Capitolo IV.
Lucas la stava aspettando oltre un tavolino in legno di betulla, le mani giunte e lo sguardo fisso sul liquido contenuto nella tazza. Quando la scorse con la coda dell’occhio, tirò fuori uno dei suoi migliori sorrisi e la invitò a sederglisi di fronte.
Valerie fece un timido inchino e prese posto davanti all’agente.
Si sentiva agitata, con lo stomaco in subbuglio, eppure non poteva negare che la chiamata del poliziotto l’avesse resa molto più calma; aveva atteso due giorni in una qualche informazione, anche banale, e finalmente le sue preghiere erano state udite.
Se ciò che le aveva detto Lucas era vero, se lei e la sua squadra erano appena riusciti ad aprire una prima possibile pista, allora voleva dire che erano un passo più vicini a lei.
Le mancava così tanto… un vortice di vuoto le percosse il cuore mentre chiedeva al cameriere di poter essere servita con un bicchiere d’acqua.
L’avrebbe aiutata a mantenere la concentrazione, a rilassarsi.
A svuotare la mente, anche solo per un attimo.
-Come stai?
-Meglio di prima, grazie alla sua chiamata.
Lucas sorrise appena, gli occhi blu fissi sulla giovane Capopalestra di Laverre City. -E’ stato rinvenuto un capello sulla scena del crimine, di color rame. Era in mezzo ai cocci di vetro, ben nascosto a causa della moquette rossa che lo mimetizzava. Una fortuna, visto che non siamo riusciti a trovare nient’altro di utile.
Valerie affogò l’ansia in una prima sorsata d’acqua. Aveva la gola in fiamme, le labbra impastate. Non vedeva l’ora di arrivare al sodo.
-Lo abbiamo fatto esaminare e il database ha fornito un volto.- L’agente Lucas si piegò un momento, per poi estrarre da una borsa in pelle dei fogli dall’aspetto importante. Li allargò sul tavolino, serio, dopo aver spostato il vasetto di gracidee al suo centro. -Trevor.
La Capopalestra si chinò in avanti per guardare meglio il volto del presunto rapitore; un ragazzino piuttosto piccolo, col volto ricoperto di lentiggini e due immensi occhi grigi le si presentò dinanzi allo sguardo furente. Una zazzera di capelli rossi gli copriva la fronte, donandogli un aspetto timido, ingenuo e riservato.
Nessuno avrebbe mai detto che in realtà si trattasse di un maledetto vandalo.
Eppure lo era. Lo era, dannazione.
E aveva rubato la sua preziosa compagna di vita.
Un moto di rabbia le ruggì dentro le vene quando sentì l’impellente bisogno di stracciare in mille pezzi quel foglio di carta, gettarlo a terra e calpestarlo fino a ridurlo in misera polvere. Ma non lo fece. Non fece nulla, si limitò a placare la sete con un altro goccio d’acqua.
Lucas ritirò il foglio, lo studiò in controluce e poi lo infilò dentro la borsa. -Un ragazzino, vero?
Valerie rispose con una smorfia irritata ripensando alle lentiggini sparse sul volto arrossato del piccolo ladro.
-Domani interrogheremo la sua famiglia, e daremo un’occhiata in casa. Abita poco lontano da qui, a Lumiose City. Ti terrò aggiornata sugli eventuali sviluppi.- poi sorrise, sollevando le larghe spalle con circospetta malizia. -sarà il solito idiota che si diverte a fare casino, niente di che. Questa storia finirà. Glielo prometto.
-Grazie mille.- Valerie si alzò e lo congedò con una stretta di mano, poi pagò l’acqua e sparì oltre la porta, gonfia di dolore.
Dolore e una strana sensazione, una sensazione di… si voltò, per guardare l’agente, rimasto a godersi il tepore del suo tè caldo.
Di pericolo.
Avrebbe tanto voluto credere alle parole di Lucas, miseria.
Suonavano così facili, così armoniose. Delizioso poterle mandare giù e dormirci sopra.
Eppure, una piccola parte dentro di sé continuava a dirle che la faccenda era molto più complicata di come volevano fargliela sembrare.
Sotto gli occhi ingenui del rapitore si nascondeva qualcosa che l’aveva agitata.
La stessa cosa che, quella notte, le impedì di dormire.
Lo sognò, sognò i suoi capelli rossi svolazzare nel buio della mattina non ancora annunciata, mentre le mani candide le portavano via il pezzo di vita a cui più teneva.
Anzi. Glielo strappavano dalle braccia con violenza. E lei, inerme come una bambola, incapace persino di gridare.
Quando si risvegliò, era madida di sudore, con i capelli corvini incollati alla fronte pallida rischiarata dal bagliore lunare che entrava a chiazze dalle persiane sollevate.
Non prese più sonno, quella notte.
Torturata da un’ansia che sembrava non volerla più lasciare.
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