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Capitolo Ventisettesimo + Prologo Fumetto Black Lady

Salve a tutti, gente. Finalmente è arrivato il momento, e sono proprio fiero fiero di presentare il fumetto di Hoenn's Crysis, l'ultima fatica che sto scrivendo. Oggi trovate il prologo, in via del tutto eccezionale, sul blog. Potrete leggere la prossima uscita sulla pagina Facebook dell'autrice, Svignettiamo, oppure scaricarlo da qui.
Scorrendo in basso potrete leggere anche il ventisettesimo capitolo di Hoenn's Crysis; ci avviciniamo alla fine.

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Si rompono gli specchi



“Finalmente è arrivata la fine di questa giornata di merda...” sospirò Gold. Assieme a Marina e Martino era entrato negli spogliatoi della Palestra di Forestopoli. Levò il giacchetto e poi la maglietta, sospirando.
Si guardò attorno, ignorando il fastidiosissimo ronzio dei neon. Mattonelle bianche per terra e sulle pareti riflettevano la luce opaca e fredda che proveniva dalle plafoniere.
Appese i vestiti e levò anche le scarpe, sorprendendosi di come Martino fosse già nudo e sotto il getto caldo della doccia. Marina era alla panca accanto, senza gilet ed occhialoni; i capelli le erano caduti davanti al volto più di una volta e fu costretta a tenerseli con la mano per evitare ulteriori fastidi.
“Vero, Gold. È stata una giornata parecchio pesante”. Il ragazzo la vide levare via la maglietta, rimanendo soltanto con il reggiseno sportivo, oltre ai pantaloncini.
“Sicuramente domani sarà peggio. E lo sarà sempre di più finché non renderemo i sederi di quelle persone come degli scolapasta”.
Marina sorrise.
“Ho avuto paura per te, prima” aggiunse il ragazzo.
Lei abbassò gli occhi, nella testa ancora l’immagine truce del Magma che spezzava il braccio della piccola Sofia in più parti.
“Ho avuto paura anche io... Martino!” lo chiamò poi.
“Che c’è?” domandò lui. La sua voce attraversò il muro d’acqua che scendeva dal telefono della doccia.
“Devi ripararmi lo Styler! Ce l’ho nella borsa!”.
“Hai ragione. Sarà la prima cosa che farò, non appena esco da qui dentro”.
“Senza Styler non so come muovermi ma a dire il vero... con Vulpix, bene o male, sono riuscita a districarmi dal palazzo...”.
“Palazzo? Quale palazzo?” domandò poi quello dagli occhi d’oro..
“Il palazzo in fiamme di oggi”.
Gold la fissò stupito. “Sembra quasi che la mia giornata sia stata noiosa in confronto alla tua” sorrise, suscitando il sorriso anche in lei.
“Sicuramente sarà stato così”.
“Il Team Magma è composto da elementi forti. Lottare contro di loro è stato stimolante”.
“Immagino”. Marina sfilò anche i pantaloni, ignorando gli occhi curiosi di Gold
“E poi hanno rapito Fiammetta...” abbassò infine lo sguardo, spostandolo dalle gambe toniche della ragazza.
“La troveremo” lei gli mise una mano sulla spalla sinistra, con sul volto un sorriso morbido, quasi materno. “Stai tranquillo”.
“Lei guardava me! Ha urlato il mio nome! Voleva che io la prendessi, la aiutassi! Voleva che la salvassi! E invece sono rimasto come un cretino, così, fermo e zitto, aspettando che il mondo mi crollasse addosso”.
Marina si avviò verso la doccia e nascose le parole del ragazzo con il getto dell’acqua; nello scarico caddero sangue, cenere e sudore, oltre a tutta la paura che aveva posseduto il suo corpo e si era insediata nelle sue carni.

