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Prescelta


2. Prescelta

- Universo X, mille anni prima -


“Timo! Timo!”.
Erano le dodici in punto ed il villaggio era gremito di persone, come quasi ogni giorno verso quell’ora. Erano tutti in piazza, dove c’era il mercato. C’era chi comprava e chi vendeva
Chi rubava.
E poi c’erano i ragazzini, che si rincorrevano qui e lì.
La voce di una giovane ragazzina, poco più di una bambina forse, spiccava nel vociare confuso e tra le urla dei venditori. “Pane caldo” dicevano quelli.
Era vero. Quel pane era caldo e molto buono.
“Timo! Aspetta!” continuò la ragazzina.
“Non riesci mai a prendermi!” rispondeva l’altro.
“Non vale! Tu sei più alto!”.
“Non c’entra niente!” urlava quello, voltando in un vicolo. Pochi secondi dopo la bambina con i capelli castani apparve, con il fiatone e le mani ai fianchi della sua blusa consumata.
“Invece... invece c’entra! C’entra eccome!” la bambina non riusciva a fermare il fiatone. Timoteo si sedette su di un cumulo di mattoni di terracotta e sospirò.
“Non c’entra, perché Marcello è più basso di me, però è più veloce”.
“Si ma io ho le gambe più corte delle tue, e faccio passi più corti. E fammi sedere!”.
Timoteo fece spazio alla bambina ed assieme si trovarono seduti sui mattoni, mentre riprendevano fiato.
“Che facciamo ora?” domandò poi lei.
“Andiamo al bosco?” propose.
“Di nuovo?! Ci siamo già stati ieri!” si lamentò la bambina, sbuffando.
“Oggi può esserci qualche Pokémon ferito che ieri non c’era”.
“Hai ragione! Potrebbe avere bisogno di noi!” fece lei, con gli occhi sognanti. “Magari un bellissimo Vulpix!”.
“No! Un Luxray!” ribatté Timoteo, sorridendo grintoso.
“E che cos’è?!” esclamò l’altra, sorpresa.
Timo si alzò, prendendo per mano la bambina, e cominciò a camminare. Il bosco non era molto lontano da li.
“È un Pokémon bellissimo. Nero, con gli occhi che lanciano fulmini”.
“Non mi piace” concluse la castana, con una smorfia in volto.
“Ma se non l’hai neanche mai visto!”.
“Voglio un Vulpix”.
“Avrai un Pokémon quando tuo padre deciderà che potrai averne uno” fece l’altro, avanzando velocemente.
Prima sospirò e si fermò per un attimo, lasciando sedimentare le parole di Timoteo. Poi corse verso di lui, per raggiungerlo.
“Mio padre è sempre arrabbiato! Ogni volta che mi avvicino a lui urla Prima fai questo, Prima fai quello, Prima levati davanti, Prima non scocciarmi, chiedi a tua madre... L’ultima la dice sempre, ogni giorno!”.
Timoteo sorrise, mentre si guardava attorno. Non lo avrebbe mai ammesso ma adorava tenere la mano di quella ragazzina. Lei era così carina.
Forse un po’ testarda, ma carina.
Prima era sempre con la testa tra le nuvole; guardava tutto ciò che accadeva attorno a lei ed era subito capace di associare una figura ad una nuvola di forma strana.
Anche quella volta, come d’abitudine, lei guardava il cielo, mentre Timoteo le diceva di fare attenzione ai sassi e agli ostacoli che trovava, anche se di tanto in tanto non le diceva nulla, per farla sbattere o inciampare.
Piccoli dispetti, Prima si offendeva, talvolta piangeva, poi lui si scusava e tutto tornava alla normalità.
Timoteo la guardò di sottecchi anche quel giorno. I capelli, lunghi e castani, terminavano arricciandosi poco oltre i fianchi. La pelle era molto chiara, macchiata qua e la da qualche neo, gocce di vernice caduta dalla tavolozza sulla tavola. Ne aveva uno sul viso, sulla guancia destra.
A Timoteo piaceva, a Prima no.
“Sembra una lenticchia” si lamentava la giovane.
“A me piacciono le lenticchie”.
“A me no”.
Di tanto in tanto rimaneva affascinato anche dai suoi occhi. Quegli occhi verdi, enormi, pieni di luce, come torce che illuminavano nel buio.
Timoteo era del tutto assorto, mentre la guardava. Poi inciampò, e cadde, lasciando la presa dalla mano di Prima, che partì in una piccola risata.
“Oggi sei caduto tu!”.
“Non sono caduto. Sono inciampato”.
“E che cambia?”.
Timoteo sbuffò e si pulì le mani sporche di terreno sulla blusa. Si rimise in piedi mentre Prima riprese a camminare.
