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Sesto Capitolo - 6

Eilà! Buonasera a tutti e bentrovati! La storia è entrata nel vivo della vicenda, ed oggi Rachel e Zack affronteranno altre mitiche avventure!
Ringrazio come sempre Rachel Aori, admin di Pokémon Adventures ITA, pagina con cui collaboro. Passate, troverete tante novità, immagini bellissime ed avrete l'opportunità di leggere il manga dei Pokémon!
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Ricordo infine che questo sabato sarà fuori uno speciale della rubrica CONSIGLI UTILI.
Vi rimando a lunedì con il prossimo capitolo.
Stay ready! Go!

Andy $


Le dita sul vetro scivolavano scorrevolmente, e la condensa spariva. L’immagine che ne usciva fuori, però, sembrava distorta.
Si chiese chi l’avesse disegnata così male.
Porzioni nascoste del suo viso, su quello specchio bagnato e velato di una coperta di vapore, erano sovrapposte a quattro strisce di chiarezza.
Un volto per metà.
A che serviva avere un volto per metà?
“Perché non so chi sono i miei genitori?”.
Rachel si rese conto di aver reso il bagno di Alma una laguna.
Questo capita quando si sta nella doccia quasi un’ora. Pace all’anima di Alma, ed alla sua indipendenza monetaria, la bolletta del gas quel mese sarebbe stata salata.
Quel bagno aveva qualcosa di kafkiano. Forse erano le luci di quel giallo opaco, o forse le luci andavano bene, ma era il vapore che aleggiava a rendere tutto più pesante alla vista della giovane.
Qualche macchia d’acqua a terra la guardava, e la sfidava. “Sei inutile, non hai un futuro! E nemmeno un passato!” e poi rideva.
“Non è così...” disse poi quella. Sapeva che era la sua immaginazione. Sapeva che era solo il suo subconscio a parlare.
Ma era così che si sentiva. Inutile. E soggiogata.
Per tanti anni aveva chiamato papà un totale sconosciuto.
Totale sconosciuto a cui aveva molto da ringraziare, probabilmente ora non si troverebbe in quel bagno a litigare con le chiazze d’acqua sul pavimento.
Né lei né Zorua, che continuava a picchiettare con la zampa fuori alla porta.
Pensò che allevare quel Pokémon fosse davvero complicato. Insomma, avevano la stessa età, forse lui era più grande. Ma sembrava sempre un cucciolo.
Un cucciolo capriccioso e bisognoso d’attenzioni.
Proprio come si sentiva lei in quel momento. E per quanto le costasse ammetterlo, si, il ricordo di Ryan che l’abbracciava, e le preparava la colazione al mattino le puntellava il cuore. Con qualcosa di molto doloroso.
I ricordi sono la porta che conduce dalla mente al cuore. Porta la cui serratura non sarà mai serrata, perché dentro di noi, in fondo, sappiamo benissimo che i ricordi sono tizzoni ardenti nel cuore dell’inverno freddo.
Almeno un sorriso te lo strappano, se belli, qualunque guaio tu stia passando.
Ryan era un bravo fratello. O quello che era.
Non era suo fratello.
Non aveva neanche una madre, come poteva avere un fratello?
Tormentava la sua psiche, come uno strizzacervelli che aveva bisogno di uno strizzacervelli.
Un folle masochista.
Con la licenza di far del male, di indurre alla pazzia. E nonostante Rachel sapesse che più pensava a Ryan, e alla sua vecchia vita, e magari alle sue vere origini, più si sarebbe fatta del male, ebbene, lei lo faceva.
E non per procurarsi quel dolore immane, ma solo per capire.
Certe cose ti segnano, come marchi a fuoco.
Aveva un grande dubbio, prima di tutti gli altri.
Era stata abbandonata? Oppure i suoi genitori furono costretti dall’eterna mietitrice a lasciarla sola, loro malgrado, con un cucciolo di Pokémon.
Il secondo dubbio riguardava la ricerca del significato di un gesto.
Che senso aveva mandare allo sbaraglio un piccolo cucciolo di Zorua, che nulla c’entrava in quella situazione? Perché rischiare che entrambi morissero. Almeno il piccolo Pokémon avrebbe potuto essere salvato.
“Perché così tanto mistero nel mio fottutissimo passato?! Perché io?! Con tutti i miliardi di persone su questo dannato pianeta, perché proprio io!” urlò all’improvviso.
La zampetta di Zorua si ferma, previa ripartenza dopo pochi secondi di respiro affannato.
Pochi secondi, e qualche passo dopo, sentì bussare alla porta.
“Rachel...” sentì
“Chi sei?” chiese davvero scoglionata.
“Beh, in casa ci siamo solo io e te...”
“Uff...scusa, Zack...è che...”
“Non darmi nessuna spiegazione”. Le parole del ragazzo riecheggiavano in quel minuscolo spazio dalle mattonelle orribili. “Sappi solo che io ascolto più del tuo specchio. Se lo guardi bene non ha la faccia di qualcuno in grado di ascoltare i tuoi problemi”
Rachel guardo allo specchio. C’era lei.
Capì immediatamente.
“Non puoi farti carico dei tuoi problemi, non da sola. Sono cose più grandi di te. E di me. Di entrambi e di tutti messi assieme”
“Non è necessario, Zack”
“Voglio solo dirti che se avessi una figlia come te non l’abbandonerei mai”
E poi il silenzio. Zack poggiò la mano sulla porta, mentre Zorua lo fissava in attesa che aprisse la porta.
Fu proprio quando una lacrima si tuffò in tutto il suo splendore dagli occhi della ragazza, seguendo un percorso distorto sul suo viso fino a cadere su di un seno, che il suo “grazie” risultò spontaneo e vero.
“Ora vestiti ed esci da quel bagno. Ti ho preparato il pranzo. E se ci sbrighiamo riusciamo anche a partire prima che faccia buio. Le uniche cascate di Adamanta sono le cascate Armonia, e la lastra che ha tradotto la professoressa indicano che dietro la cascata ci sia un antro”
“Ehm...si...faccio presto” la voce distorta dal pianto.
“Se puoi portarmi la collana quando esci...l’ho dimenticata sul lavandino prima, quando ero io sotto la doccia”
Tacito assenso, annuì pure, con la convinzione che lui potesse vederla, dopodiché prese un asciugamano e lo gettò per terra.
“Sei solo acqua”

Una volta vestita ed asciugata, uscì dal bagno. Zack non l’aveva mai vista con le braccia scoperte, né con i capelli alzati, e non poté far altro che sorridere appena la vide.
Rachel indossava una T-shirt degli ACDC, ed il paio di jeans sembrava rivestire finemente le sue gambe affusolate.
“Che c’è?” domandò, dopo il terzo secondo che Zack la fissava.
“Niente. Ho preparato un po’ di pasta. Ti va?”
“A dire il vero non ho molta fame”
“Eppure qualcosa mi dice che mangerai”
Rachel sbuffò. “Non mi va Zack, non costringermi”
“Guarda che tiro fuori Gyarados...”

