Il sudore le irritò gli occhi; lo asciugò
distrattamente. In quella foresta l’aria era soffocante. Diede un rapido
sguardo verso l’alto, scorgendo il sole. Doveva essere all’incirca mezzogiorno.
Tornò a concentrarsi.
Strisciò nel sottobosco, cercando di fare quanto
meno rumore possibile. Con la mano sinistra andava a rimuovere i ramoscelli più
piccoli, o i sassi che avrebbero potuto graffiarle il ventre. La destra reggeva
il coltello kukri che si era procurata da una delle svariate casse d’equipaggiamento
distribuite tutt’intorno.
Mentre s’avvicinava alla posizione che si era
prestabilita in mente, un rumore che ben conosceva attirò la sua attenzione. Fu
un solo istante, e il fruscio, rapido e violento, fu seguito dal grido di
dolore della sua preda.
Uno strano brivido d’eccitazione le percosse la
schiena, facendole vibrare l’intero corpo. D’istinto si tirò su, e iniziò a
camminare lentamente verso l’origine dei lamenti. Appena ebbe il contatto
visivo, ne fu certa: la trappola era riuscita. Iniziò a correre, col coltello
stretto nella mano, infischiandosene del rumore prodotto. Doveva sbrigarsi, per
non attirare troppo l’attenzione.
Mentre correva rifletté sulla facilità con la
quale aveva costruito quella trappola: le erano bastati dei grossi rami da
affilare e legare insieme, come fossero un enorme pettine, e una corda da
tendere che, quando spezzata, avrebbe lanciato in avanti il legno. Sperava
soltanto di aver fatto bene i calcoli e averla posizionata alla giusta altezza.
Gli arrivò dalle spalle, lui non poteva vederla, impegnato com’era nel tentare
di rimuovere le punte dal suo corpo: erano penetrate poco sopra le ginocchia,
trafiggendolo e immobilizzandolo sul posto. Se avesse provato a sedersi o
stendersi, si sarebbe lacerato completamente, in questo modo era facilmente
visibile per lei.
Lei gli girò intorno, portandosi faccia a faccia
con lui. Non era stata la sua prima preda, ma la strana sensazione non
accennava a scemare.
- Iris… aiutami – del sangue sgorgò dalle sue
ferite quando lui cercò di muoversi.
- Sono tutti pazzi qui. Se ci ribelliamo tutti
quanti, riusciremmo a batterli.
- Batterli? Non ne vedo il motivo, io voglio
vincere – rispose lei, conficcando la lama fra le costole di lui, poco sotto al
cuore.
Girò rapidamente la lama di lato, facendo
diventare la ferita un foro molto più ampio.
“Che
peccato, Valerio. Mi dispiace averti dovuto uccidere, ma sei finito nella mia
trappola. E pensare che avevo fantasticato così tanto, su di noi. Avrei tanto
voluto fare del sano e violento sesso, insieme, e non solo masturbarmi nel
pensarlo. Strana la vita”.
Iris rimase lì a osservare Valerio perdere le
ultime forze, mentre una strana sensazione di piacere le inondava il basso
ventre. Troncò la base della trappola, fece cadere il cadavere per terra e
iniziò a frugare all’interno delle sue tasche, cercando qualsiasi cosa di
utile. La sua mente tornò indietro, a quando non si sarebbe mai immaginata in
una simile situazione.
Quando le avevano suggerito del torneo per
diventare campioni, Iris si era iscritta senza neanche pensarci.
Quando aveva scoperto i suoi avversari, e aveva
puntato in particolar modo l'occhio su N, Crystal e Silver, si era quasi
eccitata all'idea di poter competere contro di loro - allenatori validi che le
avrebbero potuto tenere testa, sì. Farle aprire gli occhi su quanto fosse
forte. E brava. E praticamente imbattibile.
Ma quando aveva saputo che avrebbe dovuto
uccidere, pur di ottenere quel posto, l'eccitazione era stata talmente tanta da
quasi farle paura. Si era spaventata, un brivido l'aveva trafitta da parte a
parte. La metà sua più umana avrebbe voluto solo rifiutare, tirarsi indietro.
Non aveva mai ucciso - non lo avrebbe fatto ora.
Non era un'assassina.
Iris non era un'assassina.
