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John Hancock - Bloodborne - 12. Trottola Di Legno




Trottola di Legno

Data confidenziale. Luogo confidenziale.

Le porte dell’ascensore si aprirono, e alcuni dei suoi colleghi le oltrepassarono, diretti ai loro uffici. Le porte si chiusero nuovamente. L’ascensore riprese a scendere, per poi fermarsi al piano successivo.
Stesso procedimento di prima: alcuni dei suoi colleghi uscirono, salutando i presenti, poi le porte si chiusero, e l’ascensore riprese a scendere.
Ad ogni fermata successiva l’ambiente si svuotò sempre di più, lasciandolo, come sempre, da solo. Erano quelli i momenti in cui iniziava a riflettere sul serio, senza fastidi dal mondo esterno. Aveva visto molti film con delle scene in un ascensore, dove c’era sempre quella classica ‘musica da ascensore’, eppure in quello che stava utilizzando lui regnava il più totale silenzio.
“Spesso le convinzioni delle persone sono del tutto errate, basate su una credenza popolare e nulla di più” gli venne spontaneo pensare.
Armeggiò col tesserino che portava fissato al taschino sinistro del suo camice, sistemandolo come meglio poteva. Utilizzò lo specchio dell’ascensore e si diede una rapida controllata. I capelli, biondi e lunghi, erano perfettamente ordinati, tirati indietro sul capo. I suoi occhiali da vista erano posizionati in modo ottimale sul viso, sporgendo della stessa distanza da entrambi i lati del naso. I suoi occhi azzurri parvero creare una debole scintilla quando incontrarono i loro doppi all’interno dello specchio. Le labbra carnose si sorrisero a vicenda, mentre il suo doppelgänger controllava il suo aspetto, lì dall’altra parte dello specchio.
Le porte dell’ascensore si aprirono anche per lui, finalmente, una volta giunto nel punto più basso della struttura.
Era ormai più di un anno che lavorava lì, nel laboratorio chiamato “Knowhere”, finanziato dall’associazione Lega Pokémon di Sinnoh. Situato nel bel mezzo del nulla, vicino Nevepoli, il laboratorio si sviluppava interamente sotto terra, con la sola eccezione dell’ingresso nascosto alla vista e sorvegliato perennemente, posto in mezzo a una serie di baite che erano anche le residenze del suo personale. Data la sua struttura, era stato rinominato dai suoi stessi abitanti come “L’Alveare”. All’interno di quei laboratori, i migliori ricercatori in ogni campo erano riuniti per condividere le proprie conoscenze e, insieme, trovare le risposte a ciò che circonda l’uomo e a trovare sempre innovazioni che potrebbero migliorare la vita di Pokémon ed esseri umani, sostenendo al contempo l’ambiente. Mano a mano che si scendeva più in profondità, la delicatezza, come la segretezza dei progetti in sviluppo cresceva in maniera esponenziale: molti degli esperimenti lì svolti potevano diventare causa di un’estinzione di massa, nelle mani di persone sbagliate. Era per questo che l’intero Congresso della Lega Pokémon di Sinnoh, in collaborazione con le Leghe di tutte le altre Regioni, aveva deciso di posizionare Knowhere in uno dei luoghi più ostili e remoti, utilizzando l’ambiente naturale come difesa primaria delle scoperte fatte.
Con suo grande orgoglio, a lui era stato affidato il controllo del laboratorio Z-22, uno dei più riservati e forniti di macchinari e risorse. A differenza di molti suoi altri colleghi, lui faceva rapporto direttamente a Camilla, la Campionessa in carica di Sinnoh.
Passò attraverso l’ingresso, superando i numerosi controlli di sicurezza. Passò di fianco la sua scrivania, appoggiandoci distrattamente il caffè. E raccolse la cartellina con i suoi appunti. Si diresse poi direttamente verso la serra che si trovava al centro della stanza, contenente gli esemplari più rari di piante e fiori che stavano studiando. Per preservare le loro condizioni al massimo, ogni pianta era stata sistemata in una micro serra posta all’interno della serra più grande, affiancate le une alle altre. La dottoressa Lynn, specializzata come lui nello studio della flora, era già al lavoro.