“Ed ecco che mi è salito l’appetito... che hai cucinato?”
“Una semplice pasta col pesto. Mi dai una mano per il secondo?”
“Ai fornelli non sono molto pratica”
“Eppure mi sa che tagliare della mortadella a cubetti è al primo livello per diventare Masterchef, o sbaglio?”
Risero entrambi. Rachel prese la mortadella, un tagliere ed il coltello, ed usò il tavolo come postazione di controllo. Zack davanti a lei, di spalle, al piano cottura.
Approccio alla cucina 1 cominciato. Una chiacchierata non ci stava male, nel mentre.
“Comunque dovresti addestrare meglio il tuo Gyarados...”
“Ne abbiamo già parlato...”
“Non ne abbiamo già parlato, mi stava per ammazzare!”
“Quasi lo rimpiango” fece quello, sarcasticamente.
“Se non la finisci ti avveleno la mortadella. Solo la tua”
“Oh, brava. Molto maturo da parte tua” sorrise il ragazzo.
Era sempre così solare. Rachel si chiese come facesse a non levarsi mai quel sorriso dal volto. Era finto. Era ovviamente un sorriso posticcio adesivo che utilizzava per ogni momento, non c’era altra spiegazione.
E poi durante le lotte diventava così serio da fargli paura.
“Comunque dovresti accettare il mio consiglio riguardo al tuo Gyarados... non voglio sminuire le tue doti di allenatore, anzi, complimenti a te che hai allevato un Gyarados, ma dovresti regolare il suo comportamento”
“Se vuoi lo lascio fare a te. Le sei già simpatica”
“Smettila di fare il cretino!”
“È un dannatissimo Gyarados! Come pensi che debba insegnare l’educazione ad un drago di 13 metri?! Senza morire, per giunta!”
“Mica attacca anche te?!”
“No. Ha rispetto e paura di me. Sei tu che non gli vai a genio”
“Hai detto che le sono simpatica”
“Attiva la ricezione per il sarcasmo”
Ed un pezzo di mortadella colpì Zack dietro la testa.
“Wow, signorina Livingstone, molto maturo da parte sua”
“Grazie signor Recket. Trovo che nel tiro al bersaglio abbia poco da imparare”
Zack rise.
“Non vincerai mai Masterchef tirando la mortadella contro i giudici”
“Oh che peccato”

