Faccia A Faccia
Sullo schermo del computer continuava a essere
visualizzata solo e unicamente quella “B”. La voce proveniva dagli altoparlanti,
distribuiti in modo uniforme per il laboratorio, con risultato una voce che
sembrava ultraterrena, non collocabile in un punto preciso.
Ci siamo,
dall’altra parte di questo schermo si trova il responsabile di tutto questo.
Non devo fare errori, adesso pensò Bellocchio.
- Quindi tutto questo è opera tua? I Pokémon, le
morti, perché lo stai facendo?
- Non aspettarti un monologo da villain di un film
hollywoodiano, sono ben oltre queste frivolezze. Ho fatto in modo da farvi
recapitare quella trasmittente solo per farvi giungere qui. Volevo soltanto
presentarmi, altrimenti che gusto ci sarebbe stato?
- Che cosa intendi?
- Qualche giorno fa ho liberato il mio Delibird
per poterne studiare il comportamento, e devo dire che ha superato le mie
aspettative. Vederti apparire sulla scena è stato inaspettato, ma non hai fatto
altro che rendere le cose ancora più interessanti. Conosco la tua fama,
Bellocchio, sei il soggetto perfetto.
Sta
parlando. Devo continuare così.
- Prima hai detto di voler combattere, stai
proponendo una sfida? – chiese Bellocchio.
Lo sentì sorridere.
- Tu dovresti essere il migliore in quello che
fai. Vediamo se sarai così bravo da riuscire a trovarmi, prima che sia troppo
tardi per voi. Ma sappi una cosa, più tempo passerà, più il numero dei miei
infetti aumenterà. Devo dire che questo è stato un piacevole effetto
secondario: non lo credevo in grado di riprodursi autonomamente, e invece
guarda qui, ha già intaccato la maggior parte dei Pokémon.
- Quindi è un virus, o qualcosa di simile?
Forse posso
riuscire a scoprire qualcosa.
- Non credermi stupido, Bellocchio. Sono
perfettamente a conoscenza di ciò che sai. Sei al corrente della natura del mio
virus, e conosci abbastanza bene cosa significa ritrovarsi contro uno di quei
Pokémon. Prova a immaginare, migliaia di loro, assetati di sangue, liberi
d’invadere Nevepoli. Sarà solo una questione di tempo… il virus dilagherà,
infettando qualsiasi Pokémon, portando Sinnoh nell’anarchia. Poi sarà il turno
delle altre Regioni, per mare e per aria il virus si diffonderà, finendo con
l’infettare tutto il mondo. Chissà quanto tempo ci vorrà per portare nel
baratro il genere umano…
Bloodborne aveva parlato con lucidità e una
sicurezza di sé troppo solida per poter essere ignorata. Ciò che stava dicendo
doveva essere il vero. Bellocchio ne era certo, quell’uomo non stava
scherzando, era capace di fare ciò che aveva affermato. Lui lo aveva visto con
i propri occhi; se uno di quei Pokémon dovesse entrare in un centro abitato
farebbe una strage prima di poter venire abbattuto. Non osava immaginare quali
danni avrebbe potuto causare un’orda.
- Che cos’è che vuoi? Perché fai tutto questo? –
Bellocchio iniziò a picchiettare con le dita sul tavolo, nervoso.
- Mi spiace, mio caro Bellocchio, ma è proprio
questo il nostro gioco. Il mio obiettivo è quello di liberare il virus fra
tutti i Pokémon, il tuo è quello di scoprire le mie motivazioni, la mia
identità e, infine, capire dove mi trovo, in modo da potermi venire a prendere.
Non vedo l’ora di vederti in prima persona, sempre se ne avremo l’occasione. Ho
scelto la mia prossima mossa, adesso tocca a te. Attento a non perderti fra i
miei ricordi.
Lo schermo del computer divenne nero e la voce
cessò di parlare. Valerio e Bianca si avvicinarono a Bellocchio, muovendosi
lentamente e in modo maldestro, come se si fossero ripresi da un qualche stato
di stasi.
- Questo tizio è svitato – commentò il primo.
- Ho scansionato l’area circostante. Tutte le case
della zona presentano dei laboratori sotterranei simili a questo, lasciati in
condizioni ottimali – annunciò Ellie.
- Come hai fatto a determinare il loro stato? –
chiese Bianca.
- È in grado di collegarsi alle reti, ha
utilizzato il sistema di videosorveglianza per controllare lo stato degli altri
laboratori. Sono collegati con un circuito chiuso, fra di loro, quindi ho
ipotizzato che il nostro uomo si potesse trovare in uno di quei laboratori, ho
dato l’ordine ed Ellie ha eseguito.
- Quando? Non ti ho sentito accennare nulla se non
parlare con Bloodborne – s’incuriosì Bianca.
- Con questo – Bellocchio batté le dita sul tavolo
– codice Morse, Ellie è in grado di comprenderlo.
Bianca e Valerio rimasero a bocca aperta.
- Quindi adesso cosa facciamo? Setacciamo la zona?
– chiese il secondo.
- No, si deve trattare di questa casa. Credo che
il nostro Bloodborne sia vissuto qui per un periodo. Non sono sicuro se si
tratti di quel Wesker o meno, ma sicuramente si è trovato qui.
- Cosa te lo fa supporre? – insistette Valerio.
- “Attento a non perderti fra i miei ricordi” sono
state le sue ultime parole. Significa che qui in giro c’è qualcosa che lo
riguarda. Vuole che lo troviamo e conosciamo la sua storia. Quasi tutti i
serial killer uccidono lasciando un messaggio, o vogliono che si sappia
qualcosa sul loro conto. Li fa sentire potenti e orgogliosi. Quindi credo che
qui si trovi qualcosa che gli appartiene.
