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Ventiduesimo Capitolo - 22

E dopo una settimana di attesa siamo ritornati, ancora più forti di prima! Ci voleva un po' di tempo per renderci conto di quanto la nostra storia stesse prendendo pieghe al dir poco assurde! Abbiamo abbondantemente superato le 9000 visualizzazioni (GRAZIE) da quando abbiamo comuinciato questo percorso con voi, e questo inorgoglisce tutti, sia noi di Pokémon Courage, sia lo staff di Pokémon Adventures ITA, pagina che ci ha sponsorizzato dall'inizio ed è cresciuta con noi in modo spropositato in questi mesi! Grazie, grazie ed ancora grazie.
Bando agli sproloqui, avete aspettato due settimane per leggere questo capitolo, e mi scuso per l'attesa. Ma l'attesa aumenta il desiderio...quindi...spero che stasera troviate soddisfazione.
Buona lettura.

Andy $




Il ticchettio della tastiera era veloce ed inesorabile, arrivava alla sua testa, quasi come il martello di un maniscalco, e sinceramente la stava infastidendo. Ma stava lavorando.
Ed Alma quando lavorava non pensava ad altro.
Stava registrando tutti gli avvenimenti che stavano colpendo la terra in quei giorni. I Pokémon sembravano essere impazziti.
O almeno solo i Pokémon più potenti e difficili da contrastare.
Non riusciva a credere che Ho-Oh avesse potuto bruciare Amarantopoli.
Era strano.
Lasciò perdere i processi mentali, mentre davanti ai suoi occhi i suoi pensieri si manifestavano scritti sul foglio word. Si, forse ne avrebbe scritto un libro.
Intanto pregava che Zack riuscisse a bloccare quella situazione. Altrimenti stava solo perdendo tempo davanti a quella tastiera.
Proprio in quel momento si fermò per un secondo e ragionò.
Aveva passato la sua intera vita sui libri, dedicandosi alla conoscenza, a nutrire la propria mente di nozioni ed informazioni, lasciando divertimento e voglia di uscirne all’interno del cassetto del primaopoitiaprirò, ma si rese conto che, nonostante la giovane età, aveva davvero perso troppi attimi rinchiusa in quello studio, prona sui libri.
“Thomas...”
Il pensiero si spostò così rapidamente sul suo uomo da farle venire un momento di capogiro. Sbilanciò la testa dietro le spalle, guardando il soffitto bianco.
No, c’era una macchia di umidità, poco distante dall’angolo tra la parete ed il soffitto.
Dovevano riverniciare. E ricostruire per intero l’università, s’intende.
Non era saggio stare in quell’edificio pericolante, e nonostante il rettore le dicesse con regolarità di non sostare per troppo tempo nell’ufficio, lei se ne fregava, e lavorava.
Guardò la porta, come se qualcuno o qualcosa dovesse entrarvi e prenderla, rapirla con sé.
Scappare. Scappare dalle responsabilità. Scappare da ogni cosa.
E cercare il suo Thomas.
Sorrise ripensando ai dolci momenti che avevano passato. Piccoli momenti, episodi sparsi, apparvero davanti ai suoi occhi come i fari di un auto davanti ai suoi occhi, salvo poi spegnersi e scomparire.
Nel suo profondo il dubbio che fosse scappato via, e che avesse utilizzato la scusa della ricerca sul Mondo Distorto per andarsene, pulsava come il cuore di un toro.
Pensava alla favola, però, pensava all’amore e alla fiducia che aveva in lui, e sapeva che prima o poi, in quell’ufficio abbandonato e dismesso i suoi stivali, sempre un po’ sporchi di terreno, avrebbero chiesto il permesso di entrare.
Il fiume dei pensieri stava straripando, e il segno intermittente del foglio word reclamava la sua attenzione.
Le cose non si scrivono da sole.
Poi qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse la bella donna dopo un sospiro.
Zack. Zack a testa bassa.
“Zack!” Alma scattò in piedi, fregandosene del foglio word e del libro che avrebbe dovuto scrivere.
Se Zack era lì significava che non ce l’aveva fatta.
Se era a testa bassa significava che era stato sconfitto.
Se era stato sconfitto voleva dire che la situazione non la gestivano più loro.
“Alma...”
“Zack! Che è successo?!” erano un ossimoro, quei due insieme. Lei sembrava stesse per morire di palpitazioni. Mentre lui pareva già morto
“Ho perso. Di nuovo” disse Zack, con tono funereo.
“Beh... può capitare...”
“Alma non può capitare. Non in questa situazione. Io devo salvare tutto e tutti qui, e sono solo. Voglio soltanto che Rachel ritorni, ed aspettare questa fine in silenzio”
“Perché parli così?!”