Era passato già qualche giorno da quando Ryan aveva iniziato a frequentare gli allenamenti delle reclute dell’Omega Group ma doveva ammettere che non si sentiva a disagio.
La tabella di marcia era più rigida di quanto credesse. Nonostante attualmente la città di Timea fosse ancora in allerta per il disastro causato dai terremoti, la vita nel quartier generale sembrava non esserne stata influenzata. Marianne gli aveva mostrato tutto ciò che era necessario conoscesse e probabilmente anche qualcosa in più, come il centro di controllo delle telecamere che la ditta aveva installato in tutta la regione e tramite le quali la ragazza contava di ritrovare Rachel. Era a conoscenza del fatto che la foto che le aveva dato della sorella, scattata qualche mese prima durante una festa di compleanno, era stata visionata da tutti i vari collaboratori del reparto informatico.
Come Lionell gli aveva suggerito, allenarsi gli stava facendo bene, avendo orari da rispettare e allenamenti da portare a termine la sua mente riusciva a non pensare a tutto quello che stava accadendo. Aveva ripreso l’allenamento dei suoi Pokémon il giorno stesso in cui si era risvegliato nel quartier generale del gruppo e aveva scoperto che il Bisharp ricevuto dal Lionell era davvero un ottimo Pokémon.
Aveva usato principalmente lui e Trapinch, ormai evolutosi in un Vibrava in quei giorni, lasciando che Gallade si ambientasse al continuo flusso di emozioni e pensieri che percepiva in quel luogo. Diversamente dal suo allenatore, il Pokémon psico non si trovava bene in quell’ambiente nero e cupo. Non abituato prima di tutto alla presenza di così tante persone, si sentiva costretto. Ryan sapeva che dati i suoi poteri avrebbe impiegato un po’ ad abituarsi e aveva deciso di lasciarlo libero di rilassarsi come preferiva.
Anche quel giorno il ragazzo continuava il suo allenamento, decidendo di trattenersi nell’ala adibita agli scontri più a lungo. Era madido di sudore. La maglia bianca che indossava gli si era attaccata alla pelle e ansimava violentemente. Nonostante allenandosi riuscisse a combattere contro i pensieri che gli affollavano la mente, l’ansia lo stava rodendo poco a poco. Quel silenzio lo uccideva e lo spingeva verso un baratro fatto di follie e paranoie.
Andò a farsi una doccia, restando sotto il getto caldo per molto più tempo di quanto fosse realmente necessario. Aveva saltato il pranzo, ma non sentiva nessun appetito e decise di lasciar perdere. Dopo aver finito di vestirsi, mentre decideva di dirigersi in camera sua per cercare di dormire o di assistere agli allenamenti del turno seguente, Gallade attirò la sua attenzione. Marianne lo attendeva fuori la porta. Non se ne sorprese. La ragazza era stata la sua ombra in quei giorni. Lo seguiva, a debita distanza, controllando le sue condizioni. Si assentava per andare ad informarsi sulla situazione della ricerca di Rachel e non appena tornava lo informava subito. Onestamente credeva che non sarebbe riuscito a sopportarla ancora a lungo.
Aspettò che fosse lei ad iniziare a parlare, ma nei suoi occhi vedeva qualcosa di diverso dal solito. Sembrava eccitata.
“Forse l’abbiamo trovata.”
Pronunciò solo quelle parole, ma Ryan si bloccò del tutto. Senza nemmeno rendersene conto afferrò la ragazza per le spalle, scuotendola con una certa veemenza.
“Dove?”
Aveva ripreso ad ansimare, se da un primo momento Marianne sembrò spaventata della sua reazione, piano si calmò, sciogliendosi dalla presa del ragazzo e iniziando ad informarlo, lo condusse verso la sala principale dove si riunivano di solito gli addetti al controllo delle varie telecamere e dove venivano coordinati i vari interventi del team nella regione.
“È stata avvistata a Palladia” iniziò “nel centro medico, ieri mattina. Una ragazza dai lunghi capelli neri, occhi chiari e in compagnia di uno Zorua. Impossibile sbagliare. A modo suo tua sorella è vistosa. Era in compagnia di un ragazzo, suppergiù della sua stessa età, forse un paio di anni più grande”
A quelle parole Ryan si gelò. Un ragazzo? Chi diamine era?
“Chi è quel tipo?” ringhiò.
Gli occhi della ragazza si rabbuiarono.
“Anche di questo dovevo parlarti... beh... ecco”
“Avanti!”
Un brivido percorse la schiena del ragazzo. Cosa significavano quello sguardo e quell’attesa?
Nonostante facesse fatica a reprimere la propria inquietudine lasciò che la ragazza finisse il resoconto.
Una volta arrivati nella sala, lo portò davanti ad uno dei monitor, un 32 pollici dove erano proiettate le immagini di quattro diverse videocamere. Su due di esse la figura di sua sorella era chiaramente riconoscibile. Addormentata su uno dei semplici divanetti del centro, sua sorella gli sembrò estremamente indifesa. Improvvisamente sentì una stretta al cuore. Come diavolo avevano potuto finire così? Avrebbe voluto sbattere il pugno sul monitor, urlare. E invece si costrinse di nuovo a restar fermo, impassibile, stringendo i pugni tanto da sentire una goccia di sangue bagnargli le mani.
Poco distante da sua sorella, sul divanetto accanto, un altro ragazzo dai corti capelli coperti da una bandana sembrava dormire altrettanto tranquillo. Se fosse stato possibile uccidere con lo sguardo, Ryan in quel momento lo avrebbe fatto. Poi un lampo gli balenò in mente. Era il tipo che Rachel aveva incontrato, il giorno prima che sparisse, nella radura. Ricordava vagamente al descrizione datagli dalla ragazza, ma era sicuro che coincidessero.
“Chi è?” si limitò a chiedere nuovamente alla ragazza.
Marianne abbassò nuovamente gli occhi, poi li rialzò per guardarlo.
“In effetti mi sembra giusto che tu sappia chi sia quel tipo...”

Mangiarono, si riposarono per un po’ e poi scesero. Braviary li portò velocemente ai piedi della cascata Armonia.
Una magniloquente massa d’acqua bianca e rumorosa ricadeva suicida da più di 150 metri di altezza.

Il fiume seguiva il suo corso partendo dal monte Nebbia, che si trovava sul versante nord, attraversava la montagna, ricca di vegetazione e si tuffava in caduta libera. Lo spettacolo era magnifico. I ragazzi persero alcuni secondi per goderselo.
Lo scroscio copriva ogni rumore, ma tuttavia la scena risultava piacevole ed il rumore rilassante.
“Dannazione, hai dimenticato di portarmi il ciondolo!”
“Uh... scusa” sorrise quella, a cento denti.
“Si, ok... quindi, ora?”
“Beh, ora dovremmo effettivamente... non so. Forse dovremmo risalire la cascata”
“Non hai mai visto un dannatissimo film sulle cascate?!” chiese Zack, avvicinandosi al punto di terraferma più vicino alla parete rocciosa. Si sporse, cercando di vedere oltre quel potente muro d’acqua.
“Qui c’è un’insenatura” fece poi.
“Non ho intenzione di bagnarmi le scarpe”
“Rachel. Sei il peggior compagno di avventura di tutti i tempi! Avanti, c’è in gioco il destino di tutti e tu pensi alle tue scarpe?!”
“Eddai, non costringermi a fare una cosa del genere!”
“Guarda che tiro fuori Gyarados”
“Ed io Zebstrika!”
“Ed io Lucario. E contro di lui non si vince”
“Questo è tutto da vedere!”
Zack levò le scarpe ed i vestiti, rimanendo in boxer. Si, anche se non l’avrebbe mai ammesso, Rachel indugiò nel guardarlo, mentre si levava la maglietta e ce l’aveva davanti agli occhi, in modo che lui non potesse vedere mentre lo guardava.
Mise poi i vestiti nello zaino, assieme alle Poké Ball, e lanciò lo zaino oltre la cascata.
“Avanti” fece poi, e si tuffò. L’acqua era azzurra e limpida in prossimità delle rive del fiume, mentre si intorbidiva mano a mano che ci si avvicinava alla cascata.
Zack riemerse, i capelli arruffati sulla testa ed il sorriso smagliante, mentre l’acqua scivolava deliziosa sulla sua pelle. Si alzò in piedi. L’acqua gli arrivava di poco sotto la vita. In quel fastidioso punto che quando si va al mare ti fa sobbalzare non appena un onda un po’ più allegra la raggiunge.
“La corrente non è debolissima, ma non preoccuparti, non dovresti avere difficoltà”
Ancora indugiava, Rachel sul fisico del ragazzo. Poi decise di darsi una mossa.
“Ehm... girati”
“Eh?!”
“Girati!”
“Dovrei girarmi? E perché?”
“Perché mi devo spogliare!”
“E non pensi che ti vedrò lo stesso appena ti getterai in acqua?”
“No, perché non guarderai, ovviamente”
Rachel si svestì, rimanendo con i suoi intimi neri, ed imbarazzatissima immerse le gambe nel fiume, sussultando per la temperatura. Come una donna anziana immerse le mani nell’acqua, portandone un po’ alle braccia, e massaggiando qua e la.
“Che stai facendo?” chiese il ragazzo, con le mani alla vita, in attesa di un segno.
“Mi sto abituando alla temperatura dell’acqua, caro mio. Non voglio rischiare l’ipotermia”
“Ipotermia. Per fare sei passi nel fiume?”
“Già! Ipotermia, bello!”
Come ovvio, Zack la schizzò. E Rachel urlò quasi fosse dal dolore.
“Ma che ti salta in testa?! Sei matto?!”
“Avanti, vieni”
“Sei uno stronzo!”
Zack rise.
“E non mi guardare” aggiunse quella. Zack abbassò la testa, notando due Barboach a godere della temperatura corporea del ragazzo a pochi centimetri dai suoi piedi.
 