Sì, a Timoteo bruciò il fatto che non gli avesse ripreso la mano.
E non gliela chiese. Sarebbe stato troppo palese, e mentre cercava di capire cosa sarebbe potuto apparire palese si rese conto del fatto che un po’ Prima gli piacesse.
In fondo vedeva suo padre e sua madre baciarsi in continuazione. Forse doveva farlo anche lui.
E poi si ricordò di Marcello.
“Le ragazze sono i nostri nemici!” faceva. “Vogliono essere più brave dei ragazzi”
Col senno di poi capì che ci sarebbero riuscite in ogni campo, ma allora era solo un ragazzino.
Un ragazzino facilmente influenzabile.
Quindi quelle belle labbra a cuoricino non dovevano essere baciare, ma tappate. Prima parlava tanto.
E se non parlava rideva.
E a lui piaceva quando Prima rideva. La immaginava e sorrideva immaginandola ridere.
Poi gli veniva in mente Marcello e non rideva più.
Sbuffò, troppa confusione. Fortunatamente il bosco era a pochi passi.
C’erano molti pini. A terra tantissimi aghi, marroni ed appuntiti, si spezzavano sotto il peso dei loro passi.
Timoteo ne raccolse uno, pungendo il collo di Prima.
“Mi fai male!” urlò quella.
“Non è vero, non è doloroso!”.
“Invece si!”.
Timoteo avrebbe voluto ribattere, quando si trovò costretto a zittirsi, e a mettere una mano sulla bocca di Prima.
Quella si lamentò, ma poi Timoteo gli indicò col dito di stare zitta. Il ragazzo aveva la bocca semischiusa e gli occhi spalancati. Mantenendo la mano davanti alla bocca della ragazza, la cinse e la portò dietro ad un albero.
Poi levò la mano dalle labbra della ragazza.
“Silenzio” disse lentamente e a bassa voce.
“Che succede?!”.
“Silenzio... sali” disse poi, prendendola in braccio e facendola arrampicare su di un ramo.
“Non guardare sotto la gonna” fece.
Timoteo sembrò non curarsi delle parole dell’amica. Si arrampicò sul tronco e poi salì sullo stesso ramo di Prima.
“È troppo in basso, dobbiamo salire più in alto, o ci prenderà” ragionò il giovane.
“Ma chi?!”
“Lì c’è un Ursaring”.
Prima spalancò gli occhi. Si sporse leggermente, mantenendosi al collo di Timoteo, e al tronco dell’albero.
Era proprio un Ursaring quello che leccava sulla testa il suo cucciolo, un piccolissimo Teddiursa.
Prima si girò verso Timoteo. “Guarda” disse poi, sorridendo. Quello fece altrettanto. L’orso stava accudendo il suo piccolo.
Il problema era che quel tipo di Pokémon, essendo molto territoriale, avrebbe potuto aggredirli.
“Saliamo di più. Qui può prenderci”.
“Sì” annuì Prima.
Timoteo lasciò arrampicare la ragazza, poggiando le mani sul ramo sopra la sua testa e facendo forza, spingendo con i piedi sulle spalle dell’amico. Lui non sembrò avere problemi nell’arrampicarsi.
Quel ramo sembrava solido. Ed erano a più di tre metri da terra.
“Qui siamo al sicuro”.
“Ma quando se ne andrà?” chiese Prima.
“Non lo so”.
“Non dovevamo venire qui senza un Pokémon!” esclamò lei, a bassa voce.
“Ieri siamo venuti e non avevamo un Pokémon”.
“Ieri c’era Marcello, che ha un Pokémon”.
“Capirai... Un Hoothoot quanto può essere incisivo contro un Ursaring?” domandò quella, spocchiosa.
“Che significa incisivo?” domandò Timo, confuso.
“Lascia stare... guardiamo ancora.”
I due si sporsero, facendo attenzione a non fare rumore.
Un Linoone passò velocemente vicino alla tana dell’orsa, che si destò prontamente e ruggì con forza.
Prima si impaurì e si strinse al petto esile di Timoteo.
“Non avere paura” disse quello, abbracciandola con la mano libera, mentre con l’altra si teneva al tronco dell’albero.
“Non voglio morire... ho solo dieci anni!” si lamentò quella. Timoteo sorrise.
“Non morirai, stai tranquilla. Sediamoci un po’” fece l’altro, cercando di tranquillizzarla. Si sedettero sul ramo, lui si appoggiò al tronco e lei sul suo  petto, tra le sue gambe.
Timoteo stava fremendo.
Erano li, e per forza di cose erano soli e non potevano muoversi.
Che vada a farsi friggere Marcello, pensò. Quello era il momento giusto.
