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Levyan - ILCC: III - Alto budget


III
Alto budget



6 luglio, City di Austropoli, Grattacielo AxeCorp, 10:32

Un ragazzo in occhiali finti e Oxford nere, ben vestito e rasato, con una ventiquattrore in cuoio nella mano destra mise piede nell’edificio. Aveva i capelli tirati all’indietro dalla forza di una lacca che avrebbe potuto sostenere un ponte. Il passo era mal cadenzato, le mani non riuscivano a star ferme, gli occhi brillavano di un color oro intenso. Accanto a lui, Platinum Berlitz, in abito Versace, pochette, ampi occhiali da sole e scarpe col tacco che calpestavano il tappeto rosso steso sotto di lei dai soldi di papà. Al loro seguito, in camicetta e gonna con spacco, con una grossa cartella tra le braccia e la scritta assistente ben illuminata sulla fronte: una perfetta sconosciuta che a nessuno sarebbe interessata.
Tra la folla, in pochi li riconobbero, ma già la prima receptionist diede immediatamente segno di sospettare qualcosa.
«Oswald Bettany, del gruppo Berlitz, dovrei avere un appuntamento» disse Gold, nel modo più convincente che gli riuscì.
La donna, ignorando il fatto che quell’uomo d’affari le stesse fissando la scollatura come un ragazzino, inserì i dati e controllò sul monitor.
«Certamente: ventiduesimo piano, il delegato la sta aspettando» confermò, indicando il corridoio degli ascensori.
Sebastian aveva fatto il suo lavoro, prendendo appuntamento in maniera tanto precipitosa: secondo le tabelle di marcia della giornata, il loro incontro era perfettamente in regola.
«Grazie... loro sono con me» fece Gold, avviandosi verso l’ascensore.
Platinum passò senza salutare, con gli occhi fissi sullo schermo del suo iPhone, l’assistente le tenne dietro, con poca convinzione.
Entrarono nel terzo ascensore, che li avrebbe condotti fino a metà strada. Con loro entrarono un giovane legale in abito gessato che parlava animatamente al telefono e un signore pienotto che sudava copiosamente nel suo smoking. Gold premette il tasto quindici e il tasto venticinque, cercando l’occhiata di conferma di Celia. Platinum fingeva ancora di essere catturata dal display del suo cellulare, ma stava in realtà ripassando il copione del piano che avevano buttato giù la sera prima. Il legale scese al settimo piano, l’altro uomo al dodicesimo, ma la loro recita non poteva interrompersi: gli ascensori erano il luogo più sorvegliato del palazzo.
«Copio le pratiche del contratto e deposito la seconda proposta» fece Celia a Gold, quando le porte si aprirono sul quindicesimo piano.
Lui annuì e la guardò avviarsi per il corridoio «mettici impegno, quando sculetti» le disse, mentre l’ascensore si richiudeva.
Platinum gli sferrò una gomitata e Celia gli mostrò il medio della mano destra.
«Vuoi mandare tutto all’aria?» sussurrò lady Berlitz al Dexholder di Johto, ma ormai il danno era fatto.
Nel corridoio, Celia cercò di prepararsi. Rimise in ordine i fogli, si sciolse i capelli, sistemò gli occhiali finti e si controllò il trucco. Come tocco finale, alzò lievemente l’orlo della gonna e slacciò l’ultimo bottone della camicetta. Guardando il proprio riflesso in una delle vetrate, si trovò incredibilmente provocante, ma altrettanto ridicola. Quando camminò accanto agli uffici, avvertì gli occhi di diversi impiegati distrarsi da calcoli e pratiche e dirigersi su di lei come magneti su un pezzo di ferro. La ragazza di Sidera girò due angoli e oltrepassò due porte di vetro, una delle quali aveva affissa la scritta Vietato l’accesso ai non addetti ai lavori. Finalmente, davanti a lei c’era soltanto la sala di sicurezza, un portone blindato decorato con l’icona di una telecamera e la sigla CCTV. Bussò.
«E’ Jasper, ha dimenticato le chiavi» disse qualcuno dentro.
Si udirono movimenti, alcuni passi e poi il rumore di sblocco del portone.
«Chi sei?» domandò l’operatore, fermandosi prima di aprire più di uno spiraglio.
«Uh, mi scusi... mi hanno chiesto di venire qui, ho alcune carte da farvi firmare, ordine di Roger» rispose Celia con voce da scolaretta.