Zack staccò la sua cintura, quella con le Poké Ball, e la posò sulla scrivania della donna, quasi volesse liberarsi dal peso che le sue anche portavano per tutta la giornata.
“Non ce la faccio più”
Alma capiva che per un ragazzo così giovane tutta quella pressione era deleteria. Aveva bisogno di essere motivato.
“Vuoi spiegarmi per bene?”
“Non voglio più lottare, Alma. Non lo so fare”
“Eh?!” chiese con un accenno di sorriso quella. “Sei il Campione della Lega! Come puoi non saper lottare?!”
“Il campione della Lega, come tu mi chiami, è stato sconfitto per due volte. Da un totale sconosciuto”
“Ma può capitare! Non puoi vincere sempre”
“Avrei preferito perdere incontri inutili, piuttosto che questi. Se avessi vinto il primo, ora Rachel sarebbe con me. E se avessi vinto il secondo adesso sarei sulla Vetta Lancia”
“Zack... non rimpiangere nulla. La vita è fatta di scelte. È soltanto il modo con cui queste si susseguono che fanno in modo che le cose accadano”
“Ho sbagliato a scegliere, allora”
“Ma può starci! Non puoi sempre fare la cosa giusta!”
Zack sospirò, e guardò la sua cintura. Mai come quella volta si era sentito così distante dai suoi Pokémon. Negli occhi aveva lo sguardo di Lucario dopo il colpo subito da Feraligatr.
“Lucario...” disse a bassa voce.
“Sta bene?”
“Sì... Lucario sta bene, ho curato i Pokémon e sono tornato qui. Il problema però è Lucario. Ha perso. Ha perso di nuovo”
“Come?!”
“Si è lasciato sconfiggere. Senza reagire”
“Oh...”
Alma rabbrividì per un attimo. Cose del genere potevano succedere, sicuramente, ma non in momenti importanti come quello. Zack aveva perso fiducia in sé stesso. Aveva perso fiducia nei suoi Pokémon, e la voglia di andare avanti.
Aveva perso la determinazione che lo aveva portato fino a lì e la fiducia in sé stesso, in pratica.
E se un uomo perde fiducia in sé stesso diventa un corpo vuoto, senz’anima, un bozzolo svuotato della crisalide.
“Zack... vuoi andare a casa a riposarti?”
“No... devo mangiare assolutamente un po’ di cioccolata. E poi devo farmi due passi. Devo schiarire le idee...”
“Ok. Fai bene. Se hai bisogno di qualcosa io sono sempre con te”
“Ti ringrazio” fece quello, sorridendo leggermente e con mezza bocca. Poi si alzò, e si voltò.
“Zack, hai dimenticato i tuoi Pokémon”
“No. Non l’ho fatto. Sono stanco di fare l’allenatore. Sono stanco di tutto. Parlerò con la commissione della Lega di Adamanta e mi dimetterò dal mio ruolo di Campione”
“Per due sconfitte?! Alzati e vai avanti!”
“Non sono due sconfitte, Alma. Sono LE due sconfitte!” urlò leggermente il ragazzo, dando enfasi all’articolo.
“Tutti perdono!”
“Alma...”
I due si guardarono per dieci secondi buoni, in silenzio. La donna cercava le parole che servissero ad ancorarlo lì, consegnargli la canna da pesca della consapevolezza e mandarlo nello stagno degli eventi a ripescare la sua autostima.
Zack doveva solo aprire gli occhi.
Ma aprire gli occhi, quando non c’è voglia di vedere è impossibile. Si voltò di nuovo, e se ne andò, adagiando delicatamente la porta.

“Metang! Usa Confusione!”
Rachel impartiva gli ordini a quello strano e misterioso Pokémon metallico, che eseguiva come se fossero sempre stati insieme. Era davvero un buon Pokémon. Molto forte, molto preciso nei suoi attacchi.
Tutti gli Snover e Delibird che aveva incontrato nella neve erano stati giustamente rispediti nei loro nidi. Qualche Abomasnow l’aveva messa in difficoltà, ma se l’era cavata.
Non pensava. Non pensava a nulla, ed aspettava che il tempo passasse, che Ryan catturasse i tre guardiani per poi proseguire per la Vetta Lancia.
Lei alzava gli occhi. Lì sopra vivevano Dialga e Palkia.
Lì sopra c’era il loro destino.
L’ultimo Delibird cadde al tappeto. Erano quattro ore che allenava quel Metang. Ormai aveva imparato a conoscere i Pokèmon, ed aveva capito quando stavano per evolversi.
Quel Metang, infatti, stava per evolversi.
