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John Hancock - Bloodborne - 16 - Il Mio Nome





Il Mio Nome



Nevepoli, pomeriggio.

La puzza era intollerabile lì ma Bellocchio sapeva di doverci tornare. Solo poche ore prima avevano sconfitto Regigigas, grazie al sacrificio di Augusto, e ora lui si trovava lì, solo, nella neve che s’era colorata di rosso. Bianca aveva riunito tutti i cittadini di Nevepoli, dopo aver disattivato l’allarme, nella piazza centrale, dove stava ora parlando con loro per informarli della situazione e su ciò che stava accadendo. Valerio era con lei, Bellocchio aveva preferito lasciarlo al suo fianco per aiutarla, vedendola destabilizzata da ciò che era accaduto ad Augusto.
Il corpo di Regigigas s’era deteriorato molto più velocemente di quanto Bellocchio credesse; non ne restavano che le imponenti ossa, anch’esse intaccate dalla sostanza acida. Un sibilo perenne impregnava l’aria che circondava il cadavere, frutto della corrosione in atto. C’era anche del fumo che s’innalzava dalla carcassa, che s’andava poi a mischiarsi con la lieve nebbia che aveva iniziato a condensarsi.
Bellocchio era tornato lì per un solo motivo: cercare qualche dispositivo simile a quelli già trovati sugli altri Pokémon con cui avevano dovuto lottare. Qualche ora prima, di ritorno in città con Valerio e Bianca, aveva aggiornato Alberta su ciò che era successo. Aveva lasciato i suoi due compagni intenti con la gestione dei cittadini di Nevepoli. Ora era lì, intento a scavare fra i resti dell’imponente Pokémon.
- Ellie, rilevi qualcosa? – Bellocchio indossò i suoi occhiali, attivando così la sua I.A.
- C’è una traccia elettromagnetica, molto debole, proveniente dall’interno delle ossa del cranio di Regigigas. Ma fa attenzione, i miei sensori rivelano sostanze acide presenti sul suolo e sulle ossa, penso sia pericoloso avvicinarsi.
Bellocchio si guardò intorno, alla ricerca di un qualcosa da poter sfruttare. Regigigas aveva raso al suolo una grossa porzione di foresta lì intorno, lasciando nient’altro che mera desolazione. Si avvicinò a un grosso tronco. Ne testò la resistenza e lo trascinò con sé.
Lo conficcò fra il cranio di Regigigas e il suolo; utilizzandolo come una leva, spinse con tutto il suo corpo, finendo col ribaltare la calotta cranica. Dal suo interno ne provenne un rumore metallico, mentre una grossa scatola nera si affacciava da uno dei fori dove fino a poche ore prima si trovavano gli imponenti occhi del Pokémon. Utilizzando lo stesso tronco, spinse la scatola prima fuori dal cranio, e poi sul suolo, lontano dall’acido. Qui la fece muovere in circolo e la ricoprì più volte con la neve, in modo da ripulirla il più possibile.
Una volta sicuro che non ci fossero più pericoli nel maneggiarla, Bellocchio la raccolse fra le mani. Dalla grandezza simile a quella di un laptop, nascondeva molto più peso di quanto non sembrasse.
- È ancora in funzione, sto captando un segnale. Molto debole, ma è ancora presente – disse Ellie.
- Puoi rintracciarlo?
- Ci sto provando, è criptato quasi perfettamente.
- Quasi? – chiese Bellocchio.
Aspettò una decina di secondi, arco temporale che a lui parvero giorni interi, mentre l’intelligenza artificiale di Ellie era intenta a processare i vari calcoli.
- Esatto, quasi una criptazione perfetta. Non è stata eseguita da me, quindi non era impenetrabile.
- Era?
- Corretto, sono riuscita a rintracciare la fonte del segnale. Si trova qui vicino Nevepoli, ho segnato la posizione sulla mappa. Andiamo lì?
- No, meglio andare a chiamare i rinforzi prima, a quest’ora Bianca e Valerio dovrebbero aver finito di spiegare la situazione ai cittadini.

Nevepoli, poco più tardi.

