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Settimo Capitolo - 7

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Storia che sta esplodendo!
A lunedì sera, con il prossimo capitolo!
Stay ready!
GO!

Andy $






Quella notte il letto collaborò. Le coperte non diedero fastidio, nessun fastidioso insetto che ronzasse nelle orecchie e finestre serrate. La luce non sarebbe entrata neanche con regolare invito, e Zack avrebbe dormito, e recuperato il sonno perduto.
Alma si svegliò presto quel mattino, come sempre del resto.
Avrebbe potuto seguire l’esempio del ragazzo, tutto sommato. In fondo era domenica.
Sospirò, non ci riusciva. Erano le 8 e già era attiva.
Il sole aveva appena messo piede fuori, nel cielo, e l’aria era carica del freddo della notte.
Alma, affacciata alla finestra del suo palazzo, respirava con la bocca. L’aria calda si condensava, andando a formare una nuvoletta. Sospirò, solite preoccupazioni della vita, e soffiò via l’ansia dall’interno dell’esofago.
Rimise la testa in casa, dove la temperatura era ragionevolmente migliore, facendo attenzione a non fare rumore. Rachel dormiva sul divano, avvolta da due calde coperte di lana. Zorua era acciambellato sulle sue gambe, e di tanto in tanto muoveva la testa.
Alma sorrise. Era davvero un bel Pokémon. Lo prese, e lo strinse. Quello non fece una grinza. Il pelo era lucido e caldo. Lo poggiò sul tavolo, e notò come Rachel, senza il peso mellifluo del suo Zorua, piegò le gambe, mettendosi in una posizione più comoda.
Zorua, dormiva, e Alma lo accarezzava, seduta al tavolo. I capelli neri, legati in una treccia, e le curve eleganti avvolte in un accappatoio bianco. Aveva le gambe piegate sulla sedia, e la testa poggiata sul braccio, quello che non accarezzava Zorua.
Più di tutto gli premeva che l’intera umanità, se quella profezia fosse realmente esatta, fosse nelle mani di quei ragazzini. Certo, di Zack non c’era di che preoccuparsi. Ma Rachel le sembrava inesperta.
Acerba.
Si, forse era acerba la parola adatta. Era abbastanza discutibile, ma forse aveva bisogno di più allenamento per stare dietro ai ritmi di Zack.
D’altro canto, i due come squadra erano davvero azzeccati. Lui estroverso al massimo, con un’ottima capacità di controllare la sua squadra.
Lei molto più riflessiva, ma anche più intuitiva. Aveva tanto da imparare, ma serviva a dare un limite alle ambizioni e alle spericolatezze di Zack, che altrimenti, incosciente, avrebbe potuto farsi del male, dato che non usava darsi dei limiti.
Lei poteva diventare forte, e levarsi da dosso quella debole armatura fatta di carta argentata, aprirsi al mondo ed affrontare i suoi fantasmi a testa alta. Migliorare la propria tecnica di allenamento, vedere posti nuovi, e dimenticare i suoi problemi. Quella ragazza tendeva a parlare nel sonno, e si svegliava più stanca e nervosa della notte prima.
Lui poteva consacrarsi come vera leggenda. Lo immaginava, e sperava tanto di vederlo così, mentre bussava alla sua porta, abbracciandola e dicendole che era tutto risolto.
Alma sospirò. Ma era sicura che non fu quel sospiro, quanto la mancanza di Zorua sulle sue gambe a far svegliare Rachel.
Quella si sentiva la bocca impastata di colla. Aveva un saporaccio sulla lingua.
Cercava il ciuffo di Zorua con la mano, senza trovarlo. Poi sentì ridere.
“È qui...” disse Alma.
Attivò il visore mattutino e mise a fuoco Alma, in accappatoio, seduta al tavolo, mentre accarezzava Zorua.
“Oh... pensavo fosse scappato”
“Spero di non averti svegliato”
“No, tranquilla, sei sempre silenziosissima. E non so come fai”
Alma sorrise, e vide Zorua sbadigliare.
“Zack dorme ancora?” chiese Rachel.
“Si. È in stanza. Che programmi avete per oggi?"
“Ci muoviamo. Abbiamo stabilito di andare verso Plamenia”
“Come mai Plamenia?”
“Beh... si trova un grande parco divertimenti, frequentato da tanti giovani. Li avremo più probabilità di incontrare una vergine”
“Eh già... ottima pensata”
“Fosse stato per Zack saremmo dovuti andare a Timea”
“Beh... è più grande”
“Ciò non toglie la validità del ragionamento fatto per Plamenia. Perché perdere altro tempo? La gente muore, se li c’è più possibilità di trovare una vergine che ad Arceus vada bene, ebbene, io mi fiondo li”
“Ti sei lasciata coinvolgere...” sorrise dolcemente Alma.
“Già... mi sento... responsabile”
“E lo sei. Tu, con Zack”
“Non mi rincuora, questa cosa” sorrise Rachel, alzandosi dal divano. Prese a piegare la coperta, fasciata nel suo largo pigiama di pile.
“Non ti fidi di lui?”
“Beh... è un bravissimo ragazzo... ma... avanti, non lo conosco da così tanto tempo da poter dire di fidarmi di lui”
“Sei quel tipo di persona, allora” osservò la più grande tra le due.
“Ovvero?”
“Non ti piace dare una possibilità a chi hai di fronte”
“La questione è che ho paura di farmi del male, Alma”
“Posso comprenderlo"
“E tu? Il tuo uomo dov’è?”
“Non c’è nessun uomo”
“Appunto. Odio ammetterlo, e la mia autostima cederà per questo, ma sei bellissima anche con i capelli spettinati ed in pigiama”
Alma rise, svegliando Zorua. “Non dire assurdità. Comunque ti ringrazio”
“E quindi?”
“Quindi cosa?”
“Perché non hai un uomo accanto?”
“Perché il mio uomo è partito. E non è più tornato”
“Partito? Per dove?”
“Lui era un ricercatore. Frequentavamo lo stesso corso all’università, ma ci conoscevamo già da prima. Ci volevamo molto bene. Io ho tecnica di ricerca basata molto di più sull’osservazione fatta in laboratorio... mentre lui... beh, lui era come Zack, adorava viaggiare, e si muoveva sempre qui e li. Un giorno partì per una spedizione, e non tornò più”
“Che spedizione?”
“Riguardava il mondo distorto. Pare che lì spazio e tempo abbiano una struttura a se stante. Ma... non siamo riusciti mai a saperlo con esattezza. Lui è partito tre anni fa, Zack lo sa. Stavamo per sposarci. Questa doveva essere casa nostra. L’ho presa lo stesso... e mi fa piacere, di tanto in tanto, ospitarlo quando è qui in città. È un ragazzo d’oro, nonostante sia molto testardo”
Rachel annuì. “Mi spiace”
“Oh, figurati...” sorrise Alma. “Un giorno tornerà. Ed io starò qui ad aspettarlo”
“Te lo auguro”
Alma si alzò, ed aprì un cassetto. Rachel si incuriosì, ed aspettò che tornasse li, al tavolo. La sentiva strana, quasi come se fosse incorporea. Pareva fluttuasse, tanta la leggerezza che mostrava.
Aprì un cassetto, poi lo richiuse. Tornò al tavolo, poggiandovi sopra una Poké Ball.
“Beh... lui...” Alma stava cedendo alla commozione, ed al dolore, ma era una donna forte, e si impose di non perdere quella battaglia contro se stessa ed il suo istinto. “...lui aveva catturato per me questo Litwick... non ho mai avuto l’occasione di utilizzarlo, volevo fosse lui a mostrarmi come funzionassero i suoi attacchi...”
“Non hai altri Pokémon? Insomma... dovresti sapere come funziona...”
“Si, lo so. Ma... lui credeva che fossi imbranata, ed io glielo lasciavo credere, perché adoravo quando si avvicinava e cercava di aiutarmi. Era sempre così generoso... e pieno di vita”
Alma diede un leggero colpetto alla sfera, ed un piccolo Litwick prese a
ondeggiare sul tavolo. Zorua, incuriosito, si avvicinò a Rachel, strofinandogli la coda contro il braccio.
“Rachel... vorrei che lo usassi tu” tagliò corto Alma.
“Eh?!”
“So che non è un Pokémon semplice da allenare, ma potrebbe aiutarvi nella vostra causa. Ed in più è molto crudele il fatto che debba stare rinchiuso in un cassetto quando può vedere il mondo”
“Alma, io non so se...”
“Fallo per me. Come ringraziamento” il volto della donna si contrasse in una sorta di preghiera, da cui ottenne un sorriso dolce.
“Ok”
“Non è facile. Non ha praticamente mai lottato, tranne quando è stato catturato. Ma può essere davvero utile se allenato con dovere. Magari puoi farti aiutare da Zack, lui è molto bravo”
“Oh, credo che ci riuscirò anche senza di lui”