Gold camminava accanto ai due Ranger nel corridoio lungo e buio della palestra, dove ogni passo rimbombava con forza. Alice aveva assegnato al gruppo di specialisti una stanza abbastanza ampia, in cui c’erano già Silver e Crystal.
Martino aprì la porta e trovò Silver, seduto sul lettino della ragazza, mentre le sistemava le coperte. Il ragazzo aveva i capelli alzati in una coda e gli occhi molto stanchi, mentre indossava una maglietta a mezze maniche color porpora.
“Hey, Silver. Come sta Crys?” domandò Gold, avvicinandosi a lui e poggiandogli una mano sulla spalla.
“Sta meglio. Prima si è svegliata, ma è molto stanca. Questa cosa è parecchio strana e sta cominciando a succedere spesso”.
“Ha già perso la vista altre volte?”.
“Sì, un’altra volta di preciso, stamattina, nella lotta contro Groudon”.
“Wow... Anche voi avete avuto una giornata niente male... Notizie di Fiammetta?”.
Silver scosse la testa. “Dovremo andare a cercare anche lei. Domani vedremo come agire, diretti da Alice.
Gold sospirò e si sedette accanto al ragazzo. Vide che prese la mano di Crystal, velocemente.
“Quante attenzioni...” osservò quello dagli occhi d’oro, spostandosi il ciuffo dal volto. Si voltò un momento, vedendo Martino mettersi nel suo letto, seguito a ruota da Marina, poi ritornò a fissare lo sguardo contrito di Silver.
“Io mi sono innamorato di lei”.
Gold sorrise leggermente e spalancò gli occhi. “Oh”. E magari sapeva che avrebbe potuto, magari dovuto, dire di più. Tuttavia fu l’unica parola, che più che una parola era una sillaba, ad avere un minimo di senso, o almeno l’unica che avrebbe potuto pronunciare senza sembrare un ebete.
“Ti sorprende questa cosa?” chiese poi, il fulvo.
Oro e argento s’incontrarono in quello sguardo, in quello scontro prezioso dove l’uno entrava nell’altro. La mano di Gold si poggiò sulla coscia di Crystal, sotto le coperte, un po’ per caso, un po’ per provocazione.
“No. Crystal è una ragazza bellissima, con la testa a posto... Capisco benissimo”.
“Mi sono già dichiarato”.
“Meglio. State assieme?”.
“Praticamente”.
Gold sorrise. “È un sì?”.
“Come se lo fosse”.
“Sai, mi sembri ostile in questo periodo”.
“Forse è così”.
Gold sorrise e continuò a fissare il ragazzo che aveva di fronte. Si mordeva le labbra; gli occhi stretti, quelle piccole fessure argentee, lo fissavano e proiettavano su di lui una luce inquietante. Si studiavano, come predatore e preda, senza specificare chi fosse l’uno e chi fosse l’altro.
Forse erano entrambi predatori, o forse entrambi prede di qualcosa di più grande di loro.
Di più profondo.
“A me non interessa Crystal” chiuse subito il moro, sospirando. Gli occhi di Silver si spostarono sulla mano che aveva sulla coscia della bella addormentata.
“Levala” fece poi.
“Non darmi ordini”.
Silver sospirò e prese la mano di Gold, stringendola con forza, spostandola da dove sostava.
“Fa’ come ti dico”.
“Non toccarmi!” urlò Gold, ritirando violentemente la mano.
“Stai lontano da lei”. In controtendenza, Silver rimase freddo e distaccato e, nonostante tutto, non smetteva di guardarlo fisso negli occhi.
“Io sto dove voglio”.
“Vai a buttare le tue mani da un’altra parte. Lei è troppo preziosa per stare con un cavernicolo come te”.
Gold sospirò e si alzò, alzando le mani in aria, avvicinandosi alla finestra. Marina e Martino guardavano quella scena con attenzione, pronti ad intervenire.
