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Partire Per Il Viaggio


7. Partire Per il Viaggio

- Universo X -



Evelyn Recket era una donna come tante altre.
Aveva trentasette anni e viveva nella ridente Celestopoli, un paese ai piedi del Monte Luna, baciato dal mare, a Kanto.
La vita lì era abbastanza vivace: insomma, quello era un luogo meraviglioso, con ampie spiagge, un promontorio, un bel porticciolo ed una Palestra.
Infatti lì allenava Misty, ed Evelyn la conosceva bene.
Quello era il posto perfetto dove crescere suo figlio Zackary. Anzi Zack, odiava essere chiamato in quel modo.
Evelyn, quel sette settembre si svegliò come sempre alle otto in punto; la radiosveglia s’accese automaticamente, sintonizzandosi sul radiogiornale.
Tutto era a posto e sembrava che i disguidi avvenuti per via di quell’incidente al Parco Lotta di Hoenn si fossero appianati col tempo; ormai nessuno più ne parlava.
Si mise seduta, affondando i gomiti nel morbido materasso ed emettendo un profondo sbadiglio. Si voltò a salutare suo marito, o almeno il suo posto, vuoto ormai da sei anni.
James era morto per via di una leucemia fulminante.
Zack aveva soltanto quattro lei dovette spiegargli come mai il suo papà non avrebbe più varcato la porta di casa loro.
Ed erano passati un lustro ed un anno da quando aveva infilato i pantaloni da lavoro sotto la gonna, facendo a suo figlio da madre e da padre.
S’alzò e stiracchiò ogni muscolo del corpo, abbassando la camicetta che durante la notte s’era irrimediabilmente alzata, scoprendole le cosce. La sfilò e la lasciò cadere, poi la raccolse e si chiuse nel bagno.
Doccia e via, pensieri su pensieri, troppe cose da fare, da sistemare: quello era il gran giorno.
Zack aveva già messo il suo zaino a posto la sera prima, aveva preparato i vestiti da indossare ed aveva lucidato le scarpe.
L’acqua era scesa giù nello scarico, lei era pulita.
Mise un asciugamano nei capelli a mo’ di turbante ed uscì. S’asciugò, si vestì ed entrò nella stanza di suo figlio.
Zack dormiva.
Generalmente, s’intende; lui era un ragazzino iperattivo e combinaguai, molto dolce e ricettivo.
Una bomba ad idrogeno con occhi verde smeraldo e lentiggini sul piccolo naso.
Zack dormiva, generalmente, ma non quella mattina; quando Evelyn entrò in stanza il ragazzo stava stringendo i lacci delle Nike.
“La sveglia stamattina non è servita” fece quello, sorridendo, coi capelli castani arruffati sulla fronte.
“Incredibile, ti vedo sveglio prima delle dieci del mattino”.
“Non posso far tardi stamattina, mamma... semmai facessi tardi mi colpirò le dita con un martello!”.
Evelyn sorrise, incrociando le braccia e guardandolo.
S’era preparato ed era fermo a guardarsi, davanti allo specchio, con pantaloni e scarpe comode, un maglioncino caldo e l’indimenticabile bandana bianca tra i capelli.
Mise lo zaino in spalle e, irruento, scese al piano di sotto.
Evelyn lo seguì con la flemma di una madre che sapeva che quel giorno avrebbe perso suo figlio, donandolo all’avventura.
Sorrise, anche se amaramente. Suo figlio sarebbe diventato grande, lo sapeva.
Arrivata al piano di sotto, Zack si rigirava per le mani il volantino che in quei venti giorni aveva consumato.
Lui sorrideva, sua madre pure.
Lui la guardò, e poi il sorriso della donna sparì.
“Mamma, stai bene?”
“Sì, tesoro, tutto bene”.
“A me non sembra...”.
“È che... il mio piccolo bambino sta partendo e...”.
“Beh, prima o poi questo momento arriva per tutti quanti”.
La donna sorrise ancora, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. “Il mio piccolo e saggio Zackary...”.
“Non chiamarmi così!” esplose lui, contrariato. Sua madre sorrise e gli diede un bacio sulla fronte.
E poi lo abbracciò.
Zack si sorbì il quarto d’ora di raccomandazioni di sorta, gli incoraggiamenti ed il processo di carico che il suo zaino dovette sopportare quando Evelyn lo riempì di cibo.
“Mamma! Sto andando a Biancavilla, non dall’altra parte del mondo!”.
“Hai ragione...” sorrise quella. “Fatti abbracciare di nuovo”.
Non voleva che partisse ma era sicura che quella fosse la strada giusta per Zack.
“Diventerai il migliore solo se ci metterai passione. Ma potrebbe anche succedere che tu perda qualche battaglia. In tal caso io sarò qui e ti amerò fino alla fine dei tempi. Se hai problemi passa di qui. Troverai il tuo letto ordinato ed un pasto caldo”.
Zack annuì, sorridente, dando fin troppo per scontate quelle parole. “Grazie mamma. Ora vado, Green mi aspetta”.
“Ciao tesoro” salutò lei, stringendo i denti e mantenendo il contegno fino a quando quello non sparì oltre l’uscio di casa.
Dopodiché si sentì così sfatta e stanca che le lacrime scesero sul suo volto automaticamente.
“Buona fortuna, tesoro...”.