Alma sorrise ed annuì, capendo che tra i due vi fosse una leggera rivalità. Fece rientrare Litwick nella sfera, e sorridendo la porse a Rachel.
“Abbine cura”
“Certamente”
Rachel la prese, gustandosi il calore che aveva dentro quando otteneva un nuovo Pokémon.
“Per che ora avete stabilito la partenza?” domandò poi Alma.
“Quando quel testone si sveglia...”
La porta della stanza di Zack si aprì, scricchiolando.
“Il testone è sveglio...” fece, con i capelli sconvolti da un corpo a corpo perso con il cuscino ed il pigiama messo al contrario.

"Grazie di tutto Alma!” sorrideva Zack, agitando la mano, mentre si allontanavano da Edesea. Il sole, adesso caldo, li investiva.
“State attenti, mi raccomando!” urlava quella. “Qualunque cosa scoprite telefonatemi! Vi voglio bene!”
Rachel sorrise. Alma era bella. Ma con il cuore ripieno di dubbi, come ogni donna.
“Buongiorno socia!” sorrise Zack.
“Hey...”
“Vitale come sempre” sfotté.
“Già...” lei si fermò e tirò fuori Zebstrika.
“Eh?! Che vuoi adesso?”
“Non voglio niente da te, ma mi fa piacere il fatto che Zebstrika ti incuta timore. È così che deve essere” Rachel sorrise e Zebstrika soffiò, graffiando il terreno con lo zoccolo.
“Posso stendere il tuo Zebstrika quando voglio... dopotutto io... ma che stai facendo?”
Con difficoltà Rachel salì in groppa del suo Pokémon.
“Sei seria?” chiese lui.
“Certo”
“Non è un cavallo, è una zebra”

“Come ti pare. Al trotto Wizard”


Rachel credeva che le creste sul dorso del Pokémon fossero dure. Ed invece al tatto erano morbide, e lisce. Lo erano solo con chi si fidava davvero.
La zebra prese a trottare, lasciando indietro velocemente uno sbalordito Zack.
“Oh... santo cielo... aspettami!” urlò. Ma Rachel era già lontana.
“Braviary!” lanciò la sfera per terra e saltò, in modo da trovarsi già sul suo Pokémon. Adorava le sue piume. Erano morbidissime.
“Raggiungiamoli!”
Braviary partì come un razzo.
Questione di secondi, almeno una ventina, e videro Braviary volare velocemente sulle loro teste.
“Ho anche io i miei mezzi!” urlava Zack.
Rachel sorrise. Accettò quella sfida mai apertamente rivelata, e si compiacque, sorprendendosi di come tempo prima non avrebbe mai osato mettersi contro nessuno, contando unicamente su se stessa e sui suoi Pokémon.
“Avanti! Corri, Wizard!”
Zebstrika nitrì e prese a correre per le valli che costeggiavano la città di Miracielo. Avrebbero dovuto superarle per arrivare a Plamenia.
L’aria passava tra i capelli di Rachel e se ne andava, baciandole la pelle e lasciandole un piacevole brivido addosso, mentre l’erba alta si apriva al loro passaggio, mostrandogli il cammino.
Ed era così che voleva sentirsi. Con l’aria che le graffiava la pelle, e quella paura impellente che potesse succederle qualcosa, bello o brutto che fosse. Ma almeno pretendeva di vivere con quel dubbio, sperando che le cose si mettessero meglio. Il peso delle responsabilità cominciava a diventare fastidioso, ed ogni battito di ciglia sembrava insormontabile, come se solo con gli occhi avrebbe dovuto alzare tonnellate.
Ma il bello era quello. Non voleva fermarsi. Lo sentiva. Qualcosa stava cambiando. Dentro di lei niente era fermo, era proprio come se si stesse evolvendo anche lei. Stava per diventare un’altra. Stava per aprirsi, e per conoscere il mondo. Ridendo, scherzando, sfidando chiunque, sapendo che più di cadere con il sedere per terra non poteva.
La paura c’era, quel persistente bruciorino sullo stomaco, ma andiamo... chiunque ce l’ha.
Non si chiese dove fosse Zack, sapeva solo che doveva correre, scappare dalla vecchia Rachel, che invano cercava di raggiungerla. Non poteva, non doveva raggiungerla. Doveva correre, e lasciare il pregiudizio ed il timore alle spalle.
Affrontare. Era quella la nuova parola d’ordine.
Zack intanto rideva, sempre compiaciuto dai suoi voli ad alta velocità con Braviary. “Scendi su Rachel!” sorrise poi.
Braviary andò in picchiata, e Rachel vide l’ombra di Braviary ingrandirsi sempre di più su di lei. Alzò la testa. Zack la guardava sorridendo.
“Non ti ho mai vista ridere in questo modo! Sei carina quando ridi!” urlava, cercando di farsi ascoltare.
Ma tanto Rachel non sentiva. Voleva solo il suo dannatissimo iPod, per sentire gli Snow Patrol. In quel momento avrebbe voluto ascoltare “What if the storm ends?”, le sarebbe sembrato leggendario.
 