- E come facciamo a trovarlo e a capire cosa sia? –
chiese Bianca.
- Lo sapremo quando lo vedremo.
Bellocchio risalì le scale, diretto nuovamente al
piano terra.
- Dividiamoci, meglio cercare ognuno di noi in una
stanza – suggerì Valerio – Io vado in salotto.
- Bianca, tu prendi la cucina, poi proseguite con
le altre stanze sul piano, io cerco nelle stanze di sopra.
Bellocchio si avviò ai piani superiori. Tutte le
porte sul corridoio erano state lasciate aperte. Nella prima a sinistra si
trovava il bagno, ormai ridotto all’osso, senza alcun mobile e dotato solo di
toilette, piatto doccia, bidet e lavandino. Dall’altro lato una porta si apriva
su una stanza contenente una singola brandina con unicamente un materasso
posizionato sopra. Le tende erano cadute per terra, piene di polvere e
ammuffite.
- Non rilevo discontinuità fisiche all’interno del
materasso, è vuoto – confermò Ellie.
Bellocchio annuì e proseguì oltre. A sinistra,
questa volta, intravide quello che sembrava uno studio. L’illuminò con la
torcia e vide diverse lavagne stracolme di formule lasciate lì da chissà quanti
anni. Molti libri situati sulla scrivania erano ricoperti di polvere, l’aria
era secca e l’odore di libri vecchi impermeava la stanza. C’erano moltissimi
altri libri sulle librerie posizionate tutt’intorno nella sala, uniti a molti
scatoloni sparsi in giro per il pavimento.
Fece qualche passo indietro, convinto che quello
che cercava non si trovasse lì. Si avviò verso l’ultima porta, chiusa, attratto
da una strana sensazione. Estrasse la pistola dalla fondina, tolse la sicura e
iniziò a spingere la porta verso l’interno, facendola ruotare verso sinistra
sui cardini. Smorzò la luce con la mano libera, lasciando fuoriuscire solo un
fascio impercettibile. Diversi Pokémon si trovavano all’interno, distribuiti
tutt’intorno vicino le pareti. Un’enorme Ivysaur si trovava disteso sul letto,
nessuno di loro sembrava averlo notato.
Bellocchio trattenne il respiro, mentre abbassava
la mano verso la Poké Ball di Croagunk. Arretrò più lento che poté ma, anche
così, il pavimento non evitò di scricchiolare. Il suo cuore iniziò a battere
più veloce alla paura di essere stato scoperto.
- Non rilevo battito all’interno della stanza – lo
tranquillizzò Ellie.
- Cosa?
Bellocchio spalancò la porta e lasciò libero il
fascio di luce. Quelli che aveva visto non erano Pokémon.
- Sono pupazzi, solo delle riproduzioni – lasciò fluire
il fiato dai polmoni, rilasciando lo stress e l’adrenalina che si erano
accumulati nelle sue vene.
La stanza era sicuramente quella di una bambina,
la carta da parati era costellata di fiori rosa e piccoli Bulbasaur, mentre i
peluche occupavano ogni spazio non utilizzato per mobili o altro. A differenza
delle altre stanze, questa era in perfette condizioni. Non un filo di polvere
sul pavimento, non un oggetto fuori posto o un mobile deteriorato. Tutto era in
ordine come se fosse ancora abitato.
Bellocchio iniziò a cercare in giro, aprì i vari
cassetti e gli armadi, trovando però soltanto vestiti da bambina, giocattoli e
molti libri per bambini sui fiori e gli alberi.
Continuò a cercare, spulciando le mensole e scostando
i peluche, cercò sotto il letto. Si fermò un attimo, c’era qualcosa fuori luogo
in quella stanza, come di estraneo. Una scrivania con una sedia, qualcosa gli
diceva che in origine non erano posizionati lì. Si avvicinò, scostò uno a uno i
libri per bambini fino ad arrivare all’ultimo, un vecchio diario rilegato in
una pelle nera. Di fianco si trovava una penna con un calamo con l’inchiostro
ormai seccato e inutilizzabile.
Provò una strana sensazione di paura mentre
maneggiava quel diario così estraneo
rispetto a tutto ciò che lo circondava. Era sicuro di aver trovato quello che
stava cercando, eppure aveva la sensazione che, una volta iniziato a leggere,
si sarebbe trovato in un vortice senza fine.
Sentì dei passi arrivare dalle scale, seguiti
dalle voci di Bianca e Valerio.
- Sono nell’ultima stanza – annunciò lui.
Poi districò il filo di corda che teneva chiuse le
pagine e aprì il diario.
“Trovo un
qualcosa di poetico nello scrivere proprio su questo diario, utilizzando calamo
e penna. L’inchiostro dà un senso di personalità differente rispetto agli zero
e uno che si trovano dietro uno schermo. Dopo quello che è successo, non ho
avuto il coraggio di parlare con nessuno, se non con lei. Ora siamo in clinica,
Sabrina è seduta qui di fianco, anche lei con lo sguardo perso nel vuoto. Si è
ripresa velocemente, quindi ha deciso di venire da noi due, per darci forza.
Una volta
uno psicologo mi disse che il modo migliore per lasciar andare i ricordi, per
analizzarli e trovarci un insegnamento o una soluzione, è quello di scriverli.
L’azione di imprimere su carta aiuta il cervello a processare. Più o meno
quello che fa il nostro Nick Carraway ne ‘Il Grande Gatsby’. Forse questo può
aiutare anche me, o almeno riuscirà a non farmi impazzire mentre aspetto i
risultati.
Ecco quindi
la mia storia e quello che accadde…”
Bianca e Valerio erano ormai con lui. Bellocchio
iniziò a leggere ad alta voce quello che era scritto di seguito.
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