“Hai paura del cavernicolo. Hai paura che il cavernicolo rubi la ragazza alla fighetta, vero?!”.
I due fratelli si fermarono a guardare il volto I due fratelli si fermarono a guardare il volto I due fratelli si fermarono a guardare il volto I due fratelli si fermarono a guardare il volto di Silver, che si alzò lentamente. Gold lo guardava, sorridente.
“Finalmente hai deciso di fare l’uomo eh?! Fatti sotto!” diceva quello, con le spalle piegate verso il basso e le braccia aperte, come se stesse per parare un calcio di rigore.
“Io potrei tranquillamente ammazzarti”.
“Hey, calmiamo i toni” fece Martino, alzandosi dal letto. Marina fece lo stesso, avvicinandosi a Silver poi si girò verso il fratello, che intanto continuava a parlare. “Non è il caso di litigare. Voi due siete sempre in competizione e state sempre a compararvi, sempre a sfidarvi a chi piscia più lontano”.
“Vincerei io...” pronunciò Gold tra i denti. Martino lo guardò, cercando di bruciarlo con lo sguardo.
“L’importante qui non è chi è meglio tra voi due, ma chi tra voi due farà finire per primo quest’onda di morte e distruzione che ha investito questa gente. Voi Allenatori...”.
Non riuscì a nascondere un sorriso, il ragazzo.
“Voi Allenatori non sapete cosa significa mettersi a totale e completa disposizione delle persone, agire per il bene comune e non. Voi viaggiate, avete i vostri scopi, i vostri obiettivi... Cose a lungo termine, insomma. Noi ringraziamo il cielo se ogni sera riusciamo a vedere il letto, a riposarci. Ognuno di noi qui ha rischiato la vita, oggi più di una volta tutti quanti e questo è sicuro. Noi lo facciamo ogni giorno”.
“Questo che significa?” domandò Gold fissando Silver che, silenzioso, stava a sentire ciò che il Ranger avesse da dire.
“Significa che state sbagliando modo di porvi. Non è una parata, una sfilata di moda, questa. Non è il palcoscenico per scegliere la più grande superstar dei Pokémon o l’Allenatore più forte. Assolutamente no. Siamo qui per altro. Dobbiamo fare altro. Non dovreste distrarre Crystal, che ha già fin troppi problemi con questa strana cecità ed il fatto che ogni volta che riusciamo a trovarci Groudon davanti viene quella stronza con i capelli neri a rovinarci tutto”.
“A me Crystal non interessa. Credevo che Silver fosse un amico, un compagno. Invece dubita di me, pensa che io possa fargli del male, dopo tanti anni passati nella stessa casa, dove io mi sono sempre fidato. Dormi con il coltello sotto il cuscino ora? Hai paura che ti faccia del male, stanotte?”. La voce di Gold rimbombò impazzita tra le pareti di quella stanza, raggiungendo le teste dei tre. “Io non sono interessato a nulla di nulla. Voglio soltanto andarmene a casa mia. E appena tornerò a Borgofoglianova farò le valigie e lascerò la casa dove viviamo tutti e tre, in modo che quei due si vivano la loro storia d’amore. Tuttavia non voglio che nessuno di tutti e due pronuncino più il mio nome”.
Silver fissava Gold con sempre meno determinazione; Marina era davanti a lui, che gli poneva una mano davanti al petto, spaventata da una possibile reazione fisica.
La porta poi si aprì, le luci si accesero. Rocco Petri era con la camicia aperta ed i capelli spettinati, parecchio sfatto.
“Dannazione, ragazzi, è notte ormai. È successo qualcosa di grave?”.
Marina guardò il volto solido e gli occhi vitrei dell’uomo, quindi lotto con tutta se stessa per non guardargli addominali e pettorali, fallendo miseramente.
