In fondo avevo accantonato la mia vecchia me da tempo ormai, e con
essa anche gli amici e i parenti che ne conseguivano. Non ero più
nessuno. Zero.
Rosa, la fine
I ricordi
sono così, ti colpiscono quando meno te l'aspetti.
Dritti al
cuore, dritti alla testa, come una freccia scoccata da Cupido.
No.
Non posso
permettere che accada di nuovo.
In questi
ultimi anni mi sono isolata, allontanata da tutto e da tutti, per evitare di e
di far soffrire ancora, di ricadere nel vortice, di cullarmi ancora nella falsa
speranza di valori mai esistiti.
Però se c'è
qualcuno che, con tutte le mie "migliori" intenzioni, non sono
proprio riuscita a schiodarmi mai di dosso, è quel piccolo e macilento Zubat
che il capo mi aveva detto di buttar fuori a pedate.
Quel piccolo
e macilento Zubat che adesso è un Golbat.
"Forza
Ishi, Metaltestata!" L'Aggron abbassa la testa, il corno appuntito e
quello spezzato rivolti verso di noi. La parte superiore del cranio sta
iniziando a brillare di luce propria, il Pokémon emette dei grossi sospiri,
quasi rochi rantoli; la sua ultima occasione di riprendere fiato prima
dell'attacco.
Anche
Golbat, ormai allo stremo delle forze, ne approfitta. So che non riuscirebbe a
schivare la mossa, lo so.
"Basta,
ferma! Ci arrendiamo!" Alzo le mani in segno di resa e guardo negli occhi,
uno ad uno, i miei compagni ed i suoi, per poi indugiare definitivamente nello
sguardo nocciola e vagamente sconcertato di Lily. "Ci arrendiamo."
Ripeto piano, scandendo le parole. “Avete vinto.”
Avrei dovuto
dirlo molto tempo fa.
Per un
attimo, il silenzio regna sovrano e nessuno muove un muscolo, pare quasi che il
tempo si sia fermato, abbia deciso di indugiare un secondo, solo un secondo di
più, su questo breve e insignificante sprazzo di vita.
Poi un tonfo
sordo, leggero, e la magia s'infrange: il pipistrello giace a terra, il muso
rivolto verso il cielo con una strana espressione beata stampata sopra.
Ansima,
riprende fiato inghiottendo e risputando fuori l'aria quasi febbrilmente.
E' finita, e
stavolta sul serio.
Improvvisamente
mi sento caricata di una moltitudine di sguardi, tanto diversi quanto pesanti.
"Ero
convinta che tu fossi più coraggiosa ma a quanto pare non hai le palle nemmeno
per difendere gli ideali sbagliati in cui credi."
Disprezzo,
disprezzo puro. Nient'altro.
L'ultimo
commento di mia sorella nei miei confronti fu quindi poco più di un sibilo.
A quanto
pare ai suoi occhi non meritavo niente di più.
Fa un cenno
con la testa ai suoi amici ed inizia a camminare, loro la seguono da bravi
cagnolini.
"Andiamo
a salvare Mew!"
"Si! E
visto che ci siamo daremo pure una bella lezione a Giovanni!"
Sicuro.
D'altra
parte lui è semplicemente uno degli allenatori con alle spalle sei dei Pokémon
migliori di tutta Kanto, Pokémon che possiede da quanto aveva all'incirca dieci
anni, e loro ragazzini con manie di grandezza.
Quando mi
passa abbastanza vicino da essere a portata di braccio afferro bruscamente mia
sorella per un spalla, bloccandola.
"Tu non
sei migliore di noi. Ricordatelo." Poco più di un sussurro, non volevo che
gli altri sentissero.
Non l'ho
nemmeno guardata negli occhi. A dire il vero in quel momento il mio sguardo non
era poi così presente, fisso sulla melma sotto i nostri piedi, dodici, undici,
dieci anni fa.
Quando
tutto, in un certo senso, andava bene.
La sento
divincolarsi, grugnire e poi andarsene, affrettando il passo.
A me non
rimane altro da fare che raggiungere il mio Golbat e inginocchiarmi accanto a
lui, controllandone sommariamente lo stato.
Fin troppo
buono, dopotutto.
Mi frugo tra
le tasche, fino a cercare una Pozione Max. Ho bisogno che si rimetta e il più
in fretta possibile.
"Perché
l'hai fatto?" Josh, ovviamente. Le domande scontate, chissà come mai,
toccano sempre a lui.
Lo degno di
un'occhiata piatta e scrollo le spalle.