Zack entrò nella Palestra di Celestopoli, che conosceva molto bene. Si muoveva con disinvoltura, sapeva perfettamente dove mettere i piedi.
Andava spesso a vedere Misty combattere, quasi tutti i giorni. Lei era simpatica, anche se aveva sempre la testa tra le nuvole.
Quel giorno Misty era lì, davanti a lei. La vedeva.
Vedeva anche Green, parlavano a stretto contatto, lei gesticolava vistosamente, entrambi seduti sul trampolino a parlare. Green annuiva lentamente mentre Misty parlava e gli raccontava qualcosa, accorata.
“Green!” urlò quindi Zack.
Quello, assieme alla ragazza, voltò subito la testa in sua direzione. Non appena si rese conto di chi fosse si alzò in piedi, seguito immediatamente da Misty.
“Zack, eccoti qui” fece il più grande.
“Scusami il ritardo... Mia madre, sai...”.
“Non sei in ritardo” sorrise quello. “E comunque fosse solo tua madre il problema... tutte le mamme sono così...”.
“Ok” annuì il ragazzino.
“Comunque stavo parlando con Misty d’un amico comune, quindi ho occupato il tempo”.
Fu proprio la ragazza dai capelli rossi ad avvicinarsi a lui, carezzandogli la testa. “E quindi stai per partire anche tu?” domandò.
“Sì, signorina Misty”.
“E adesso chi mi farà compagnia durante le lotte?! Eri il mio portafortuna!” sorrise quella.
“Oh, ma lei è fortissima, signorina Misty! Non ha di certo bisogno di un portafortuna!”.
“Sei troppo carino” sorrise ancora. “Mi raccomando, e buona fortuna!”.
“Grazie mille!”.
“Ora andiamo” entrò in tackle l’altro, che intanto ascoltava attentamente.
“Va bene” annuì Misty. “Green, fammi sapere per quella cosa”.
“Appena lo vedrò cercherò di capire”.

Uscirono in piazza, sorridenti. Questo posto era gremito di persone e, soprattutto in giornate come quelle, in cui il sole splendeva sprezzante. Ragazzini più piccoli di Zack si rincorrevano spensierati, ridendo ed urlando ed un gruppo di adolescenti guardava Green e sorrideva entusiasta, emettendo acuti gridolini. C’era, in lontananza, un uomo che faceva il giocoliere con quattro Pokéball, con un cappello per terra ricolmo di monetine.
Zack si era distratto a guardarlo quando Green lo riattivò, mettendogli una mano sulla spalla.
“Allora...” fece. “Hai tutto con te?”.
Zack annuì.
“Cibo? Vestiti?”.
“Sì” annuì ancora Zack.
“Acqua?”.
“Ho una borraccia”.
“Appena puoi riempila sempre. Hai soldi con te?”.
“Ehm...” arrossì il ragazzino. Green non ci pensò due volte e sorrise.
“Non preoccuparti, prendi questi” fece, dandogli 1000 Pokédollari.
“Grazie mille! Te li restituirò appena potrò!” esplose quello in un sorriso metallico, frutto dell’apparecchio dentale che portava in bocca.
“Mi raccomando... devi utilizzare questi soldi solo per vere necessità: cibo, ed acqua, e, quando avanza qualcosa, qualche strumento Pokémon”.
“Certo”.
“Quando devi mangiare vai in un Centro Pokémon! Lì ti rifocilleranno gratuitamente se possiedi la Tessera Allenatore, e la riceverai da Brock, alla tua prima Palestra, a Plumbeopoli. Se sei lontano da un Centro Pokémon cerca di utilizzare quello che la natura ti offre, e solo quando non hai altre alternative utilizza le tue scorte d’emergenza... Naturalmente non fare schifezze o cose inutili e mangia solo ciò che sei certo di poter mangiare”.
“Mia madre mi ha fatto meno raccomandazioni...”.
“Già” sorrise Green, camminando verso la grande fontana con il Dewgong davanti a loro. “Non ho ancora finito però”.
“Ah, no?” imitò il sorrise Zack.
Green tirò fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e consunto.
“Questa è una lista delle bacche commestibili; cerca di non farti venire a prendere all’ospedale di Kanto. Detto ciò, possiamo andare all’Osservatorio, mio nonno ci sta aspettando”.
“Va bene” annuì Zack. “Ma come andremo a Biancavilla?”.
“Pidgeot!” urlò Green, chiamando il grande volatile.
“Oh santo... santo cielo...”. Zack sbatteva velocemente le palpebre, con la bocca spalancata, incredulo.
Green saltò in groppa al Pokémon e tirò Zack per una mano, in modo da farlo accomodare dietro di lui.
“Tieniti forte. Pidgeot! Vola verso Biancavilla!”.
E così quello partì, alzandosi in volo e dirigendosi ad alta velocità verso la meta. Zack manteneva la bandana con la mano destra mentre cercava di stringere forte Green con la sinistra.

