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John Hancock - Bloodborne - 17 - Faccia A Faccia




Faccia A Faccia




Sullo schermo del computer continuava a essere visualizzata solo e unicamente quella “B”. La voce proveniva dagli altoparlanti, distribuiti in modo uniforme per il laboratorio, con risultato una voce che sembrava ultraterrena, non collocabile in un punto preciso.
Ci siamo, dall’altra parte di questo schermo si trova il responsabile di tutto questo. Non devo fare errori, adesso pensò Bellocchio.
- Quindi tutto questo è opera tua? I Pokémon, le morti, perché lo stai facendo?
- Non aspettarti un monologo da villain di un film hollywoodiano, sono ben oltre queste frivolezze. Ho fatto in modo da farvi recapitare quella trasmittente solo per farvi giungere qui. Volevo soltanto presentarmi, altrimenti che gusto ci sarebbe stato?
- Che cosa intendi?
- Qualche giorno fa ho liberato il mio Delibird per poterne studiare il comportamento, e devo dire che ha superato le mie aspettative. Vederti apparire sulla scena è stato inaspettato, ma non hai fatto altro che rendere le cose ancora più interessanti. Conosco la tua fama, Bellocchio, sei il soggetto perfetto.
Sta parlando. Devo continuare così.
- Prima hai detto di voler combattere, stai proponendo una sfida? – chiese Bellocchio.
Lo sentì sorridere.
- Tu dovresti essere il migliore in quello che fai. Vediamo se sarai così bravo da riuscire a trovarmi, prima che sia troppo tardi per voi. Ma sappi una cosa, più tempo passerà, più il numero dei miei infetti aumenterà. Devo dire che questo è stato un piacevole effetto secondario: non lo credevo in grado di riprodursi autonomamente, e invece guarda qui, ha già intaccato la maggior parte dei Pokémon.
- Quindi è un virus, o qualcosa di simile?
Forse posso riuscire a scoprire qualcosa.
- Non credermi stupido, Bellocchio. Sono perfettamente a conoscenza di ciò che sai. Sei al corrente della natura del mio virus, e conosci abbastanza bene cosa significa ritrovarsi contro uno di quei Pokémon. Prova a immaginare, migliaia di loro, assetati di sangue, liberi d’invadere Nevepoli. Sarà solo una questione di tempo… il virus dilagherà, infettando qualsiasi Pokémon, portando Sinnoh nell’anarchia. Poi sarà il turno delle altre Regioni, per mare e per aria il virus si diffonderà, finendo con l’infettare tutto il mondo. Chissà quanto tempo ci vorrà per portare nel baratro il genere umano…
Bloodborne aveva parlato con lucidità e una sicurezza di sé troppo solida per poter essere ignorata. Ciò che stava dicendo doveva essere il vero. Bellocchio ne era certo, quell’uomo non stava scherzando, era capace di fare ciò che aveva affermato. Lui lo aveva visto con i propri occhi; se uno di quei Pokémon dovesse entrare in un centro abitato farebbe una strage prima di poter venire abbattuto. Non osava immaginare quali danni avrebbe potuto causare un’orda.
- Che cos’è che vuoi? Perché fai tutto questo? – Bellocchio iniziò a picchiettare con le dita sul tavolo, nervoso.
- Mi spiace, mio caro Bellocchio, ma è proprio questo il nostro gioco. Il mio obiettivo è quello di liberare il virus fra tutti i Pokémon, il tuo è quello di scoprire le mie motivazioni, la mia identità e, infine, capire dove mi trovo, in modo da potermi venire a prendere. Non vedo l’ora di vederti in prima persona, sempre se ne avremo l’occasione. Ho scelto la mia prossima mossa, adesso tocca a te. Attento a non perderti fra i miei ricordi.
Lo schermo del computer divenne nero e la voce cessò di parlare. Valerio e Bianca si avvicinarono a Bellocchio, muovendosi lentamente e in modo maldestro, come se si fossero ripresi da un qualche stato di stasi.
- Questo tizio è svitato – commentò il primo.
- Ho scansionato l’area circostante. Tutte le case della zona presentano dei laboratori sotterranei simili a questo, lasciati in condizioni ottimali – annunciò Ellie.
- Come hai fatto a determinare il loro stato? – chiese Bianca.
- È in grado di collegarsi alle reti, ha utilizzato il sistema di videosorveglianza per controllare lo stato degli altri laboratori. Sono collegati con un circuito chiuso, fra di loro, quindi ho ipotizzato che il nostro uomo si potesse trovare in uno di quei laboratori, ho dato l’ordine ed Ellie ha eseguito.
- Quando? Non ti ho sentito accennare nulla se non parlare con Bloodborne – s’incuriosì Bianca.
- Con questo – Bellocchio batté le dita sul tavolo – codice Morse, Ellie è in grado di comprenderlo.
Bianca e Valerio rimasero a bocca aperta.
- Quindi adesso cosa facciamo? Setacciamo la zona? – chiese il secondo.
- No, si deve trattare di questa casa. Credo che il nostro Bloodborne sia vissuto qui per un periodo. Non sono sicuro se si tratti di quel Wesker o meno, ma sicuramente si è trovato qui.
- Cosa te lo fa supporre? – insistette Valerio.
- “Attento a non perderti fra i miei ricordi” sono state le sue ultime parole. Significa che qui in giro c’è qualcosa che lo riguarda. Vuole che lo troviamo e conosciamo la sua storia. Quasi tutti i serial killer uccidono lasciando un messaggio, o vogliono che si sappia qualcosa sul loro conto. Li fa sentire potenti e orgogliosi. Quindi credo che qui si trovi qualcosa che gli appartiene.