“Non è successo niente, Rocco” fece poi, proprio lei. “Tu come stai? Mi hanno detto che se stato colpito violentemente”.
Rocco storse le labbra e guardò in alto. “Fosse la prima volta che Miriam mi colpisce in questo modo...”.
Tutti si voltarono verso di lui ma fu nuovamente Marina a mettere in calce il dubbio che tartassava le menti di tutti. “Miriam?! Aspetta, a quanto ho capito è il capo del Team Magma! Hai familiarizzato col nemico?!”.
Rocco la guardò e sorrise. “No. Almeno non era un nemico quando familiarizzai con lei. Come ti chiami?” chiese il Campione, sedendosi sul primo letto che aveva di fronte.
“Marina...” rispose lei, arrossendo con violenza. “Mi chiamo Marina”.
“Marina, che bel nome. Io conosco Miriam da parecchi anni, siamo cresciuti assieme. Lei viveva a Cuordilava, assieme alla famiglia. Quando mio padre aprì la Devon fu costretto a viaggiare in lungo ed in largo per Hoenn, ed io lo seguivo in tutti i suoi viaggi, assieme ai miei Pokémon. Ricordo che ad ogni viaggio che facevo, riuscivo a portare a casa almeno una roccia nuova. Ho la passione, per la geologia” sorrise quello. Poi continuò: “Lì c’era questa ragazzina, io la ricordo ancora come se fosse ieri. Ricordo i suoi occhi buoni e puliti, ed il candore della sua pelle. Ricordo i suoi capelli, sempre legati”.
Silver guardava il volto di Rocco; raccontava del suo passato con sul volto un’espressione di pace quasi irreale. Ricordava con piacere il suo passato.
“Era lei. Era Miriam. Ed era una ragazzina in piena adolescenza che lottava con i Pokémon, al centro del paese. Cuordilava era molto più piccola, anni fa, e tutti la conoscevano: Miriam sfidava la gente nella piazza, con in palio poche monete. Era molto povera, ed era stata adottata da una vecchietta, una veterana che aveva passato sul Monte Camino gran parte della sua vita. Inutile dire che la sua forza d’animo e la sua storia mi avvicinarono a lei in maniera viscerale, tanto che me ne innamorai”.
“Wow. E lei?”.
“E lei anche. Passai due anni a Cuordilava, ricordo ancora Fiammetta, quando era più piccola. Non abbiamo troppi anni di differenza, ma la ricordo perché una volta rimasi così tanto a fissarla che Miriam mi tirò un pugno sul braccio”.
“Ebbeh” sorrise Martino. “Non passa inosservata, Fiammetta”.
“No” lo imitò Rocco. “Decisamente. Ci innamorammo, io Miriam. Fu qualcosa di bellissimo con lei, imparai cosa volesse dire essere vivo. Poi la donna che la adottò morì; in punto di spegnersi le diede una lettera, dove le diceva che suo padre in realtà fosse Max, il Capo del Team Magma. Lei diventò un’altra, a quel punto”.
“In che senso?” domandò Gold.
Rocco si voltò e lo guardò. “Nel senso che cambio modo di essere. Cominciò col diventare paranoica e perse quella leggerezza che l’aveva sempre contraddistinta. E poi un giorno le comunicai del mio progetto di scalata alla Lega Pokémon. Le chiesi di partire con me e decise di non voler abbandonare la sua città, in quanto convinta che suo padre prima o poi sarebbe venuta a cercarla”.
“Non lo fece mai...” sospirò poi Marina, vedendo Rocco annuire.
“Già. E poi lei trovò suo padre non appena successe quello... quello che è successo, anni fa, durante il precedente risveglio dei leggendari. Da allora non l’ho più vista. Almeno fino ad oggi”.
“Wow...” sospirò Gold.
“Ora però è meglio che andiate a dormire”.

