Against Me
Quando tutto cade.
Kalos,
Borgo Bozzetto, 19 giugno 20X1
Xavier rimase immobile, con le
pesanti buste di plastica nelle mani. Contenevano carne, pesche e un paio di
baguette. Sentiva il grosso pancione della donna premergli contro l’addome, e
le sue braccia cingergli il collo, con delicato vigore. Il suo respiro era
caldo, le sue lacrime pure.
- Yvonne… - aveva detto poi,
aggrottando le sopracciglia sottili, cercando di spostare il volto invano,
bloccato dalla testa di quella, premuta con forza nell’incavo del suo collo.
- Xav… Xavier!
- Attenta alla pancia… - aveva
risposto subito l’altro.
- Sono felice di vederti!
- S-sì, okay, Yvy… ma… diamine,
almeno mettiamoci all’ombra.
Quella si staccò e sorrise.
- Scusa… sono stanca e mi fanno
male i piedi.
Il suo sorriso esplose
nuovamente, le lacrime le rigavano il viso e un soffio di vento spostò la
chioma dorata indietro, a mostrare all’altro quanto il suo sguardo fosse
cambiata.
- Tranquilla. Sediamoci. –
sorrise quello, gentile, passando entrambe le buste sulla mano destra e usando
quella libera per aiutare la donna. Trovarono una panchina all’ombra poco
lontano da una fontanella d’acqua fresca, che sgorgava dritta dalla vicina
sorgente. Xavier riempì una bottiglina vuota e la diede alla ragazza, che bevve
e sospirò.
- Com’è fresca… - sorrise ancora.
- Non c’è acqua fresca, lì?
- Sì. Ma questa è meglio.
La porse al ragazzo, quello le
fece cenno di tenerla e sorrise dolcemente, come da ragazzino, sedendosi
accanto a lei e inclinando leggermente la testa. Yvonne lo guardava, in lacrime
ma con il sorriso.
- Sei rimasto totalmente identico.
Ed era vero, anche se il suo viso
non era più lo stesso che soffriva dei primi pruriti di barba ma anzi, era più
ruvido, segnato dal tempo. Gli occhi sottili, sempre un po’ socchiusi e di quel
colore grigio che si tuffava nel blu erano quelli di sempre, ed erano coperti
dai soliti ciuffi maleducati, corvini, lunghi, ma meravigliosi.
Ricordò immediatamente ogni bacio
che i due si erano scambiati.
- E tu sei… beh… - sorrise
quello, bonariamente.
- Incinta? – chiese l’altra,
ridendo.
- Non avrei potuto essere più
preciso, Yvonne. Ma perché stai piangendo?
L’altra poggiò la schiena sulle
doghe di legno di quella panchina attorniata da grosse fioriere, piene di
papaveri e lavande. Sospirò, rilasciò un po’ di quell’ansia che stentava ad
abbandonare il suo corpo.
- È una storia così lunga che se
te la raccontassi probabilmente domattina non avremmo ancora finito. Poi, mia
madre…
- Oh, dai, non parliamo di Grace
– ridacchiò lui, piegandosi in avanti e puntellando i gomiti sulle ginocchia.
Lasciò passare il volto tra le mani, lisciando i capelli e tirandoli indietro,
come faceva sempre da ragazzino. - Si parlava sempre di lei, quando ti vedevo
triste.
- Ha un carattere odioso…
- Difficile. Diciamo che il suo è
un carattere difficile...
- Non mi vede da due secoli e la
prima cosa che pensa di farmi è una morale.
- Invece di cucinarti la bouillabaisse? – chiese, aggrottando la
fronte.
Yvonne appuntì il muso e guardò
altrove.
- L’ha fatta…
- Perché ti ama – annuì Xavier. –
Ma non andate d’accordo, e questo lo sapevo già da diverso tempo… E com’era?
- Cosa? – chiese poi l’altra,
scuotendo via la distrazione e posando gli occhi su di lui e sulla sua camicia
azzurra, aderente. Ripensò a quando quelle braccia erano molto più esili, ed
erano attaccate a un corpo sottile, molto differente da quello tonico che aveva
in quel momento.