- Giorno, Sabrina – la salutò lui.
- Buongiorno Arcadius. Va meglio il mal di testa?
- Sì, dormire mi ha fatto davvero bene, nonostante io abbia fatto le tre di mattina a casa.
- Prim ti ha obbligato di nuovo a giocare con lei?
- Questa fissa dei pirati sembra non volerle passare. Credo di essere l’unico padre ad avere una figlia di undici anni che da grande vuole solcare i Sette Mari, conquistare ogni tesoro e diventare la regina dei pirati.
- Contro ogni previsione, è ambiziosa come il padre.
- Almeno io lo sono su cose reali e concrete. Piuttosto, ci sono delle novità?
- No, il campione è identico a quando gli hai dato la buonanotte.
I due s’inoltrarono fra i vari cubicoli in cui erano posizionate le rarissime piante a cui stavano lavorando, dialogando ora di questo, ora di quello. Arrivati in fondo al corridoio, i due si avvicinarono alla porta blindata che dava sulla zona riservata del loro laboratorio. Inserirono i propri codici d’accesso e Arcadius fu il primo a utilizzare lo scanner della retina. Sabrina nel frattempo iniziò a spostare i lunghi capelli, rossi come il fuoco e ricci, dagli occhi, di un verde smeraldo. Una volta superati i controlli di routine, i due entrarono nella zona di ricerca più sicura dell’intero Alveare. Lì, i due, stavano studiando un nuovo tipo di pianta, un incrocio naturale fra diverse specie aveva portato alla nascita di quel particolare ceppo, trovato del tutto per caso da uno dei loro esploratori e portato immediatamente lì. I controlli effettuati sul posto avevano dato risultati preoccupanti, quindi avevano preferito trasferire la pianta in un luogo controllato e sicuro.
- Nessun segno d’infezione all’interno della camera, vero? – chiese Arcadius, indossano la tuta protettiva.
- No, i valori sono ancora nella norma. Siamo davvero sicuri che sia così pericoloso? Insomma, è solo un esemplare.
- Le mie analisi non sbagliano mai. La tossina presente nel singolo fiore è in grado di eliminare tutta la vita su di Sinnoh. Immagina cosa potrebbero fare le spore se riuscissero a moltiplicarsi e a infettare altre piante.
I due entrarono nel corridoio che dava sulla serra della pianta, fermandosi fra le due paia di porte isolanti. Quelle precedenti iniziarono a chiudersi, e Arcadius e Sabrina indossarono i loro caschi, li fissarono alle tute e si prepararono all’ingresso. Una volta che l’uscita fu sigillata, i due vennero inondati da gas per eliminare tutte le tossine esterne e accesero le bombole di ossigeno che portavano installate dietro le rispettive schiene. Dopodiché le porte d’ingresso si aprirono e i due entrarono nel laboratorio.
L’aria non era velenosa o altro, anzi, era addirittura più salutare di quella del mondo esterno, ma Arcadius non voleva correre rischi inutili. Seppure quella pianta poteva sembrare innocua, nascondeva al suo interno una serie di spore e liquidi così velenosi da poter sterminare un’intera razza. Avevano già pensato di distruggere quell’esemplare, utilizzando certo qualsiasi tipo di precauzione in modo da impedire una qualsiasi diffusione del suo veleno, però Arcadius, e Sabrina concordava, pensava che così come ne era nato uno, così avrebbero potuto svilupparsi a migliaia. Quindi il loro lavoro consisteva nel trovare un antidoto, o una cura, a qualsiasi cosa ci fosse all’interno. Passavano le loro intere giornate a studiare quel fiore, a eseguire esperimenti e studi, prelevando campioni in quantità così minima da evitare il rilascio di spore che sarebbero in grado di provocare la morte pressoché istantanea, per poi utilizzare il corpo colpito come vasca di coltura per riprodursi, creando nuove piante. Secondo le loro stime, le sue spore potrebbero essere in grado di essere trasportate per quasi centoventotto chilometri, prima di perdere la loro mortalità e infettività. Una settimana al massimo, e un solo esemplare potrebbe radere al suolo la vita su Sinnoh.