“Prima... io... io devo dirti una cosa”.
“Cosa devi dirmi?”.
“Ecco... io provo...”.
E poi un forte ruggito: era Ursaring.
Prima e Timoteo si irrigidirono quindi si rimisero in piedi.
Ursaring era sulle due zampe anteriori, con le zampe anteriori spalancate, mentre ruggiva furiosamente. L’anello al centro del suo petto era mostrato con orgoglio.
I ragazzi cercavano di capire la causa di quella rabbia ma non riuscivano a capire. Poi udirono delle voci.
“Eccolo qui! Quel piccolo Teddiursa sembra perfetto, principe!”.
“Principe?” chiese Prima, spalancando gli occhi. Sua madre gli raccontava spesso storie riguardanti principi e principesse, tutti ben vestiti, bellissimi, e ricchissimi. Timoteo la riportò al silenzio poggiandole una mano sulla bocca.
Ursaring si girò, dando le spalle ai ragazzi, quindi ruggì, battendo la zampa destra per terra. Quello era il suo territorio.
Si manifestò poi chi lo stava minacciando: tre uomini, due vestiti in modo strano, anticipavano un bellissimo uomo biondo. Un attento osservatore gli avrebbe dato 25 anni.
Ma Prima e Timoteo non lo erano.
“Quel Teddiursa è perfetto per essere cresciuto secondo i nostri metodi. Diventerà molto più aggressivo e forte della madre. Catturateli entrambi”.
Prima e Timoteo spalancarono gli occhi.
Quei due ceffi lasciarono uscire dalle sfere un Nidoking ed un Nidoqueen.
Due contro uno.
I due Pokémon di tipo veleno parevano molto più aggressivi della loro avversaria. Sembrava non vedessero un po’ d’aria da mesi. Ruggivano in continuazione e Nidoqueen attaccò addirittura con un Iperraggio senza che il suo padrone gli ordinasse nulla.
Colpì in pieno Ursaring. Quella ricadde di spalle. Girò per un momento la testa, ruggendo debolmente verso Teddiursa, nascosto dietro ad un cespuglio.
“Nidoking, usa Sfuriate” fece il principe.
Quello balzò molto agilmente sull’Ursaring che era per terra, sferzando con gli artigli la sua pelle.
Prima contrasse il viso cercando di trovare una spiegazione a quella cosa. Sentiva le urla di dolore del Pokémon a terra, e le venne da piangere. Timoteo se ne accorse, e la strinse, premendole più forte la mano sulla bocca. Non dovevano essere visti, se se la fossero presa con loro sarebbe stata la fine.
Sarebbe stato ingiusto.
Le lacrime di Prima scendevano copiose, andando a carezzare la mano del ragazzo che la stringeva forte nel tentativo di consolarla.
“Dagli il colpo di grazia” ordinò ancora il nobile, vedendo il Nidoking attaccare con Megacorno.
Quello ruggì furioso, sembrava non avere alcuna pietà per quella femmina di Ursaring. Il suo corno si illuminò e trafisse l’avversaria al centro dell’anello che aveva sul petto.
Poi lo ritrasse, sanguinante.
“Bene. Catturate Teddiursa ed andiamo via” concluse il nobiluomo, girandosi di spalle.
Prima guardava con occhi impauriti tutta la scena, stringendo Timoteo e poggiando la fronte contro il collo di quello.
Il ragazzino sospirò, dispiaciuto ed impotente. Quelli non ci misero molto a catturare il piccolo, quindi si dileguarono.
Quando furono abbastanza lontani, Prima si sciolse dalla stretta di Timoteo, e di ramo in ramo saltò giù, correndo verso Ursaring.
“No! Prima potrebbe attaccarti!”.
“Perché?! Perché ti hanno fatto del male?!” piangeva Prima, senza ascoltare minimamente le parole dell’amico. Si inginocchiò vicino all’orsa, le carezzò la zampa. Quella sbatteva leggermente le palpebre.
Stava per morire.
“No! Aiuto!”.
“Prima! Lascia stare!” Timoteo la prese per le spalle e la tirò via.
“Lasciami!”.
“Calmati! Non possiamo fare più niente ora!”.
“Non è vero! Dobbiamo aiutarla!” urlò la ragazzina, lamentosa.
“Non urlare, ragazzina” disse poi qualcuno. Timoteo strinse Prima, per paura che potessero farle qualcosa. Nonostante ciò, la voce non era di un uomo, bensì di una donna.
Una donna che si presentò alle loro spalle.
“Calmati” aggiunse.
Timoteo si girò di scatto, raccogliendo un bastone e puntandolo contro la donna. Aveva i capelli castani e gli occhi stanchi. Indossava una lunga tunica bianca, piena di ghirigori dorati.