Avrebbe restituito a Mia un Metagross. Chissà se ne sarebbe stata felice, si chiese, quando poi il battito delle mani di qualcuno la distolse dai suoi pensieri.
“Brava”
Rachel si girò. Era Lionell.
“Grazie...”
“Sei molto brava con i Pokémon, sai?”
“Grazie, ma non è così. Conosco persone molto più abili di me”
“Apprezzo la tua modestia. Sei una persona intelligente”
“No. Sono solo sincera. So di avere dei limiti”
“Ma i limiti possono spostarsi. Noi dobbiamo allontanarli. È per questo che alleniamo i nostri Pokémon” sorrise quello.
Rachel annuì. Come al solito, Lionell aveva ragione.
“Come va?” chiese lei.
“Oh, tutto bene. Sto aspettando Ryan che torni, e sono un po’ in ansia. Non mi piace attendere, ma chi lo sa fare si ritrova sempre in alto”
“Lei è molto saggio”
“La vita ti forgia e modella in base alle tue esperienze. E le mie esperienze mi hanno fatto diventare quello che sono. La stessa cosa ha funzionato anche con te”
“Già”
“Metti tutto in tasca. Ti sarà utile”
Quanti consigli che le stava dando, in meno di un minuto. Avesse avuto metà della saggezza che aveva avuto Lionell, sicuramente non si sarebbe trovata in quella situazione.
Certo, non era del tutto sgradevole, ma stare lontana da Zack stava diventando una tortura. Quando la testa è da un’altra parte, nel cuore di un’altra persona, diventa difficile non muoversi come uno spirito.
“C’è qualcosa che ti turba?” chiese lui.
“Sì. A dire il vero sì”
“Posso domandarti cosa?”
“Vorrei rivedere Zack. Mi manca molto”
Lionell fece un impercettibile movimento con la fronte. Per Rachel quel ragazzo era importante, e se ne stava rendendo conto mano a mano che le parlava.
“È il tuo ragazzo?”
Rachel alzò le sopracciglia. La discussione avuta con Zack pochi giorni prima, quando c’era di mezzo la prorompente Stella aveva chiarito la cosa, ma non avevano avuto la possibilità di potersi godere quello status insieme.
Era come se si fossero fidanzati e separati contemporaneamente.
Quasi un po’ crudele.
“Sì. Stiamo insieme. Lo amo”
“E lui? Lui ti ama?”
“Sì. Ha detto che nessuna donna lo ha mai preso come me. Nessuna donna lo ha mai fatto innamorare come me”
Lionell sorrise, quasi schernendo l’ingenuità della ragazza. “Piccola... sono cose che gli uomini dicono in continuazione. Avete fatto quello che penso?”
“Non credo debba parlarne con lei...” fece schiva Rachel.
“Hai ragione, scusami se sono stato troppo indiscreto. Cerco però di farti capire che spesso le persone hanno secondi fini”
“E lei quale avrebbe?” lo spiazzò lei.
“Io non ho alcun secondo fine, se non quello di svegliarmi tra un mese, soddisfatto di essere ancora vivo”
A Rachel bastò come risposta. Il Dottor Stark li raggiunse poi, alle spalle, e sorrise.
“Chiedo scusa, signor Lionell. Ryan è tornato”
Lionell spalancò gli occhi.
Stark, per Rachel, era l’uomo che interrompeva le chiacchierate e riportava Lionell con la testa alle cose più importanti.
“Siamo pronti” fece.
“Ryan è tornato?” chiese Lionell, distogliendo velocemente lo sguardo dalla ragazza.
“Sì. Ha le tre sfere qui con lui”
“Abbiamo a disposizione la tecnologia per estrapolare la Rossocatena, giusto?”
“Naturalmente” sorrise soddisfatto Stark.
“Bene, andiamo”
Rachel rimase lì, guardando i due scomparire dietro la porta dell’hotel. Con un Metang quasi pronto ad evolversi.
“Alleniamoci ancora, và...”

Lionell e Stark aprirono la porta dello scantinato di quell’albergo.
Nonostante l’albergo avesse altissimi standard, quello era uno scantinato. E rimaneva uno scantinato.
Luce poco presente, qua e là qualche lampada ad incandescenza dondolante rivelava la presenza di macchinari altamente tecnologici e computer stracolmi di dati che emettevano strani rumori.
Ma su di tutti, un fastidioso suono, quasi uno strascico, continuo ed imperterrito, penetrò nelle teste dei due portando con loro il dubbio sulla causa di tale rumore.
Voltarono l’angolo, i loro passi rimbombavano in quella cantina come se qualcuno ripetesse gli stessi rumori.
Eco.
“Eccoci qua”
Ryan, Marianne e Linda aspettavano appoggiati ad un tavolo, visibilmente stanchi, ma soddisfatti in volto.