Bellocchio si era diretto verso casa di Bianca. Era passato parecchio tempo, quindi supponeva che il suo dialogo ai cittadini fosse finito. Nel giardino antecedente l’abitazione vide il Glaceon di Bianca intento a raggomitolarsi sul dorso del Pidgeot di Valerio, nascondendo il viso fra il piumaggio dell’altro.
 Bellocchio aprì la porta ed entrò. Trovò Bianca e Valerio seduti attorno al tavolo da pranzo. Tutto era immobile, le luci sembravano aver perso calore. Le lancette dell’orologio a muro erano le sole a produrre rumore.
Valerio stava cercando di far mangiare qualcosa a Bianca, visibilmente senza appetito.
- Avanti, solo un altro paio di forchettate. Devi mangiare qualcosa, hai già saltato troppi pasti – insisteva il ragazzo dai capelli blu.
Era seduto di fianco a Bianca, la quale non smetteva di tremare. Lui le cingeva con un braccio le spalle, mentre l’accarezzava lentamente, quasi avesse paura di spezzarla, con la mano. L’altra era invece impegnata a sostenere con ostinazione la forchetta, davanti il volto di Bianca.
- Te l’ho detto, non riesco a mangiare ancora. Ho lo stomaco in subbuglio.
- Solo un’altra. L’ultima – insistette Valerio.
Anche se controvoglia, Bianca continuò a mangiare.
Lo sguardo di Bellocchio scivolò sul piano cottura e il lavello, entrambi sporchi e caotici. Molto probabilmente era stato Valerio a cucinare.
Bellocchio s’avvicinò al tavolo per poi schiarirsi la voce, in modo da rendere nota la sua presenza.
- Allora? – chiesero quasi all’unisono.
- Ho trovato una pista. Regigigas aveva una trasmittente che è riuscita a sopravvivere allo scontro. Ellie ne ha analizzato le frequenze e decriptato la posizione dell’apparecchio che ne riceve il segnale. Si trova in una baia poco lontano da Nevepoli, nei registri non risulta abitata.
- Quanto è distante? – chiese Bianca.
- Una decina di chilometri, verso nord. Io parto immediatamente.
- Veniamo con te – Bianca si alzò e si diresse verso l’armadio. Lo aprì e ne trasse il giaccone da neve.
- Inoltre ho parlato con Alberta mentre ritornavo qui. Le ho descritto ciò che è successo, in questo momento sta ultimando i preparativi, poi arriverà con la squadra di supporto. Non sei obbligata a venire con noi.
- Voglio prendere chi c’è dietro questi attacchi – disse ostentatamente Bianca.
Bellocchio la fissò per qualche istante. I suoi occhi esternavano la sua paura ma, anche, la determinazione nell’andare fino in fondo.
- Molto bene. Allora andiamo.


Mezz’ora più tardi, circa dieci chilometri a nord di Nevepoli.