- La bouillabaisse.
-
Cosa, la bouillabaisse.
-
Era buona, la bouillabaisse?
Batté le palpebre, Yvonne. Si
stava distraendo.
- Sì... quell’unica cucchiaiata
che sono riuscita a mandare giù era buona. Ma mia madre è una stronza.
Xavier sorrise, calmo e posato,
poi inclinò ancora il capo, come aveva sempre fatto.
- Ti sei calmata? Vuoi ancora un
po’ d’acqua?
- No, ho… questa… - ribatté,
confusa, alzando la bottiglina che ormai era interamente ricoperta di condensa.
– Vivi ancora qui?
- Sì. Non sono mai andato via da
questi posti. Ma… beh, visto che ancora devi mangiare, perché non vieni a
pranzo da noi?
- Noi?
- Sì – sorrise l’altro,
stringendo lo sguardo e annuendo gioviale. Gli occhi della donna si spostarono
rapidi sull’anulare dell’uomo, cinto da una sobria fede nuziale.
- Beh… non vorrei disturbare… -
disse l’altra, abbassando lo sguardo.
- Macché disturbare. Shana sarà
felicissima di vederti. Lascia solo che l’avverta.
Gli occhi di Yvonne si
spalancarono.
- Shana?
Hoenn,
Percorso 105, 19 Giugno 20X1
Le nuvole pesanti erano rimaste
sul piccolo molo poco oltre Petalipoli, lasciando al mare aperto il cielo
limpido, il sole d’un’estate che si preannunciava bollente e la brezza leggera.
Il piccolo Tranmere, così si chiamava
il traghetto, tagliava placido le acque profonde dell’oceano, lasciandosi alle
spalle la costa e raggiungendo lento e inesorabile l’isola di Bluruvia.
Sarebbe durata un paio d’ore, la
traversata, così Petra s’era organizzata nel migliore dei modi, indossando un
paio d’occhiali da sole molto grossi, e un cappellone a tesa larga color crema,
abbinata a un prendisole sobrio. Leggeva L’amore
ai tempi del colera, seduta educatamente su di una delle panche sul ponte
di prua, mentre i gabbiani le volavano accanto con sempre meno frequenza, mano
a mano che all’orizzonte, il cielo e il mare diventavano un tutt’uno.
Sapphire, invece, aveva allungato
le gambe sulla panchina di fronte. Indossava dei pantaloncini bianchi, che
avrebbero finito sicuramente per sporcarsi di polvere e fuliggine, che scappava
scura dal grosso fumaiolo bianco, quattro metri o poco più sulle loro teste.
Aveva levato quasi subito la canottiera, rimanendo soltanto con la parte di
sopra del bikini color blu marino, che tanto spiccava sulla sua pelle perlacea.
- Il vento è fresco… - aveva
detto, con gli occhi chiusi e le braccia larghe. Petra la guardò per un
secondo, annunedo senza che l’altra potesse vederla. Fissò la sua figura,
chiudendo lentamente il libro e lasciando l’indice tra pagina quarantadue e
quarantatré.
- Sì. Mettiti composta. Ci
guardano tutti.
Sapphire aprì gli occhi, abbassò
i piedi dai sedili della panca che aveva di fronte e rimase a volto basso.
Petra annuì, sorridendo soddisfatta, poi ritornò a pagina quarantadue e sentì
l’altra sospirare.
- Qui ci siamo solo io e te. E una
coppia di vecchi con la cataratta.
- Potrebbero guarire da un
momento all’altro, tesoro. Piuttosto smettila di sospirare così tanto, stiamo
andando in vacanza, non in guerra. Dovresti esserne felice.