Eppure, per quanto tempo ancora avrebbe dovuto
continuare a bramare quell'ambita posizione di prestigio? Era piccola. Aveva
solo quindici anni. E in quindici anni di vita non c'era mai stato modo di
essere presa sul serio da nessuno.
Nemmeno i suoi avversari, quelli che aveva quasi
ammirato, all'inizio, ma che ora, guardandoli cenare di fronte a lei, sentì
quasi di voler eliminare lì stante.
Tutti i suoi sforzi, gli sforzi dei suoi
Pokémon... lacrime grosse quanto caramelle minacciarono di scivolarle dagli
occhi e cascare nella patina viola del suo dessert alla baccamora.
Si trattenne per non tirare un calcio a Sanzo,
seduto proprio di fronte a lei, mentre un fuoco anomalo le pervadeva i sensi
più selvaggi ed incontrollati. Ogni maledetto giorno ad allenarsi e quasi farsi
uccidere da un Haxorus impazzito, le scalate per irrobustirsi, le lotte feroci
contro gli allenatori... e alla fine della fiaba, solo il sapore bruciante
della sconfitta, quello che corrode la gola, talmente acido da ucciderti. 'Una
bambina', le dicevano. 'Torna a giocare con le bambole.'
Era una sensazione che non poteva essere
descritta. Una sensazione che le tornò su, pronta ad essere vomitata su tutti
quanti.
Cercò di affogare la frustrazione e l'invidia nel
dessert, pulendosi poi con un tovagliolo la bile e la panna dai bordi di una
bocca consunta di morsi e screpolata d'angoscia.
A quel punto, un uomo parlò. -Vi ricordate le
modalità del torneo, vero?
Non che ci fosse bisogno di ripeterle. Iris le
ricordava a memoria. Non dormiva più la notte, ripassandosele di continuo nella
testa, come un mantra, alla ricerca di qualche via di fuga, forse, dal
prevedibile massacro in cui sarebbe stata coinvolta. O magari, qualche
spiraglio di vittoria.
-Verrete dislocati in quest'area, e dovrete
uccidervi a vicenda finché non ne resterà solo uno. Vi verranno fornite armi
iniziali, strumenti. Ma tutto il resto, naturalmente, dipenderà da voi.
Iris guardò di nuovo i suoi avversari, uno ad uno,
quelli che l'avevano colpita, quelli che non aveva neanche guardato ancora in
faccia. Non conosceva granché, eccetto qualche capopalestra, i quattro che
aveva adocchiato o qualcuno della sua regione d'appartenenza.
Le si ribaltò lo stomaco di rabbia, e orrore. La
miscela delle due le iniettò le iridi di sangue al pensiero di qualcuno di loro
ammazzato da lei, dalla sua manina piccola di ragazzina, il suo corpo minuto e
fragile che dominava, dotato d'astuzia, sugli altri, molto più grossi e
statuari del suo.
Si affondò una mano tra i capelli color mirtillo,
fino a stringersi il collo intrappolato dentro un fine collarino rosa. Aveva le
dita sudate, tremanti. Non voleva che i suoi avversari la notassero, e la
ritenessero non pronta. Era già successo troppe volte - e troppe volte lei si
era limitata ad accusare il colpo in religioso silenzio.
-Si tratta di sopravvivere, dunque.
Alla parola sopravvivere si illuminò tutta, e
digrignò i canini.
Certo, sopravvivere. Un gioco da ragazzi.
Iris lo aveva sempre fatto.
Guzma stava correndo a perdifiato. Aveva visto le
luci in cielo e sapeva perfettamente cosa significassero: approvvigionamenti. Quei
bastardi si divertivano a vederli strisciare, uccidersi e straziare per
sopravvivere. E quelle casse lanciate dal cielo non erano altro che la conferma
a tutto questo. Per rendere il tutto più interessante, ogni tanto ne sparavano
qualcuna da un aereo, contenente chissà che cosa.
“Non che tu non sia capace di rubare le
provviste degli altri. Che poi se sono il primo che arriva non è neanche
rubare, ma insomma. È quello che hai sempre fatto, Guzma, fin da ragazzino
all’Affaroni, no? Bazzicavi sempre sul Viale Royale, senza meta e senza soldi,
così per gioco. E mamma che si arrabbiava di vederti tornare a casa tardi ogni
volta e ti gridava di studiare invece di perdere tempo, altrimenti che ci
andavi a fare a scuola? Ma infatti, chi glielo faceva fare a mamma e papà di farti
prendere il traghetto tutti i giorni, andata e ritorno, e farti fare la scuola
per allenatori a Mele Mele? Tu avevi bisogno di una Poké Ball, non di un corso
di studi, ma no, ‘sei piccolo’, ‘non sai ascoltare le persone, figuriamoci i
Pokémon’. Ma andate al diavolo!