In tre gabbie vi erano i Guardiani.
A sinistra Mesprit. Il volto rivelava paura e sgomento. Aveva già passato momenti del genere, la prima volta che avevano creato la Rossocatena ci avevano pensato dei giovanotti a sistemare la situazione.
Ma ora non vedeva null’altro che persone senza scrupoli.
Al centro Uxie. Come sempre era calmo e tranquillo, quasi come se il fatto non lo riguardasse.
Gli occhi chiusi, pareva dormisse. In realtà aspettava solo il momento in cui si sarebbero impossessati del cristallo che aveva sulla fronte.
A destra, invece, c’era Azelf. Nei suoi occhi brillava ancora la scintilla della rabbia, che voleva utilizzare per bruciare con tutti i vestiti quelle persone sconsiderate.
Non capivano. Non capivano che evocare nel nostro mondo Palkia e Dialga era deleterio per il mondo stesso. Avrebbe potuto avere gravi ripercussioni sulla linea dello spazio-tempo, tutto ciò che era razionalmente conosciuto sarebbe cambiato in maniera irrimediabile.
“Bene. Ryan, ragazze. Avete compiuto la vostra missione. Avete catturato i tre guardiani” sorrise Lionell, raggiante.
Ryan annuì, con le braccia incrociate e lo sguardo serio. Non gli piaceva il modo con cui erano stati intrappolati quei tre Pokémon.
“Dottor Stark, avvii il processo di fusione dei cristalli. Creiamo la Rossocatena”
“Subito, signor Lionell”
Da un macchinario centrale, da cui partiva quel rumore assordante, Stark lanciò l’inizio della fase due. La fase uno era catturare i tre Guardiani per formare la Rossocatena.
Ora bisognava formare quello straordinario strumento in grado di richiamare all’ordine Palkia e Dialga.
Il rumore aumentava, ed i cristalli di Mesprit, Azelf ed Uxie presero ad illuminarsi.
Urlavano di dolore, quelli, le loro gemme cominciarono a staccarsi dai loro corpi, e lentamente si avvicinarono in un punto centrale ai tre.
Ryan guardava con orrore quella scena. Era pur vero che dovevano tornare indietro nel tempo per salvare la situazione, la profezia eccetera, ma quei tre Pokémon stavano soffrendo e non poco.
Sperava che quel martirio terminasse in fretta.
Marianne non riusciva a guardare, si girò non appena Mesprit emise un primo, pietosissimo urlo.
“Bene. Ora ci serve più energia. Vai!” Stark sembrava uno scienziato pazzo. Abbassò una leva, ed il rumore s’incrementò ancora di più, fino ad assordare i presenti. Linda con le mani sulle orecchie dovette voltarsi per non rimanere accecata dall’enorme quantità di luce rossa che i nove cristalli stavano sprigionando mentre si univano a formare la catena.
Forse è questo che ci rende umani. Il sentire il dolore degli altri, anche quando non ci tocca personalmente. Forse è solo questo che ci permette di rimanere con i piedi per terra, e non volare con le ambizioni verso qualcosa che non ci appartiene.
I tre Pokémon soffrivano, e solo loro sapevano quanto dolore stessero provando al momento, ma tutti, compreso Lionell, erano riusciti ad immedesimarsi in loro.
Era straziante.
Ma alla fine quell’attesa finì. Lentamente si adagiò sul pavimento la Rossocatena.
Era rovente.
Lionell si avvicinò molto lentamente e la guardò. Le nove pietre si erano fuse.
“Ryan. Ordina a Gallade di usare l’attacco Confusione su questa catena. Questo strumento è la chiave del nostro futuro. Fai in modo che la temperatura si abbassi, poi mi chiami”
“Sissignore”
“Bene. Tra un’ora saremo sulla Vetta Lancia”

Sinceramente, non appena aprì la porta di casa sua, Alma si aspettò di trovarvi Zack.
Invece non era lì. Posò la borsa sul tavolo, le buste con la spesa le poggiò per terra, e si staccò il cinturone con le Poké Ball del ragazzo.
Era davvero pesante.
Poi si buttò sul divano, e si levò quelle scarpe, talmente strette da provocarle un sollievo senza precedenti.
Scarpe nuove, il piede avrebbe dovuto modellare la sua forma all’interno di esse.
Con il cinturone sulle gambe, staccò tutte le Poké Ball, prendendole in mano.
Era strana la sensazione di avere in mano i Campioni della Lega.
Sapeva benissimo che non era solo merito loro, ma anche della strategia importantissima utilizzata dall’allenatore, e se Zack era arrivato fin dove era arrivato non era solo per la straripante potenza dei suoi Pokémon, anzi.