Salirono davvero molto in alto; lì le nuvole erano così vicine che avrebbe quasi potuto toccarle. Guardò in basso, Celestopoli era diventata un quadratino pieno di puntini colorati e formichine che si muovevano.
“Wow...” fece il ragazzino, sbalordito.
“Stai guardando giù?!” urlò Green, col vento che riempiva le loro orecchie.
“Già!” rispose a tono.
“Non hai paura?!”.
“No! Ho freddo!”.
Green rise. “Hai ragione! Siamo molto in alto ed il sole è coperto da una nuvola!”.
Zack lasciò sedimentare il discorso per qualche secondo.
“Perché mi hai chiesto se avessi paura?!” urlò nuovamente il giovane.
“Perché molte persone soffrono di vertigini!”.
“Oh... io no?!”.
“A quanto pare no!”.

Arrivarono a Biancavilla molto velocemente; Pidgeot era davvero un fulmine. Scesero entrambi con un balzo. Zack si girò intorno, guardando attentamente tutto ciò che lo circondava: era nella città dei mostri sacri: Red, Green e Blue erano tutti nati lì.
Respirava con la bocca, tirava dentro quell’aria frizzante che gli bruciava i polmoni.
Camminarono lentamente per raggiungere il promontorio, passando davanti ad una casetta dalla staccionata in legno.
“Questa è casa di Red” fece Green, sorridente. “Anche se ora non è in casa”.
“E dov’è, ora?”.
“Si sta allenando. Probabilmente ha qualcosa d’importante da fare”.
“Ad esempio?”.
“Beh... Gli Allenatori hanno tanti obiettivi... Primo di questi è la vittoria di tutte le medaglie ed il raggiungimento della Lega Pokémon. Quello è già un gran traguardo. Ma c’è anche chi, più ambiziosamente, punti a vincerlo quel torneo”.
“Io la vincerò!”.
“Ne sono sicuro!” sorrise Green. “Quando io partii dovevo catturare tutti i Pokémon di Kanto... Sai, prima non ce n’erano così tanti. Anche quello può diventare un tuo obiettivo. Oppure potresti diventare un coordinatore Pokémon... Sai, le gare e tutta quella roba lì...”.
“Naaah” fece il ragazzino, con una smorfia in volto.
“Neppure a me piacciono. In ogni caso non riusciremo mai a sapere che cosa stia facendo Red. È troppo imprevedibile ed impulsivo...”.
Zack sorrise. “La mamma lo dice anche di me!”.
“Per un certo verso è buono... ma ricorda di pensare bene alle cose che fai oppure ne pagherai le conseguenze”.
Il ragazzino annuì di nuovo. Arrivarono all’Osservatorio dopo poco.
Le porte erano chiuse ma già una grande fila di ragazzini saliva lungo l’intera collina. Maschietti e femminucce, tutti divisi in gruppi rigorosamente precisi, si spintonavano, ridevano, fantasticavano sul proprio viaggio.
Oak li avrebbe selezionati con cura ed avrebbe dato loro un Pokémon. Forse a qualcuno avrebbe dato anche un Pokédex.
“Odio la fila...” sospirò Zack, ragionando a voce un po’ troppo alta.
“Sì...” convenne Green. “È poco pratica. Vieni con me”.
I due girarono attorno all’edificio ed una volta arrivati alle sue spalle il più grande aprì una porta con una speciale chiave che aveva in tasca.
Zack lo seguì meravigliato, e fu ancor più sorpreso quando mise piede all’interno dello studio del Professor Samuel Oak.
C’erano luci bianche, illuminavano ogni angolino. Inoltre vi erano tantissime mensole, su cui erano poggiate una miriade di Pokéball.
Green guardò il più piccolo e sorrise.
“Chi è?!” urlò qualcuno, dalla sala accanto.
“Margi... sono io!” rispose a tono suo il ragazzo.
Immediatamente quella si precipitò, sorpresa e sorridente. “Fratellino! Che ci fai qui?! Non ti vedo da quasi un mese!”. La ragazza, una bella castana coi capelli lunghi e gli occhi miti e quieti, s’avvicinò a lui e lo strinse. Green accolse l’abbraccio e lo restituì.