E quel giorno, finalmente, hai deciso di non
uscirtene a mani vuote dal Supermarket Affaroni come al solito. Passando dal
reparto Sfere Poké hai aspettato che non ci fosse nessuno e hai infilato quella
Ball in tasca per poi uscire dall’ingresso senza acquisti. Bum, l’allarme. E
menomale che avevi pure staccato l’etichetta del prezzo. E via a correre,
correre, correre, senza girarti verso gli altri, tanto li sentivi che ti
urlavano dietro. Quando non li hai sentiti più ti sei fermato a vedere dove
fossi finito e, diamine, ti eri perso. Avevi superato Ohana addirittura, dove
non eri mai stato, senza rendertene conto. Non hai fatto altro che scappare”.
Era scesa la notte ormai, ed era stato solo per un
colpo di fortuna che lui aveva adocchiato le luci intermittenti rosse
sfrecciare su, nel cielo sopra la Zona Safari. Con il buio, era arrivato anche
il freddo. Gli avevano dato del pazzo ad aver scelto quella divisa come
equipaggiamento, ma adesso si stava rivelando utile: aveva preso un costume da Babbo
Natale. Comodo, caldo, e con una quantità incredibile di tasche interne, si era
rivelato più che utile in molte occasioni.
Si arrampicò su di un leggero innalzamento del
suolo, salendo su una pila di rocce. Estrasse la balestra e osservò davanti a
lui tramite il mirino telemetrico. La cassa era atterrata qualche centinaio di
metri più avanti, in una zona dove gli alberi erano meno fitti rispetto a ciò
che aveva visto finora. Non vide segni di movimento né sentì il più minimo
rumore, escluso il vorticare del vento intorno alla piccola altura dove si
trovava al momento. Eccitato al pensiero di cosa si potesse trovare all’interno
delle casse, si rimise la balestra in spalla e si lanciò sul pendio. Si mosse
con tutta calma, cercando di fare quanto meno rumore possibile. Era sicuro di
essere il solo ad aggirarsi in quella zona ma non voleva comunque correre
rischi. Non aveva Pokémon,
dopotutto.
“Sono sadici, quelli del torneo, ad aver
sequestrato i Pokémon. Che senso ha allenarsi per diventare Campione, allora?
Senza manco dirlo prima, tra l’altro, che razza di prova si sarebbe dovuta
affrontare. Bah. Ti è andata bene ad aver trovato la balestra, dato che finché
non hai avuto un’arma non riuscivi a fare un passo fuori dal nascondiglio,
altro che ‘grande Guzma’. Senza Golisopod sei finito, lo sai, tu e lui siete
sempre stati una cosa sola, uguali, da quando l’hai catturato con quella
benedetta Poké Ball.
Eri finito nel percorso 8, scappando come un
pazzo. Già faceva buio e non valeva neanche la pena di tornare a casa con una
scusa qualunque, saresti rientrato l’indomani dicendo di aver dormito da un
compagno. Non avevi amici a Ohana, ma che ne sapevano. Tanto valeva usarla
subito, quella Poké Ball: hai iniziato a guardarti intorno, cercare, esplorare
il percorso. Ma fino a quel momento i Pokémon li avevi visti solo a scuola o
catturati da altri e non ti eri mai preoccupato che potessero attaccarti. Hai provato
a puntare un Trumbeak, ma quando stavi per lanciare la Ball ti ha visto e sei
scappato via. Non era paura, figuriamoci, è che era già evoluto e la Poké Ball
non andava bene e poi Toucannon è brutto come la fame. Mai voluto averne uno.
Hai provato con qualche Rattata, ma loro sì che avevano paura, topi di fogna.
Scappavano. L’unico che non scappava non era un Rattata ma un Salandit che per
poco non ti avvelenava i polmoni, quello era pericoloso sul serio. Poi, su
quello spiazzo roccioso, senz’erba alta, un Wimpod. Scappato anche lui.