"Non ha
senso posticipare una sconfitta, puoi tirarla per le lunghe quanto vuoi: tanto
alla fine il risultato non cambia." Una volta curato, pungolo severamente
il Pokémon con uno dei miei diti ossuti. "Forza, in piedi." Lui geme,
brontola qualcosa, ma non da segni di avermi anche solo calcolato.
"Il
Boss non ne sarà contento." Stavolta il tono di rimprovero apparteneva a
una delle due reclute più giovani.
"Probabilmente
non verrà mai nemmeno a saperlo, sbaglio Zero?" Una melodiosa risatina
divertita accompagna queste parole: Sheela e il suo piacevolissimo nasino
appuntito stanno osservando rapiti il cielo azzurro, le morbide labbra rosa
sempre semi-dischiuse e una bianca mano affusolata delicatamente appoggiata su
un lato del suo bel faccino lentigginoso. La sua sembra una semplice posa di
contemplazione, come quella di una bambina spensierata, stanca dopo aver
giocato a lungo, ma io so benissimo esserci di più.
C'è sempre
qualcosa di più quando si parla di Sheela.
Seguo la
direzione dei suoi occhi, la visiera del berretto mi impedisce di avere una
panoramica completa ma mi accontento di quel poco che vedo, un’immagine fugace
ma chiara. Mi alzo nuovamente in piedi, forse qualche mio collega vorrebbe
continuare la conversazione, capirci qualcosa di più, ma personalmente non può
fregarmene di meno di quello che vogliono loro.
"Ehi
tu." Chiamo e indico il ragazzo con i brufoli.
"Io?"
"Si tu,
come hai detto che ti chiami?"
"Paul."
"Ok,
perfetto, Paul dammi la tua Pokéball."
"E
perché scusa? Dentro c'è solamente quella sottospecie di Rattata che ho usato
prima, il Capo mi aveva avvertito che era un totale incapace. Ero quasi tentato
di mollarlo qui, tanto al Team non serve."
Neanche tu,
ma non ritengo sia il caso di farglielo notare.
E poi ha
veramente detto la parola "scusa"?
"Appunto,
dammelo."
"Continuo
a non capire."
"Ma ti
sei fatto assumere per discutere o cosa?" Non che abbia una particolare
autorità su di lui, ma sono un membro da diversi anni. I pivellini rispettano
sempre chi è più esperto di loro anche se di grado non lo sarebbero affatto.
Finalmente
si decide a lanciarmela.
Dopo
essermela rigirata qualche secondo tra le mani, me l'assicuro sul fianco, alla
cintura.
"Guarda
che non è tua, ma del Team." Ignorando completamente i suoi belati a mo' di
rimprovero, mi volto verso Golbat puntellandomi le mani alla vita.
"Ti
muovi o vuoi passare il resto dei tuoi giorni qui?" Uno stridio è la
risposta che stavo aspettando, non mi serve guardarlo per sapere che il
pipistrello si è alzato in volo per raggiungermi. Dal canto mio, mi allontano,
cominciando a scendere giù lungo la fiancata dell'isola.
"E ora
dove vai?!" Una gran bella domanda, dove vado? Dove andrò?
Hoenn è così
vicina che mi pare quasi di scorgerne l'ombra in lontananza.
Forse potrei
passare da casa, riprendere in mano la mia vecchia me da dove l'avevo lasciata.
Oppure...
oppure...
"Lontano."
Effettivamente la destinazione è l’ultimo dei miei problemi.
Improvvisamente,
due grosse, membranose ali blu scuro mi cingono da dietro, abbracciandomi.
Odio quando
Golbat fa così, l'ho sempre odiato e continuerò a farlo.
Però
stavolta non cerco di liberarmi dalla sua presa.
Non posso
proprio fare altrimenti: c’è una scarpata a due passi da me.
Quindi
lascio che continui a dimostrarmi tutto il suo appiccicoso affetto, sospirando.
Questa
stupida, frastagliata isola rocciosa è "scolpita" proprio come una
piramide Maya: a gradoni.
Perlomeno
però potrà tornarmi utile: il mio Pokemon non è così forte da riuscire a
prendere il volo con me sopra senza "un aiutino".
Un lieve
rumore inizia ad udirsi, una piccola eco nell'aria, come il battito d'ali di un
colibrì.
La Polizia è
vicina, sento quasi l'ombra dell'elicottero azzurro, visto poco prima insieme a
Sheela, incombere sopra di me.
Non ho
nessunissima intenzione di passare il resto dei miei giorni in prigione.
"Allora,
hai finito di rompere? Dobbiamo fare presto, prima che ci vedano." Sento
la presa allentarsi, scomparire, quindi un fruscio mi segnala che il Pokémon è
partito.