I chilometri da percorrere erano tanti.
E quando videro Miracielo da lontano, capirono di essere a metà strada.
“È ora di pranzo” sorrise Zack, scendendo a terra. Saltellò un paio di volte, per riattivare la circolazione delle gambe, poi si avvicinò ad uno degli sporadici alberi presenti nell’erba alta della vallata.
“Qui credo sia perfetto” fece sorridente il ragazzo. Come sempre.
“Siamo un po’ isolati...non sarebbe meglio incamminarci verso Miracielo...almeno li potremmo stare più tranquilli e sicuri, senza il rischio di qualche attacco di un Pokémon selvatico”
“Siamo allenatori, e sappiamo affrontare queste situazioni...per me qui va benissimo” Zack fece una piroetta, allargò le braccia e si lasciò cadere sull’erba alta e morbida. Sentiva quel dolore dietro alla schiena rapito dall’aria frizzante, e sparire velocemente. Le nuvole scappavano via dal suo sguardo, lasciando solamente una grossa tela azzurra ben tesa.
La fissava. “Chissà oltre cosa c’è?”
“Eh?” chiese Rachel, cercando uno dei sandwich che Alma gli aveva preparato. Pensò che quella donna fosse veramente premurosa.
“Intendo oltre al cielo... secondo te cosa c’è oltre?"
“L’universo”
“Sicura?”
“Si”
Zack alzò la testa. “Lo hai visto?”
“Beh... no... ma...”
“E se volessero che tu creda che ci sia l’universo? E magari in realtà non c’è nulla? Oppure tutto. Potrebbero esserci tutte le risposte, oltre il cielo...”
“Hai tutta questa voglia di chiederti cosa c’è oltre l’atmosfera?”
“Mi pongo spesso questa domanda”
“Credevo che volando in alto con Braviary fossi arrivato su Marte...”
“Sbagli... che si mangia?” chiese lui, mettendosi a sedere.
Rachel gli lanciò un sandwich avvolto nella pellicola trasparente. Insalata e gamberetti.
“Buono...” riuscì a dire lui, masticando. Prese una Poké Ball, tirandola nel silenzio più che totale.
Ne uscì Growlithe.
“Eccolo qui!” sorrise Zack, appena il Pokémon accorse verso di lui, saltandogli addosso. Divise il suo sandwich e gliene diede metà.
Rachel vedeva quel ragazzo ridere, così tanto in armonia con l’ambiente che lo circondava che quasi sembrava fosse un elemento del paesaggio.
E poi quel Growlithe. Le orecchie puntate verso l’alto, gli occhi vispi, ed il pelo folto e lucido. Questo era strano. Non era arancione, tendeva invece sul giallo. Prima di incontrare Zack, Rachel non mai visto un Growlithe con quello strano colore di pelo.
“Come mai il tuo Growlithe non è del colore normale?”
“Perché è un Pokémon cromatico”
“Ovvero?” chiese lei, sedendosi con il suo pranzo in mano accanto a lui. L’ombra dell’albero che avevano alle spalle si estendeva attorno alla zona circostante, creando un perimetro di fresco. Nonostante fosse inverno il calore stava aumentando in modo massiccio. Rachel pensò che fosse per via del risveglio di Groudon, a Hoenn. Adamanta non era poi così distante.
“Un Pokémon cromatico è un normalissimo Pokémon, che ha l’unica particolarità di avere una parte del dna modificato. Ciò significa che il suo aspetto, molto spesso il colore, varia dalle specie normali”
“Wow...”
“È difficilissimo trovare dei Pokémon cromatici”
“Come hai trovato Growlithe?”
“Oh... beh, è stato il mio primo Pokémon. Tu lo vedi così, piccolino e tenero, ma in realtà questo Pokémon ha tantissima esperienza”
“Ma hai deciso di non farlo evolvere” gli rammentò.
Zack mosse impercettibilmente le sopracciglia. Stirò le labbra e distolse lo sguardo. “Beh... è il mio amico, come ho detto, mi piace vederlo così... e tu? Larvitar come sta? Ancora devo vederlo meglio”
“Ti accontento subito” sorrise lei. Larvitar uscì fuori dalla sfera.
Si guardò stranito ed impaurito, immobilizzandosi, muovendo solo gli occhi, mentre guardava il cielo e le nuvole in lontananza.
“Presentati” disse a bassa voce Zack.
“Larvitar”


Il Pokémon fissò il suo sguardo su Rachel, che sorrideva. Vedeva i suoi occhi azzurri, e poi il sandwich.
“Ha fame...” suggerì ancora a bassa voce il ragazzo.
“Oh... tieni...” fece ancora Rachel, staccando un pezzo del suo pranzo, e porgendolo a Larvitar.
Quello abbassò la testa, tenendo gli occhi fissi su Rachel, e spostandoli ritmicamente sul cibo. Lentamente si avvicinava alla ragazza, schivo, impaurito da qualsiasi gesto o mossa inopportuna. Intanto il vento soffiava, e l’erba alta frusciava.
“Avanti. È tuo” Rachel cercava di essere incoraggiante.
Larvitar allora prese il cibo, e fece due passi indietro, guardando sempre Rachel.
“Sposta lo sguardo” suggerì per l’ultima volta Zack.
Lo fece. E Larvitar si rilassò, mangiando il sandwich.
“Aveva fame” osservò Zack. “Più piccoli sono, i Pokémon, più hanno bisogno di mangiare”
“Già...” sorrise lei, affascinata dal Pokémon.
Larvitar finì il suo pasto, poi guardò Rachel. Guardò il suo panino, o almeno quello che ne era rimasto, e glielo diede. Larvitar si avvicinò e lo prese, stavolta con maggiore fiducia nei confronti della sua allenatrice. Si lasciò accarezzare, mentre mangiava il sandwich.
“E così, la nostra eroina cedette il pranzo per fare amicizia con Larvitar”
Zack sorrise dolcemente. “Aspetta...” si girò, verso lo zaino, da cui cacciò delle mele. Sembravano buone.
“Alma mi ha dato queste mentre, tu eri in bagno”
“Come al solito... sempre le solite preferenze...”
“Che vuoi farci...” sorrise lui. “Comunque sono due mele, una testa. Le ha date ad entrambe”
“Sicuro che ti abbia dato solo le mele?”
“Si, non aveva molto cibo in casa”
“Non intendevo quello”
“Finiscila”
Rachel squittì sorridendo, poi si alzò. Larvitar prese a seguirla.
“Vado a fare un po’ di allenamento. Tu che fai?” domandò lei.
“Riposo un po’...”
“Ok”
E fu così, che mentre Rachel si incamminava nell’erba alta, in attesa di qualche Rattata molto territoriale, Zack si stese nell’erba, sotto l’ombra di quel grande platano e si rilassò. Tirò fuori anche Braviary.
“Riposati all’aria aperta...”
L’aquila aprì le ali, e dopo una breve volata di sopralluogo, si poggiò sul platano. Anche Growlithe era fermo, vicino al suo allenatore, con il muso sulla sua pancia.
“Eh... lo so... il cielo è immenso... guai se non fosse così”