Sapphire annuì lentamente,
perdendo lo sguardo oltre le balaustre. Pensò che Petra avesse ragione,
tuttavia sentiva quella cosa come una forzatura. Guardò di nuovo quegli
anziani, lui indossava grossi occhialoni dalle doppie lenti, manteneva un
cruciverba con la mano destra e una Bic con la sinistra, senza tappo, mentre
sua moglie si sporgeva un po’ troppo verso di lui, perché non vedeva, e faceva
caldo, e lui lei diceva di stare un po’ più lontana perché stava cominciando a
sudare. Di contro, l’altra lo rimproverava di tenersi il cruciverba tutto dalla
sua parte.
L’uomo consegnò penna e
cruciverba e sbuffò.
Qualcuno
doveva cedere, pensò.
Poi il volto di Ruby apparve rapido davanti a sé, come un flash, e fu costretta
quasi subito a distogliere lo sguardo. Si chiese perché non fosse a casa sua, a
crogiolarsi nella vergogna e nell’autocommiserazione, ma nella domanda riuscì a
trovare la risposta.
Lei doveva migliorare.
Lei doveva riuscire a mettersi
tutto alle spalle.
Sbuffò nuovamente, e Petra prese
ad annuire.
- Va bene, va bene, ho capito.
Non posso lasciarti in silenzio.
Chiuse il libro, lo sistemò
ordinatamente nella grossa borsa bianca e accavallò la gamba destra, unendo le
mani sulle gambe.
- Mi spiace, ma non riesco a
godermela come fai tu. – ribatté seria Sapphire, distogliendo ancora lo sguardo
e piegando il collo indietro. Lo sentì scricchiolare, aveva bisogno di un
massaggio.
- Lo so, lo so. – annuì ancora la
maestra. – Io e te stiamo vivendo due fasi differenti. E in più non sono
depressa.
L’altra si voltò in sua
direzione.
- Sono depressa?
- Facevo per dire. Lavoro alle
elementari, non in reparto psichiatrico, non lo so.
- Oh. Okay.
Abbassò ancora il volto, Sapphire.
Sapeva che tutto non andasse per il verso giusto, ma si era sempre vista come
una donna forte e indipendente, con un lavoro che amava, la battuta pronta e il
sorriso sempre vivo sul suo viso. Come aveva finito per deprimersi.
- Facevo per dire… - ripeté
Petra, poggiandole una mano sulla spalla. Poi la ritrasse e tirò fuori dalla
borsa un flaconcino di crema solare. – Sei bollente. – aggiunse, tirandola in
avanti e cominciando a spalmargliela sulla pelle. – Poi sei bianchissima.
Ricordavo fossi più abbronzata.
- Credo sia il mio primo sole,
questo. Generalmente ad aprile sono già nei boschi e sui campi.
- Uhm. Interessante. – ripeté
quella, passando le mani tra le sue scapole, facendo attenzione a non sporcarle
il filo del reggiseno. – Che stai studiando in questo periodo?
- Da aprile a fine giugno sono
nella zona a nord di Solarosa. Quello è il periodo della fioritura, quando i
coleotteri hanno più cibo.
- Diventeranno bozzoli, giusto?
- Sì. – rispose. - A fine giugno
i bozzoli si schiuderanno, le larve diventeranno crisalidi e si sposteranno più
a ovest, e io con loro. Studierò le loro fasi d’accoppiamento e,
successivamente la loro morte. Quindi quali saranno le loro abitudini
alimentari, prede, predatori, nidificazione… cose così.
Petra annuiva, impressionata. –
Ecco perché da ragazzina salivi sempre sugli alberi.
- Ci salgo ancora. Mi guadagno da
vivere, salendo sugli alberi.
L’altra ridacchiò.
- Pensa un po’, io ho una classe
di quindici ragazzini e tu sali sugli alberi.
- Quando hanno distribuito i
mestieri cosa facevi? Stavi leggendo Il
Signore Degli Anelli?
Petra rise ancora, voltandola e
passando a cospargerle le braccia di crema.
- Non è proprio il mio genere,
Sapph…
- Questo perché non capisci
niente, di letteratura.
Si guardarono, la maestra aveva
il volto serio, mentre l’altra sorrideva divertita. La prima prese il
flaconcino di crema e rilasciò uno spruzzo proprio sui seni della donna.