Nonostante questo, quella pianta, dal fiore, unico, verde scarlatto non aveva mai, in alcun modo, emesso spore o provocato danni di alcun genere, neanche dopo i ripetuti solleciti esterni fatti da Arcadius e Sabrina, sempre dietro dovute misure di sicurezza.
I due non sapevano neanche come riprodurre quella pianta, o da quale miscuglio fosse stata generata. Quindi continuavano a studiarla, cercando ogni giorno di trovare qualche indizio in più.
Il suono d’avviso li scosse entrambi dalle loro mansioni. Poi la musica in filodiffusione si arrestò, e una voce parlò dalle casse.
- Dottor Wesker, l’aspetto nel mio ufficio per il resoconto giornaliero.
Arcadius si voltò verso l’alto, andando a individuare la lunga vetrata che si affacciava sui loro laboratori, vedendo la figura di Camilla che li guardava. Poi la Campionessa si girò e si avviò verso la sua scrivania.
- Sono già le diciassette? – chiese a voce alta lui.
- A quanto pare sì. Non ti preoccupare, chiudo io qui, va pure da Camilla. Magari ti aspetto all’uscita?
Arcadius aveva perso sua moglie da quando Prim aveva solo due anni, eppure continuava a sentirsi come in dovere di non avere un’altra donna. Inoltre c’era sempre Prim, la sua principessa, a cui doveva pensare prima di chiunque altro.
- Non ti preoccupare, ci metterò molto. Inizia a tornare a casa, dicono debba arrivare una tempesta.
- Posso tornare con te, no? Di solito vieni con il fuoristrada, e le nostre abitazioni sono vicine. Mi ripagherai per la compagnia accompagnandomi a casa.
- Hai proprio deciso di non arrenderti? Ne abbiamo già parlato, non posso… inoltre devo prendere Prim da scuola qui nell’Alveare.
Era praticamente da quando i due avevano iniziato a collaborare che Sabrina continuava a cercare un modo di avere un qualcosa di più di un semplice rapporto lavorativo da Arcadius, trovandosi contro un muro pressoché invalicabile. E nonostante fosse quasi riuscita a raggiungerne la cima delle volte, finiva sempre, inevitabilmente, con lo scivolare lungo la parete e ritornare a terra, senza riuscire a scalarlo.
- Sono una temeraria. E poi mi piace Prim, è una bambina bellissima. Avanti, cucino io: so fare la carbonara migliore che tua figlia abbia mai mangiato.
Arcadius stava per declinare per l’ennesima volta, quando gli vennero in mente le parole di Prim di quella mattina, quando gli aveva chiesto quando avrebbe potuto avere di nuovo Sabrina a farle da babysitter, e di ricordarle di portare il cappello da pirata che avevano costruito insieme. Forse non era una cattiva idea quella di cenare insieme quella sera. In un modo o nell’altro, si era sempre sentito in un certo senso attratto da Sabrina, inoltre sembrava che Prim l’adorasse.
- Se proprio ci tieni così tanto… basta che non mi fate trovare l’inferno sui fornelli come l’ultima volta che hai badato a Prim e, tornato a casa, ho trovato dei waffles bruciati pure sotto la cappa.
- D’accordo – la sentì ridere – Ti darei un bacio sulla guancia ma, con questi cosi addosso, saremmo solo ridicoli.
Improvvisamente Sabrina fu molto più gioviale e accesa del solito, ricordandogli il perché la trovasse così particolarmente attraente.
I due uscirono dai laboratori e rimossero le tute di protezione, dandosi una pulita generale prima di tornare a casa.
- Prim dovrebbe essere nella zona ricreazione al terzo piano, puoi pensarci tu mentre io vado da Camilla?
- Certo, nessun problema – rispose lei.
Sabrina gli si avvicinò, si alzò leggermente sulle punte dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia.
- Adesso non ci sono più quelle protezioni – disse lei mefistofelica, sorridendo in modo malizioso.
Arcadius si massaggiò la guancia che parve aver preso fuoco, durante tutto il tragitto fino nell’ufficio di Camilla.
Una volta dentro, si avviò direttamente verso la grande scrivania. La zona era piena di schedari, librerie e un paio di divanetti, con un piccolo frigo. Austero e funzionale.
Si sedette sulla poltrona, davanti quella della Campionessa.
