Trottola di Legno
Data confidenziale. Luogo confidenziale.
Le porte dell’ascensore si aprirono, e alcuni dei suoi colleghi le
oltrepassarono, diretti ai loro uffici. Le porte si chiusero nuovamente.
L’ascensore riprese a scendere, per poi fermarsi al piano successivo.
Stesso procedimento di prima: alcuni dei suoi colleghi uscirono, salutando i presenti, poi le porte si chiusero, e l’ascensore riprese a scendere.
Stesso procedimento di prima: alcuni dei suoi colleghi uscirono, salutando i presenti, poi le porte si chiusero, e l’ascensore riprese a scendere.
Ad ogni fermata successiva l’ambiente si svuotò sempre di più,
lasciandolo, come sempre, da solo. Erano quelli i momenti in cui iniziava a
riflettere sul serio, senza fastidi dal mondo esterno. Aveva visto molti film
con delle scene in un ascensore, dove c’era sempre quella classica ‘musica da
ascensore’, eppure in quello che stava utilizzando lui regnava il più totale
silenzio.
“Spesso le convinzioni delle
persone sono del tutto errate, basate su una credenza popolare e nulla di più”
gli venne spontaneo pensare.
Armeggiò col tesserino che portava fissato al taschino sinistro del suo
camice, sistemandolo come meglio poteva. Utilizzò lo specchio dell’ascensore e
si diede una rapida controllata. I capelli, biondi e lunghi, erano
perfettamente ordinati, tirati indietro sul capo. I suoi occhiali da vista
erano posizionati in modo ottimale sul viso, sporgendo della stessa distanza da
entrambi i lati del naso. I suoi occhi azzurri parvero creare una debole
scintilla quando incontrarono i loro doppi all’interno dello specchio. Le
labbra carnose si sorrisero a vicenda, mentre il suo doppelgänger controllava
il suo aspetto, lì dall’altra parte dello specchio.
Le porte dell’ascensore si aprirono anche per lui, finalmente, una
volta giunto nel punto più basso della struttura.
Era ormai più di un anno che lavorava lì, nel laboratorio chiamato “Knowhere”,
finanziato dall’associazione Lega Pokémon di Sinnoh. Situato nel bel mezzo del
nulla, vicino Nevepoli, il laboratorio si sviluppava interamente sotto terra,
con la sola eccezione dell’ingresso nascosto alla vista e sorvegliato
perennemente, posto in mezzo a una serie di baite che erano anche le residenze
del suo personale. Data la sua struttura, era stato rinominato dai suoi stessi abitanti
come “L’Alveare”. All’interno di quei
laboratori, i migliori ricercatori in ogni campo erano riuniti per condividere
le proprie conoscenze e, insieme, trovare le risposte a ciò che circonda l’uomo
e a trovare sempre innovazioni che potrebbero migliorare la vita di Pokémon ed
esseri umani, sostenendo al contempo l’ambiente. Mano a mano che si scendeva
più in profondità, la delicatezza, come la segretezza dei progetti in sviluppo
cresceva in maniera esponenziale: molti degli esperimenti lì svolti potevano
diventare causa di un’estinzione di massa, nelle mani di persone sbagliate. Era
per questo che l’intero Congresso della Lega Pokémon di Sinnoh, in
collaborazione con le Leghe di tutte le altre Regioni, aveva deciso di
posizionare Knowhere in uno dei luoghi più ostili e remoti, utilizzando
l’ambiente naturale come difesa primaria delle scoperte fatte.
Con suo grande orgoglio, a lui era stato affidato il controllo del
laboratorio Z-22, uno dei più riservati e forniti di macchinari e risorse. A
differenza di molti suoi altri colleghi, lui faceva rapporto direttamente a
Camilla, la Campionessa in carica di Sinnoh.
Passò attraverso l’ingresso, superando i numerosi controlli di
sicurezza. Passò di fianco la sua scrivania, appoggiandoci distrattamente il
caffè. E raccolse la cartellina con i suoi appunti. Si diresse poi direttamente
verso la serra che si trovava al centro della stanza, contenente gli esemplari
più rari di piante e fiori che stavano studiando. Per preservare le loro
condizioni al massimo, ogni pianta era stata sistemata in una micro serra posta
all’interno della serra più grande, affiancate le une alle altre. La dottoressa
Lynn, specializzata come lui nello studio della flora, era già al lavoro.