- Lì fai tu.
Sapphire ridacchiò ancora.
- Il vecchio con la cataratta
sarebbe colpito da infarto qui, in mezzo al mare, altrimenti.
- Non vorrei mai – rise gentile
l’altra, prendendo una salviettina dalla borsa e pulendosi le mani. – Rudi non
vorrebbe stare con un assassina.
- Già… - ribatteva Sapphire,
tornata seria, mentre si spalmava la crema. Petra le offrì un fazzoletto, lei
lo accettò e si pulì le mani. – Dai molto peso, alla cosa…
- Sì. Lui mi piace molto.
Si alzò, Sapphire, camminando
lentamente sulle doghe di legno consunto di quel ponte, gettò i rifiuti e si
risedette.
- Non mi sembra per niente il tuo
tipo, sai?
Petra si voltò e la guardò.
- E quale sarebbe, il mio tipo?
- Mah, non lo so. Una persona
meno… palestrata? Più…
- Più cosa, scusa?
- Ma non lo so… forbita? Rudi è
un bravissimo ragazzo, fisico assurdo e tutto il resto, ma tu vieni da un altro
pianeta. Secondo me dovresti cercare qualcuno che…
Che
le assomigli di più? Davvero?
Tu
e Ruby non eravate proprio due gocce d’acqua…
- Qualcuno che?
- Nulla. Se ti fa stare bene
allora dovresti provarci.
Petra aggrottò la fronte e levò
gli occhiali.
- Tutto bene?
Sapphire sorrise. – Sì.
- Non stai per buttarti dai
parapetti, vero?
- No, sto bene! – esclamò
l’altra. – Userò questa vacanza per rilassarmi e svagare la testa.
L’altra annuì.
- Ecco. Bravissima.
- Bravissima, sì…
Kalos, Borgo Bozzetto
- E così sei diventata una top
model? – sorrideva Xavier, con la sua solita flemma. – Pare incredibile che tu
sia qui a parlarmi, sai?
Avevano preso la strada che
portava alla stazione, camminando sul marciapiede destro, mentre i negozianti
chiudevano per la pausa pranzo. Il caldo era forte e a Yvonne serviva bere e,
fortunatamente, a ogni settanta metri era stata installata una fontana da cui
sgorgava acqua freschissima.
Lei lo guardava sorridere ai
passanti e agli anziani, salutarli con un cenno del capo mentre qualcuno, che
probabilmente lo conosceva, li guardava con una smorfia strana sul volto.
Ma lui non era cambiato: a
Xavier, degli altri, non era mai interessato nulla. Lo guardava, e s’era resa
conto che quel ragazzino debole e fragile, col volto triste, era diventato un
uomo dall’espressione serena.
Chiuse leggermente gli occhi,
lei.
- Mi spiace essermi persa il
resto della tua vita, Xav. Io ti ho voluto bene, tantissimo. E non mi sono
proprio fatta sentire, sono stata una stronza… mi spiace.
- Ma figurati. Avrai avuto molto
da fare, con le sfilate e il resto. E la dieta. A te piaceva mangiare… -
sorrise ancora, stringendo gli occhi. – Come hai fatto a non ingrassare. Almeno
fino ad ora…
Le carezzò la pancia, quella rabbrividì,
poi annuì.
- La verità è che sono stata
soltanto molto fortunata. Ho fatto una scelta ignobile, ad andare via…
- Come se poi questo posto non
fosse adatto per il lavoro che fai…
- Il lavoro che faccio adesso non
è ciò per cui sono partita. Tutto… - disse poi, distogliendo lo sguardo. – Beh,
tutto era differente. Ma ciò che conta è come è finita, no? E tu, invece? Hai
davvero aspettato che me ne andassi via, per metterti con la mia migliore amica?!
– esclamò, suscitando nell’altro la risata. Prese poi un mazzo di chiavi e tirando
delicatamente per il braccio l’altra voltò l’angolo. Un grosso cancello nero,
di ferro battuto e dall’apice composto da una strana composizione, si parò loro
davanti.