Rachel camminava, e ad ogni suo passo cercava di abbassare l’erba calpestata, per permettere a Larvitar, che in quell’erba scompariva, di seguirla.
Si girò a guardare per un attimo Zack, e Braviary che si era appena appoggiato sul platano. Poi si guardò le mani, sudate, che asciugò sul giubbino.
Le piaceva quella liberta. Le piaceva anche il fatto che girasse in cerca di un Pokémon selvatico, il fatto che sarebbe potuto uscire all’improvviso dall’erba alta, e coglierla di sorpresa.
Le piaceva quella pressione che aveva nello stomaco, e le piaceva che il sole le baciasse la pelle. Sciolse i capelli, per un momento, per rifarsi la coda di cavallo, poi la rimise su. Le piaceva la coda, le risaltava il collo. Credeva di avere un bel collo. E delle belle mani.
E mentre si perdeva nei suoi pensieri, si rese conto che Larvitar non era più dietro di lei.
“Oddio! Larvitar!”
Si girò velocemente, avvitandosi sui piedi come se fosse una vite, cercando di vedere quella macchiolina scura nel verde chiaro dell’erba alta.
“Larvitar! Vieni qui!”
Non c’era. Si girò, cercando di calmare il sistema nervoso. Si rese conto di avere troppo caldo. Levò il giubbino da dosso, rimanendo con il maglioncino di filo.
“Calmati, Rachel... deve essere qui, non può essere andato lontano... Larvitar!”
Fece qualche passo indietro, cercando un viottolo nell’erba. Magari, incuriosito da qualcosa, Larvitar aveva lasciato il percorso creato dai piedi della sua allenatrice, forgiandone uno dall’erba alta.
Si guardò attorno, ed effettivamente un viottolo c’era.
“Oh, grazie al cielo!”. Con i suoi piedi ingigantì quel percorso, che si snodava qui e lì nell’erba. Cercava di guardarsi attorno, di vedere il corno che aveva sulla testa.
Niente.
Larvitar era sparito, e non riusciva a trovarlo. L’unica strada da seguire era proprio il piccolo percorso.
Che sembrava girare in tondo per varie e varie volte.
Arrivò a rassegnarsi. “Uff... che diamine!”
“Un Larvitar qui?! Santo cielo! E’ il momento giusto per catturarlo!”
La voce, maschile ed anche un po’ fastidiosa, nasale, proveniva da qualche decina di metri alle spalle di Rachel. Dopo qualche alto ciuffo d’erba, c’era qualcuno.
Vedeva una sagoma.
Beh... una testa. Un testa... scura. Nera.
Capelli neri. O era un cappello.
Senza curarsi di nulla, prese a correre verso quell’individuo misterioso, noncurante del fatto di essere entrata in un territorio di Zigzagoon. Qualcuno di loro utilizzò anche Turbosabbia, alzando un alto quantitativo di terreno.
Rachel chiuse gli occhi a fessura, e si mise a tossire, cercando di coprire il naso e la bocca con il maglione, alzando il collo e scoprendo la pancia.
Confusa prese a girare. Abbassò lo sguardo, un Zigzagoon era basso, e la puntava.

“Oh, santo cielo, no!”
Fece per andarsene, ma le si pose avanti, ed attaccò con Azione. Colpì Rachel sulle gambe, che perse l’equilibrio e cadde.
Faccia per terra, nel terreno e nell’erba. Nonostante le piacesse l’odore dell’erba umida, in quel momento stabilì che la sua priorità dovesse essere Larvitar. Cercò di alzarsi, barcollando per il colpo subito, quando Zigzagoon ruggì. Un lieve terremoto scosse il già precario equilibrio della ragazza, costretta a fare un passo indietro per ritrovare il giusto bilanciamento.
“Lasciami passare, dannazione! Wizard!”
Zebstrika uscì, e guardò Rachel col volto contrito. Poi vide Zigzagoon. Nitrì, perdendo qualche scossa d’elettricità qua e la.
“Ora lasciami andare, o ti friggo!” urlò. Salì in groppa a Zebstrika, e da lì ebbe una visuale migliore del posto. L’uomo misterioso lottava, davanti a lui c’era un Grovyle.
Larvitar si stava difendendo con vari attacchi, cercando di scappare quando quello usava frustata o fendifoglia.
“No! Larvitar! Wizard, raggiungiamolo!”
Zebstrika cominciò a trottare velocemente verso il punto davanti ai suoi occhi, fino a quando l’erba alta non si diradò verso una zona sterrata.
“Larvitar!”
L’allenatore misterioso si girò, e finalmente Rachel poté dipingergli un volto. Occhi neri, inespressivi, viso smagrito, pallido, capelli rossi, al collo, e naso grande.


Indossava una felpa nera e dei jeans, ma anche sotto alla felpa voluminosa sembrava fosse molto magro.
“Guarda che questo è il mio Larvitar! Cercatene un altro!”
“In realtà questo Larvitar è mio! Finisci subito di attaccarlo!”
“Che?! Perché dovrei crederti?! È rarissimo trovare un Larvitar in queste zone, non lo lascerò di certo ad una tipa dal bel viso”
“Non è che è rarissimo...è impossibile trovarlo! Se vai alla grotta delle lanterne ne troverai sicuramente qualcuno”
“Ora ho questo tra i miei desideri, e questo prenderò”
“Uff...” Rachel tirò fuori la Poké Ball e ci fece entrare Larvitar.
“Ma... hey! Lo stavo catturando!”
“Cavolo! È mio! Lo vedi?!”
Quello appuntì ulteriormente il viso, e si avvicinò. “Ti sfido!”
“Eh?!”
“Accetti?!”
“Perché vuoi sfidarmi?”
“Perché mi hai mancato di rispetto, e queste cose non le tollero. E poi voglio sconfiggere quel Larvitar una volta per tutte. Per levarmi questo sfizio”
“Non credo che contro di te userò il mio Larvitar. È anche in svantaggio, come tipo”
“Tsk... fifona. Se proprio vuoi, userò un altro Pokémon, al posto di Grovyle”
Rachel toccò la morbida criniera di Zebstrika, mentre quel bruciorino nello stomaco divampava forte come un incendio. Era preoccupata. Si girò in direzione di Zack, ma non lo vedeva. Era troppo lontana dal platano.
Poi si convinse che ad ogni modo, quella sfida sarebbe risultata un valido allenamento.
“Ok. Andiamo”
Scese da Zebstrika e lo ripose nella sfera. Poi mandò in campo Larvitar.
Gli si avvicinò, per poi accasciarsi sulle ginocchia quando ce lo aveva davanti.
“Non devi più scappare. Segui sempre me, o stammi vicino. Ma non scappare più”
Larvitar sembrava aver capito.
Rachel allora si alzò, e guardò il tipo. “Avanti. Sono qui”
“Bene. Vai Corphish!”


Un crostaceo rosso e bianco prese a sbattere le chele in modo frenetico.
Rachel rifletté. Anche Corphish era più forte, come tipo, rispetto a Larvitar. Quindi sicuramente avrebbe utilizzato mosse basate sull’attacco speciale del crostaceo. Quindi non avrebbe avuto bisogno di avvicinarsi.
“Ok... Larvitar, Terrempesta!”
Sabbia e detriti cominciarono ad alzarsi da terra, e presero a soffiare. Rachel non sembrava esserne colpita.
“Hey!” urlò l’altro.
Il tipo alzò il cappuccio della felpa, cercando di proteggersi dalla sabbia.
“Cor... Corphish! Vai con Protezione!”
Una patina di energia rivestì temporaneamente il corpo del crostaceo.
“Bene! Larvitar, vai con Stridio!” e velocemente si tappò le orecchie con le dita.
Stridé.
E Corphish rabbrividì. Un detrito più grande colpì il suo carapace, facendo svanire l’effetto di Protezione. “Dannazione!” il tipo digrignò i denti. “Vai con Bollaraggio”
Corphish saltò, e prese a sparare bolle, molto velocemente.
Sfortunatamente per lui, neanche una riuscì ad arrivare a destinazione. La sabbia ed i detriti le fecero scoppiare tutte.
“Ottimo! Usa l’attacco Insidia!”
“Attento Corphish!”
Larvitar svanì per un momento, per poi riapparire poco distante dall’aragosta, e la colpì, facendola ruzzolare di poco.
“Ora che è vicino! Vai con Presa!” urlò il secco.
Una chela di Corphish afferrò il corno di Larvitar, quello che aveva sulla testa. Il Pokémon di Rachel prese a urlare.
“Vai, scaraventalo per aria!”
La chela strinse ancora di più nel momento in cui i piedi del piccolo Larvitar si alzarono da terra, quindi Corphish lo lanciò in aria.
“Ora! Colpiscilo con Martellata!”