«Beh, signorina, stiamo lavorando... e poi chi è Roger?» rispose lui.
Celia pronunciò il labbro inferiore e fece una faccina triste.
«Chissenefrega, entra pure» fece lui, spalancando il portone.
«Grazie, è un vero cavaliere» commentò lei, saltellando dentro.
L’impiegato che la lasciò entrare approfondì lo studio della sua scollatura e l’altro fischiò forte puntando gli occhi sulle sue cosce.
«Come mai una bella ragazza come lei gira da sola in questi corridoi grigi?» chiese uno dei due.
«Ecco qui, vorrei un piccolo autografo su alcuni documenti» rispose lei, porgendo la cartella che aveva in mano.
 Gli impiegati la aprirono e cominciarono a sfogliarne il contenuto. Rimasero interdetti, trovandosi davanti solamente le planimetrie del palazzo e alcune stampe dei turni di lavoro degli impiegati del quarantacinquesimo e del trentaseiesimo piano.
«Scusa, tu come hai queste...?» chiese uno dei due, alzando lo sguardo.
Ebbe soltanto il tempo di vedere la ragazzina che prendeva una Poké Ball dalla cintura della minigonna, poi un lampo di luce e poi più niente.
«Ottimo, Clefable» commentò Celia.
Il Pokémon Fata aveva utilizzato Dolcebacio su entrambi gli impiegati, stordendoli all’istante. I due sembravano essere in una situazione di piacere estatico, impossibilitati a comprendere ciò che avveniva attorno a loro. Celia chiuse il portone e ne assicurò la serratura, blindandosi all’interno, mise a portata di mano chiavi, fogli e la Poké Ball di Clefable e si sedette davanti ai monitor, scostando malamente i corpi privi di ragione dei due impiegati. Si legò i capelli e riabbottonò la camicetta, diede anche un morso alla ciambella che uno dei due aveva lasciato sulla scrivania. Nell’orecchio, aveva un piccolo auricolare bianco.
«Sono dentro» disse, premendo il pulsante che attivava il microfono.
Platinum e Gold erano arrivati al ventiduesimo piano, erano usciti dall’ascensore ed erano stati accolti in una sala d’attesa dalle tinte scure, arredata con mobili minimali ma eleganti. Regnava il silenzio. Una segretaria sedeva dietro ad un bancone, apparentemente intenta a compilare dei moduli. Non era giovanissima, dava l’idea di essere concentrata ed esperta.
«Il signor Bettany, suppongo» mormorò, senza neanche alzare lo sguardo «e la signorina Berlitz. Accomodatevi, l’amministratore delegato della AxeCorp vi riceverà tra pochissimo» indicò le poltroncine riposte a lato della stanza.
I due presero posto, senza ribattere. Passarono poche decine di secondi di assoluto silenzio, poi la voce di Celia risuonò nell’orecchio di entrambi così all’improvviso che nessuno si sarebbero stupito se anche la segretaria avesse dato cenno di averla udita.
«Aggiornatemi» chiese la ragazza di Sidera.
Platinum e Gold si scambiarono uno sguardo sconsolato, entrambi consci di non poter rispondere.
«Ragazzi, non vi ricevo...» continuò Celia.
A quel punto, la Dexholder di Sinnoh si alzò in piedi e si avviò verso la scrivania della segretaria «dovremo aspettare ancora molto?» domandò con la voce antipatica che si addiceva al suo personaggio. Fingeva di arricciarsi una ciocca di capelli, ma stava tenendo il dito sulla ricetrasmittente, per tenere attivo il microfono.
«Ok» comprese Celia «procedete con la seconda fase del piano non appena mi sarò occupata delle telecamere, vi do io il segnale, quanto tempo abbiamo?»
«Sia paziente signorina Berlitz, è questione di minuti...» rispose la segretaria. Platinum non tolse il dito dal pulsante, di modo che anche Celia potesse sentire.
«Spero di farcela» rispose la ragazza di Sidera.
