'è stata qualche mese fa. Mi ha accompagnato prima del matrimonio".
"E da quanto abiti qui?! Non sapevo che avessi una casa in un quartiere così raffinato...".
White aveva sbuffato, portandosi i capelli dietro le spalle.
"Credevi che dormissi nel Southside?".
Ruby sorrise.
"No, nel Southside no. Ma credevo che non abitassi lontano dalle... mie zone, ecco...".
Quella replicò al sorriso e annuì.
"Le tue zone… Abbiamo dimenticato che sei un forestiero?".
Avevano voltato l'angolo, verso Rainbow Street, e una schiera di casette dai tetti color magenta gli si presentò davanti agli occhi.
Tutte uguali, quelle, tutte gemelle. Avevano dei deliziosi steccati bianchi a delimitare i piccoli giardinetti, con l’erba rigogliosa che avrebbe finito per seccarsi dopo le prime nevicate.
La terza casa aveva gli infissi bianchi. Forse era l’unica, in tutta il quartiere, a non averle abbinate al colore del tetto.
“Qui?” domandò lui. Vide l’altra annuire e il piccolo cancelletto.
Camminarono sul viottolo mattonellato, sorpassando la piccola cassetta della posta, dalla quale White prese un paio di buste da lettera candide.
“Black non è ancora uscito di casa…” sussurrò tra i denti. Frugò nella borsa, davanti alla porta, cercando le chiavi. Quando le trovò poggiò la borsa tra le mani di Ruby e le infilò nella serratura. “O forse non le ha viste, come suo solito…”.
L’ingranaggio scattò e l’ingresso della piccola villetta a schiera diede loro il benvenuto, con quell’aria di pulito e malva che si tuffò sui loro volti e gli riempì di freschezza i polmoni.
“Ti facevo tipa da maniero…” faceva l’altro, cedendo la Micheal Kors alla legittima proprietaria e guardandosi intorno. I suoi occhi rubini rimbalzavano da un lato all’altro dell’ampio salotto, arredato con gusto.
“Anche io. Ma questo quartiere è il mio feticismo. Black!” urlò poi, in direzione della tromba delle scale.
“È in casa?”.
“È un po’ qui e un po’ lì, come sempre… Stava meditando di fare richiesta per diventare Capopalestra…”.
“Ce l’hai fatta…” sorrise il ragazzo, a mezza bocca. “L’hai catturato, il tuo uomo…”.
“Il mio lavoro m’impone di stare ad Austropoli. E lui ha già girato abbastanza…”.
Per un attimo a Ruby sovvennero le parole di Sapphire, il giorno del litigio.

Credi che vincere contest e cazzeggiare nelle tv locali fosse un lavoro?