Aspettò che Larvitar stesse per scendere, quindi Corphish balzò, per colpire con grande veemenza il corpo dell’avversario, che atterrò poco lontano da Rachel.
“No! Come va, Larvitar?!”
Quello si rimise sulle due zampe, volenteroso di vendetta. Aveva un gran temperamento.
“Usa l’attacco Frana!”
Pietre di media–grande dimensione si formarono sulla testa di Corphish, per poi crollargli addosso.
“Cerca di evitarle!” urlò l’altro.
Corphish prese ad usare Martellata sulle pietre. Ma erano tante, e più lui le evitava e più Larvitar si infuriava e ne creava in maggior quantità.
Ed alla fine soccombette. Corphish fu sommerso da tante pietre, che fecero abbastanza danno, nonostante non fossero efficaci al massimo.
Forse fu lo stridio ad abbassare la difesa del crostaceo.
Fatto stava che Corphish barcollava.
“Ora, Larvitar, usa Colpo!”
Larvitar corse velocemente verso Corphish, e lo colpì con forza, due volte, prima di fermarsi, a respirare profondamente.
La tempesta cessò. Corphish era a terra, fuori combattimento.
“Si! Bravo Larvitar!”
“No! Corphish!” l’avversario corse verso il suo Pokémon.
“Contento?” chiese con una punta d’orgoglio e di superbia Rachel.
“Si... ho scoperto i miei limiti. E complimenti, sei un’ottima guerriera”
“Sono un’allenatrice, non una guerriera. Comunque grazie”
“Ora vado. Ci becchiamo in giro” e si dileguò.
Larvitar tornò nella sfera, e Rachel, in groppa a Wizard, arrivò velocemente al platano.
“Allora? Allenata?”
“Oh, si... quei Zigzagoon sono davvero audaci”
“Beh... andiamo”

Il viaggio fino a Palladia gli parve fosse eterno. Seduto sul retro di un camioncino dell’Omega Group, Ryan non riusciva a pensare ad altro oltre la sorella. Dopo la nottata passata quasi del tutto sveglio a parlare con Lionell, sentiva che la testa stesse per scoppiargli. La mole di informazioni ricevute nella giornata precedente era bastevole a causare uno shock in chiunque, tuttavia il ragazzo sapeva di non potersi permettere un lusso simile. Ogni volta che credeva di trovarsi al limite, gli apparivano davanti gli occhi vuoti della sorella, quando l’aveva trovata vicino alle scale con in mano quella vecchia lettera.
Si riprese di scatto, ad uno scossone del mezzo. Non si era reso conto di essersi addormentato. Controllò il suo orologio, erano appena le undici. Erano in viaggio tra quattro ore, ciò voleva dire che non mancava molto al loro arrivo. Indossò il giacchetto che aveva portato con sé, di semplice incerata nera, e si avvicinò al portellone. Marianne si trovava accanto al posto di guida da dove sembrava diramare istruzioni agli uomini già stanziati nella città e che sembrava non avessero idea di dove si trovasse la ragazza.
Una volta arrivati quella gli riassunse la situazione, non ci volle molto, visto che si trattava di un semplice “Non abbiamo idea di dove sia finita” a cui Ryan non diede troppo peso. Se l’aspettava. Proprio per questo aveva già pensato ad un modo per cercarla senza doversi necessariamente affidare ai cani di Lionell. Liberò Gallade dalla sfera e si diresse verso il centro Pokémon.
Sapeva che per il Pokémon sarebbe stato difficile risalire alla scia emozionale della sorella, ma sapeva altrettanto bene che non sarebbe stato impossibile. Erano passati più di due giorni da quando la ragazza era stata lì, ma conoscendo il suo Pokémon in circa mezz’ora sarebbe riuscito a rintracciare una qualche pista. Si avvicinò al bancone dell’infermiera, consegnandole una foto della sorella e sperando che avesse qualche informazione da dargli.
“Scusi, sa dirmi per caso se ha visto questa ragazza?”
La donna inclinò il capo, assorta. Ryan la incoraggiò.
“Dovrebbe essere passata di qui un paio di giorni fa... di mattina. Mattina presto.”
Sperava che quella notasse l’impazienza nella sua voce, ma dopo alcuni istanti di silenzio la ragazza gli riconsegnò la foto.
“Aspetta qui” si limitò a dire. Ryan annuì, sedendosi ad un tavolinetto lì di fianco. Si sfregò gli occhi per resistere alla sonnolenza che cercava di impadronirsi del suo corpo. Stava davvero arrivando al limite, ammise. Il suo corpo necessitava un riposo che in quel momento lui non poteva, né tantomeno voleva, dargli. Gallade era fermo al centro della stanza. Teneva gli occhi chiusi, e lo stesso Ryan poteva percepire l’energia psichica che il suo Pokémon stava utilizzando, nel tentativo di districare quell’immensa matassa di fili che nella mente del Pokémon rappresentavano le emozioni e le tracce psichiche dei vari visitatori del centro.
Mentre lo osservava da una porta dietro al bancone uscì un uomo. Doveva essere sulla quarantina, i capelli erano brizzolati e gli occhi castani trasmettevano un innato senso di tranquillità.
“Sei tu che cerchi la ragazza?” chiese. In quel momento il centro era assolutamente deserto. Il ragazzo annuì, alzandosi e avvicinandolo.
“Ha visto questa ragazza? È mia sorella, è sparita da qualche giorno... Qualcuno ha detto di averla vista qui, all’alba di un paio di giorni fa e non ho nessun’altra traccia” non sapeva nemmeno più definire come potesse suonare la sua voce. Stanca? Esasperata? O semplicemente vuota?
 L’uomo annuì alla domanda.
“C’ero io di turno quella mattina, me li ricordo. Era con un ragazzo, più o meno della sua età, capelli castani, occhi verdi”
“Sì” lo interruppe lui, “è un nostro conoscente. Non troviamo nemmeno lui” mentì.
“Bé,” alzò le spalle l’uomo “Onestamente non so dirti molto, so che parlavano del museo sul monte. Non appena entrati mi hanno consegnato i loro Pokémon, hanno dormito e quando si sono svegliati hanno mandato giù tutto quello che un essere umano poteva divorare in dieci minuti. Parlavano del monte e sembrava stessero cercando qualcosa da quelle parti...” si fermò di nuovo a pensare.
“Non so cos’abbiano trovato, però. L’unica cosa presente sul monte era il museo, ma quel giorno era chiuso.” concluse l’uomo restituendo la foto a Ryan.
Il ragazzo annuì, stringendo la mano dell’uomo.
“La ringrazio, davvero, non ha idea di quello che valgono le sue parole, mi creda.”
Mentre finivano di parlare, Gallade riaprì gli occhi. Si avvicinò al suo allenatore, toccandogli appena il braccio e annuendo quando quello lo guardò.
“Ora devo andare” si congedò col medico “La ringrazio ancora”
Uscì dal centro di corsa, seguendo il Pokémon Lama fino all’accesso della funivia. Nonostante l’allerta terremoti fosse ormai scemata, il mezzo pubblico era ancora chiuso, segno della forse eccessiva prudenza degli abitanti di quella città. Dopo qualche altro secondo immobile Gallade trovò nuovamente la strada percorsa dai due ragazzi e guidò Ryan fino alla base della scalinata. Il giovane schioccò la lingua, contrariato. Non era sua intenzione arrampicarsi fin lassù a piedi, probabilmente l’unica possibilità era utilizzare il teletrasporto di Gallade, sperando che quell’ulteriore azione non stancasse eccessivamente il suo Pokémon, visto che ne avrebbe avuto bisogno anche al ritorno.
Stava per teletrasportarsi quando squillò il telefono. Dopo essersi diviso dagli altri dell’Omega Group si sorprese a pensare che Marianne avesse aspettato fin troppo prima di chiamarlo. Si limitò a deviare la chiamata. Ora non aveva tempo per ascoltare le lamentele di quella donna sul suo allontanamento, al ritorno, con qualche indizio in mano le avrebbe dato le informazioni e aspettato che lo conducesse al posto giusto. Dopotutto con l’elaborazione dei dati di suo padre stava ampiamente ricambiando il favore.
Si smaterializzò in un istante, coprendo la distanza della scalinata in una frazione di secondo e trovandosi improvvisamente in cima. Le condizioni di Gallade erano ottimali, il Pokémon non aveva minimamente risentito dello spostamento e questo sollevò il ragazzo.
“Sei l’unico su cui posso davvero contare” si limitò a dirgli dandogli una pacca sulla spalla. Quello annuì, conscio della frustrazione che il suo allenatore stava provando e preoccupato anch’esso per la ragazza. In poco tempo recuperò la traccia abbandonata sulle scale e si diresse verso la porta del museo. Erano entrati.
Il ragazzo constatò che l’edificio era chiuso e ripensando alla funivia arrivò alla conclusione che doveva essere chiuso anche quella volta. Eppure le indicazioni del suo Pokémon erano fin troppo precise.
“Sono entrati” si limitò a mormorare.
Senza perdersi d’animo ricominciò a bussare sulla porta, cercando di fare più rumore possibile. Per quanto il museo fosse chiuso, doveva per forza esserci un guardiano all’interno. E le probabilità che fosse lo stesso di quel giorno erano decisamente alte.
Impiegò all’incirca un quarto d’ora prima di riuscire a farsi notare da qualcuno, ma alla fine un uomo di mezz’età, con un tesserino sul petto gli fece cenno che doveva andarsene, cercando di spiegarsi a gesti. Il ragazzo gli fece capire che doveva assolutamente parlargli. Proprio a lui. No, il museo in sé non c’entrava. Sorpreso, l’uomo gli fece cenno di girare attorno all’edificio, verso una probabile entrata secondaria. Ryan eseguì, trovandosi davanti la porta del gabbiotto che ospitava il custode e che impediva un accesso diretto al museo.
“Che vuoi?” gli ringhiò quello.
Ryan non si fece intimorire e tirò nuovamente fuori la foto della ragazza.
“Da quel che mi risulta è venuta qui un paio di giorni fa, sa dirmi se l’ha vista?”
L’uomo storse il naso, senza nemmeno prenderla in mano.
“Ragazzo, da che ne so qui non è arrivato nessuno, o almeno, nessuno che io abbia visto. Tuttavia, se ti interessa saperlo, c’è stata un’intrusione nel museo, due giorni fa” strinse i pugni.
“Non so chi diamine sia stato, ma a parte un mattone rotto, pare non ci siano stati altri danni...” Ryan non aveva intenzione di ascoltare le fisse dell’uomo, ma la seppur remota possibilità che potesse fornirgli qualche indizio lo indusse a star fermo fino alla fine del suo racconto.
“Li avevo quasi presi, ma appena entro nella stanza, puff, non c’era più nessuno, scomparsi. Erano due perché ho sentito delle voci e ho sentito dei passi diversi, sai, a fare questo mestiere certe cose s’imparano” gli confessò con un certo orgoglio. “...ma al dunque sono scomparsi. La cosa più strana, è che ieri il direttore del museo è stato chiamato da una ricercatrice di Edesea, Calma, Asma, non ricordo come si chiamasse, che gli ha chiesto di passare sul fatto, visto che non erano degli intrusi ma dei ricercatori. Ricercatori, ci credi?” concluse quello.
Ryan non lo stava già più ascoltando. Aveva ottenuto quello che gli serviva. Si districò assecondandolo con qualche frase e concludendo con un:
"Capisco, allora non l’ha vista, grazie mille per il tempo che mi ha concesso. Arrivederla."
Di nuovo, non aspettò una replica dell’uomo, ma con un cenno fece capire e Gallade che era arrivato il momento di tornare ai piedi del monte. Quello eseguì.
Non appena fu sceso dal monte chiamò Marianne, ignorando le sue parole si limitò a comunicarle quanto aveva scoperto e a dirle di venirlo a prendere. Erano le due del pomeriggio, in serata sarebbero sicuramente arrivati ad Edesea. Quello che Marianne doveva fare era trovare questa ricercatrice. Al resto avrebbe pensato lui.