Nella stanza della sorveglianza, tra i monitor accesi, le carte sparse sulla scrivania e i due operatori ancora storditi dalla mossa di Clefable, uno seduto su una sedia e l’altro dondolante in posizione eretta, Celia stava muovendosi tra le impostazioni del sistema di controllo. Ovviamente non era un’esperta ed era stata obbligata a farsi inviare le istruzioni su come operare su dei computer di quella tipologia da uno dei membri della resistenza specializzato in informatica, lei seguiva solo i passaggi che erano scritti su una delle fotocopie che si era portata dietro. Parecchi piani sopra di lei, Gold e Platinum sedevano in una frustrante attesa: lei fingeva di giocare con il cellulare e lui massacrava il nodo della cravatta in preda al nervosismo. La Dexholder di Sinnoh, tenendolo d’occhio, non poteva non notare la grossa goccia di sudore che gli correva lungo la tempia, dietro l’asticella degli occhiali non graduati che aveva messo solo per mascherare un minimo la sua identità. Era preoccupata, quel piano era certamente funzionale ma non certo privo di falle e possibilità di fallimento. Sarebbe potuta essere, quella, l’unica opportunità di ottenere delle informazioni sulle azioni della Faces. Vero, avevano deciso di affrontare quell’incontro a testa alta e a viso quasi scoperto, proprio per provocare la AxeCorp e rendere evidenti le loro intenzioni, facendo percepire il fiato sul collo ai collaboratori della Faces. Tuttavia, la completa riuscita prevedeva loro che se ne andavano da quel luogo senza aver allertato nessuno. Se fosse andata diversamente, gli avversari avrebbero solo avuto un’arma in più a loro vantaggio. Ad ogni modo, Platinum stava apprezzando l’impegno di Gold per quella missione, non si sarebbe mai aspettata una tale forza di volontà, da uno che guardava la partita sul cellulare per non alzarsi e andare a prendere il telecomando del televisore. Gold, dal canto suo, era quasi felice di essersi imbarcato in un’avventura simile. Certo, non amava vestire come un pinguino, né essere costretto a soffocare ogni parolaccia e battuta che gli fosse venuta in mente durante la formulazione delle frasi. Ma ad ogni modo, non stava congelando sul Monte Corona come i suoi amici a Sinnoh e soprattutto poteva sentirsi una sorta di agente segreto infiltrato tra quegli elegantoni in abito gessato.
«Ci sono quasi» li tenne aggiornati Celia, riuscendo finalmente ad accedere al centro di controllo delle telecamere a circuito chiuso.
«Potete entrare» disse la segretaria, proprio in quel momento.
Gold e Platinum dovettero alzarsi. Le tempistiche erano sfasate: Celia avrebbe dovuto impiegare meno tempo, non sarebbero dovuti entrare entrambi in quello studio. Avrebbero dovuto attuare il piano di emergenza.
«Oswald» disse Platinum, bloccandosi all’improvviso e arpionando il compagno per il braccio.
La segretaria interruppe il suo lavoro e posò gli occhi sulla coppia, non poteva non chiedersi come mai quei due stessero impiegando tanto tempo per percorrere la lunghezza di una sola stanza. E le erano sembrati anche abbastanza affrettati.
«Che diavolo era...? Camini... cammelli... cammei vaticani?» mormorò Gold, non ricordando le parole stabilite.
«Subito» confermò Celia, sentendo il codice di emergenza. Prese il cellulare dalla scrivania, compose il numero di Platinum e premette il tasto verde.
I due Dexholder erano ancora fermi in mezzo alla sala d’attesa, sotto gli occhi attoniti della segretaria.
«C’è qualche problema? Potete entrare» li esortò, sentendo sempre più crescere il sospetto.
Improvvisamente, l’iPhone che lady Berlitz aveva tenuto saldo nelle mani fino a quel momento squillò con la suoneria più rumorosa dell’universo. L’imbarazzante silenzio fu spezzato da quella musichetta che giunse alle orecchie dei Dexholder come un salvifico coro di angeli.
«Oh, è mio padre, sarà importante» starnazzò Platinum, guardando il display e sudando freddo «anticipami, Oswald, vi raggiungerò più tardi...» mollò il braccio dell’amico e fece dietro front, uscendo dalla sala d’attesa zampettando.
Gold scrollò le spalle nei confronti della segretaria, mormorando qualcosa come “è una ragazzina” ed entrò nell’ufficio dell’amministratore delegato.
Fuori dalla sala d’attesa, Platinum riagganciò la chiamata e portò il dito al pulsante della ricetrasmittente «ci sei?» chiese a Celia.
«Ancora un attimo» rispose lei, continuando ad operare dal terminale.