Rocco chiuse la porta e spense le luci; il buio s’appropriò di ogni cosa ed intanto i respiri dei ragazzi, tutti nei propri letti, divennero mano a mano più grevi.
Martino era girato sul fianco sinistro. Guardava sua sorella, le palpebre chiuse ed i capelli legati con due forcine ai lati della testa; aveva avuto una giornata infuocata, comprendeva che fosse così stanca.
Aveva le sembianze di sua madre, non poté non ammetterlo. Abbozzò un sorriso, continuando a guardarla. Ricordava quando quel viso era maltrattato dalle lacrime, dalla disperazione.
Lui era in casa, leggeva un libro riguardo l’evoluzione dei Pokémon, non avrebbe potuto dimenticare. Tutto, ogni particolare era così vivido che poteva vederlo davanti agli occhi.

Il fuoco del camino scoppiettava quell’inverno, e lo faceva molto spesso. Oblivia era stata colpita da un freddo terribile e la sua popolazione, non essendo abituata a climi così rigidi, era dovuta correre ai ripari. E quindi ognuno si era dotato di legna per i propri camini, o di stufe a gas.
Casa sua era parecchio grande, tre piani che i due condividevano con i genitori e Bessie, il loro Herdier. Martino adorava il salone, leggere davanti al camino che scoppiettava lo rilassava parecchio. Anche quella sera non fece testo.
Le scarpe alzate sul poggiapiedi e le luci soffuse, il libro in mano e la grande coperta a quadri sulle gambe, tutto era perfetto.
Saggiò inizialmente con le dita la superficie smaltata della copertina del libro, scritto dal Professor Samuel Oak ed illustrata da tal Dylan Cooper. Una volta aperto il libro, odorò le pagine, adorando il caratteristico profumo di un libro vergine, mai sfogliato da nessuno.
“L’evoluzione dei Pokémon è legata a diversi fattori...” sospirò, leggendo le prime righe. La pioggia cominciò a battere leggera sui vetri, come a voler entrare educatamente, bussando alle finestre.
Anche il vento si alzò, soffiando via le foglie ormai cadute dagli alberi spogli.
E tutto lasciava intendere che Martino, quella sera, sarebbe stato nelle grazie di Arceus, contando che i suoi genitori non erano in casa e che sua sorella aveva un appuntamento galante quella sera.
Era piccola lei. Forse nemmeno tanto, però lui non credeva che alla sua età fosse possibile avere una relazione sentimentale.
Meno ancora una semplice avventura, anche perché lui era geloso ed era già tanto che avesse lasciato che sua sorella minore, Marina, uscisse con un ragazzo. Lo aveva visto parecchie volte, aveva la sua stessa età ed era un Allenatore di Johto.
“Uno dei fattori che può influenzare l’evoluzione è l’esperienza. Arrivato ad un certo quantitativo di competenze acquisite, il Pokémon adegua il suo corpo, cambiando forma. Uhm... Proprio come te, Bessie” fece, guardando l’Herdier appallottolato sul tappeto, davanti al camino.
Lo sguardo si spostava inutilmente dall’ambiente al libro, cercando di non fissare l’orologio, invano:
aspettava l’orario giusto che servisse da pretesto per uscire ed andare a cercarla.
“I Pokémon possono cominciare il processo d’evoluzione anche se esposti alle particolari radiazioni emanate da misteriosi minerali, come Pietra Idrica, Pietra Foglia e Pietra Focaia”.
Sospirò e guardò avanti, verso il caminetto, quindi sentì qualcosa battere sul vetro.
Pensò fosse la pioggia, o il vento, reo di aver spinto un ramo contro la finestra.
Poi un soffio strascicato, quasi come se il vento stesse urlando il suo nome.
“M.. ti.. n... o”.
Ebbe un brivido. Un tuono riverberò forte lì vicino, costringendolo a girarsi con un gesto inconsulto.
Una macchia di sangue, una mano trascinata in basso sul vetro; fu quello a farlo alzare immediatamente. Bessie prese ad abbaiare.
“Che cazzo succede?!” fece, timoroso.
“M.. ti.. n... o” sentì nuovamente.
“Chi mi chiama?!” urlò lui, gettando il libro sul divano. “Bessie, vieni con me” sussurrò, avvicinandosi lentamente alla finestra, come se stesse scendendo nella cantina di Amytiville Horror.
“Aiutami...” riuscì a sentire, più forte. La voce era compressa ma era quella di Marina. Si avvicinò di più, col cuore in gola che batteva forte e pompava sangue; gli occhi spalancati faticavano a chiudersi, per non perdersi alcun particolare.
Aprì la vetrata, Martino, ed uscì sul balcone: Marina era distesa a terra, in una pozza di sangue, con gli occhi semischiusi ed il vestitino bianco bruciacchiato.
“Marina! Marina! Aiutatemi!” prese ad urlare.

Ricordò la sua voce perdersi nella sera di Oblivia. Marina aveva una profonda ferita al costato, ed aveva rischiato un collasso polmonare.
Ma ora stava bene, dopo aver sofferto tanto. Ora era viva, ed aiutava a far star bene la gente; regalava loro una speranza.

 
Angolo di un autore quasi sempre ubriaco:
Buonsalve a tutti. Ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui, in particolar modo chi ha letto tutta la storia e mi sostiene. 

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