‘Fermati almeno tu, maledizione!’, ma niente. Se non fosse che eri Guzma ti
saresti messo a piangere, invece sei dignitosamente crollato a terra battendo i
pugni. Quando hai smesso quel Wimpod è ricomparso e hai lanciato la Ball
un’ultima volta, da seduto, concentrandoti. La spia rossa e poi bianca del
pulsante centrale fu l’unica luce di quella notte tremenda”.
La cassa d’approvvigionamento era atterrata in una
piccola zona circondata da alberi, su di un letto d’erba che arrivava quasi
alle ginocchia di Guzma.
Lui le
si avvicinò e l’aprì senza problemi. Le sue mani iniziarono a scavare sempre
più velocemente, febbricitanti per l’adrenalina, all’interno della cassa. Era
stracolma di razioni, acqua, armi e munizioni esplosive per la balestra. Prese
questo come un segno del destino, quella cassa era diretta a lui.
-
Oh Oh Oh, che bel regalo di Natale! – urlò ad alta voce.
Iniziò
a sistemare tutto all’interno del proprio vestito. Peccato che non ci fossero Poké
Ball neanche stavolta, era improbabile ma continuava a sperarci.
Per
qualche motivo, un brivido gli percorse la spina dorsale, facendogli rizzare i
peli sulle braccia. Istintivamente si girò, puntando la balestra davanti a sé.
La luce della luna si riflesse in un qualcosa che si trovava nascosto fra i
tronchi degli alberi, esattamente da dove era giunto lui.
Senza
pensarci un attimo, Guzma fece scoccare la corda della balestra, e il lungo
dardo d’acciaio saettò nell’aria, fendendola. Il suo sibilo durò un solo
istante, e venne poi seguito da un clank.
-
Clank? – si chiese Guzma, vedendo il dardo venire riflesso da quello.
L’intruso
si iniziò a muovere, scostando i rami che gli si paravano davanti. Guzma venne
assalito dall’adrenalina, mentre incoccava un nuovo dardo. Decise di utilizzare
uno di quelli esplosivi. La creatura era appena fuoriuscita dal cerchio di
alberi, quando Guzma finalmente sparò. Il dardo partì veloce e silenzioso,
araldo di morte.
“Così,
Guzma! Spara, a primo impatto, prima che ti attacchi lui, come hai insegnato a
Golisopod. All’inizio, da Wimpod, aveva paura di battersi, come si faceva male
fuggiva via, non c’era verso di farlo tornare in campo se si sentiva in
difficoltà. Gli hai insegnato a lottare contro i più deboli allora, per forza
di cose, e ha iniziato a saper stare al mondo, a farsi valere. Ha imparato che
la prima impressione è tutto, che se l’altro ti piglia per debole ci va giù
pesante fin dall’inizio. Devi essere tu il lupo e lui la pecora, anche se
l’altro ti sembra, e sottolineo sembra, più lupo di te. Diamine, ha imparato
alla grande! Appena si è evoluto è diventato un bestione, dalla sogliola che
era, e non c’era Pokémon che non lo temesse. Entrava in campo e subito alzava
le mani, ma forte eh, nessuno partiva in quarta come lui. Poi, se l’avversario
reagiva, aveva ancora il vizio di farsela sotto, quello gli è rimasto, ma è
comprensibile. Gli hanno dato del codardo, gli altri stupidi aspiranti
campioni. Golisopod non è codardo, Golisopod è come te, Guzma, e farti da parte
quando non sei sicuro di vincere non è vigliaccheria, è buonsenso. In lotta uno
vince e l’altro perde: se sei forte attacchi e vinci, se no quantomeno scappi”.
Il
sorriso sulle labbra del tiratore si smorzò quando vide una chela afferrare al
volo il suo proiettile. L’esplosione che seguì fu abbastanza violenta, incendiando
l’erba tutt’intorno. Alla luce del fuoco, Guzma poté vederlo: un enorme Scizor
si trovava al suo cospetto, non un graffio sulla sua armatura. Lasciò cadere
ciò che restava del dardo, e si lanciò verso di lui.
“Scappa!”
Guzma
cercò di evitarlo, ma il Pokémon era fin troppo veloce per lui. In un istante
gli bloccò caviglie e torace fra le sue chele. Lo tenne sollevato quel poco che
bastava per non dargli possibilità di afferrare qualcosa da terra. La morsa sul
corpo era violentemente ferrea, si potevano quasi udire le ossa gemere.