Snaturarsi per amore era la via della felicità, forse.
Black si era rassegnata, aveva appeso il Pokédex al chiodo e aveva deciso di dedicarsi alle cose belle che sua moglie non era riuscita a offrirgli per via della distanza, in tutti quegli anni.
Non che rimpiangesse la sua scelta di vita, ma Ruby non sapeva se la cosa migliore da fare fosse effettivamente cedere o lasciare che a cedere fosse l’altro.
La testa gli diceva che era più semplice adottare il cuore di Yvonne nella sua vita e vivere un’esistenza fatta su misura per lui, in cui lei fosse inclusa pienamente; il suo cuore, però, gli diceva che aveva buttato nel cesso vent’anni con una donna che alla fine dei conti non aveva fatto altro che disprezzarlo perché lui fosse fatto in quel modo.
Alla faccia dell’accettazione del prossimo.
Provò a immaginare Sapphire ad Austropoli; con ogni probabilità sarebbe finista per impazzire e arrampicarsi sui lampioni di Portrose Place.
“Eccomi tesoro, sto scendendo…” faceva Black, saltando rapidamente da un gradino all’altro. I piedi nudi dell’uomo battevano sul marmo di Carrara.
White si voltò e levò il cappotto, sbuffando.
“Speriamo sia presentabile…”.
Quello si presentò, per tutta risposta, in tuta e felpa grigia. Sportivo.
“Oh, Ruby!” esclamò, sorridente. Aveva i capelli totalmente spettinati.
I due si strinsero la mano ma il primo pensiero dello stilista fu che la figura che si era trovato davanti assomigliasse al lontano parente dell’uomo in completo che aveva sposato qualche mese prima il suo capo.
“Ciao, Black. Come va?”.
“Benissimo” sorrise ancora l’altro, muovendosi rapido verso sua moglie e baciandola con passione. Dopo un paio di secondi quello le prese il cappotto da mano e lo appese.
“Vi preparo un drink. Come mai sei passato a trovarci?” domandò l’uomo, avanzando rapido verso il salotto.
“Dovevamo parlare di lavoro” s’inserì White. “Tu non sei uscito?”.
Il divano vecchio stile era comodo e i termosifoni tenevano al caldo. Dietro a un piccolo angolo bar, Black stava versando degli alcolici in uno shaker.
“No. Sono rimasto a fare un po’ di allenamento qui in casa… Margarita va bene a tutti?”.
“Più che bene, grazie” annuì Ruby.
White lo guardò, corrucciando lo sguardo.
“Ma tutto bene?”.
Quella strega percepiva ogni cosa.
“Sì, tutto bene. Cominciamo?” chiese l’altro.
La vide annuire e quindi aprì sulle sue ginocchia, lo stilista, la cartellina che aveva con sé. Poggiò tra le mani della donna diversi bozzetti d’abiti da confezionare.
La donna li scorreva lentamente, saggiandone con lo sguardo ogni minimo dettaglio.
“Questo qui mi sembra strano” fece, mettendo il foglio da parte.
“Attenta alla china, che sporchi il divano”.
“Non sia mai” aggiunse ironicamente Black, dalle retrovie, avvicinandosi un minuto dopo reggendo un vassoio coi drink.
White prese il suo Martini glass senza distogliere gli occhi dai modelli.
“Bello questo…”
Ruby annuiva, con le sopracciglia arcuate e il cuore che batteva. Aveva meno ansia del primo giorno, certo, ma ogni volta che sottoponeva alla sua socia i suoi lavori pareva che il tempo scorresse più lentamente.
Black gli si accomodò accanto, affondando nel divano e guardando l’orologio.
Pareva annoiarsi.
Guardava Ruby, con la testa bassa e le mani incrociate sulle ginocchia.
“Tu allenavi, giusto?”.
Sia l’ospite che sua moglie alzarono lo sguardo ma perse l’attenzione della prima, che riabbassò gli occhi sul disegno di una gonna lunga a fantasia geometrica.
“Beh, non proprio. Ho partecipato a vare gare, però”.
“Gare?” domandò lui. “Vieni da Hoenn, giusto?”.
Ruby annuì.
“Sono il corrispettivo dei contest, più o meno… Non ho allenato davvero, ma mi sono ritrovato con Pokémon belli cresciuti…”.
“Bene. La Lega di Hoenn mi hanno detto non essere la più semplice di tutte”.
Lui fece spallucce. “Conosco bene i Superquattro di Iridopoli, ma non posso dirti di averli mai fronteggiati”.
“Sono stato a Hoenn sei anni fa, io”.
“Andate a giocare fuori” fece White, facendo cenno con la mano di allontanarsi.
“Non volevo disturbarti, tesoro. Andiamo” disse poi al ragazzo, alzandosi in piedi.
Gli fece strada su di un pregiatissimo parquet Wengè-Panga e poi oltre, salendo quelle fantastiche scale marmoree, adornate da un corrimano di ferro battuto.
Arrivati al piano superiore, l’uomo lo fece entrare all’interno di uno studiolo, probabilmente dove White portava il lavoro dall’ufficio. Si limitò ad aprire il balconcino e a uscire fuori.
“Andiamo qui fuori… Non ci sentirà”.
Ruby aggrottò la fronte. “In che senso?”.
“Si vede che non va tutto bene, Ruby…”.
Il ragazzo spalancò gli occhi, vedendo l’altro appoggiarsi alla ringhiera che dava sulla strada. Una coppia camminava stringendosi la mano.
“Come, si vede?”.
Lo raggiunse, lo vide sorridere.
“Non so che cosa succeda quando ti passa qualcosa per la testa, ma ti si legge in faccia. Sei come… contrito” disse quello facendo una strana smorfia.
L’altro fece spallucce e sospirò.
“Ho avuto una brutta discussione con Yvonne”.
“Oh. La top model…”.
“Già”.
“Komor mi ha detto che è parecchio sofisticata, come ragazza”.
Ruby sorrise.
“Beh… Non è proprio l’esempio della ragazza sempliciotta, ecco…”.
“Ce l’ha palesemente con te per averle rubato il sogno di una vita, sappilo” sfotté l’altro.
“Mi scuserà, immagino”.
“Penso debba farlo per forza. Dicevi?”.
Una macchina passò davanti a loro. Dai finestrini chiusi riuscivano a sentire Corcovado in una salsa deliziosamente jazzata.
“Dicevo che mi ha sentito mentre pronunciavo il nome della mia ex fidanzata”.
Black batté le sopracciglia un paio di volte e storse il muso.
“Non puoi pronunciare il nome della tua ex?”.
“Non se dormo, intanto”.
“Oh”.
Risero leggermente, entrambi.
“Hai sognato la tua ex?” domandò Black, bevendo il margarita.
“Credo di sì, a questo punto… Non che io ricordi, insomma”.
“Si è ingelosita”.
“Parecchio. Il fatto è che è la prima volta che ci si presenta un… problema, sai, uno più serio. Abbiamo discusso per una marea di cose ma…”.
“Ma sostanzialmente erano tutte stronzate”.
“Tutte stronzate, sì. Ma questa volta no. Questa volta il discorso era serio, e lei era…”.
Gli occhi di Ruby si spalancarono all’improvviso; sentiva nel petto il cuore battere con vigore.
“Com’era?”.
“Incazzata. Lei era incazzata”.
Black sorrise e annuì. “Beh, mi pare accurata, come descrizione”.
Lo stilista sorrise gentilmente, ma poi fece cenno di no con la testa. “Il problema è che era palesemente tirata… cioè, non voleva che qualcosa d’importante si mettesse di mezzo tra me e lei”.
“Lei tiene a te” annuì l’altro. “Quando la inquadrano lo si vede in maniera chiara. Sembra aver trovato un tesoro”.
“E anche io, stanne certo”.
Si depositò uno strato di silenzio tra i due. Il ragazzo con la cicatrice si grattò la clavicola e alzò la testa verso il cielo, dove il giorno veniva lentamente intriso di quel buio avido, che inghiottiva la città.
“Sta di fatto che hai sognato la tua ex. Come si chiamava?”.
“Sapphire” rispose prontamente. “Ma potrebbe non esser successo. Non ricordo”.
Black rise, quasi schernendo Ruby.
“Cosa?” domandò quest’ultimo.
L’altro bevette un altro sorso dalla coppetta e poi rispose.
“Fai di tutto per giustificare la situazione. Tuttavia non riesci a definirla. Perché ti senti in questo modo?”.
“Perché non voglio che Yvonne stia così per via di Sapphire”.
“Benissimo. E allora devi dimostrare a Yvonne che Sapphire non fa più parte della tua vita. Sai come fare una cosa del genere?”.
Lui rimase un po’ a pensarci ma poi annuì.