- Giorno, Sabrina – la salutò lui.
- Buongiorno Arcadius. Va meglio il mal di testa?
- Sì, dormire mi ha fatto davvero bene, nonostante io abbia fatto le
tre di mattina a casa.
- Prim ti ha obbligato di nuovo a giocare con lei?
- Questa fissa dei pirati sembra non volerle passare. Credo di essere
l’unico padre ad avere una figlia di undici anni che da grande vuole solcare i Sette
Mari, conquistare ogni tesoro e diventare la regina dei pirati.
- Contro ogni previsione, è ambiziosa come il padre.
- Almeno io lo sono su cose reali e concrete. Piuttosto, ci sono delle
novità?
- No, il campione è identico a quando gli hai dato la buonanotte.
I due s’inoltrarono fra i vari cubicoli in cui erano posizionate le
rarissime piante a cui stavano lavorando, dialogando ora di questo, ora di
quello. Arrivati in fondo al corridoio, i due si avvicinarono alla porta
blindata che dava sulla zona riservata del loro laboratorio. Inserirono i
propri codici d’accesso e Arcadius fu il primo a utilizzare lo scanner della
retina. Sabrina nel frattempo iniziò a spostare i lunghi capelli, rossi come il
fuoco e ricci, dagli occhi, di un verde smeraldo. Una volta superati i
controlli di routine, i due entrarono nella zona di ricerca più sicura dell’intero
Alveare. Lì, i due, stavano studiando un nuovo tipo di pianta, un incrocio naturale
fra diverse specie aveva portato alla nascita di quel particolare ceppo, trovato
del tutto per caso da uno dei loro esploratori e portato immediatamente lì. I
controlli effettuati sul posto avevano dato risultati preoccupanti, quindi
avevano preferito trasferire la pianta in un luogo controllato e sicuro.
- Nessun segno d’infezione all’interno della camera, vero? – chiese Arcadius,
indossano la tuta protettiva.
- No, i valori sono ancora nella norma. Siamo davvero sicuri che sia
così pericoloso? Insomma, è solo un esemplare.
- Le mie analisi non sbagliano mai. La tossina presente nel singolo
fiore è in grado di eliminare tutta la vita su di Sinnoh. Immagina cosa
potrebbero fare le spore se riuscissero a moltiplicarsi e a infettare altre
piante.
I due entrarono nel corridoio che dava sulla serra della pianta,
fermandosi fra le due paia di porte isolanti. Quelle precedenti iniziarono a
chiudersi, e Arcadius e Sabrina indossarono i loro caschi, li fissarono alle
tute e si prepararono all’ingresso. Una volta che l’uscita fu sigillata, i due
vennero inondati da gas per eliminare tutte le tossine esterne e accesero le
bombole di ossigeno che portavano installate dietro le rispettive schiene. Dopodiché
le porte d’ingresso si aprirono e i due entrarono nel laboratorio.
L’aria non era velenosa o altro, anzi, era addirittura più salutare di quella
del mondo esterno, ma Arcadius non voleva correre rischi inutili. Seppure
quella pianta poteva sembrare innocua, nascondeva al suo interno una serie di
spore e liquidi così velenosi da poter sterminare un’intera razza. Avevano già
pensato di distruggere quell’esemplare, utilizzando certo qualsiasi tipo di
precauzione in modo da impedire una qualsiasi diffusione del suo veleno, però
Arcadius, e Sabrina concordava, pensava che così come ne era nato uno, così
avrebbero potuto svilupparsi a migliaia. Quindi il loro lavoro consisteva nel
trovare un antidoto, o una cura, a qualsiasi cosa ci fosse all’interno. Passavano
le loro intere giornate a studiare quel fiore, a eseguire esperimenti e studi,
prelevando campioni in quantità così minima da evitare il rilascio di spore che
sarebbero in grado di provocare la morte pressoché istantanea, per poi utilizzare
il corpo colpito come vasca di coltura per riprodursi, creando nuove piante.
Secondo le loro stime, le sue spore potrebbero essere in grado di essere
trasportate per quasi centoventotto chilometri, prima di perdere la loro
mortalità e infettività. Una settimana al massimo, e un solo esemplare potrebbe
radere al suolo la vita su Sinnoh.