Scizor
arretrò di un paio di passi, allontanando la sua preda dall’arma che gli era
caduta ai piedi. Il fuoco si rifletteva sulla sua armatura, dandogli l’aspetto
di un demone.
Alzò
Guzma sulla testa, tenendolo parallelo al suolo. Rapidamente spostò la chela
dalle caviglie allo stomaco, per poi tirare violentemente. Squarciò il suo
corpo in due, all’altezza dello sterno. Il sangue schizzò ovunque, tingendo
l’erba ai loro piedi, bruciando nelle fiamme insieme agli organi che iniziavano
a cadere.
“Che morte di merda. Beh, almeno non
sono morto come quell’idiota del team Rocket, vestito con dello spandex e un
tronco nel culo”.
Il
freddo della notte era ormai sceso da un pezzo. Il cielo stava iniziando a
ricoprirsi di nuvole, nere e cariche di pioggia. Alzò lo sguardo verso l’alto,
individuando il Noctowl che volava, silenzioso e letale, sopra le loro teste.
Lo vide fare il numero otto in volo, prima di riprendere il proprio giro.
- Bravo,
qui Delta. Alpha non ha individuato nessun bersaglio, settore 7-G libero. Passa
altrove.
-
Ricevuto Delta. Ho sentito dei rumori nel 4-N, vado a controllare.
-
Ti copro le spalle. Charlie da te come va?
-
Tutto silenzioso e tranquillo. Non vediamo nessuno, iniziamo a ritornare alla
base. Charlie chiudo.
Si
mosse quel poco che le bastava a cambiare angolo di tiro. Regolò il mirino
telescopico e controllò lì dove probabilmente si trovava qualcuno. Vide uno dei
suoi compagni attraverso il fogliame, intento a inseguire qualcuno. Alzò lo
sguardo verso il loro Noctowl quando Bravo emise il richiamo. Il Pokémon partì
in picchiata, senza emettere alcun suono. Ancora si stupiva di quanto fosse
silenzioso il suo volo. Calcolò la traiettoria del Pokémon Gufo e fu così in
grado di individuare, più o meno, la posizione della loro preda. Scrutò fra le
ombre al di sotto delle braccia spettrali degli alberi, finché non ne vide una
in movimento.
Spostò
lo sguardo di poco verso sinistra, individuando il suo compagno, lo riconobbe
dalla sciarpa che, nel suo mirino, rifletteva la luce.
“Ottima idea quella di marcarci”.
Ritornò
velocemente al suo obiettivo. Lo individuò, riuscì a scorgerne la sagoma che
sfrecciava nel sottobosco. Inspirò a fondo e aspettò, continuando a seguirlo.
Lui continuava ad abbassarsi e a spostarsi, saltare e schivare. Si trovava in
una zona con una fitta vegetazione, ma lei aspettava soltanto il momento
giusto.
Sentì
il cuore batterle nelle tempie, costante, calmo. La sua preda giunse finalmente
in uno spazio più aperto. Le venne spontaneo sorridere. Il suo battito si fermò
per un istante.
Premette
il grilletto.
Pochi
istanti dopo, vide la sua preda cadere.
-
Qui Delta, preda colpita, controllate che sia morta.
Aspettò
per un po’, controllando nel frattempo l’area circostante. La sua arma era
silenziata, ma meglio non correre rischi.
-
Bel colpo, gli hai tolto il fianco destro.
- Controlla
se ha qualcosa di utile, poi torna qui. Sta per arrivare la pioggia, dobbiamo
preparare il campo base.
La
piccola Caterpie scivolò giù dalla sua spalla, posizionandosi vicino il fianco.
-
Ce ne hai messo di tempo, per tornare – disse lei, aggiustando il mirino del
fucile di precisione.
-
Ho dovuto evitare tutti i filamenti di Caterpie, sarebbe molto più facile se
fossero di meno.
Silver
si stese di fianco a lei, riprendendo il binocolo fra le mani. Era dall’inizio
della loro alleanza che i due lavoravano in coppia: cecchino e ricognitore,
erano arrivati fin lì soprattutto grazie a questo.
-
Torniamo all’interno, Crystal? – le chiese lui.