Conto dieci
secondi lentamente, chiudo gli occhi e prego Rayquaza lassù che quella
sottospecie di pipistrello troppo cresciuto non sia in ritardo.
Non è la
prima volta che lo facciamo, però non riesco mai ad evitare l'ansia.
Poi, mi
butto.
"Noi
siamo qui per salvare il mondo, in nome dei Pokemon che ci vivono!"
Solo parole,
vere e proprie urla di rabbia, portate dal vento, una voce familiare forse.
Mi faccio
coraggio e allungo il collo per vedere l'isola sotto di noi, non siamo alti,
non ancora, ma stiamo prendendo quota velocemente. Non riesco già più a
distinguere le figure umane dalla Natura, palude e roccia, verde e marrone.
E blu.
Lo
scintillio dell'elicottero della Polizia è inconfondibile, se mi sforzo,
probabilmente più con la mia scarsa immaginazione che altro, riesco quasi a
vedere i miei colleghi cercare di nascondersi o lottare (Josh, solo lui ne
avrebbe la forza) per sfuggire alla Legge. Anche se ai miei occhi interiori in
tutto questo non c'è posto per Sheela, lei è una che sa sempre esattamente dove
e quando trovarsi al momento giusto, niente sfugge al suo controllo. Prima,
sembrava quasi che tutto stesse andando secondo qualche suo strano e
personalissimo piano. No, sicuramente starà già scappando, proprio come me,
oppure si rivelerà improvvisamente essere una talpa dei piedipiatti.
Golbat,
continua a salire e salire.
Quando sei
immersa nell'immenso spazio vuoto che vuoto non è del cielo, ti aspetteresti
che tutti i rumori cessino, come quando sei sott'acqua. Ma l'aria è un'ospite
tutt'altro che tranquillo e i suoi ululati, il grido del vento, il suo gelido
potente tocco, riempiono le orecchie abbastanza da coprire qualsiasi altro
suono.
Un caldo
alone rosato appare proprio alle nostre spalle, nel centro dell'Isola Suprema,
dove la battaglia già vinta di Giovanni infuria. Sono sicurissima che abbia già
catturato il famigerato Mew, assorbito e incanalato i suoi poteri nella
macchina creata dai nostri scienziati. Lo strano colore che sta piano piano
iniziando ad inglobare il mondo intorno a sé ne è la prova.
Occuparsi di
quei due o tre moscerini fastidiosi che sono Lily e gli altri non dovrebbe
causargli poi tanti problemi, è già successo in passato.
Ogni anno
c'è qualche moccioso nuovo, assetato di gloria e di fama.
Poi potrà
finalmente andarsene, decollare giusto un secondo prima che la Polizia lo
raggiunga, tornando raggiante alla sua Villa sull'Isola Cannella, pronto a
sfruttare fino all'ultima goccia l'antico potere delle cellule di Mew.
Distrattamente
mi passo una mano sui capelli, spinti all’indietro dalla velocità. Manca il
berretto. Forse qualcuno riuscirà a trovarlo, laggiù.
Finalmente
mi decido a guardare in avanti, verso il cielo azzurro che sembra fondersi
all'orizzonte con un oceano della stessa sfumatura.
Il volo del
grosso pipistrellone azzurro si stabilizza dolcemente.
Quando Aurum
se n'è andata credevo veramente di aver abbandonato tutto quello che rimaneva
di me, ma la realtà è che finché sono rimasta ancorata al dolore, ai ricordi,
io non sono stata né una persona nuova né tanto meno quella vecchia, Zero
appunto.
Ma adesso,
voglio solo guardare al futuro.
In questo
momento non mi sento né buona né cattiva.
Né Zero né
Katrina.
Solo me
stessa.
Note:
Ho fatto del mio meglio per cercare di far combaciare tutti gli eventi con
il punto di vista di Zero, provando a spiegare il più possibile. Non voglio
fare la palla e quindi eviterò di aggiungere quello che penso riguardo a questo
capitolo.
Concludo così una fanfiction che era nata per essere corta, la prima
fanfiction (e speriamo non l'unica) che il cervellino della sottoscritta abbia
mai partorito.
Dato che mi sento uguale a prima e non ho avuto illuminazioni di sorta,
passo subito a ringraziare (ma proprio tanto <3 ) tutti quelli che mi hanno
reso possibile raggiungere questo risultato (ok, va bene, non è una premiazione
o roba varia ma per me è molto importante visto che ho la brutta tendenza ad
iniziare una cosa e poi lasciarla a metà).
Shalutoni, Lycia <3
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