Era un abile stratega, e le sue battaglie, studiate anche dai più giovani nell’Accademia Pokémon, erano sempre caratterizzate da continui colpi di scena.
Conosceva benissimo il contenuto di quelle sei sfere, Zack.
Aveva stretto un grosso legame con ognuno di quei Pokémon, e conosceva a memoria ogni loro espressione.
Ricordava di quando aveva catturato Rufflet, quello che poi sarebbe diventato un Braviary.
Raccontava con così tanta espressività le cose che pareva stessero avvenendo davanti ai suoi occhi.
La madre era stata cacciata dai bracconieri, lui da sotto un dirupo vide quell’aquila catturata da un elicottero e portata via con le reti.
Immaginava avesse dei cuccioli. Dei piccoli Rufflet, e decise di arrampicarsi a mani nude sulla parete rocciosa, fino ad arrivare ad una sporgenza.
Afferrò bene con la mano un pezzo di roccia, si assicurò che non cedesse e fece forza, fino a salire li sopra.
Un nido abbastanza vasto era ben saldo sulla parete. Nemmeno una forte folata di vento lo avrebbe potuto spostare.
Vari rami e fili d’erba secca erano intrecciati tra di loro, a formare un caldo riparo per i piccoli.
Zack si sporse oltre il bordo del nido.
Vide due piccole teste pigolanti, con le piume arruffate e di due colori diversi.
C’erano due Rufflet. Dovevano essere piccolissimi, nemmeno un mese ciascuno.
Il primo aveva un piumaggio grigio, occhi accesi e sembrava molto più iperattivo di quello che aveva accanto. Le piume di questo erano color sabbia, e restava zitto, quasi come se avesse capito ciò che era successo alla loro madre.
Ora erano orfani.
Benché non avesse nessuna nozione sul nutrimento e l’allevamento delle aquile decise lo stesso di catturare quei piccoli di Rufflet. Non ci volle molto, bastò poggiare delicatamente le Poké Ball sulle loro teste per far sì che seguissero tranquillamente Zack nella civiltà.
Andò in un centro Pokémon, e li fece visitare.
Erano entrambi in ottima forma.
“Che cosa vuoi farne?” chiese poi l’infermiera.
“Beh... i Rufflet sono Pokémon estremamente difficili da catturare. Mi hanno sempre affascinato. Direi che voglio tenerne uno”
“E l’altro?”
“L’altro rimarrà qui finchè non sarà abbastanza in forze per andare via da solo”
L’infermiera inarcò un sopracciglio, ma era lecito che un allenatore liberasse un Pokémon che aveva catturato.
“Quale dei due terrai?”
“Li ho guardati negli occhi. Questo color sabbia...” disse Zack “...ha negli occhi la voglia di rivalsa e di libertà. Non potrei mai tenerlo rinchiuso in una sfera”
“Vuoi liberare un Rufflet cromatico, Zack?”
In effetti era un’idea da idioti. E Zack poteva ritenersi il più idiota di tutti.
“Sì. Voglio che sia libero”
Gli occhi dell’infermiera si sgranarono per un paio di secondi, quindi ritornarono a fissare il volto sereno di Zack.
“Sul serio?”
“Già”
Zack prese il suo Rufflet e lo allenò, fino a diventare un Braviary, che poi vinse la Lega Pokémon, e che diventò uno dei pupilli del suo allenatore.
Alma guardava la sua sfera, poi passò accanto. Lucario.
Lucario aveva perso fiducia in sé stesso. Aveva perso fiducia nel suo allenatore.
Anche con Lucario c’era una storia di amicizia e fiducia, fin da quando il Pokémon era un piccolo e scontroso Riolu.
Cresciuti insieme. Diventati grandi.
Lucario era riuscito a sentire la forza che usciva dal corpo di Zack, a vedere il suo spirito scappare.
E se aveva mollato lui, Lucario non aveva più alcun motivo per combattere.
“C’è solo una cosa che posso fare...” si disse Alma.

La notte era scesa. Il rumore dei Pokémon insetto tagliava il silenzio come fosse una motosega a ciclo continuo, che combatteva unicamente con lo scroscio delle Cascate Armonia.
Era davanti a lui, e la luce della luna inondava di luminosità quell’acqua fin troppo scura per i suoi gusti.
Levò le scarpe e le mise in mano. Tirò su le gambe dei pantaloni, ed immerse i piedi.
Era fredda. E buia.
Non aveva nessun Pokémon con sé, e sinceramente la cosa non lo infastidiva.
Certo, fosse uscito adesso un Gyarados o un altro mostro acquatico da quella pozza d’acqua a stento profonda un metro si sarebbe pentito di aver abbandonato i suoi amici.