Rachel infilò tutto nel suo zaino, lanciandolo a Zack, che a sua volta lo tirò oltre la cascata.
Lei prese a camminare sul fondale cinicamente puntuto del fiume, tastando con la morbida pianta del piede il punto più idoneo per poggiarvisi.
Si sorprese Zack di come, una volta arrivata vicina a lui, Rachel gli avesse afferrato il braccio.
“Andiamo” disse poi.
Con cautela si avvicinavano alla cascata.
“Ok... il trucco per passarla è farlo sul lato. C’è meno acqua, ed è meno potente. Inoltre lo devi fare molto velocemente, altrimenti la forza dell’acqua ti farà cadere sotto e non ti farà più rialzare”
“E’ pericoloso” disse con fare ingenuo lei.
Zack le sorrise, occhi negli occhi. “Non preoccuparti”
Il fatto di stare seminudi creava intimità, nella testa del ragazzo.
In quella di Rachel solo un profondo imbarazzo. Non aveva mai avuto un ottimo rapporto con il uso corpo. Troppo magro, troppo dritto nei punti nevralgici.
Qualche curva in più le avrebbe fatto comodo. Per i ragazzi, naturalmente.
Ma poi abbandonò l’idea di doversi cercare qualcuno da avere accanto. Se fosse arrivato lo avrebbe accolto con tutto se stessa.
In quel momento però la sua testa la portava a vagare come una piuma sospinta dal vento verso altri pensieri. Le sue origini, e Ryan, per esempio.
Si muoveva, trascinando le gambe in quell’acqua di piombo, con fatica, stringendo il braccio vigoroso di Zack, che si muoveva scorrevolmente nel fiume.
Arrivarono davanti alla parete fragorosa.
“Guarda come faccio io” fece il ragazzo.
Proprio come aveva premesso, il ragazzo si avvicinò al bordo destro della cascata, ed infilò la mano al suo interno, andando ad infrangere quello specchio liquido dalla forza immane.
Tanto forte che la mano fu costretta ad abbassarsi.
“E’ molto forte. Dovremmo davvero utilizzare Gyarados, Rachel”
“Le tue Poké Ball sono nello zaino. Oltre la cascata. Ed anche il mio. Non possiamo utilizzare i Pokémon. Che intendi fare?”
“Beh...”
E all’improvviso Rachel vide Zack gettarsi nella cascata, attraversandola.
Pochi secondi. Pochi secondi di panico. Non c’era alcun rumore che non fosse lo scroscio della cascata.
“Zack...”
Niente. L’acqua cadeva impetuosa, urlando prima di infrangersi al suolo.
“Zack... dove sei?” la voce risuonava dolce e si scontrava contro l’acqua.
Niente.
Zack era morto. Probabilmente era così. E Rachel, che in quei giorni stava vivendo la peggiore delle sindromi dell’abbandono, non poté far altro che lasciarsi cadere in un baratro di lacrime ed abbassare il volto.
Il corpo del giovane non riaffiorava dall’acqua. La cascata lo aveva fatto suo. Nessuno avrebbe più potuto guardarlo negli occhi, i suoi occhi verdi, come gli smeraldi, come il colore di quel ciondolo che portava sempre, e che quel giorno lei aveva dimenticato nel bagno della professoressa Alma.
“Hey... guarda che non riuscirò a tenere la mia mano li per sempre”
Rachel alzò la testa così velocemente da non riuscire a mettere subito a fuoco quello che i suoi occhi vedevano.
La mano. La mano di Zack. La mano di Zack che lottava contro la furia dell’acqua, e che attendeva di unirsi con quella di Rachel. Lei si asciugò il viso, colmo di lacrime, ed afferrò la mano.
Zack la strinse, e la tirò a se con talmente tanta forza che quella non si accorse neppure di aver attraversato il muro d’acqua.
La sensazioni che provò nel momento esatto in cui era all’interno di esso erano contrastanti.
La paura le appesantì quella misteriosa parte compresa tra lo stomaco ed i polmoni, le dava una pessima sensazione. Era il timore di non farcela, di non sentirsi adeguati nel fare qualcosa.
La voglia di fare invece le diede una scossa di adrenalina assurda. Con gli occhi chiusi, non riuscì a vedere nulla. Il volto contrito, la bocca semiaperta, le labbra turgide indurite, tutto era concentrato.
“È tutto finito” disse poi quello.
Rachel aprì gli occhi, mentre le lacrime si mischiavano alle gocce d’acqua che cadevano precise dai suoi capelli. La mano che aveva preso era ancora stretta alla sua, la faccia poggiata sul petto del ragazzo, l’altra mano che lo stringeva dietro la schiena.
“Calmati...ti sono mancato così tanto?”
Rachel non si mosse per qualche secondo, bloccata dalla sorpresa che le aveva fermato anche le lacrime.
“Ho...ho pensato...ho pensato che tu fossi morto...” disse poi, staccandosi poi di colpo dal ragazzo, come se si fosse resa conto solo in quell’istante di cosa stesse accendo.
“Va tutto bene. Non ti lascerei mai da sola... devo salvaguardare l’umanità, dannazione. Sbadata come sei... chissà che fine faresti”
Rachel gli mostrò un sorriso tirato, ancora imbarazzata per il contatto avuto con l’altro.
Salirono sulle rive del fiume in quella che sembrava una grotta molto vecchia. Qua e la entravano sprazzi di luce da vari fori nella parete. Il pavimento era levigato. Non era naturale, qualcuno doveva essersi occupato del rendere quel posto più accogliente.
Del resto quella era la dimora d’emergenza dell’oracolo di Arceus, una vera rockstar a quei tempi.
Rachel e Zack si asciugarono velocemente, si rivestirono e si misero in marcia.
Varie iscrizioni, nello stesso linguaggio della tavola trovata nel tempio, si trovavano sulle pareti della grotta.
Quella aveva una percorso circolare, leggermente in pendenza. La grotta in effetti saliva sulla montagna, seguendo la linea naturale della parete rocciosa.
“Perché credevi che fossi morto?” chiese Zack.
“Non lo so... ed in effetti è folle... io non so niente di te”
Camminavano da qualche minuto, e tranne qualche Zubat spaventato che era svolazzato via non avevano avuto alcuna sorpresa.
“Cosa intendi?”
“Beh... di te mi hai detto solo il tuo cognome... ed ho visto solo un Gyarados, un Growlithe, un Braviary ed un Lucario tra i tuoi Pokémon, nonostante tu abbia sei sfere nella tua cintura. Altre informazioni me le ha date Alma, ma oltre questo rimani uno sconosciuto che inconsciamente ho accettato di accompagnare in una folle avventura”
“Che vuoi sapere di me?”
“Che ci fai qui ad Adamanta, per esempio”
“Te l’ho detto. Sono un avventuriero. Ho viaggiato per tanti anni, e due anni fa arrivai ad Adamanta. Mi sono trovato bene e mi sono fermato qui per un po’. Ma ciò non vuol dire che non ripartirò”
 “Uhm... e la tua avventura? Quando è cominciata?”
“Circa una decina di anni fa. Partii da Celestopoli, a Kanto e non mi sono più fermato. Ho lottato contro tantissimi allenatori, più o meno forti, ho allenato tanti Pokémon, a cui sono molto affezionato”
“Quindi non possiedi solo quelli nelle Poké Ball?”
“No. Ho un box pieno di Pokémon a dire il vero, ma tra tutti ho fatto una selezione, per ottenere una squadra equilibrata”
“Ed il tuo primo Pokémon?”
“Il mio primo Pokémon è stato il Growlithe che ha sfidato il tuo Zorua la prima volta che ci siamo incontrati. Ne ha viste molte” sorrise.
“E come mai non lo hai fatto evolvere?”
“Beh, non mi lamento delle sue prestazioni a dire il vero, è un Pokémon molto forte. Forse... beh, forse non voglio che cambi, voglio che resti il mio Growlithe. Non penso che riuscirò a chiamare il mio amico Arcanine, dopo tanti anni che l’ho chiamato Growlithe”
“Ma diventerà più forte!” urlò quella. La voce della ragazza rimbombò forte nella grotta. Zack le fece segno di non urlare. Il soffitto dell’antro era in buone condizioni, ma sapeva che non avrebbe retto per sempre.
E se fosse crollato sopra di loro non voleva che a provocare il tutto fossero delle inutili discussioni sull’evoluzione di Growlithe.
“Ci vuole la pietrafocaia per l’evoluzione di Growlithe”
“Oh... beh, la grotta delle lanterne ne conterrà sicuramente qualcuna”
“Dopo l’ultima volta non ho più intenzione di entrare in quella grotta”
“Era solo il mio Larvitar... quante storie per un Pokémon così piccino. Ti lamenti di lui e non di quel mostro orribile”
“Ti riferisci al mio Gyarados?”
“Naturalmente. Non vorrai mica dire che il tuo mostro è più carino del mio Larvitar?!”
“Che discorsi inutili, Rachel...”
“Sto cercando solo di conoscerti...”
“No, stai mettendo a paragone due Pokémon. Inutilmente, peraltro”
“Ok, ok. A-aspetta un minuto... oggi... oggi in bagno. Mi hai parlato. Mi hai detto che se tu avessi avuto una figlia come me non mi abbandoneresti mai”
“Già. Ma ora che c’entra?”
“Che ne sai tu del fatto che sono stata abbandonata?!”
“Ehm... beh... veramente... parli nel sonno”
“Io e te dormiamo in due stanze differenti...”
“Senti, una notte mi sono svegliato per andare in bagno, e tu stavi tenendo un lungo sermone sulla tua vita e sulle tue preoccupazioni...”
“E tu naturalmente hai ascoltato tutto!” Rachel impresse la sua voce nella testa del ragazzo con molta aggressività.
“Beh... volevo sapere qualcosa in più sul tuo conto e mi è sembrata una buona cosa...”
“Certo...”
“Beh... comunque mi spiace. Vorrei che non fosse mai successo”
“Già. Così ora non sarei sudicia e bagnata in una grotta piena di chissà cosa”
“Non lamentarti, ci è andata di lusso. Non siamo ancora morti, abbiamo scoperto un posto dove nessuno era mai stato... non penso ci sia da lamentarsi”
“Umpf...”
“L’unica cosa che non capisco è il perché tu fugga da Ryan”
“Non ti riguarda”
“Cioè tu puoi chiedermi quello che ti pare, mentre io no”
“Parli sempre! Stai in silenzio!”
D’improvviso un boato riempì le orecchie dei ragazzi. Repentinamente, Zack chiamò Lucario. Rimasero fermi, piantati sui piedi. Rachel guardava il volto contrito e concentrato di Zack, simile a quello di Lucario.