- Non ho aspettato che andassi
via. È successo tutto pochi anni fa. Lei è sempre rimasta qui e io invece ho
trovato lavoro come programmatore, su a Luminopoli.
- Quindi hai lasciato Borgo
Bozzetto. Non me lo sarei mai aspettato.
Infilò le chiavi nella serratura,
Xavier, proprio mentre un aereo passava sulle loro teste. Il cancello si aprì,
lui entrò e la lasciò passare.
- Sì, è stato tutto molto
affrettato, in realtà. È stato Trovato a consigliarmi quel posto.
- Infatti non ricordavo che fossi
bravo coi computer.
- Oh, non lo ero. Ma lo sai, imparo
in fretta.
- E tutte le mattine vai a
Luminopoli?
Lui annuì, chiudendo il cancello,
che rispose con un debole cigolio.
- Devo mettere un po’ d’olio nei
cardini. Comunque sì. La stazione è qui vicino e il lavoro non è pesante. A
parte le ore di sonno che perdo, per il resto va benone…
Entrò, la fece passare, chiuse il
cancelletto e la guardò camminare per qualche metro lungo il viale asfaltato,
che lei non ricordava, prima di fermarsi accanto a una fioriera che conteneva
lavande e aspettarlo.
- Non so la casa… - ridacchiò.
- Sì, arrivo. Come ti senti?
- Sto bene, sto bene! Sto solo
camminando…
Xavier sorrise dolcemente,
annuendo. – Sei molto incinta, Yvy… per questo, lo dico. Ma… - e poi sorrise di
nuovo. – Che cosa strana, vederti incinta. E pensare che saresti dovuta essere
mia moglie, secondo l’opinione di tutti, qui…
Yvonne annuì.
- Mi lasciasti come una cretina…
- rispose, portando i capelli dietro alla nuca e legandoli in una coda alta.
- Non sapevo quello che volevo.
Sai che intendo…
- No, in realtà non so proprio
niente.
Xavier si fermò, poi si voltò. La
fissò, con gli occhi seri e profondi, sospirando.
- Non sapevo più se mi piacevano
le donne.
Quella spalancò lo sguardo,
schiudendo anche le labbra. Sorrise di riflesso, senza accorgersene.
- Cosa?!
L’altro ridacchiò, poi si voltò,
tornando a farle strada.
- Sì. – fece, annuendo. – In quel
momento della mia vita non sapevo se… - poi alzò il volto al cielo. – Non so
come spiegarmi... – sorrise.
Yvonne era rimasta immobile,
sorridente ma leggermente inorridita da quelle parole. Ripensò a se stessa
appena ventenne, che cercava di capire per quale assurdo motivo il ragazzo che
amava da tanti anni e che conosceva da tutta la vita l’avesse abbandonata, e
poi fece un rapido ritorno alla realtà.
- Ti ho fatto davvero dubitare
della tua sessualità? – chiese, aggrottando le sopracciglia.
Xavier rise.
Ma forte.
- E smettila! – urlò l’altra,
avvicinandosi a lui e spintonandolo.
- Ma sei impazzita?! – ribatté
quello, facendo qualche passo indietro e sospirando. – Come puoi pensare che
una ragazza bella come te possa far dubitare un uomo su una cosa del genere?
No…
Gli occhi del ragazzo si chiusero
delicati, le lunghe ciglia si strinsero tra di loro e si separarono.
- No. – continuò. – Era una cosa
che pensavo già da tempo. Con te sono stato molto bene…
- Non hai idea di quanto sia
difficile per una donna convivere con una verità del genere.
- Posso immaginarlo.
- E perché stai ridendo, allora?
- Pensare che abbia lasciato una
top model per mettermi con Tierno è esilarante, Yvy.
La voce rimbalzò sul viso della
bella, che sbatté le palpebre esterrefatta e fece cenno di no con la testa.