- Scotch? – gli chiese lei.
- No, grazie, oggi passo.
Camilla ripose la bottiglia al suo posto, versandone solo un po’ nel suo bicchiere. Lo sorseggiò con lentezza e poi parlò.
- Allora, ci sono novità?
- Tutto nella norma. La pianta non dà segni di ostilità di alcun tipo e io e Sabrina stiamo continuando a studiarne i comportamenti. Questa settimana siamo riusciti finalmente a isolare alcuni segmenti di DNA presi con una biopsia.
- Perfetto. Un po’ più vicini alla meta. E quel liquido verde che secerne?
- Pensiamo sia la linfa della pianta. È incredibile, sembra effettuare dei cicli in totale autonomia durante i quali “purifica” il proprio corpo, rimuovendo le scorie dannose.
Camilla annuì.
- Per questa settimana è tutto, purtroppo i procedimenti sono lunghi, non sappiamo minimamente di cosa sia costituita la pianta.
- Lo so, lo so Arcadius. Non c’è bisogno che ti scusi ogni settimana. Conosco bene il grado di preparazione di te e della dottoressa Lynn. I risultati che state ottenendo sono già di quanto meglio mi aspettassi. Giorno dopo giorno, siamo sempre più vicini allo scongiurare un’apocalisse. Ora va’ pure, è Sabato sera e sicuramente sarai esausto. Ci vediamo Lunedì.
- Certamente, a Lunedì.

Il percorso in ascensore durò meno del previsto. Il tempo gli parve volare in un niente, mentre risaliva i centinaia di metri scavati in profondità, ritornando alla superficie.
Arrivato al terzo piano varcò le porte, dirigendosi verso la zona dove i bambini erano soliti giocare, sotto la supervisione di adulti, in attesa che i propri genitori finissero di lavorare.
Individuò in nulla Prim e Sabrina, entrambe intente a giocare con delle finte spade da pirata. Le raggiunse e Prim gli si lanciò incontro appena lo vide, con i lunghi capelli castani che ondeggiavano al vento.
- Papà! – urlò lei, mentre veniva issata in aria da suo padre.
- Sabrina mi ha detto che viene a cena da noi stasera, è vero?
- Sì, stasera sta con noi, sei contenta?
- Tantissimo. È passato un sacco di tempo da quando abbiamo parlato, mi hai fatto aspettare un sacco di tempo.
- Parlato di cosa? – chiese Sabrina, intromettendosi.
- Dormi da noi? – le domandò Prim, rispondendo alla sua domanda con un’altra domanda, salvando inconsciamente il padre da una situazione imbarazzante.
La donna guardò Arcadius, emulata da Prim.
Lui non seppe dire quale dei due sguardi sembrava implorarlo di più, e quale dei due sembrasse maggiormente quello di un cane che ti vede prendere l’ultima fetta di pizza. Optò per Sabrina come risposta a entrambe le sue domande.
- Niente arrembaggi notturni sul mio letto alle quattro di notte? – chiese lui.
- Niente arrembaggi notturni sul letto di papà dopo essere andata a dormire – rispose Prim, portando una mano sul cuore, sigillando il loro patto.
- Allora se a Sabrina non dispiace condividere il letto con te, non vedo perché no.
In quell’istante le luci tremolarono e si spensero del tutto. Poi il terreno iniziò a vibrare e si sentirono delle esplosioni in lontananza. Le luci si riaccesero.
- Cos’è stato, papà?
Un enorme boato coprì la risposta di Arcadius, proiettando i tre con innata violenza per aria. Lui andò a colpire chissà cosa, per poi trovarsi boccheggiante sul pavimento, con la schiena che rischiava di strapparsi in pezzi. L’allarme iniziò a suonare mentre una voce ripeteva di un guasto nel settore 7-G e chiedeva l’immediata evacuazione.
Arcadius si alzò sulle ginocchia, con la testa che gli roteava. Guardò in avanti, dove da una voragine nel pavimento fuoriuscivano lembi di fiamme. Sabrina era stesa di fianco a lui, incolume.
- Prim?
- Sono qui, papà – rispose lei.