Nonostante questo, quella pianta, dal fiore, unico, verde scarlatto non
aveva mai, in alcun modo, emesso spore o provocato danni di alcun genere,
neanche dopo i ripetuti solleciti esterni fatti da Arcadius e Sabrina, sempre
dietro dovute misure di sicurezza.
I due non sapevano neanche come riprodurre quella pianta, o da quale miscuglio
fosse stata generata. Quindi continuavano a studiarla, cercando ogni giorno di
trovare qualche indizio in più.
Il suono d’avviso li scosse entrambi dalle loro mansioni. Poi la musica
in filodiffusione si arrestò, e una voce parlò dalle casse.
- Dottor Wesker, l’aspetto nel mio ufficio per il resoconto
giornaliero.
Arcadius si voltò verso l’alto, andando a individuare la lunga vetrata
che si affacciava sui loro laboratori, vedendo la figura di Camilla che li
guardava. Poi la Campionessa si girò e si avviò verso la sua scrivania.
- Sono già le diciassette? – chiese a voce alta lui.
- A quanto pare sì. Non ti preoccupare, chiudo io qui, va pure da
Camilla. Magari ti aspetto all’uscita?
Arcadius aveva perso sua moglie da quando Prim aveva solo due anni,
eppure continuava a sentirsi come in dovere di non avere un’altra donna.
Inoltre c’era sempre Prim, la sua principessa, a cui doveva pensare prima di
chiunque altro.
- Non ti preoccupare, ci metterò molto. Inizia a tornare a casa, dicono
debba arrivare una tempesta.
- Posso tornare con te, no? Di solito vieni con il fuoristrada, e le
nostre abitazioni sono vicine. Mi ripagherai per la compagnia accompagnandomi a
casa.
- Hai proprio deciso di non arrenderti? Ne abbiamo già parlato, non
posso… inoltre devo prendere Prim da scuola qui nell’Alveare.
Era praticamente da quando i due avevano iniziato a collaborare che Sabrina
continuava a cercare un modo di avere un qualcosa di più di un semplice
rapporto lavorativo da Arcadius, trovandosi contro un muro pressoché
invalicabile. E nonostante fosse quasi riuscita a raggiungerne la cima delle
volte, finiva sempre, inevitabilmente, con lo scivolare lungo la parete e
ritornare a terra, senza riuscire a scalarlo.
- Sono una temeraria. E poi mi piace Prim, è una bambina bellissima.
Avanti, cucino io: so fare la carbonara migliore che tua figlia abbia mai
mangiato.
Arcadius stava per declinare per l’ennesima volta, quando gli vennero
in mente le parole di Prim di quella mattina, quando gli aveva chiesto quando
avrebbe potuto avere di nuovo Sabrina a farle da babysitter, e di ricordarle di
portare il cappello da pirata che avevano costruito insieme. Forse non era una
cattiva idea quella di cenare insieme quella sera. In un modo o nell’altro, si
era sempre sentito in un certo senso attratto da Sabrina, inoltre sembrava che
Prim l’adorasse.
- Se proprio ci tieni così tanto… basta che non mi fate trovare l’inferno
sui fornelli come l’ultima volta che hai badato a Prim e, tornato a casa, ho
trovato dei waffles bruciati pure sotto la cappa.
- D’accordo – la sentì ridere – Ti darei un bacio sulla guancia ma, con
questi cosi addosso, saremmo solo ridicoli.
Improvvisamente Sabrina fu molto più gioviale e accesa del solito,
ricordandogli il perché la trovasse così particolarmente attraente.
I due uscirono dai laboratori e rimossero le tute di protezione,
dandosi una pulita generale prima di tornare a casa.
- Prim dovrebbe essere nella zona ricreazione al terzo piano, puoi
pensarci tu mentre io vado da Camilla?
- Certo, nessun problema – rispose lei.
Sabrina gli si avvicinò, si alzò leggermente sulle punte dei piedi e
gli diede un bacio sulla guancia.
- Adesso non ci sono più quelle protezioni – disse lei mefistofelica,
sorridendo in modo malizioso.
Arcadius si massaggiò la guancia che parve aver preso fuoco, durante
tutto il tragitto fino nell’ufficio di Camilla.
Una volta dentro, si avviò direttamente verso la grande scrivania. La
zona era piena di schedari, librerie e un paio di divanetti, con un piccolo
frigo. Austero e funzionale.