«Sbrigati, sono sicura che la segretaria sospetti qualcosa» la esortò.
«Ho quasi fatto, devo solo mettere uno dei video in loop, non girare l’angolo...»
Mancavano pochi passaggi, secondo le istruzioni che il suo alleato le aveva mandato. Fino a quel momento però, la zona archivio del ventiduesimo piano era off-limits, se non volevano lasciare nemmeno una traccia della loro intrusione.
Platinum era bloccata in un corridoio, con le gambe che tremavano, il cellulare tra le mani e un senso di oppressione nel basso ventre.
«Vai» confermò Celia, vedendo che finalmente, sul monitor della telecamera numero centotrentuno era stata sostituita la registrazione in tempo reale con un ciclo infinito di un breve video di repertorio.
Platinum poté procedere. Svoltò l’angolo, si trovò di fronte ad una porta serrata che necessitava di un codice per accedere.
«Sbloccala» ordinò a Celia.
«Arrivo...» alla ragazza di Sidera bastò digitare, sempre secondo gli ordini della fotocopia, alcune linee di codice su un foglio operativo affinché quella porta si colorasse di verde sulla planimetria digitale che aveva su uno dei suoi numerosi monitor.
Davanti a Platinum, il tastierino si illuminò ed emise un suono rassicurante.
«Ci sono» mormorò, entrando.
«Finalmente» Celia tirò un sospiro di sollievo, potendosi finalmente rilassare sullo schienale di quella sedia.
Nel frattempo, dentro lo studio dell’amministratore della AxeCorp, un Gold travestito da tale Oswald Bettany veniva accolto da un uomo seduto alla sua scrivania, in camicia, cravatta e bretelle, che stava leggendo distrattamente alcuni documenti. Alle sue spalle vi erano numerosi schermi sintonizzati sugli andamenti della borsa di sette paesi diversi.
«Buongiorno, signor Bettany» i due si strinsero la mano «si accomodi pure, ma spero di fare in fretta» aveva una voce tranquilla ma decisa, il peso delle responsabilità che doveva sopportare ogni giorno da una tale posizione di potere si leggeva dal suo sguardo assente, freddo e calcolatore.
Gold si sedette sbattendo con uno dei piedi della scrivania. Trattenne la maledizione.
«Da quello che so, è qui per rinegoziare urgentemente i termini del nostro contratto con il gruppo Berlitz» andò dritto al punto l’amministratore.
«E’ solo un incontro preliminare, saranno necessari gli avvocati per firmare le carte ufficiali. L’urgenza nasce da un piccolo ma fondamentale vizio del signor Berlitz» rispose, come leggendo un copione. Punto. Fine. Il suo repertorio finiva lì, il suo unico obiettivo era temporeggiare, temporeggiare e temporeggiare. Non avevano preparato altro, troppo occupati ad elaborare altri termini più importanti del piano che avevano buttato giù il giorno prima. E se anche lo avessero fatto, Gold non sarebbe mai riuscito a memorizzare più di due righe di dialogo in una notte sola.
I due si fissarono per dei lunghi secondi, separati solo dalla scrivania e da un silenzio asfissiante e sicuramente inadeguato.
«Bene... mi spieghi pure...» borbottò l’amministratore.
Gold schioccò la lingua, aveva il palato secco «dove... dove le compra le cravatte?»
«Mi scusi?»
«Ho portato i documenti» si riprese, aprendo la ventiquattro ore che aveva poggiato sulle cosce.
Il tizio era ancora un po’ basito. Allungò le braccia avvolte dai polsini della camicia fermati da costosi gemelli e prese i fogli che Gold gli passò indistintamente, senza sapere davvero cosa stesse facendo.
«Legga pure...»
Gold fu interrotto dallo squillo dell’interfono, seguito dal cellulare dell’amministratore che era poggiato sulla scrivania, seguito dall’entrata nell’ufficio della segretaria.
«Si sintonizzi immediatamente su un notiziario!» gridò al suo datore di lavoro come fosse stato un suo collega di pari livello.
«Signorina, che cosa succede?» chiese lui.
«Un attacco terroristico, hanno colpito Riverside Street!» esclamò.
Gold rimase immobile, come una statua di gesso «ragazzi, sta succedendo qualcosa» disse Celia al suo orecchio. L’unica che aveva accesso ad uno schermo, in quel momento.

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