Commenti

Post popolari in questo blog

Zack vs Campione della Lega

Ciao ragazzi! Finalmente è arrivato il momento di leggere come va a finire l'avventura, ambientata nel recente passato di Zack, in cui sfida la Lega Pokémon di Adamanta. Come semrpe troverete tutte le informazioni sui nostri blog ed altro sulla pagina Facebook Pokémon Adventures ITA , dove DOVETE passare! Troverete di tutto! Martedì prossimo uscirà il nuovo capitolo del manga di Pokémon Back To the Origins! Non mancate! Andy $ Ok. L’ultima porta era stata chiusa. Ora l’unica cosa da fare era calmarsi un attimo e rilassarsi. Quella giornata aveva regalato fin troppe emozioni. Una piccola anticamera buia, poco illuminata, precedeva un lungo corridoio, che si concludeva con un’enorme porta dorata. Zack decise di tirar fuori tutti i suoi Pokémon. Gyarados, Torterra, Lucario, Braviary ed Absol. E Growlithe, naturalmente. Tutti lì, tutti fermi, tutti in   ansia, tutti in attesa che qualcosa fosse accaduto. Aspettavano che le parole uscissero dalla bocca di

Frammenti - Shot 1 - Levyan

Frammenti - Orizzonte Frammenti. Deboli soffi di vita nella violenta tempesta che è l’esistenza. A volte destinati a sparire, a volte pronti a moltiplicare. Come un soffio di vento trasporta il polline che andrà a fecondare un'altra pianta dalla quale nascerà la vita, alcuni momenti, per quanto brevi, danno il via a qualcos’altro, qualcosa di più grande.   L’aria era fredda, il gelido inverno era alle porte e i sempreverdi costellavano i boschi innevati che circondavano la cittadina di Nevepoli. Quell’anno, le grandi nevicate erano arrivate prima e già, il ventesimo giorno di dicembre, i fiocchi di neve scendevano copiosi sui tetti della città. Lo spettacolo che davano quelle minuscole e complesse opere d’arte di cristalli di ghiaccio, passando di notte sotto la luce dei lampioni per poi andare a posarsi a terra sciogliendosi, era qualcosa di meravigliosamente inquietante. Un gelido calore pervadeva le strade, ridotte ormai a soffici torrenti di neve. Nell’attimo

Quindicesimo Capitolo - 15

Salve ragassuoli, mi dispiaccio ogni volta per il ritardo nella pubblicazione, e mi rendo conto che sta diventando un disagio. Ecco perchè, dalla settimana prossima, per problemi di lavoro, la fan fiction sarà pubblicata il MARTEDì. Chiedo ancora scusa, e spero di non aver recato disagio. Ringrazio tutti quelli che hanno messo mi piace alla pagina   Pokémon Adventures ITA . Vedere il seguito crescere ogni giorno di più è una grande soddisfazione. Sei su EFP? Vieni a recensirci anche lì!  Andy Black, autore su EFP Ricordo sempre che il nostro progetto, Pokémon Courage ha bisogno di sostegno da parte vostra...niente soldi, tranquilli, basta solamente un po' di partecipazione. Siamo davvero così pochi a leggere questa bellissima storia? Entrate anche voi a far parte della famiglia di Pokémon Courage . Ho finito con le raccomandazioni. Cominciamo. Stay Ready...Go! Andy $   “Rachel...sei davvero tu?” chiese sgomento Ryan, quasi commosso. Zorua fece un