Prologo.
Valerie amava le cose belle.
Le amava alla follia, perché la facevano sentire bene e rendevano splendida ogni sua giornata, dall’alba al tramonto. Era entrata in contatto con la bellezza alla tenera età dei dieci anni e da lì non se n’era più separata: era stata una sorta di vocazione, un incitamento a seguirne la luce. A percorrerne il tortuoso sentiero, sapendo che, faticando e sudando, l’avrebbe portata alla felicità. Alle porte di un futuro radioso e scintillante, proprio come quello che stava finalmente vivendo.
La bellezza ormai faceva parte della sua quotidianità, lei stessa ne era diventata l’allegoria.
Non poteva che esserne fiera.
Eppure, per quante cose belle l’avessero meravigliata fino ad oggi, niente, niente poteva superare l’antico splendore che l’aveva investita la prima volta che aveva messo piede a Laverre City.
Tutte le volte che la guardava, Valerie ne rimaneva ammaliata, come un bambino davanti ad un bancone di leccornie.
Viveva lì da più di sette anni, eppure ogni volta che ne respirava l’aria umida e fredda, le sembrava quasi di farlo per la prima volta. Del resto era così che funzionava la vita, per lei: lasciarsi stupire, sempre. Una regola ferrea in cui aveva riposto tutte le sue certezze, il motto che la sbalzava fuori dal letto ogni mattina. Altrimenti che senso aveva stare al mondo?
Ecco perché adorava la terrazza di quel bar, quello che frequentava sempre nei giorni liberi, oppure quando aveva semplicemente voglia di perdersi nei suoi pensieri senza essere disturbata.
Quello in cui guarda caso si era rifugiata anche oggi, per sfuggire al forte vento autunnale che imperversava da ore.
Si portò il bicchiere di succo alle labbra, sorseggiando il dolce liquido rosato mentre con occhi turgidi d’emozione ammirava i tetti bluastri delle case dall’immensa vetrata che si stagliava potente dinanzi a lei.
Laverre City era uno spettacolo, specie a quell’ora del crepuscolo, quando tutto affogava in un torpore dolce, rigenerante e senza tempo. I freddi raggi del sole filtravano timidi attraverso i rami degli alberi, sprigionando il loro bagliore dorato sulle acque cristalline del piccolo lago celeste. Lo Zaffiro pulsante della città, così le piaceva chiamarlo.
Una macchia azzurra in mezzo ai caldi colori dell’autunno.
Una macchia meravigliosa, che al posto di stonare, arricchiva soltanto il paesaggio della città. Un po' come le imperfezioni, no? Le odiamo, ma ci rendono unici. Ebbene, Valerie amava anche le imperfezioni, proprio come sentiva di amare quello Zaffiro.
Le strade ricoperte di foglie secche si erano tramutate in un continuo viavai di schiamazzi, persone e Pokémon che, sconcertati dal forte vento, scappavano verso le loro abitazioni trascinandosi con se le avventure della giornata. Piccoli uragani di foglie si mescolavano ai profumi della terra fresca, danzando armoniosi al fine di invocare la sacra pioggia.
La pioggia. Valerie l’amava, sì, pure lei, e l’odiava al contempo.
La rendeva triste, malinconica, ma anche speranzosa, perché sapeva che una volta finita, il sole sarebbe tornato a splendere raggiante al centro del cielo.
Non era pazza, né fanatica sognatrice: semplicemente, l’aveva testato sulla sua pelle.
Chi più di lei poteva crederci?
Si rilassò sulla sedia in vimini, lasciandosi cullare dal mugghiare dell'aria che si schiantava violentemente contro la vetrata, quasi istigato a sfondarla. -Che buono questo succo.- si disse quando lo ebbe terminato. Si pulì le labbra con la lingua, come a volerne catturarne le ultime tracce di sapore, poi si alzò e uscì dal bar, gustandosene ancora la dolcezza.
Non appena aprì la porta, però, si ritrovò davanti l’inverosimile.
Una ragazza in kimono, una della sua palestra, con i capelli scompigliati dal vento e la faccia sconvolta.
Ansimava, e quando la vide si lasciò sfuggire un gemito di sconforto.