Zack la guardò; le piaceva, con quella carnagione chiarissima e la voce mite e dolce.
“E chi è questo bel ragazzino?!” chiese Margi, con la sua solita flemma. Il piccolo arrossì.
“Lui è un mio amico, si chiama Zack, ed oggi deve ritirare il suo primo Pokémon”.
A testimonianza di ciò che diceva Green, Zack prese il volantino stropicciato dalla tasca e lo mostrò a Margi. Quella annuì, sorridendo.
“Anche tu, come tutti quei ragazzini, vuoi il tuo primo Pokémon, vero?”.
Zack annuì, sorridendo timido.
“E quale Pokémon ti piace, di preciso, tra Squirtle, Charmander e Bulbasaur?” chiese ancora.
“Mi piacciono i... i Pokémon di tipo Fuoco...” sussurrò Zack, timido come non mai.
“E quindi vorresti un Charmander?”.
Zack annuì nuovamente.
“No” tuonò Green. “Per te ho qualcosa di più speciale”.
Zack si voltò sorpreso.
“Vieni” gli disse quello, ed il ragazzino lo seguì. Andarono verso una grande scaffalatura, ricche di Ultraball. E poi c’era una Pokéball graffiata sul guscio rosso. “Ecco qui” continuò il fratello di Margi, afferrando quella sfera.
La guardò, se la rigirò tra le mani e quindi sospirò. “Sì... è quella giusta”.
Allungò la mano e poggiò la sfera tra le dita di Zack. “Ecco. Questo sarà il tuo primo Pokémon”.
Zack era emozionatissimo, non riusciva a trattenere l’impazienza. “È un Charmander?!” chiese, sorridente.
“No... non è un Charmander. È comunque un Pokémon di fuoco ma è qualcosa di più speciale”.
“Più speciale di un Charmander?! È un Charmeleon!”.
Margi rise di gusto. “No”.
“Non è così” rimbeccò Green.
“Ma è forte” domandò corrucciato Zack.
“Se lo allenerai diventerà il migliore...”.
“Ed è bello?”.
Margi rise ancora.
“Perché non controlli tu stesso?” chiese suo fratello.
Zack annuì, quindi fece qualche passo indietro e lanciò la Pokéball: ne uscì un Growlithe.
Il piccolo spalancò gli occhi. “Diamine...”.
Il Pokémon era un cucciolo; il ciuffo sulla testa era bianco, come quello dei Growlithe che aveva visto sul suo Gameboy. Tuttavia il colore di quell’esemplare non era quel rosso/arancione che aveva imparato a riconoscere”.
“È...” tentennò Zack. “È dorato. Come mai è dorato?” chiese il piccolo, curioso.
“Zack, questo è un Pokémon cromatico” sorrise Green.
Il più giovane corrucciò la fronte. “Io non lo voglio un Pokémon cromatico!”.
Margi rise nuovamente. “Sei uno spasso, piccolino...”.
“Ma i Growlithe sono rossi! Questo è... giallo, non è come gli altri!”.
“Appunto!” esclamò Green. Questo perché è un esemplare molto raro!”. Zack guardò Margi, in cerca di conferma. Quella annuì.
Green capì che urgesse qualche spiegazione. “È come per i capelli: io li ho castani e Misty li ha rossi. Lui ha il pelo più chiaro”.
“Però è un Growlithe normalissimo” aggiunse Margi, sorridente.
Zack storse le labbra. “Uhm... ok... va bene...” fece, non molto convinto. Poi il cucciolo gli si buttò addosso e lui sorrise, prendendo a giocare.
Green sorrise soddisfatto, appoggiandosi al bancone. Poi guardò Margi.
“È lui che...” domandò quella, sottovoce.
Green annuì.
Fu allora che Margi lo imitò e si avvicinò a Zack.
“Anche io ho qualcosa per te” disse la sorella maggiore di Green Oak. Acquisì l’attenzione di Zack, che la vide cacciare dal taschino del camice bianco che indossava un Pokédex. “Questo è per te”:
Zack spalancò ancora gli occhi. “Non vorrai dirmi che questo è... Proprio come il tuo?!” domandò a Green.
Quello sorrise ed annuì. “Già. Ora sei pronto. Zaino in spalla e via, parti per il tuo viaggio”.

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