-
Non ancora, preferisco aspettare che N torni. È stato un colpo di fortuna
trovarlo, mi dispiacerebbe vederlo morire adesso.
-
Già, concordo. È bravo coi Pokémon, grazie a lui abbiamo quel Noctowl dalla
nostra.
Dopo
poco, N fece finalmente ritorno. La pioggia iniziò a cadere, confondendo i
contorni del mondo.
-
Dovremmo rientrare – disse N, accarezzando il pelo del suo Noctowl.
Crystal
e Silver erano intenti a rimuovere gli oggetti che si trovavano nel sito di
appostamento, quando la Caterpie che Crystal aveva resa sua amica, gemette. Era
il segnale.
Crystal
si precipitò vicino a lei e appoggiò la mano sul letto di ragnatele su cui
poggiava: aveva costruito un intricato sistema di filamenti che percorreva la
foresta tutt’intorno a loro. Invisibili e senza peso, non era praticamente
possibile accorgersi di averne colpito uno, ma la vibrazione veniva propagata
di filamento in filamento, fino a raggiungere la postazione dove Caterpie
controllava il tutto.
La
ragazza vi poggiò la mano, avvertendo a sua volta le vibrazioni. Erano molte, e
molto violente. Qualcuno era inseguito da una miriade di Pokémon. Dovevano per
forza essere Pokémon, dato che non erano rimasti in molti, vivi. Crystal aveva
ipotizzato ne fossero rimasti al massimo altri due o tre, oltre alla sua
squadra. Nel frattempo Caterpie si era già messa al lavoro e stava segnando su
di un tronco spezzato le coordinate.
-
Sono nel settore 7-G. Andiamo? – chiese Crystal, stendendosi nuovamente sul
terreno. Aprì il bipede e ci appoggiò sopra il suo fucile anti-materiale, un
Pindad SPR-2. Estrasse il caricatore, e lo caricò con nuovi proiettili. Il
freddo del metallo le mandò dei brividi lungo le dita, che le ricordarono di
quella volta, anni fa, quando fu mandata in missione a combattere contro dei
fanatici che si ostentavano come i diretti discendenti dei Vietcong.
Il
rumore del caricatore le fece sparire quei pensieri dalla testa, mentre
controllava il colpo in canna, con un automatismo che quasi la stupiva e
ripugnava. Non le era mai piaciuto uccidere, aveva semplicemente dovuto
scegliere da che parte del proiettile stare. In fondo, si trattava di questo,
sopravvivere un altro giorno.
-
Io sono pronta. Tenete gli auricolari accesi, vi contatterò per darvi
indicazioni più precise appena Caterpie ne saprà qualcosa di più. Silver e N
annuirono, per poi partire spediti, entrambi trasportati dal grosso Noctowl.
Passarono
i minuti, mentre le loro figure si facevano sempre più piccole, praticamente
invisibili all’interno della cortina di pioggia che si stava riversando in quel
momento. Mano a mano che il tempo passava, il temporale diventava sempre più
violento. Fulmini iniziarono a cadere con violenza incredibile, coprendo ogni
altro suono nel raggio di chilometri. Crystal si allungò verso il borsone
militare, e ne estrasse la lunga coperta e il mirino di ricambio. Con gesti
resi rapidi dall’esperienza, rimosse il mirino telescopico e lo sostituì con
quello a ingrandimento regolabile. Più funzionale rispetto all’altro, ma molto
più ingombrante e visibile da un occhio esperto. Crystal non aveva voluto
rischiare, ma adesso si era rivelato necessario. I suoi compagni di squadra si
stavano allontanando sempre di più mentre le notificavano le nuove posizioni, e
lei non voleva rischiare di non essere equipaggiata al meglio per ogni situazione;
sia per coprirgli le spalle, sia nel caso in cui fosse rimasta sola. Si coprì
con la coperta termica e la stese anche sul fucile, fino al mirino, in modo da
mimetizzarsi quanto più possibile, anche se, con la pioggia e il fango che la
stava ricoprendo, questa era un’azione superflua.
-
Ci siamo, Iris è rincorsa da un branco di Pokémon selvatici. È in
compagnia di Brock – le annunciò N.
- Correggo, era
in compagnia di Brock. Un Seviper gli ha appena tranciato una gamba, è
praticamente morto – aggiunse Silver.