Pochi secondi di silenzio. La volta non crollò.
“Ti ho detto di non urlare...” fece Zack, gettando fuori dal suo corpo tanta aria ricca di ansie e preoccupazioni con un sospiro.
“Ma è possibile che ogni volta che litighiamo succede qualcosa?!”
“Già... vedo più luce. Siamo quasi arrivati”
Ed in effetti era così.
Arrivarono in una zona piuttosto larga. La luce entrava da una grande apertura, coperta integralmente dall’acqua della cascata. Zack provò ad avvicinarsi al bordo dell’apertura. Erano davvero molto in alto. Vedeva la pozza d’acqua formata dalla cascata, dove c’erano dei Barboach.
“Vieni qui, che cadi...” gli fece Rachel, afferrandolo per lo zaino, e tirandolo a se. Il ragazzo fece qualche passo indietro, guardando Adamanta attraverso il filtro che gli imponeva l’acqua. Chiazze di colori indistinti formavano, nella sua fantasia, montagne, città, paesini, mari e case. Si girò, poi. Rachel sostava, mentre guardava il soffitto della grotta.
“E’ solido. E’ stato costruito molto bene” concluse poi.
“Prima era protetta da un esercito, hai sentito Mr Fuji...era una donna importante”
Il pavimento era sconnesso, l’erosione del tempo aveva cominciato da li. Nonostante tutto, tranne qualche ragionevole dislivello, si poteva camminare tranquillamente.
Non c’era traccia di alcuna stuoia, brandina, letto o luogo dove dormire. C’erano in compenso molti utensili per cucinare, un pestello, delle ciotole, degli utensili, tutto in pietra.
Mensole e piani d’appoggio erano stati creati con la roccia della grotta stessa. Varie insenature erano vuote. Una sola conteneva qualcosa.
“È un cofanetto...” osservò Rachel, afferrandolo. Lo aprì, dentro di esso vi erano incisi numerosi caratteri simili a quelli già visti sull’altra stele.
“Già. Lo porteremo ad Alma. C’è altro?”
“No. Niente. Bene. Andiamo”
“Aspetta, riposiamoci”
Zack sbuffò, la prese per il braccio, e la trascinò con se fino al bordo della cascata.
“Che dannazione vuoi fare?!”
“Stringimi forte” sorrise lui.
“Eh?!” fece lei, urlando, noncurante della grotta pericolante. Lo abbracciò però, mentre lui si gettava oltre la cascata.
Si erano buttati oltre la parete d’acqua, in caduta libera.
Rachel strinse gli occhi, mentre gli urlava le peggiori maledizioni ed offese. Zack rideva. Adorava quella sensazione di libertà, unita a quella percezione pungente che gli spingeva nello stomaco.
A poche decine di metri dal suolo, mentre erano dei potenziali proiettili, Rachel smise di urlare.
Sentiva le sue gambe sostenute da qualcosa, mentre le risate di Zack diminuivano.
Il vento passava tra i loro capelli, ma non cadevano più.
Rachel aprì gli occhi. La schiena di Zack.
“Puoi lasciarmi. Siamo in volo verso Edesea”
Braviary.
“Giuro che appena scendiamo ti ammazzo!”