- Mi dovrete raccontare un po’ di
cose, tu e Shana…
Lui era silenzioso, si limitò ad
annuire, quindi tornò a camminare. Il vialetto era lungo, una bicicletta era
appesa a un grosso gancio poco prima di un portoncino, sulla destra, dalle
vetrate opache. Inserì rapido la chiave nella toppa e dopo lo scatto della
serratura fece strada a Yvonne. Quella entrò nell’androne di quella che
sembrava essere una villa bifamiliare, molto fresco, dai gradini di marmo e le
ringhiere in ferro.
- Vuoi una mano?
- No. Ce la faccio, grazie.
Sospirò, Yvonne, si fece forza
sulle gambe e si ritrovò davanti al portone. Xavier suonò al campanello,
strinse le buste della spesa e abbassò lo sguardo.
Entrambi sentirono i passi di
Shana provenire dall’interno, e quando aprì indossava già un sorriso dolce e
sorpreso.
- Ma ciao. – disse, inclinando
dolcemente la testa. I capelli, legati in una coda di cavallo che avrebbe
dovuto allietarla un po’ dal calore di quel giorno, le ballarono accanto alla
spalla in basso. Strinse gli occhi verdi, che tanto risaltavano sulla pelle
olivastra del volto. – Cielo... – riprese, inarcando le sopracciglia. – Stai
esplodendo.
- Già... – sorrise l’altra.
Accanto a Xavier, sua moglie si avvicinò e strinse delicatamente l’amica di
vecchia data, baciandole la guancia e carezzandole il grosso pancione.
- Dannazione! – esclamò energica.
Si voltò poi verso Xavier, raggiante, e spalancò gli occhi. – Ma l’hai vista?!
Yvonne è dannatamente incinta!
- Certo, che l’ho vista, amore.
Entriamo, facciamole vedere casa.
- Ma ovvio! – esclamò la padrona
di casa, facendo entrare Xavier e anticipando l’ospite, chiudendole la porta
alle spalle. – Mettiti comoda, levati le scarpe, se vuoi ti posso dare un paio
delle mie pantofole. – aveva fatto quella, energica, sorpassandola e
immettendosi nel lungo corridoio che aveva davanti. Due porte a sinistra, tre
porte a destra, una di fronte, che lei aprì per raccogliere dal pavimento
polveroso un paio di pantofole blu. Lei stessa le guardò, sorrise e annuì, per
poi tornare indietro da lei.
- Sono di Xavier. Anche coi piedi
gonfi dovrebbero entrarti.
- Grazie... – sospirò lei, scalzando
le sneakers e poggiando le piante incandescenti sulle mattonelle.
- Di niente! – esclamò ancora
quella, entrando in cucina, proprio alla destra di Yvonne. Quella si affacciò,
vedendo l’uomo riporre la spesa e piegare la busta. Era in piedi, davanti al
tavolo, tra due sedie di legno, pesanti già allo sguardo, mentre diceva
qualcosa a sua moglie riguardo la necessità effettiva di acquistare una nuova
padella antiaderente. E lei rimase in silenzio, con le pantofole dell’uomo ai
piedi, pensando che anche le persone del suo passato si fossero fatte strada
attraverso i labirinti di quella vita, mentre parlavano di vita quotidiana e si
guardavano dolcemente, con quella flemma che soltanto chi viveva un matrimonio
riusciva ad avere negli occhi.
E lei invece cercava ancora di
capire i perché della sua esistenza, che le erano rovinati addosso, lasciandola
sola e gravida.
Si chiedeva cosa diamine ci
facesse lì.
Xavier si voltò e la guardò, che
aveva la notte negli occhi. Le si avvicinò, poi le sussurrò all’orecchio.
- Va tutto bene?
- Sì.
- Problemi con Shana?
Yvonne fece cenno di no. Poi
distolse lo sguardo, non vide la mezza smorfia che produsse l’uomo con le
labbra, poco convinto di quelle parole.
- Ti stanno bene le mie
pantofole. – concluse, prima di voltarsi e aprire il cassetto di una credenza,
in legno come le sedie. Ne estrasse una tovaglia a quadri e le fece cenno di
accomodarsi.
Il pranzo sarebbe stato servito
di lì a breve.
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