Arrivarono a Plamenia dopo tre ore di volo\trotto ed un’ora di cammino, atta a far riposare i Pokémon.
Era una città immensa, piena di palazzi e di uffici. Le strade erano colme di traffico, mentre la gente sui marciapiedi si affannava a correre da qualche parte.
“Eccoci arrivati” disse Zack. Il suo stare fermo era in netto contrasto con la fretta degli altri.
“Non sono mai stata a Plamenia”
Alzò il naso al cielo, cercando, senza riuscirci, di raggiungere con lo sguardo le punte degli immensi grattacieli. Il cielo cominciava a scurirsi.
“Beh... cominciamo la nostra missione” sorrise Zack. Tirò fuori la tavola di Hermann, e si guardò intorno.
“Qui non ci sono ragazzi...” osservò Rachel.
Guardandosi attorno, tantissimi uomini e donne, impomatati, incravattati ed impettiti, con le loro valigette e buste varie, si affrettavano.
Ma di ragazzi neanche l’ombra.
“Beh... forse potremmo cercare anche qui...” disse la ragazza.
Zack rise. “Ma dai! Non vedi come sono stressate queste persone?! Se non facessero... cose... impazzirebbero”
Rachel ammise che il ragionamento filava. “E allora dobbiamo recarci direttamente al parco divertimenti”
Da lontano riuscivano a vederlo. Il sole cercava invano di nascondersi dietro una grande ruota panoramica. Il sole al tramonto illuminava i loro visi, e rendeva quella sagoma ludica nera.
“In quanto tempo ci arriveremo?” chiese Rachel.
“Non lo so. Il tempo che passi l’autobus”


Arrivarono fuori le porte del parco divertimenti.
“Due biglietti” sorrise Zack. Adorava quel parco. Ci andava sempre, quando si recava a Plamenia.
Pagò, e anche abbastanza, offrendo anche per Rachel, senza accettarli quando lei dopo volle rimborsarlo.
“Senza problemi, anzi... mi fa piacere”
“Oh... ok... potevo incontrarti prima”
Zack sorrise, fece una decina di passi, e poi si fermò. Una marea di persone, perlopiù ragazzini con meno di 15 anni, si muovevano come elettroni in stato eccitato.
“E... ora?” chiese a Rachel.
“Dobbiamo provare”
“Ok, ok... andiamo”
E dopo una marea di “scusa, puoi mettere la mano qui?” vicino ad ogni ragazzina, senza che la tavola si illuminasse, Zack sospirò.
“È impossibile!”
“Non demordere. Vedi... quella”
Una ragazzina giocava con il suo Meowth. Era piccola. Molto piccola, non gli avrebbe dato più di dieci anni.