“Professoressa Alma, eccoci di ritorno” fece Zack, levandosi la bandana e lasciando cadere lo zaino accanto alla porta. Nell’appartamento di Alma c’era un profumo divino.
“Fame?” chiese quella, facendo un sorriso da first lady.
“Beh... un po’”
Solo allora entrò Rachel. I capelli letteralmente sconvolti, la faccia di più. Non disse una parola, entrò solo nella stanza del ragazzo, sbattendo la porta.
Alma e Zack si guardarono.
“Che diamine lei hai fatto?! Pareva avesse una nuvola di pioggia sulla testa”
“È stata una giornata piuttosto pesante. Abbiamo trovato la grotta di Prima”
“Davvero?! Cavolo, ma siete bravissimi!”
“Grazie, professoressa. Ed abbiamo trovato un cofanetto”
“Mostramelo”
“Ce l’ha Rachel nella sua borsa, un momento”
Fece due passi indietro guardando gli occhi della bella donna, si girò, ed andò alla porta della sua stanza.
Bussò. “Rachel...”
Niente. Nessun rumore.
“Rachel!”
“Che diavolo vuoi?!”
“Stai bene?”
Silenzio. Zack guardò Alma, lei fece spallucce, dopodiché la porta si aprì.
“Secondo te sto bene?! Mi hai fatto fare un volo di cento metri in caduta libera, e se non sono morta oggi non morirò mai più!”
“Che le hai fatto fare?!” esclamò Alma, avvicinandosi alla ragazza.
“Ma niente! Quante storie per un lancio!”
“Poverina... vieni qui, siediti un po’...” Alma la prese sotto braccio e la fece sedere sul divano. “Ti metto a preparare una camomilla, avrai avuto una giornata molto pesante”
“Bah, troppo sensibile a queste cose! Stiamo partendo per salvare l’umanità ed i Pokémon, e tu ti metti a fare queste scene”
“Ma almeno potevi avvertirmi! Potevi dirmi: scusa Rachel, possiamo lanciarci da 150 metri di altezza per poi utilizzare il mio Braviary per tornare ad Edesea?”
Zack abbassò la testa ed infilò le mani in tasca, facendo il vago.
“Che poi anche con la domanda è una cosa folle! Potevamo salire entrambi su Zebstrika, e scendere rapidamente!”
“Ok, ho sbagliato, scusa. Devo abituarmi ai tuoi limiti”
Alma assisteva alla presa di coscienza del suo pupillo mentre metteva un pentolino sui fornelli.
“Mi hai fatto sciogliere le gambe! Mi vendicherò!”
“Ok, come vuoi piccola, ora però, puoi darmi il cofanetto di Prima?”
“È nello zaino, prenditelo da solo”
“Ok”
Ne uscì un minuto dopo con lo scrigno in mano. Lo diede ad Alma, che lo prese e si sedette al tavolo della cucina.
“Uhm... un esame alla pietra del cofanetto potrà accertare che è dello stesso periodo della stele precedentemente tradotta. Qui a casa non ho apparecchiature in grado di farlo, però. Dovremmo andare in università”
“In realtà sarei più interessato al contenuto dei caratteri piuttosto che alla pietra del cofanetto...”
“Si, la traduco subito... bene. Sono gli stessi caratteri. Non so se siano stati incisi dalla stessa persona, ci vorrebbe un confronto con gli altri fatto da un calligrafo”
“Il contenuto” sorrise Zack, facendo sorridere anche la donna.
“Dice... il cristallo è andato. Il cristallo non esiste più, ma l’essenza di esso e l’amore verso Arceus continuerà a vivere nel mio cuore, e nel cuore di chi proviene dal mio ventre. In questo modo le guerre cesseranno. Nessuno sa della cosa. Chiunque cercherà ancora di fare del male al grande dio Arceus, continuerà a cercare il cristallo, ma esso non c’è più. Sfiancati dalla ricerca, un giorno la smetteranno, ed accoglieranno il suo amore in tutto il suo splendore. Per ora, l’unica cosa da fare è aspettare. E dare alla luce il mio cristallo, prole nata dall’unione con il magnifico Timoteo. Pace all’anima sua... Zack, questa è una testimonianza storica importantissima! Ma come hai fatto a trovarla?”
“L’ho trovata io!” esclamò arrabbiata Rachel.
“Si, è stata lei a trovarla”
“È incredibile... questo cofanetto è una pietra miliare della storia antica di Edesea...”
“Già... ma questo complica il nostro compito... senza cristallo come contattiamo Arceus?” sbuffò Zack.
“A questo proposito...” Alma si alzò, ed entrò in bagno. “Beh... questa è la tua collana, vero?” domandò poi, una volta uscitane, con il ciondolo in mano. Una semplice catena, con un grosso smeraldo. Zack la riprese.