Arcadius si voltò verso il suono della sua voce, individuando sua figlia. Le corse incontro, liberandole la gamba da sotto un pezzo di soffitto crollato. Prim cercò di alzarsi ma urlò di dolore.
- La gamba, mi fa male.
- Ti fa male? Non ti preoccupare, adesso ci pensa papà.
La sollevò prendendola in braccio. Sabrina si avvicinò ai due, un filo di sangue le scorreva dal lato del capo.
- State bene?
- Prim si è fatta male alla gamba ma stiamo bene. Tu?
- Nulla di grave. Usciamo da qui.
I due corsero verso le scale, schivando i vari detriti che si erano formati tutt’attorno, dovuti ai crolli. La gente sembrava impazzita, correva ovunque, senza una meta precisa. Arcadius guidò Sabrina verso una serie di corridoi secondari, dove a quell’ora del Sabato sera non c’era mai nessuno, in quanto chiunque finiva di lavorare in mattinata. Così facendo recuperarono tempo prezioso e raggiunsero una rampa di scale del tutto libera. Iniziarono a salire quando delle altre esplosioni li raggiunsero dal basso. Il corrimano vibrò e alcune lastre si staccarono dal soffitto. Arcadius le schivò, spingendo a spallate Sabrina per spostarla dalla traiettoria di caduta dei corpi.
Arrivarono finalmente al piano terra, sfrecciando verso la hall. Corsero fra la folla, guadagnandosi una rapida uscita dalle porte d’ingresso. Erano quasi usciti, quando sentirono un altro scoppio, stavolta molto più potente. In un solo istante Arcadius non sentì più nulla, privato di qualsiasi senso. Istintivamente si rinchiuse attorno a Prim, facendole scudo col proprio corpo. Venne lanciato fuori, attraverso le porte d’ingresso, dall’onda d’urto, girando su sé stesso in aria. L’impatto con la neve gli spezzò il fiato e rischiò di farlo svenire. Rimase sdraiato mentre la testa smetteva di rimbombare e il corpo riprendeva finalmente mobilità. Iniziò a sentire dolore alla schiena e alle braccia.
- Prim? Stai bene? – chiese lui, alzandosi sulle ginocchia.
Sua figlia era stesa nella neve davanti ai suoi occhi, ma oltre la gamba non sembrava aver riportato ferite di alcun tipo.
- Mi fa male la pancia…
- La pancia? – Arcadius fece per controllare, allungando una mano, quando tante piccole gocce rosse iniziarono ad affiorare sul maglione bianco e candido della figlia.
- No… no, no no…
Le premette una mano contro la pancia, cercando di arrestare l’emorragia.
- Ho freddo papà… tanto freddo.
- Oh dio… Un medico! Serve un medico qui! – Sabrina, che li aveva raggiunti, iniziò a urlare, cercando di richiamare l’attenzione di qualcuno.
Ma, in mezzo a quel chaos, la sua richiesta svanì nel vento.
- Resta concentrata sulla mia voce, piccola mia. Vedrai, il dottore sta arrivando. Dopo che ti avrà guarita, giocheremo ai pirati tutto il tempo che vuoi.
Arcadius prese la mano della figlia fra le sue, sporche di sangue.
Le lacrime crearono solchi fra la polvere e la sporcizia sul suo volto.
Prim tossì sangue.
- Non voglio morire come la mamma… voglio stare con te.
La piccola ebbe un tremito.
- Papà… - la sua voce tacque.
La scintilla vitale abbandonò lentamente i suoi grandi occhi grigi, mentre la testa ricadeva delicatamente sulla mano di Arcadius.
- Prim…?
Nessuna risposta.
Lui urlò, madido di sudore e con il cuore che rischiava di esplodere dal petto. Guardò l’orologio, segnava le quattro di mattina.
Col respiro affannato, si alzò a sedere sul materasso del letto. Prese i suoi occhiali, se li mise e accese il suo audio diario.
- Giorno millecinquecentoventitré. Mi sono svegliato nuovamente alle quattro di mattina in seguito allo stesso incubo, in cui rivivo la morte di mia figlia. Come ho ben capito fin dal primo giorno, è inutile provare a riaddormentarsi, tanto non funziona. Tanto vale mettersi a lavorare e migliorare il progetto, nome in codice: “Godslayer”.
 

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