“È troppo piccola per questa cosa... anche se fosse lei, non potrebbe seguirci. Non riusciremo a gestirla durante i momenti tragici”
“Prova!”
Una ragazza più grande si avvicinò a quella. Una ragazza più grande e più pettoruta. Notevolmente più pettoruta.
Zack partì, reattivo come una mina.
“Figurati se è vergine, quella...” sbuffò Rachel. Portò le mani ai fianchi, cercando di capire gli uomini ed i loro ormoni.
“Ciao, mi scusi se ti disturbo, ma...” gli occhi di Zack lottavano con il suo cervello per rimanere al livello del volto della ragazza che aveva di fronte. La bambina guardava curiosa il ragazzo.
“Si?”
“Ecco... puoi metterla qui?”
“Come?”
“La mano. Puoi metterla... qui?”
“Perché dovrei?”
“Stiamo facendo una ricerca... avanti, non succederà...” gli occhi cedettero. “...niente...” per poi ridimensionarsi immediatamente, e tornare a guardare lo sguardo ceruleo della ragazza.
“Ehm... ok”
“Fidati”
Tentennando, la ragazza mise la mano sulla lastra.
Come immaginabile, non successe niente.
“Ok. Gra... grazie”
Ultima guardata e poi fuga. La ragazza si aggiustò la scollatura e si dileguò, prendendo per mano la bambina.
“Che abbiamo risolto?” chiese infine Rachel.
“Non era quella giusta...”
“Oh! Non mi dire! La maggiorata non era vergine?! Chissà come mai!”
“Non è che non era vergine... questo non lo so. Non aveva un animo puro...”
“Bah... da adesso la tavola la tengo io...”
“Infatti te la stavo dando, perché voglio andare sulla ruota panoramica”
“Ok... ti seguo... anche se non dovremmo. Dobbiamo salvare il mondo dall’ira di Arceus”
“Arceus ci darà una tregua per un giro sulla ruota, dai...”
Rachel si girò di spalle, per far sistemare nel suo zaino la lastra di Hermann, poi giusto il tempo di due passi, in direzione dell’imponente ruota, che qualcosa cominciò a non andare per il verso giusto.
“Oh... cavolo...” dissero insieme i ragazzi.
La terra tremava. Ancora.
“Santo cielo! Rachel, allontanati da qui! Torniamo all’ingresso, dove non c’erano palazzi né giostre!”
Il terremoto, stavolta più forte di molto rispetto a quella volta nel bosco, sembrava non dar tregua a niente e nessuno. Le persone urlavano disperate, mentre cercavano riparo dalla gran parte dei palazzi che crollavano.
Rachel si girò, durante la sua corsa, e la meraviglia e lo stupore la costrinsero a fermarsi.
“Non... no”
La ruota panoramica si era staccata dal perno. No, non stava rotolando, bensì si era sbilanciata, ed ora stava crollando su di un lato.
E fu così che tonnellate di ferro si abbatterono sulla casa degli specchi e vari stand, oltre che sui bagni.
“Rachel!” esclamò Zack, tirandola per la mano.
Passarono davanti ad un palazzo, e poco dopo un’esplosione violenta diede il via ad un incendio.
“Cazzo!” esclamò Rachel, spaventata. Il terremoto si fermò, ma le urla delle persone che gridavano erano davvero tragiche.
Il fuoco cominciò a divampare, bruciando vasti tendoni di plastica e palazzi già pericolanti dopo la scossa di terremoto.
Fu allora che Zack la sentì. Quasi come se vedesse tutto al rallentatore, si rese conto che il palazzo in preda alle fiamme non era vuoto.
“Aiuto! Qualcuno mi aiuti!”
Una voce di donna. Nel palazzo infuocato.
“No!” Zack partì in una corsa forsennata, tirando fuori dalle sue sfere Absol e Lucario.
“Zack! Dove vai?! Tra un po’ ci sarà la scossa di assestamento!”
Ma Zack non sentì nulla. Chiuso nella sua testa, cercò di isolare tutto quello che non provenisse dalla sua testa. E ci riuscì. Tranne che per il battito del suo cuore, che scalpitava come un cavallo nella prateria.
Rachel lo vide entrare nella casa, ma poi sparì dietro alle fiamme.
“No!”