“Chi sei?!” la minacciò Timoteo.
“Calmati anche tu, giovanotto. Mi chiamo Olimpia e non voglio farvi del male”.
“E... e che vuoi?”.
“Voglio aiutarvi” fece. Prese poi a cercare nella sua sacca, bianca come la veste, e ne tirò fuori una sfera rossa. Era fatta con una ghicocca.
“Catturalo” disse, porgendola a Timoteo. Quest’ultimo si lasciò convincere delle buone intenzioni dal sorriso sincero.
Afferrò la sfera e la lanciò su Ursaring, che non aveva le forze per opporsi alla cattura.
“Almeno nella sfera le sue condizioni rimarranno stabili. La porterò su, al tempio, dove i medici la cureranno, e quando sarà pronta torneremo qui e la libereremo” concluse la donna.
Prima rimase sconvolta. Olimpia la guardò negli occhi, in quegli occhi verdi e grandi, nascosti dai ciuffi ribelli che non riusciva a domare.
Si avvicinò poi, lentamente, e raccolse la sfera, senza staccare il contatto visivo con la bambina.
“Come ti chiami, piccola?” chiese poi, inginocchiandosi davanti a lei.
Prima sbatté un paio di volte le palpebre mentre si asciugava gli occhi dalle lacrime, quindi le rispose. “Prima, signora”.
“Chiamami Olimpia” sorrise la donna.
“Olimpia” ripeté la piccola.
“Dove abiti?”.
“Nel villaggio qui vicino”
“Oh... abiti qui?”.
“Sì”.
“E la mamma ed il papà?”.
“Il papà lavora e torna a casa la sera, stanco ed arrabbiato. La mamma invece bada a me e cuce”.
“È a casa, ora?”.
“Sì, è a casa”.
“Io vorrei parlare con la tua mamma”.
“Perché?!” esordì in quella discussione Timoteo.
“Non preoccuparti. Non dirò a nessuno che vi ho visti qui. Sarà il nostro piccolo segreto”.
Prima sorrise, ed anche Timoteo sembrava soddisfatto.
“Andiamo” fece lei, offrendo la mano ad entrambi.

Prima la condusse a casa. Olimpia si presentò alla madre della bambina con il suo nome, dicendo che lavorava lassù facendo segno con le dita verso l’alto.
La madre di Prima sbiancò, dicendo alla bambina di stare fuori.
Prima accettò, ma non di buon grado. “Uff... volevo ascoltare...” disse.
“Tua madre te lo dirà dopo”.
“A proposito... cosa volevi dirmi prima?”.
“Prima quando?” fece Timo, crucciato.
“Prima! Sull’albero!”.
“Ah... no, non preoccuparti... non era niente” sbuffò.
“Sei sicuro?”.
“Veramente io...”.
Timoteo aveva 12 anni. Ed il suo papà gli ripeteva sempre di affrontare ogni cosa, di cogliere ogni occasione.
Poi c’era la mamma, che gli diceva di pensare in tranquillità e di ascoltare il cuore ogni qualvolta quello volesse dire qualcosa.
Inoltre c’era Marcello, che diceva che le femmine fossero il nemico.
Decise di lasciar perdere tutti i consigli e le sorrise. Gli prese la mano e la strinse quindi le diede un casto bacio sulle labbra, che durò meno di cinque secondi.
Dopodiché Prima si staccò e lo guardò avvampare violentemente. Era imbarazzato.
“Ecco... tu...” farfuglio qualcosa, lui, ma non riuscì a completare la frase. Provava difficoltà ad articolare le parole, quel giorno.
Poi la porta di casa di Prima si aprì; Olimpia era sorridente mentre la mamma della bambina aveva le lacrime agli occhi.
“Prima. Vieni qui” fece lei.
La bambina lasciò la mano del ragazzino e andò dalla madre, che la strinse, cominciando a piangere. Le baciò la testa e le diede la collana che teneva al collo. Un cuore d’argento.
“Tienilo sempre con te”.
“Va bene, mamma”. Prima non capiva.
“Ora devi andare con questa signora, devi crescere e devi diventare una donna”.
“Eh?!” esclamò stupita la bimba.
“Vai con lei. Ci rivedremo presto”.
Prima spalancò gli occhi, e vide Olimpia offrirle il palmo. La bambina lo afferrò.
“Arrivederci” sorrise la donna del tempio, cominciando a camminare. Prima non capiva.
Ma mantenne il contatto visivo con Timoteo fin quando poté.
La mamma partì in un violento attacco di pianto.
“Signora... dove va Prima?”.
“Timo... conosci Arceus?”.

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