Valerie fu assalita da un pigro panico, mentre una luce oscura cominciava a calarle lenta sulle palpebre sospettose. -Cara, che ci fai qui?- parlò con voce soave, cercando di tranquillizzarla, ma non ci riuscì. -Problemi alla palestra?
-Ti cercavo, Valerie… mio dio… speravo fossi qui…- la ragazza la strinse convulsamente, poi le prese le mani allarmata. Sembrava essere successo qualcosa di grave, Valerie glielo leggeva nelle iridi turbate, nei gesti incauti. Qualcosa che era andato a turbare l'equilibrio della perfezione, a toccarlo e smuoverlo di modo che potesse essere più difficile recuperarlo.
Lo Zaffiro e il succo passarono in secondo piano.
Non era nelle doti delle sue discepole perdere il controllo in maniera tanto vistosa.
-Su, calmati.- la fece entrare, ignorando gli sguardi perplessi dei pochi presenti all’interno del caffè. -Un tè per la ragazza, subito.- ordinò, ma lei fermò la richiesta con un gesto della mano, lasciando interdetto il cameriere.
-Non abbiamo tempo… oh, Valerie…
-Raccontami cosa è successo, tesoro.
-Valerie… lei…- la giovane prese fiato. Strinse le mani a pugno, aprì la bocca e sciorinò l’accaduto il più velocemente possibile. -lei è scomparsa…
Valerie sentì un pugno di ferro trapassarle lo stomaco, a quella dichiarazione.
Lei.
Scomparsa.
L’ansia le divampò dentro il petto come un incendio, pronto a corrodere tutto.
Non ebbe nemmeno il tempo di fare altre domande, di mandare giù la terribile notizia, di masticarla.
O di calmarsi in qualche modo, di placare l’improvvisa paura che le aveva appena sotterrato l’intestino.
La ragazza l’afferrò per la manica dell’abito e la trascinò a violenti strattoni fuori da lì, sotto gli occhi stupiti di tutti. Il vento aggredì il giovane viso della Capopalestra, graffiandole il volto con rabbia, ma era una carezza in confronto allo schiaffo ricevuto pochi secondi prima.
Lei ,era sparita. Colei a cui più teneva, all’improvviso non c’era più.
E nessuno sapeva cosa fosse successo esattamente.
Le amava alla follia, perché la facevano sentire bene e rendevano splendida ogni sua giornata, dall’alba al tramonto. Era entrata in contatto con la bellezza alla tenera età dei dieci anni e da lì non se n’era più separata: era stata una sorta di vocazione, un incitamento a seguirne la luce. A percorrerne il tortuoso sentiero, sapendo che, faticando e sudando, l’avrebbe portata alla felicità. Alle porte di un futuro radioso e scintillante, proprio come quello che stava finalmente vivendo.
La bellezza ormai faceva parte della sua quotidianità, lei stessa ne era diventata l’allegoria.
Non poteva che esserne fiera.
Eppure, per quante cose belle l’avessero meravigliata fino ad oggi, niente, niente poteva superare l’antico splendore che l’aveva investita la prima volta che aveva messo piede a Laverre City.
Tutte le volte che la guardava, Valerie ne rimaneva ammaliata, come un bambino davanti ad un bancone di leccornie.
Viveva lì da più di sette anni, eppure ogni volta che ne respirava l’aria umida e fredda, le sembrava quasi di farlo per la prima volta. Del resto era così che funzionava la vita, per lei: lasciarsi stupire, sempre. Una regola ferrea in cui aveva riposto tutte le sue certezze, il motto che la sbalzava fuori dal letto ogni mattina. Altrimenti che senso aveva stare al mondo?
Ecco perché adorava la terrazza di quel bar, quello che frequentava sempre nei giorni liberi, oppure quando aveva semplicemente voglia di perdersi nei suoi pensieri senza essere disturbata.
Quello in cui guarda caso si era rifugiata anche oggi, per sfuggire al forte vento autunnale che imperversava da ore.
Si portò il bicchiere di succo alle labbra, sorseggiando il dolce liquido rosato mentre con occhi turgidi d’emozione ammirava i tetti bluastri delle case dall’immensa vetrata che si stagliava potente dinanzi a lei.