La notte stava calando davvero in fretta. Marianne aveva impiegato buona parte della restante giornata per trovare la presunta ricercatrice Asma, rivelatasi poi Alma. Maledisse mentalmente la scarsa capacità mnemonica del custode, ma alla fine si rilassò.
Ryan aveva dormito e mangiato e sebbene non fosse al massimo delle sue capacità, si sentiva quantomeno in forma. La città di Edesea stava lentamente riprendendo il suo corso, la maggior parte dei palazzi pubblici erano stati danneggiati solo lievemente grazie alle imponenti misure di sicurezza che, come a Timea, erano all’ordine del giorno nella costruzione degli edifici. Si recò personalmente nella sede della Facoltà di Storia e Mitologia di Edesea. La conosceva fin troppo bene, anche suo padre aveva lavorato lì. Sperava di poter sfruttare il suo legame con l’università, per quanto flebile, per riuscire a contattare la donna, ma onestamente non sapeva a chi chiedere. Si sedette per un attimo, per riprendere nuovamente fiato. Un mal di testa allucinante lo stava divorando. Sembrava che l’emicrania fosse diventata la sua nuova malattia cronica.
“Finirà tutto... quando la troverò” ansimò sottovoce.
“Tutto a posto?” la timida voce che lo scosse apparteneva ad una ragazza. Doveva avere circa vent’anni. Capelli castani raccolti in una coda laterale, spruzzata di lentiggini ed occhi ambrati. Probabilmente era una studentessa.
“Tutto... a posto” annuì il ragazzo.
“Non ti ho mai visto qui, sei di un’altra facoltà?”
Lui scosse la testa
“Cercavo una persona, dovrebbe insegnare qui. Si chiama Alma... Ma mi sono reso conto di non avere nessuna idea di come trovarla a quest’ora”
La ragazza lo guardò dubbiosa.
“Alma è una professoressa. Come mai la cerchi a quest’ora?”
La domanda lo mandò nel panico. Era preparato a mentire con qualche funzionario del luogo, magari a qualcuno che poteva aver sentito parlare di suo padre, chiedendo un qualche recapito, ma con l’emicrania non era sicuro di poter trovare una scusa sul momento. Optò per una mezza verità.
“Sto cercando qualcosa... e credo che la professoressa potrebbe aiutarmi. È una questione di vita o di morte, non posso aspettare domani”
Aveva letto da qualche parte che dire “è una questione di vita o di morte” alle donne fa più effetto, sperò fosse vero.
Quella, sempre dubbiosa, sembrò comunque notare la sincerità nelle sue parole.
“Sono una sua studentessa. Non so se c’è ancora, ma qualche ora fa era nell’aula 7. Non c’era una vera e propria lezione, ma stava discutendo con altra gente, quindi forse si è trattenuta ancora...” Ryan si alzò, ringraziandola. Alla fine aveva ottenuto ciò che voleva. Per fortuna senza fare il nome del padre. Forse gli sarebbe stato necessario, una volta avvicinata la donna, ma sperava non servisse.
Impiegò pochi minuti per arrivare davanti alla porta dell’aula. Nonostante volesse entrare di colpo e prendere la donna da parte si costrinse a non farlo. Se era il suo unico collegamento con la sorella, doveva cercare di rabbonirla, non assalirla. Si sedette di nuovo, respirando lentamente e cercando di riprendersi.
Nella sua mente tutto vorticava a velocità inimmaginabile.
Si ritrovò di nuovo costretto a fare un punto della situazione, come fosse uno di quei giochi in cui ogni volta che si arrivava ad un check point si veniva obbligati a ricontrollare tutte le proprie azioni per vedere se si era capito tutto del percorso svolto.
Dalla sua entrata nell’Omega Group, un probabile gruppo di security nazionale, aveva iniziato ad allenarsi nell’attesa di ricevere informazioni su sua sorella. Aveva ricevuto Bisharp, il suo Trapinch si era evoluto in Vibrava, poi all’improvviso era piovuta dal cielo la notizia dell’avvistamento di Rachel. In un filmato di una telecamera del centro Pokémon, che il ragazzo si guardava bene dal chiedere come fosse finito in mano loro, la si vedeva riposare vicino ad un altro ragazzo, identificato a sua volta come Zackary Recket.
Su di lui gli erano state passate informazioni sommarie, non sapeva quanto affidabili, non sapeva quanto complete. Si limitò a riportare nella sua mente i fatti essenziali, il ragazzo era nato a Celestopoli da una famiglia originaria di Galeia. Era tornato in patria dopo aver viaggiato in molte altre regioni, principalmente per Kanto e Johto, ma anche in altri luoghi. Questi erano gli unici dati ufficiali che gli avevano fornito e non gli interessava cercarsene altri. Il solo fatto che fosse insieme a Rachel gli impediva di catalogarlo nella rosa dei suoi favoriti. Stava per passare all’ulteriore analisi della giornata precedente, quando la porta si spalancò.
La donna che ne uscì, accompagnata da due uomini, era davvero bella. Ryan la osservò, aveva visto una foto, ma trovarsela davanti lo lasciò impreparato per qualche istante. Fu il ricordo del suo scopo a permettergli di avvicinare la donna senza subirne alcuna conseguenza.
“Scusi, ha un minuto?” i suoi occhi cremisi la fissavano, ma quella non riuscì a capire cosa ci fosse dentro. Indietreggiò di un mezzo passo, facendo in modo che ci fosse circa un metro di distanza fra i due.
“Ti serve qualcosa?” gli chiese con aria sorpresa.
“Probabilmente abbiamo un’amicizia comune... e avrei un favore da chiederle al riguardo” iniziò, guardandosi intorno. “Sarebbe un problema parlare in un posto più tranquillo?” le chiese poi Ryan.
Alma sembrò voler temporeggiare. Si guardò intorno, poi cedette.
“L’aula da cui sono appena uscita, possiamo parlare lì” gliela indicò. Il ragazzo annuì, precedendola e dando un’occhiata sommaria al posto. Per un brevissimo istante si rivide mentre aiutava il padre a trasportare incartamenti o ad attaccare il proiettore. Si chiese se ancora oggi i professori non sapessero accendersi i proiettori da soli. Poi tornò in sé. Prese nuovamente la fotografia di Rachel e la porse alla donna.
“Sono più che sicuro che lei conosce questa ragazza” si limitò a constatare.
Alma deglutì pesantemente. Non sapeva molto su Rachel, ma Zack le aveva accennato qualcosa su una fuga, solo che non ne erano mai state chiarite le motivazioni. In quel preciso momento si chiese in che guai si fosse cacciata quella ragazza prima di arrivare da loro.
“Perché la cerchi?” si limitò a chiedere.
Domanda prevedibile, lecita.
“È mia sorella” non aveva bisogno di mentire su questo punto “È scappata di casa qualche giorno fa. La sto cercando.”
Il tono di voce era neutro, stanco.
Alma ebbe un brutto presentimento.
“Come puoi ben vedere, non è con me” rispose evasiva.
Ryan le sorrise, come si sorride ad un bambino che si sa stia mentendo.
“Questo posso notarlo, professoressa, ma lei probabilmente sa dov’è” il tono era ancora paziente, tuttavia una parte di lui iniziava ad irritarsi.
“Guardi, se può essere d’incoraggiamento, il suo nome è Rachel Livingstone, è scappata di casa la notte fra domenica e lunedì, probabilmente l’ha incontrata presto, era in compagnia di un ragazzo, so che si chiama Zackary Recket, ma non ho idea di dove si trovino al momento. Ed ho davvero bisogno di saperlo”
Il suo sguardo non ammetteva repliche, Alma se ne rendeva conto. E si rendeva conto che c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Probabilmente aveva ragione lui. Era sua sorella, era scomparsa e dopo chissà quali ricerche era arrivato fino a lei proprio per trovarla. Eppure qualcosa la spaventava. Quel ragazzo la spaventava, era come se dietro al suo sguardo si nascondesse dell’altro.
“Mi spiace, l’ho incontrata, ma ci siamo separati quasi subito. L’ultima volta che li ho sentiti si dirigevano a Palladia” le venne naturale mentire, non sapeva nemmeno dirne il motivo.
“Oh, ma questo non è vero, professoressa. Perché nei giorni scorsi ha contattato il museo, probabilmente per coprire una loro effrazione”. Ryan era seccato, davvero tanto. Questi ultimi giorni stavano davvero mettendo alla prova la sua pazienza. Alma indietreggiò nuovamente, appoggiandosi alla cattedra.
“Non so di cosa tu stia parlando” negò.
“Lei no, ma il custode sì. Ricorda, anche se in modo leggermente inesatto, il suo nome. Ha parlato con il direttore e con una scusa davvero pessima ha coperto il loro accesso al museo.” la braccava.
Alma rimase in silenzio, spostandosi dietro la cattedra, quasi volesse mettere quante più barriere possibili fra lei e il ragazzo.
“Signora Alma, davvero...” cercò di usare il tono di voce più comprensivo che aveva, ma si rese conto persino lui dei suoi scarsi risultati “...ho solo bisogno di sapere dove si trova Rachel. Una volta che me l’avrà detto sparirò, sarà come se non fossi mai esistito per lei” sorrise. Era il sorriso di un serpente. Alma si sentiva una rana.
“Mi spiace, ma non ho idea di che cosa tu stia parlando” chiuse, secca. “Adesso, devo andare” fece un passo verso la porta, ma lui la bloccò. Fece uscire Bisharp dalla sfera.
“Non ho intenzione di ripetermi ulteriormente, lo tenga da conto” gli occhi cremisi ardevano.
Alma respirò profondamente.
“Nemmeno io” rispose. Poi pigiò un bottone. Era il pulsante d’allarme. Una sirena suonò nel corridoio. Ryan sibilò, fece rientrare Bisharp nella sua Ball e chiamò Gallade. Sparirono prima che gli agenti riuscissero ad entrare nell’aula, lasciando Alma confusa e spaventata.
I due riapparvero dentro il furgone dell’Omega Group, facendo sobbalzare Marianne, che istintivamente aveva messo mano alle sue Poké Ball. Ryan la bloccò con un cenno della mano.
“Non ha voluto dirmi nulla” fu il suo unico commento. Tremava dalla rabbia.
Marianne si rimise seduta, era tranquilla.
“Non preoccuparti, in ogni caso sono più che sicura che quest’incontro l’abbia scossa abbastanza da voler riferire ai ragazzi della tua visita. Rintracceremo la sua chiamata ed allo stesso tempo li troveremo” la sua voce era calma.
Ryan si stese sui sedili laterali del mezzo, crollando dalla stanchezza.
“Lo spero” fu il suo unico commento.

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