Crystal stava osservando la scena da lontano, e
vide chiaramente lo Scizor che si stava avventando su di Iris. Aveva quelli che
le sembrarono brandelli di tuta rossa fra le chele.
“Guzma?
Probabilmente è così che è morto”.
Senza pensarci troppo, Crystal prese la mira,
spostandosi col mirino quel poco che bastava più in avanti per compensare il
vento, la distanza e il movimento della sua preda, e, seguendo il suo rituale,
premette il grilletto. L’esplosione, seppur minima, le illuminò per un istante
il volto, e poi il suo proiettile partì, fendendo aria e gocce di pioggia.
Non perse tempo, e mentre osservava il suo
operato, aveva già ricaricato il colpo in canna. La testa di Scizor esplose in
mille pezzi in seguito all’impatto con il suo proiettile perforante e a
frammentazione. Iris continuò a correre, Silver e N erano giunti ormai in sua
prossimità e sembrava si stessero scambiando delle parole. Silver estrasse le
sue MAC-11 e iniziò a fare fuoco, mentre N lo copriva con un fuoco costante del
suo fucile a pompa. I due discesero a terra, mentre Noctowl, in volo, gli
iniziò a indicare la strada più libera. Attorno a loro si stavano iniziando ad
ammassare sempre più Pokémon, provenienti da diverse direzioni.
In quel momento risuonò l’imponente allarme
acustico, il cui volume superò anche il rumore della tempesta. In alto nel
cielo Crystal vide apparire i due elicotteri cargo che trasportavano l’enorme
schermo degli annunci. Risuonarono quattro allarmi.
“Siamo
rimasti solo noi, perfetto. Abbiamo vinto”.
Quel pensiero le si bloccò all’istante quando
lesse e ascoltò il messaggio.
“Carissimi contendenti, notando il vostro ardore
nel competere, siamo giunti a una conclusione: non ci saranno più i quattro
finalisti come avevamo prestabilito. Dato che vi piace così tanto combattere, faremo
un nuovo gioco. Chiunque riuscirà a sopravvivere fino all’alba, verrà
recuperato da un elicottero e sarà uno dei vincitori. Sempre se ce ne sarà più
di uno. Divertitevi”.
- Figli di puttana! – Crystal urlò a sé stessa.
Portò una mano all’auricolare e lo attivò –
Silver, N, avete sentito? Dobbiamo sopravvivere fino all’alba, non è finita.
Ripiegate immediatamente qui, vi copro io le spalle. Portate con voi Iris,
viva.
- Ricevuto – risposero loro due, all’unisono.
Crystal non ricordò molto dei successivi minuti,
se non la precisione dei calcoli e la velocità con cui li operava, per non
mancare neanche un colpo. Il sudore, misto alla pioggia, continuava a caderle
negli occhi e lei, cocciutamente, continuava a rimuoverlo con gesti esasperati.
Con precisione chirurgica, i suoi colpi andavano costantemente a colpire i
Pokémon selvatici nei punti vitali alla loro sopravvivenza o al movimento, in
modo da ridurre il peso sulle spalle dei suoi compagni. Vide la spalla di un
Primeape esplodere, portandosi via mezzo torace. Il suo sangue si mischiò alla
pioggia che imperlava il suo manto, mentre schizzava via in ogni direzione,
creando archi concentrici tagliati dagli spruzzi irregolari. Un attimo dopo,
Primeape giaceva a terra, e Crystal, con mani esperte e mente di freddo ferro,
inseriva un nuovo proiettile in canna.
I Pokémon continuavano a lanciare i loro attacchi
sui suoi compagni ma, per loro fortuna, il più delle volte finivano con
l’intralciarsi a vicenda, o col colpire tutta un’altra zona. Grande aiuto era
dato dalle abilità psichiche di Noctowl che deviava proiettili o li rispediva
al mittente con forza raddoppiata.
Il tempo passava, e finalmente i suoi compagni di
squadra superarono il punto caldo.
- Boom – predisse Crystal.
Sparò al tronco dentro al quale era nascosto il
maggior quantitativo di esplosivo. In un istante s’infiammò completamente,
eruttando fiamme da ogni lato. A catena, dai suoi lati si produssero una serie
di esplosioni concatenate, che finirono con l’investire l’intera cintura di
alberi dove adesso si trovavano la maggior parte dei Pokémon. Lei, Silver e N
avevano passato sei giorni dedicati interamente al preparare quella trappola
che aveva adesso dato i suoi frutti. Lunga un centinaio di metri e larga una
trentina, era l’unica fascia di terra che circondava la loro altura a essere
quella più esposta.