Ma non era il caso. Con tutti i vestiti, alla vigilia di Natale, passò sotto la cascata, per farsi un regalo e donarsi un attimo di realtà.
Era bagnato fradicio.
Percorse poi la grotta, quella che portava fino all’antro di Prima. Qualche Zubat lanciò un grido, volando velocemente all’esterno della grotta, mentre lui si mantenne la bandana sulla testa, aspettando che tutto si calmasse.
“Non si calmerà niente. Il mondo sta per finire. Io morirò. Rachel morirà...”
La sua voce rimbombava all’interno dello stretto tunnel mentre i piedi bagnati producevano uno strano rumore nelle scarpe.
Alla fine arrivò nella parte abitabile di quella montagna. La cascata continuava a scendere inesorabile verso giù, come il corso degli eventi. Tutto ciò che serviva era un colpo di fortuna.
Ma ormai la fortuna non esisteva più.
Non esisteva più nulla. Si era chiamato fuori dai giochi, e l’unica cosa che voleva in quel momento era vivere in pace le ultime ore della sua vita.
Una birra. In quel momento voleva una birra. E forse una sigaretta. Sua madre gli aveva fatto tante raccomandazioni su questa cosa, ma lui, mal per lui, aveva voluto provare tutto.
A suo discapito. Delle volte gli saliva in gola la voglia di succhiare fumo da quella stecca di paglia, ma poi si convinceva che non gli avrebbe fatto bene.
Correre, arrampicarsi ed altre attività di sforzo sarebbero state praticamente impossibili da sostenere a quei ritmi.
La cascata continuava a buttare acqua giù, e quasi voleva seguire l’acqua. Farla finita, andare via da quel mondo ed anticipare ogni decisione divina.
Ricordò di quando in quella grotta, con Rachel, trovò lo scrigno del cristallo.
Le peripezie nella sua mente si susseguivano come auto sull’autostrada, e più lo facevano più lui aveva voglia di essere investito dai ricordi, per far sì che, anche se col pensiero, quella ragazza gli stesse accanto, lì, a rimpiangere l’accaduto.
Magari a provare a dargli forza.
A dargli coraggio.
“No... sono troppo stanco”
E fu così che la notte lo prese.

La mattina di Natale i bambini si svegliano con la smania di aprire i regali, ed il sorriso è uno status per chiunque. Se non ce l’hai o lavori anche a Natale o hai un brutto sorriso.
A Natale si ride.
A Natale si scherza.
A Natale, Zack, era solo felice di non essere morto. Era già un grande regalo essere vivo.
“Mia... chissà dov’è Mia...” si chiese tra sé e sé.
“Chi è Mia?”
Zack si alzò da terra, la schiena dolorante e piena d’acciacchi. Qualcuno aveva parlato, era sicuro che qualcuno lo avesse fatto. La birra non l’aveva bevuta, non era a residui d’alcool ed aveva recuperato lucidità.
“Chi è Mia?” ripetè quella voce. Quella voce abbastanza familiare.
Gli occhi si abituarono alle luci dell’alba, mentre le forme della persona in più in quel contesto diventavano sempre più nitide, fino a manifestarsi in tutta la loro chiarezza.
“Green... Green!” Zack sobbalzò, e si alzò da terra. Green sorrise, in piedi, appoggiato alla parete con la schiena, scarpa poggiata al muro e braccia incrociate.
Appena quello si avvicinò, i due si abbracciarono.
Era diventato un uomo. Ormai aveva una trentina d’anni, ed aveva preso, meritatamente, il posto di suo nonno all’osservatorio di Biancavilla.
“Sei diventato grande” sorrise leggermente Green.
“Sono partito che ero un ragazzino, Green”
“Ora sei un uomo. Ho sentito alla televisione delle tue gesta qui ad Adamanta. Sono stato molto fiero di te quando ho sentito che sei diventato il campione”
“Beh...” abbassò la testa. Sentiva il senso della sconfitta ancora bruciargli addosso, ed anche se era formalmente il campione, sentiva di non meritarsi quella carica.
“Mi ha telefonato Alma”
“Oh... e come faceva a sapere dov’ero?”
“Non lo sapeva, infatti”
“E come mi hai trovato?”
“Alakazam. Il mio Alakazam. E poi ho risalito la cascata con Golduck”
“Perché sei qui?”
“Alma mi ha detto tutto, Zack. Mi ha parlato della cintura che hai slacciato. Dei Pokémon che hai abbandonato. Di Lucario”
Zack abbassò lo sguardo, timorato dal giudizio di quella che considerava come la più grande guida della sua vita.