Laverre City era uno spettacolo, specie a quell’ora del crepuscolo, quando tutto affogava in un torpore dolce, rigenerante e senza tempo. I freddi raggi del sole filtravano timidi attraverso i rami degli alberi, sprigionando il loro bagliore dorato sulle acque cristalline del piccolo lago celeste. Lo Zaffiro pulsante della città, così le piaceva chiamarlo.
Una macchia azzurra in mezzo ai caldi colori dell’autunno.
Una macchia meravigliosa, che al posto di stonare, arricchiva soltanto il paesaggio della città. Un po' come le imperfezioni, no? Le odiamo, ma ci rendono unici. Ebbene, Valerie amava anche le imperfezioni, proprio come sentiva di amare quello Zaffiro.
Le strade ricoperte di foglie secche si erano tramutate in un continuo viavai di schiamazzi, persone e Pokémon che, sconcertati dal forte vento, scappavano verso le loro abitazioni trascinandosi con se le avventure della giornata. Piccoli uragani di foglie si mescolavano ai profumi della terra fresca, danzando armoniosi al fine di invocare la sacra pioggia.
La pioggia. Valerie l’amava, sì, pure lei, e l’odiava al contempo.
La rendeva triste, malinconica, ma anche speranzosa, perché sapeva che una volta finita, il sole sarebbe tornato a splendere raggiante al centro del cielo.
Non era pazza, né fanatica sognatrice: semplicemente, l’aveva testato sulla sua pelle.
Chi più di lei poteva crederci?
Si rilassò sulla sedia in vimini, lasciandosi cullare dal mugghiare dell'aria che si schiantava violentemente contro la vetrata, quasi istigato a sfondarla. -Che buono questo succo.- si disse quando lo ebbe terminato. Si pulì le labbra con la lingua, come a volerne catturarne le ultime tracce di sapore, poi si alzò e uscì dal bar, gustandosene ancora la dolcezza.
Non appena aprì la porta, però, si ritrovò davanti l’inverosimile.
Una ragazza in kimono, una della sua palestra, con i capelli scompigliati dal vento e la faccia sconvolta.
Ansimava, e quando la vide si lasciò sfuggire un gemito di sconforto.
Valerie fu assalita da un pigro panico, mentre una luce oscura cominciava a calarle lenta sulle palpebre sospettose. -Cara, che ci fai qui?- parlò con voce soave, cercando di tranquillizzarla, ma non ci riuscì. -Problemi alla palestra?
-Ti cercavo, Valerie… mio dio… speravo fossi qui…- la ragazza la strinse convulsamente, poi le prese le mani allarmata. Sembrava essere successo qualcosa di grave, Valerie glielo leggeva nelle iridi turbate, nei gesti incauti. Qualcosa che era andato a turbare l'equilibrio della perfezione, a toccarlo e smuoverlo di modo che potesse essere più difficile recuperarlo.
Lo Zaffiro e il succo passarono in secondo piano.
Non era nelle doti delle sue discepole perdere il controllo in maniera tanto vistosa.
-Su, calmati.- la fece entrare, ignorando gli sguardi perplessi dei pochi presenti all’interno del caffè. -Un tè per la ragazza, subito.- ordinò, ma lei fermò la richiesta con un gesto della mano, lasciando interdetto il cameriere.
-Non abbiamo tempo… oh, Valerie…
-Raccontami cosa è successo, tesoro.
-Valerie… lei…- la giovane prese fiato. Strinse le mani a pugno, aprì la bocca e sciorinò l’accaduto il più velocemente possibile. -lei è scomparsa…
Valerie sentì un pugno di ferro trapassarle lo stomaco, a quella dichiarazione.
Lei.
Scomparsa.
L’ansia le divampò dentro il petto come un incendio, pronto a corrodere tutto.
Non ebbe nemmeno il tempo di fare altre domande, di mandare giù la terribile notizia, di masticarla.
O di calmarsi in qualche modo, di placare l’improvvisa paura che le aveva appena sotterrato l’intestino.
La ragazza l’afferrò per la manica dell’abito e la trascinò a violenti strattoni fuori da lì, sotto gli occhi stupiti di tutti. Il vento aggredì il giovane viso della Capopalestra, graffiandole il volto con rabbia, ma era una carezza in confronto allo schiaffo ricevuto pochi secondi prima.
Lei ,era sparita. Colei a cui più teneva, all’improvviso non c’era più.
E nessuno sapeva cosa fosse successo esattamente.
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