“Si, l’avevo dimenticata in bagno... e Rachel aveva dimenticato di darmela, prima di uscire”
“Che diamine vuoi da me?! Sei tu che dovresti ricordarti di prendere le tue cose!” urlava isterica quella.
“Hey, piccola calmati...” sorrise Zack, e quel sorriso le fece venir voglia di lanciargli contro un corpo contundente.
“Beh... guarda questa immagine sacra... questo è Arceus”. Alma gli pose davanti un disegno fatto ad acquarello. Ritraeva il Pokémon Primevo in una posa monumentale. Le zampe anteriori sollevate ed il collo alzato.
“Beh... quello che voglio farti notare sono dei piccoli particolari presenti al di sopra di quella sorta di ruota dorata che ha attorno alla vita...”
“Ma...”
“Si. Sono dei cristalli. Proprio come il tuo. Oggi dopo pranzo sono tornata a casa, sono andata a farmi la doccia ed ho visto il tuo ciondolo. Avevo i miei dubbi, insomma sarebbe potuto essere un semplice smeraldo, quindi l’ho controllato al microscopio. E mi sono sorpresa quando mi sono resa conto di non conoscere nessun elemento con una simile conformazione. È molto particolare, ed i legami tra le particelle sono incredibilmente fitti. È un nuovo elemento, mai incontrato sul nostro pianeta”
“Dici sul serio?!”
“Già”
“Questo ciondolo me l’ha dato mio padre prima che partissi. Non lo levo quasi mai. Non sapevo fosse così tanto importante”
“Hai appesa al collo la causa di una delle guerre più sanguinosa mai avvenute nella nostra regione”
“Incredibile”
“Non si spiega però perché Prima abbia dovuto incidere quelle parole se il cristallo è qui” instillò il dubbio Rachel.
“Magari contavano che la trovassero. E che leggessero il contenuto del cofanetto” provò a rispondere Alma.
“Alla fine ce ne siamo dimenticati, proprio come ha scritto lei”
“Beh... sono molto convinta di quello che dico. Questo elemento non esiste sul nostro pianeta. Questo, ragazzi è il cristallo di Arceus”
Rachel si alzò, ed andò vicino a Zack. Lo prese, lo toccò. Era strano sentire tra le sue mani qualcosa di così importante.
“Beh... dovremmo metterlo al sicuro. Non credo sia saggio che tu lo tenga al collo” fece poi.
“Non se ne parla neanche!” lo strappò di mano alla ragazza. “Questo è il ciondolo che mi ha regalato mio padre, è il mio portafortuna, e non si allontanerà dal mio collo!”
“Beh, lo spero per te, perché altrimenti dovrai trovare un nuovo pianeta dove attentare alla mia vita”
Zack rise, e le strinse per le spalle, tirandosela verso di lui. Rachel lasciò fare, senza replicare al contatto, ma staccandosene non appena quello allentò la presa.
“Uh... la camomilla è pronta” sorrise Alma.

Mangiarono, risero, scherzarono e si crearono un piano d’azione. Alma consegnò inoltre ai ragazzi la tavola di Hermann. Era una lastra di pietra abbastanza sottile, su cui era incisa la forma di una mano.
“Questa è in grado di rivelarvi la purezza d’animo di una vergine. L’inventore deve aver probabilmente utilizzato qualche Pokémon per conferirgli il potere del riconoscimento, ma come abbia fatto rimane tutt’ora un mistero. Inutile dirvi che avete tra le mani un cimelio di inestimabile valore archeologico, e che dovrete usarlo con cautela, senza danneggiarlo. Quando questa storia sarà finita, il rettore della facoltà di scienza lo rivuole nel suo studio. È chiaro?”
“Sissignora” rispose Rachel.
“E come funziona?” domandò l’altro.
“Beh. Basta semplicemente che la vergine poggi la mano qui e la tavola dovrebbe reagire. È certificato il suo funzionamento”
“Ok, va bene. La ringrazio”
“Ora se permettete vado a dormire. Domani dovrò studiare meglio il cofanetto ed inviare un’equipe di studiosi alle cascate Armonia”
“Se trovate qualche frana è stata Rachel e la sua voce incredibile” fece Zack, a mo’ di avvertimento.
La più giovane lo spintonò, ma quello non si mosse di molto.
“Non credo ci saranno problemi. Abbiamo dei Pokémon scavatori molto abili. Notte” sorrise poi, in quel modo che faceva sciogliere chiunque.
“Notte, professoressa” risposero all’unisono i due. Alma sparì nella sua stanza, mentre i due si sedettero sul divano. Accesero la tv.

“Edizione straordinaria del tg Adamanta. Quasi contemporaneamente in più parti della regione di Kanto è iniziato l’attacco dei tre leggendari uccelli Articuno, Moltres e Zapdos. Il primo ha causato un’abbondante grandinata nella città di Zafferanopoli, provocando numerosi danni ai palazzi e alle autovetture e ferendo molte persone. L’uccello di fuoco ha invece preso di mira il Monte Argento, su cui  sta divampando un forte incendio, che inutilmente il team dei Blastoise sta cercando di domare. Per ultimo Zapdos, che ha causato una forte tempesta di fulmini che ha colpito Plumbeopoli. Inutili gli sforzi dei capipalestra per difendere le proprie città. Tra i migliaia di feriti c’è da registrare la presenza del capopalestra Green, che ha subito gravi ustioni sul Monte Argento cercando di contrastare Moltres. Per ora è tutto, da tg Adamanta”
 
“Dobbiamo sbrigarci, Rachel” sospirò Zack.