“So bene quello che ho fatto”
“E vuoi spiegarmi perché?”
“Non lo so, Green. Ho perso, e questa cosa non mi è scesa giù”
“Nella vita non si può sempre vincere, Zack”
“Sì! Ma ci sono dei momenti in cui hai un solo risultato a disposizione, e non puoi sprecare l’occasione per farti valere!”
Green lo guardava, la rabbia scorreva negli occhi del più giovane e sgorgava fuori dal suo corpo sottoforma di lacrime.
“Perché piangi?”
“Perché... perchè pensavo di potercela fare! Perché pensavo di riuscire a fermare tutto questo! Ma invece non ce la faccio! Non posso farcela da solo! In più la mia donna è stata rapita, e non so che pesci prendere! Non ho la testa per fare più niente!”
Le lacrime continuavano a scendere, mentre Green stringeva al petto quel ragazzo che aveva visto crescere.
“Io non posso occuparmi di questa cosa. Come ben sai la regione di Kanto è bersagliata dagli attacchi di Articuno, Zapdos e Moltres. Io, Blue, Red e Yellow stiamo facendo il massimo per attutire i danni provocati dalla distruzione, ma siamo in difficoltà. A Jotho la situazione è più calma. Solo Amarantopoli è bruciata, ma Gold, Crystal e Silver sono riusciti a catturare Ho-Oh, ed a fermare l’incendio. Di Hoenn so che è quella che ha subito di più i danni dei cataclismi, ma lì Groudon e Kyogre giocano in casa. Non si ha nessuna notizia di Ruby e Sapphire. Meno ancora di Emerald”
“Perché mi stai dicendo questo?”
“Ti sto dicendo questo perché voglio farti capire che la gente sta morendo. E tu sei in grado di fermare questa cosa. Tu sei in grado di riportare tutto alla normalità”
“Ci ho provato, Green! Ci ho provato! Ma non ci riesco!”
“E tu riprovaci! Ma non sperare che qualcuno ti regali qualcosa solo perché ci hai provato! Le cose te le devi conquistare!”
“Ad ogni modo avevo una sola occasione per catturare Dialga e l’ho sprecata. Oramai la Rossocatena sarà bella che pronta nelle mani di Ryan e dell’Omega Group”
“Chi?!”
“Gente che specula su questa situazione”
“E tu permetti a queste persone di prendere il tuo destino, il destino di tutti, tra le loro mani?!”
Zack spalancò gli occhi. Green aveva fottutamente ragione.
“Tieni...” Green lasciò penzolare dalla mano la sua cintura. Zack sorrise a mezza bocca e l’afferrò. C’erano tutte e sei le sfere.
“Lucario ha sentito la forza abbandonarti. È un Pokémon molto sensibile. E se smetti di crederci tu, smetterà di farlo anche lui”
Zack annuì, poi vide Green sorridere.
“Ho visto che hai ancora Growlithe con te”
“Già...” sorrise Zack, grattandosi la testa.
“Non hai intenzione di farlo evolvere?”
“No”
“Beh... ti capisco. Anche io non volevo che il mio Scyther si evolvesse. Ma la necessità mi ha portato a capire che o Scizor era più forte, ed avrebbe fatto più al caso mio”
Zack storse il muso. Come sempre Green aveva ragione.
“Magari può succedere che durante una lotta, in un attimo di lucidità, ti venga in mente il fatto che un Arcanine possa essere più incisivo...”
“Non mi è mai passato per la testa”
“Spero non capiti... ma semmai ti trovassi in questa situazione...” Green staccò un sacchetto di iuta dal passante della sua cintura e lo diede al ragazzo. “...questa è una Pietrafocaia”
Zack strinse il sacchetto, sempre con le labbra storte, repellendone il contenuto come se avesse effetto su di lui.
“Conservala. Potrà esserti utile”
“Ora vorrei capire come fare per...”
“...per tornare indietro nel tempo, vero?”
“Già”
Green sospirò, mettendo le mani ai fianchi. Il suo fisico era sempre tanto asciutto. Indossava un paio di jeans ed una camicia nera, come quelle che portava da più ragazzo. I capelli erano leggermente più lunghi, e pettinati da una parte, mentre un paio di occhiali erano adagiati sul suo naso.
“Torniamo da Alma” disse poi.
E fu così che i due si tuffarono dalla cascata sui loro Pokémon volanti. Pidgeot e Braviary li condussero ad Edesea, fino alla casa della professoressa.

Rachel si risvegliò di scattò. Gli incubi la stavano perseguitando.
L’orologio segnava che fossero le sei e un quarto del mattino.
Del mattino di Natale.
“Contavo di passarlo con te... se mi senti, auguri, amore mio” disse, a bassa voce, con gli occhi ancora impastati di sonno.