 - Sapete vero che sembra davvero una trappola? – disse Valerio, scendendo dalla groppa di Mamoswine.
I tre erano arrivati in una grande piazza innevata, attorno alla quale erano disposte molte case probabilmente abbandonate da anni. L’accesso a questa zona era stato più difficile del previsto a causa di numerevoli cancelli e barriere, talvolta anche naturali, a causa della vegetazione cresciuta senza controllo. Alcune delle abitazioni avevano il soffitto in parte o completamente distrutto dal peso della neve e dagli altri agenti atmosferici. Praticamente tutte erano in un avanzato stato di abbandono. Qui e là s’intravedevano nella neve le orme di qualche Pokémon selvatico che era passato di lì. Ma per il resto, non c’era segno di vita.
- Che posto è questo? Non avevo la minima idea della sua esistenza – Bianca richiamò Mamoswine nella Ball, era esausto per lo sforzo.
Li aveva trasportati alla massima velocità, noncurante di neve e rami che gli impedivano il tragitto.
- Non conoscevate questo posto? – chiese Bellocchio.
- No, nessuno a Nevepoli ne sa niente. Questa zona è sempre stata a divieto di accesso perché ci sono delle caverne sotterranee con il rischio che qui sprofondi tutto. Ma dopo aver visto tutte quelle recinsioni e sistemi di sicurezza…
- Dubiti che sia il vero motivo. Qui è successo qualcosa – concluse Bellocchio.
- Qualcosa di molto brutto, per ridurre questo posto così – commentò Valerio.
I tre iniziarono a camminare, diretti verso una delle ultime case, luogo dove Ellie aveva rintracciato il segnale.
- Fate molta attenzione e siate pronti a combattere. Non mi piace questo posto.
Nella calma e nella quiete più assoluta, i tre arrivarono davanti il vialetto d’ingresso. La buca per le lettere era spezzata a metà ma ancora s’intravedeva la scritta “Wesker” sbiadita dal tempo, buttata per terra fra la neve.
- Deve essere la persona che abitava qui – commentò Bellocchio, passandoci di fianco.
La porta si aprì con molta più facilità di quanto non credessero. Bellocchio fu il primo ad entrare. Con Ellie attiva, scansionò ogni minima cosa presente nell’abitazione, dal pavimento alla mobilia consumata dal tempo.
- Ok, potete entrare adesso. Non rischiamo più di perdere eventuali tracce, al momento Ellie le sta analizzando, mi farà sapere se trova qualcosa.
Valerio e Bianca lo seguirono, le torce puntate a illuminare gli angoli bui non raggiunti dalla luce del giorno. Mentre ispezionavano la casa in cerca di indizi, il vento fuori urlava contro le pareti, intrufolandosi in ogni più piccolo buco nelle pareti. Tutto il resto era immobile, l’aria era secca per colpa della polvere accumulata lì in lunghi anni.
In quel momento stavano setacciando il salone in cerca di qualche trasmittente.
- Mh, strano… - mormorò tra sé Valerio.
Bellocchio lo sentì – Che hai trovato?
- No, niente di niente. Soltanto polvere, montagne di polvere. Però è strano, qui davanti alla porta del ripostiglio non ce n’è neanche un poco.
Bellocchio s’allarmò immediatamente. Lasciò stare ciò che stava facendo e si diresse verso Valerio. Lo scostò e osservò il pavimento. Era troppo pulito. Aprì con lentezza la porta del ripostiglio, con Valerio e Bianca alle sue spalle, pronti a intervenire nel caso accadesse qualcosa. L’interno era completamente vuoto, le pareti spoglie a meno di una lampada che pendeva dal soffitto e una scopa con le setole rigide per il freddo. Non un interruttore, o qualsiasi altra cosa. Bellocchio tirò la catenina di fianco la lampada che non si accese neanche dopo il click.
- Qui manca qualcosa… - Bellocchio uscì, strappò un pezzo di carta da parati e tornò verso il ripostiglio. Appoggiò la carta per terra, vicino la parete di fronte all’ingresso, e aspettò. Anche se in modo impercettibile, la carta stropicciata aveva iniziato a ondeggiare.
- Lo sapevo… Ellie, scansiona questa parete, dimmi cosa vedi.
- Non so cosa ci sia dietro, i miei sensori sono indeboliti da delle interferenze. Vedo però che c’è una zona diversa rispetto al resto della parete. A dodici centimetri dal lato destro, sessantasette centimetri di altezza.
Con indosso gli occhiali, la zona venne marcata con un punto rosso sulle lenti. Bellocchio si abbassò e andò a spingere con la mano in quel punto. La parete si spostò di pochi centimetri indietro, per poi scivolare di lato e scomparire. La zona antecedente s’illuminò, rilevando una scalinata con le pareti rivestite di acciaio lucido.
I tre iniziarono la discesa ponderando ogni minimo movimento, con i sensi pronti a captare qualsiasi incongruenza.
Una volta in fondo, si ritrovarono in quello che sembrava un laboratorio molto avanzato, rigidamente in ordine e immacolato, come se non fosse mai stato utilizzato.
- Il mio segnale è disturbato qui, ma sono sicura che quello è il ricevitore che stiamo cercando – Ellie evidenziò uno dei tavoli ai lati del laboratorio, dove erano sistemati quella che somigliava a una grossa scatola nera collegata a un computer e un monitor.
Bellocchio fu il primo ad avvicinarsi, e non appena fu abbastanza vicino al tavolo, il monitor del computer si accese. Apparve su schermo nero una sola lettera: una B rossa che occupava la maggior parte dello spazio.
Dagli altoparlanti fuoriuscì una profonda voce da uomo, distorta in modo da non essere riconosciuta.
- Finalmente c’incontriamo, signor Bellocchio. L’ho osservata per un po’ di tempo. Devo dire che se l’è cavata piuttosto bene contro i miei prototipi.
A Bellocchio si gelò il sangue nelle vene. Iniziò a sudare freddo, aveva stabilito un primo contatto diretto con l’esecutore delle stragi di Nevepoli.
- I tuoi Pokémon hanno fatto questo? Chi sei?
- Non c’è bisogno di conoscere i nostri nomi. Io sono a conoscenza del suo poiché è un’informazione di pubblico dominio, ma non si preoccupi, non intendo utilizzarlo a mio favore.
Ci furono un paio di secondi di silenzio, poi la voce riprese.
- Però capisco che potrebbe rivelarsi difficile combattere contro qualcuno di cui non si ha neanche un nome da pronunciare. Perciò, mi chiami “Dottor Bloodborne”. Anzi, saltiamo oltre le formalità, chiamami pure Bloodborne.

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