Era chiuso in camera sua, steso sul letto della camera che gli avevano dato. Aveva i palmi delle mani scorticati per aver serrato i pugni troppo stretti. Aveva ascoltato quello che Marianne aveva da dirgli riguardo quel ragazzo, Zackary Recket senza battere ciglio, e con la stessa maschera impassibile le aveva voltato le spalle e se ne era andato. La ragazza gli aveva detto che quelle che giravano sul suo conto erano solo voci, ma per lui oramai era impossibile fidarsi. Nonostante oramai fosse più che tardi, il suo animo era in tumulto e gli impediva di addormentarsi. Gallade lo guardava preoccupato, ma il ragazzo sapeva di non potergli rivolgere nemmeno una parola.

Sapeva che nel preciso istante in cui avrebbe riaperto la bocca, probabilmente, avrebbe detto parole che non gli appartenevano realmente e che pure non sarebbe riuscito a fermare. Restava così, disteso a fissare il soffitto, mentre pensava all’indomani. Marianne lo aveva rincorso per dirgli che sarebbero partiti alla volta di Palladia, nel tentativo di rintracciare i due, ma che forse non erano già più lì. Sbatté il pugno sul materasso, che cigolò infastidito dalla mossa del ragazzo. Poi qualcuno bussò alla porta.
La tentazione di non aprire era tanta, ma la speranza che fossero nuove notizie gli impose di calmarsi e di accogliere chiunque lo stesse disturbando.
A sorpresa, il visitatore notturno era Lionell.
Il ragazzo lo guardò confuso. Nonostante fossero sempre nello stesso palazzo non gli era mai capitato di incontrarlo in quei giorni. Impreparato dall’evento, non seppe che balbettare qualche sillaba scendendo man mano di tono finché non tacque. Nemmeno l’uomo parlò. Sembrava pensieroso. E indeciso. Questo sorprese ancora di più il ragazzo. Poi quello parlò.
“Scusami, ragazzo, posso entrare qualche minuto?”
La voce era bassa, calma, non sembrava quasi la sua. Ryan si fece da parte per farlo passare e richiuse la porta dietro le spalle dell’uomo. Sebbene avesse giudicato che non dovesse avere più di 45 anni, improvvisamente gli sembrò molto più vecchio.
Lionell si sedette sul letto, con la faccia stanca. Impiegò alcuni secondi prima di guardare Ryan.
“Ho saputo che la ragazza è stata trovata.”
Iniziò.
Ryan annuì, senza dire altro. Era a disagio.
“L’ho vista nel filmato, per la prima volta, stasera. La foto l’ha avuta Marianne tutto il tempo...” fece un’altra pausa.
“Ryan... penso che ci siano un paio di cose di cui devo metterti al corrente...”
Il ragazzo lo guardò.
A quanto pare quella giornata era ben lungi dall’essere finita.
Già... quelle giornate non finivano mai. Soprattutto nella mente.

Rachel si svegliò nel cuore della notte. Aveva freddo ai piedi, e al naso. E alle guancia sinistra.
Quella destra sembrava stare bene. Aprì meglio gli occhi, cercando di focalizzare bene la situazione.
Qualcuno accanto a lei si muoveva. Espandeva il torace, che poi tornava di normali dimensioni.
La luce della luna entrava impertinente in quella nottata, illuminando il tavolo e due sedie nella cucina.
La televisione era accesa, probabilmente si erano addormentati mentre vedevano Pokémon Show. Continuava a trasmettere immagini. Ora c’era un programma letterario. Lo schermo televisivo illuminava il volto di Rachel.
E quello di Zack, che abbattuto dormiva accanto a lei.
Aveva avuto una giornata pesante.
Tante emozioni, tante sensazioni. Tutto unito ed inseguito dalla paura di una fine quasi certa.
Oppure no. Quel cristallo che aveva appeso al collo poteva essere la speranza.
Non si volle muovere, lei, per non svegliare Zack. Era rimasta con le gambe piegate una sull’altra, i piedi scoperti, il braccio destro rintanato dietro la schiena di Zack e quello sinistro sul suo addome. La faccia sul suo petto completava il tutto. Sembravano fidanzati.
Pensava, lei.
La chiamava piccola. La stringeva, quel giorno l’aveva tenuta stretta a se, al suo petto, si era scusato con lei, ed aveva condiviso tante emozioni.
Era senza dubbio un testone. Ma rimaneva un testone molto carino. E dolce, quando serviva. Le aveva preparato il pranzo, e detto quelle cose carine nascosto dietro la porta del bagno.
Doveva staccarsene. Le venne da pensare. Quel contatto la feriva, era come se le mostrasse qualcosa che non meritava di avere. Doveva dormire. Allungò la mano verso quella di Zack, che manteneva il telecomando, sfilandoglielo elegantemente, cercando di farlo il più velocemente possibile.
Spense la tv, ed il salotto e la cucina piombarono nel buio.
Forse fu la mancanza di quel ronzio fastidioso a far aprire gli occhi al ragazzo.
“Hey...Rachel...che succede?” fece quello, confuso e appena sveglio.
“Niente, Zack. Ho spento la tv. Ho freddo”
“Vado a dormire, ti lascio riposare per bene”
“Sì, ti ringrazio” la voce atona sembrava stridere con l’espressione che l’oscurità nascondeva.
“Bene”. Zack si alzò e si voltò verso la ragazza. Si era alzata, e prendeva le coperte.
“Ma non sei scomoda?”
“No, tranquillo, va tutto bene.”
“So che può sembrarti fuori luogo ma se vuoi di la il letto è molto grande e confortevole. Possiamo dividerlo”
“Non è il caso, Zack, non preoccuparti. A domani”
“Ok. Ciao piccola”
“Ciao...”

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