- Perché mai
dovremmo perdere tanto tempo, fatica e risorse per creare qualcosa di così
abnorme? – gli chiese Crystal.
- Siamo
protetti su praticamente ogni fronte, e io da lì in alto riesco ad avere una
visuale a trecentosessanta gradi.
- Contro gli
esseri umani, certo. Ma i Pokémon? Come la fermiamo un’orda? Credo che questo
sia il problema più grande. Noi sopravvissuti diventeremo sempre più deboli,
mano a mano che passa il tempo, mentre loro sono nel loro habitat. Precauzione,
ho la sensazione che potrebbe ritornarci utile – rispose Silver.
Con un sorriso, Crystal pensò che quella notte
Silver aveva avuto davvero un’ottima idea.
- Allora, chi aveva ragione? – chiese il rosso,
dall’altra parte dell’auricolare.
- Tu, lo ammetto.
- Come premio, dovrai portarmi a cena fuori una
volta che tutto questo sarà finito.
- Lo vedremo. Per ora, pensa a sopravvivere –
rispose lei, sorridendo.
Vide Silver e N scortare Iris per la strada
sicura, in modo da non incappare nelle trappole di Caterpie. Quella era stata
una sua, di idea. Avevano utilizzato lo stesso metodo con cui rilevavano degli
intrusi, cospargendo però i filamenti con tossine paralizzanti. Utile sia
contro i Pokémon, che contro gli umani. Crystal regolò il mirino per la minore
distanza di tiro e tornò a coprirgli la ritirata, uccidendo i pochi Pokémon che
non restavano bloccati nelle tele della sua Caterpie. Quest’ultimi, più
sfortunati, rimasero paralizzati mentre l’enorme Persian con cui aveva fatto
amicizia Silver li dilaniava con gli artigli. Adesso la pioggia, più leggera ma
egualmente incessante, cadeva sui bossoli e i caricatori vuoti sparsi
tutt’intorno a lei. Aveva perso il conto di quante volte avesse cambiato
caricatore o rifornito l’ultimo rimastole, e ancor di più aveva perso il conto
di quanti proiettili avesse messo in canna. Quando finalmente i quattro
sopravvissuti furono riuniti, Crystal aveva ormai dolore alla spalla per il rinculo
del suo fucile, e i pochi Pokémon rimasti in vita venivano ora eliminati da
Noctowl e Persian.
La pioggia cessò.
Crystal si alzò, sentendo le gambe scricchiolare
di protesta. Strinse la mano a Iris e le allungò una borraccia con dell’acqua.
I tre avevano il fiato corto e stavano cercando di riprendersi dall’enorme
sforzo che avevano fatto, aprendosi col sangue la strada del ritorno. La sua
Caterpie si arrampicò lungo il fianco, posizionandosi sulla spalla destra. Accompagnata
dai suoi due compagni di squadra e l’aggiunta Iris, s’inerpicò fin sopra
all’altura, sul suo nido da cecchino. Insieme, i quattro osservarono il sole
nascere a est. Chiuse gli occhi, crogiolandosi nel calore dei raggi solari che
la raggiunsero.
“Complimenti
ai nostri quattro sopravvissuti. Voi siete i nostri nuovi campioni, un
elicottero giungerà a breve per prelevarvi, dopodiché ci sarà la premiazione in
diretta nazionale” annunciò la voce nel cielo.
Non aveva voluto uccidere tutte quelle persone e
Pokémon, ma se si fosse rifiutata, sarebbe stata lei a morire. Crystal lo
sapeva. In fondo, era come essere ritornati nel periodo in cui si era
arruolata. Ora, con il titolo di Campionessa dalla sua, sarebbe stato possibile
cambiare quello sporco e corrotto mondo.
Silver intrecciò le sue dita a quelle di lei,
sorridendole.
- Non montarti la testa, questo è solo per avermi
aiutata.
- Certo, come no. Mi raccomando, scegli una buona
pizzeria per Sabato – lui le fece l’occhiolino.
Stavolta fu lei a sorridere.
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