- E come facciamo a trovarlo e a capire cosa sia? – chiese Bianca.
- Lo sapremo quando lo vedremo.
Bellocchio risalì le scale, diretto nuovamente al piano terra.
- Dividiamoci, meglio cercare ognuno di noi in una stanza – suggerì Valerio – Io vado in salotto.
- Bianca, tu prendi la cucina, poi proseguite con le altre stanze sul piano, io cerco nelle stanze di sopra.
Bellocchio si avviò ai piani superiori. Tutte le porte sul corridoio erano state lasciate aperte. Nella prima a sinistra si trovava il bagno, ormai ridotto all’osso, senza alcun mobile e dotato solo di toilette, piatto doccia, bidet e lavandino. Dall’altro lato una porta si apriva su una stanza contenente una singola brandina con unicamente un materasso posizionato sopra. Le tende erano cadute per terra, piene di polvere e ammuffite.
- Non rilevo discontinuità fisiche all’interno del materasso, è vuoto – confermò Ellie.
Bellocchio annuì e proseguì oltre. A sinistra, questa volta, intravide quello che sembrava uno studio. L’illuminò con la torcia e vide diverse lavagne stracolme di formule lasciate lì da chissà quanti anni. Molti libri situati sulla scrivania erano ricoperti di polvere, l’aria era secca e l’odore di libri vecchi impermeava la stanza. C’erano moltissimi altri libri sulle librerie posizionate tutt’intorno nella sala, uniti a molti scatoloni sparsi in giro per il pavimento.
Fece qualche passo indietro, convinto che quello che cercava non si trovasse lì. Si avviò verso l’ultima porta, chiusa, attratto da una strana sensazione. Estrasse la pistola dalla fondina, tolse la sicura e iniziò a spingere la porta verso l’interno, facendola ruotare verso sinistra sui cardini. Smorzò la luce con la mano libera, lasciando fuoriuscire solo un fascio impercettibile. Diversi Pokémon si trovavano all’interno, distribuiti tutt’intorno vicino le pareti. Un’enorme Ivysaur si trovava disteso sul letto, nessuno di loro sembrava averlo notato.
Bellocchio trattenne il respiro, mentre abbassava la mano verso la Poké Ball di Croagunk. Arretrò più lento che poté ma, anche così, il pavimento non evitò di scricchiolare. Il suo cuore iniziò a battere più veloce alla paura di essere stato scoperto.
- Non rilevo battito all’interno della stanza – lo tranquillizzò Ellie.
- Cosa?
Bellocchio spalancò la porta e lasciò libero il fascio di luce. Quelli che aveva visto non erano Pokémon.
- Sono pupazzi, solo delle riproduzioni – lasciò fluire il fiato dai polmoni, rilasciando lo stress e l’adrenalina che si erano accumulati nelle sue vene.
La stanza era sicuramente quella di una bambina, la carta da parati era costellata di fiori rosa e piccoli Bulbasaur, mentre i peluche occupavano ogni spazio non utilizzato per mobili o altro. A differenza delle altre stanze, questa era in perfette condizioni. Non un filo di polvere sul pavimento, non un oggetto fuori posto o un mobile deteriorato. Tutto era in ordine come se fosse ancora abitato.
Bellocchio iniziò a cercare in giro, aprì i vari cassetti e gli armadi, trovando però soltanto vestiti da bambina, giocattoli e molti libri per bambini sui fiori e gli alberi.
Continuò a cercare, spulciando le mensole e scostando i peluche, cercò sotto il letto. Si fermò un attimo, c’era qualcosa fuori luogo in quella stanza, come di estraneo. Una scrivania con una sedia, qualcosa gli diceva che in origine non erano posizionati lì. Si avvicinò, scostò uno a uno i libri per bambini fino ad arrivare all’ultimo, un vecchio diario rilegato in una pelle nera. Di fianco si trovava una penna con un calamo con l’inchiostro ormai seccato e inutilizzabile.
Provò una strana sensazione di paura mentre maneggiava quel diario così estraneo rispetto a tutto ciò che lo circondava. Era sicuro di aver trovato quello che stava cercando, eppure aveva la sensazione che, una volta iniziato a leggere, si sarebbe trovato in un vortice senza fine.
Sentì dei passi arrivare dalle scale, seguiti dalle voci di Bianca e Valerio.
- Sono nell’ultima stanza – annunciò lui.
Poi districò il filo di corda che teneva chiuse le pagine e aprì il diario.

“Trovo un qualcosa di poetico nello scrivere proprio su questo diario, utilizzando calamo e penna. L’inchiostro dà un senso di personalità differente rispetto agli zero e uno che si trovano dietro uno schermo. Dopo quello che è successo, non ho avuto il coraggio di parlare con nessuno, se non con lei. Ora siamo in clinica, Sabrina è seduta qui di fianco, anche lei con lo sguardo perso nel vuoto. Si è ripresa velocemente, quindi ha deciso di venire da noi due, per darci forza.
Una volta uno psicologo mi disse che il modo migliore per lasciar andare i ricordi, per analizzarli e trovarci un insegnamento o una soluzione, è quello di scriverli. L’azione di imprimere su carta aiuta il cervello a processare. Più o meno quello che fa il nostro Nick Carraway ne ‘Il Grande Gatsby’. Forse questo può aiutare anche me, o almeno riuscirà a non farmi impazzire mentre aspetto i risultati.
Ecco quindi la mia storia e quello che accadde…”

Bianca e Valerio erano ormai con lui. Bellocchio iniziò a leggere ad alta voce quello che era scritto di seguito.

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