Si sedette sulla poltrona, davanti quella della Campionessa.
- Scotch? – gli chiese lei.
- No, grazie, oggi passo.
Camilla ripose la bottiglia al suo posto, versandone solo un po’ nel
suo bicchiere. Lo sorseggiò con lentezza e poi parlò.
- Allora, ci sono novità?
- Tutto nella norma. La pianta non dà segni di ostilità di alcun tipo e
io e Sabrina stiamo continuando a studiarne i comportamenti. Questa settimana
siamo riusciti finalmente a isolare alcuni segmenti di DNA presi con una
biopsia.
- Perfetto. Un po’ più vicini alla meta. E quel liquido verde che
secerne?
- Pensiamo sia la linfa della pianta. È incredibile, sembra effettuare
dei cicli in totale autonomia durante i quali “purifica” il proprio corpo,
rimuovendo le scorie dannose.
Camilla annuì.
- Per questa settimana è tutto, purtroppo i procedimenti sono lunghi,
non sappiamo minimamente di cosa sia costituita la pianta.
- Lo so, lo so Arcadius. Non c’è bisogno che ti scusi ogni settimana.
Conosco bene il grado di preparazione di te e della dottoressa Lynn. I
risultati che state ottenendo sono già di quanto meglio mi aspettassi. Giorno
dopo giorno, siamo sempre più vicini allo scongiurare un’apocalisse. Ora va’
pure, è Sabato sera e sicuramente sarai esausto. Ci vediamo Lunedì.
- Certamente, a Lunedì.
Il percorso in ascensore durò meno del previsto. Il tempo gli parve
volare in un niente, mentre risaliva i centinaia di metri scavati in
profondità, ritornando alla superficie.
Arrivato al terzo piano varcò le porte, dirigendosi verso la zona dove
i bambini erano soliti giocare, sotto la supervisione di adulti, in attesa che
i propri genitori finissero di lavorare.
Individuò in nulla Prim e Sabrina, entrambe intente a giocare con delle
finte spade da pirata. Le raggiunse e Prim gli si lanciò incontro appena lo
vide, con i lunghi capelli castani che ondeggiavano al vento.
- Papà! – urlò lei, mentre veniva issata in aria da suo padre.
- Sabrina mi ha detto che viene a cena da noi stasera, è vero?
- Sì, stasera sta con noi, sei contenta?
- Tantissimo. È passato un sacco di tempo da quando abbiamo parlato, mi
hai fatto aspettare un sacco di tempo.
- Parlato di cosa? – chiese Sabrina, intromettendosi.
- Dormi da noi? – le domandò Prim, rispondendo alla sua domanda con un’altra
domanda, salvando inconsciamente il padre da una situazione imbarazzante.
La donna guardò Arcadius, emulata da Prim.
Lui non seppe dire quale dei due sguardi sembrava implorarlo di più, e
quale dei due sembrasse maggiormente quello di un cane che ti vede prendere l’ultima
fetta di pizza. Optò per Sabrina come risposta a entrambe le sue domande.
- Niente arrembaggi notturni sul mio letto alle quattro di notte? –
chiese lui.
- Niente arrembaggi notturni sul letto di papà dopo essere andata a
dormire – rispose Prim, portando una mano sul cuore, sigillando il loro patto.
- Allora se a Sabrina non dispiace condividere il letto con te, non
vedo perché no.
In quell’istante le luci tremolarono e si spensero del tutto. Poi il
terreno iniziò a vibrare e si sentirono delle esplosioni in lontananza. Le luci
si riaccesero.
- Cos’è stato, papà?
Un enorme boato coprì la risposta di Arcadius, proiettando i tre con
innata violenza per aria. Lui andò a colpire chissà cosa, per poi trovarsi
boccheggiante sul pavimento, con la schiena che rischiava di strapparsi in
pezzi. L’allarme iniziò a suonare mentre una voce ripeteva di un guasto nel
settore 7-G e chiedeva l’immediata evacuazione.
Arcadius si alzò sulle ginocchia, con la testa che gli roteava. Guardò
in avanti, dove da una voragine nel pavimento fuoriuscivano lembi di fiamme.
Sabrina era stesa di fianco a lui, incolume.
- Prim?
- Sono qui, papà – rispose lei.