Il giorno prima non era stato molto semplice, anzi. Però lo aveva sfruttato per evolvere alcuni dei suoi Pokémon. Dopo Litwick, anche Metang si era evoluto, ed era diventato un potentissimo Metagross. Zack sarebbe impazzito se gliel’avesse detto.
Ma non avrebbe potuto dirgli niente. Era ad Adamanta.
“Strano...” pensò. Zack non era mai stato il tipo da arrendersi. Era strano che ancora non fosse andato a cercarla. Un po’ di malinconia la scosse dall’interno, Rachel volle allontanare il pensiero di essere stata abbandonata a sé stessa.
La stanza dell’albergo odorava di notte. Si alzò, la camicetta stretta addosso lasciava poco spazio alla fantasia, quindi aprì le finestre e poi le imposte esterne.
Nell’aria c’era quello strano odore. L’odore di Natale.
Un po’ di calore le si formò nel cuore, sperando che quella debole fiammella non si spegnesse, e continuasse ad arderle nel petto.
E mentre pensava al suo uomo una domanda le sorse spontanea.
Come mai c’era un enorme aereo nello spiazzale dell’albergo?

Zack bussò alla porta, poggiando la testa sullo stipite. La stanchezza si faceva sentire sempre di più.
Passarono due minuti buoni, e la porta di casa di Alma si aprì. Lei aveva un volto sconvolto, capigliatura post-parto e tanto ma davvero tanto sonno, tanto che per mantenere gli occhi aperti stava per perdere una lotta con la gravita che mai avrebbe potuto ripetere.
“Zack... e... il dottor Green Oak! È venuto davvero!” gli occhi della bella ragazzo olivastra si aprirono immediatamente per lo stupore.
“Per il mio amico Zack questo ed altro”
Zack sorrise. Green gli donava attimi di sicurezza.
“Mi spiace per essermi fatta trovare così”
“Figurati, Alma. Dispiace a noi di essere piombati a casa tua a quest’ora”
“Entrate, che preparo un caffè”
Alma lasciò passare i due e li fece accomodare.
“Allora... dov’eri?” chiese Alma, di spalle, con tono di una madre sospirosa.
“Dietro le Cascate Armonia”
“Ah, il posto di Prima. Tutti questi avvenimenti mi hanno fatto ritardare il sopralluogo. Ci andrò al più presto. E Green che ti ha detto?”
“Mi ha detto che non posso lasciare che la mia forza se ne vada. Che il mio spirito mi abbandoni. Devo tornare alle origini”
Alma si girò e lo guardò, poi annuì.
Servì un caffè ciascuno, e pulì macchinetta e tazzine, dopodichè si sedette e prese a parlare.
“Allora... Dialga è in grado di viaggiare nel tempo. Questo è assodato. Ma per viaggiare indietro nel tempo è necessario che tu conosca la struttura del nostro universo”
“Ok” disse Zack.
“Il nostro universo è quadridimensionale, ovvero ha quattro dimensioni. Tre di queste fanno appello al contesto spaziale, l’ultima è il tempo”
“Continua”
“Lo spazio possiede altezza, lunghezza e profondità. Il tempo invece si basa solamente sul passare delle lancette”
“E fin qui...”
“Immagina il nostro universo e la sua vita come... come uno sfilatino di pane. Se tagliassimo il cozzo, vedremmo tante briciole all’interno dello sfilatino, giusto?”
“Naturalmente”
“Bene. Questo è tutto l’universo. La lunghezza dello sfilatino invece è il tempo”
Zack annuì.
“Se io prendessi il coltello e tagliassi lo sfilatino in un pezzo a caso, avrei sempre lo stesso universo. Ma in un altro contesto temporale”
“Cioè dopo tanto tempo”
“Esattamente. L’universo non si può tagliare, ma tramite Dialga tu puoi scegliere su quale fetta vuoi sfruttare il tuo universo”
“Cioè viaggia all’interno dello sfilatino senza tagliarlo”
“Bravissimo” sorrise la donna. “Quello che pochi sanno è che esiste un altro Pokémon in grado di fare questo”
“Eh?!” Zack sobbalzò mentre vide Green annuire. “Vuoi continuare tu, collega?”
“Con piacere”
Green si alzò all’in piedi e cercò nella sua borsa una Poké Ball, poi la tirò fuori.
“Vai”
Dalla sfera ne uscì un piccolo Pokémon verde, con gli occhi azzurri ed un atteggiamento molto calmo.
“Lui è Celebi. È il Pokémon Tempovia”
“Lui... lui può viaggiare nel tempo?!”
“Sì”
“E che stiamo aspettando?!”

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