Arcadius si voltò verso il suono della sua voce, individuando sua
figlia. Le corse incontro, liberandole la gamba da sotto un pezzo di soffitto
crollato. Prim cercò di alzarsi ma urlò di dolore.
- La gamba, mi fa male.
- Ti fa male? Non ti preoccupare, adesso ci pensa papà.
La sollevò prendendola in braccio. Sabrina si avvicinò ai due, un filo
di sangue le scorreva dal lato del capo.
- State bene?
- Prim si è fatta male alla gamba ma stiamo bene. Tu?
- Nulla di grave. Usciamo da qui.
I due corsero verso le scale, schivando i vari detriti che si erano
formati tutt’attorno, dovuti ai crolli. La gente sembrava impazzita, correva
ovunque, senza una meta precisa. Arcadius guidò Sabrina verso una serie di
corridoi secondari, dove a quell’ora del Sabato sera non c’era mai nessuno, in
quanto chiunque finiva di lavorare in mattinata. Così facendo recuperarono
tempo prezioso e raggiunsero una rampa di scale del tutto libera. Iniziarono a
salire quando delle altre esplosioni li raggiunsero dal basso. Il corrimano
vibrò e alcune lastre si staccarono dal soffitto. Arcadius le schivò, spingendo
a spallate Sabrina per spostarla dalla traiettoria di caduta dei corpi.
Arrivarono finalmente al piano terra, sfrecciando verso la hall. Corsero
fra la folla, guadagnandosi una rapida uscita dalle porte d’ingresso. Erano
quasi usciti, quando sentirono un altro scoppio, stavolta molto più potente. In
un solo istante Arcadius non sentì più nulla, privato di qualsiasi senso. Istintivamente
si rinchiuse attorno a Prim, facendole scudo col proprio corpo. Venne lanciato
fuori, attraverso le porte d’ingresso, dall’onda d’urto, girando su sé stesso
in aria. L’impatto con la neve gli spezzò il fiato e rischiò di farlo svenire.
Rimase sdraiato mentre la testa smetteva di rimbombare e il corpo riprendeva
finalmente mobilità. Iniziò a sentire dolore alla schiena e alle braccia.
- Prim? Stai bene? – chiese lui, alzandosi sulle ginocchia.
Sua figlia era stesa nella neve davanti ai suoi occhi, ma oltre la
gamba non sembrava aver riportato ferite di alcun tipo.
- Mi fa male la pancia…
- La pancia? – Arcadius fece per controllare, allungando una mano,
quando tante piccole gocce rosse iniziarono ad affiorare sul maglione bianco e
candido della figlia.
- No… no, no no…
Le premette una mano contro la pancia, cercando di arrestare l’emorragia.
- Ho freddo papà… tanto freddo.
- Oh dio… Un medico! Serve un medico qui! – Sabrina, che li aveva
raggiunti, iniziò a urlare, cercando di richiamare l’attenzione di qualcuno.
Ma, in mezzo a quel chaos, la sua richiesta svanì nel vento.
- Resta concentrata sulla mia voce, piccola mia. Vedrai, il dottore sta
arrivando. Dopo che ti avrà guarita, giocheremo ai pirati tutto il tempo che
vuoi.
Arcadius prese la mano della figlia fra le sue, sporche di sangue.
Le lacrime crearono solchi fra la polvere e la sporcizia sul suo volto.
Prim tossì sangue.
- Non voglio morire come la mamma… voglio stare con te.
La piccola ebbe un tremito.
- Papà… - la sua voce tacque.
La scintilla vitale abbandonò lentamente i suoi grandi occhi grigi,
mentre la testa ricadeva delicatamente sulla mano di Arcadius.
- Prim…?
Nessuna risposta.
Lui urlò, madido di sudore e con il cuore che rischiava di esplodere
dal petto. Guardò l’orologio, segnava le quattro di mattina.
Col respiro affannato, si alzò a sedere sul materasso del letto. Prese
i suoi occhiali, se li mise e accese il suo audio diario.
- Giorno millecinquecentoventitré. Mi sono svegliato nuovamente alle
quattro di mattina in seguito allo stesso incubo, in cui rivivo la morte di mia
figlia. Come ho ben capito fin dal primo giorno, è inutile provare a
riaddormentarsi, tanto non funziona. Tanto vale mettersi a lavorare e
migliorare il progetto, nome in codice: “Godslayer”.
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