Eccoci qui, oggi ho pubblicato di buona mattina, in modo da avere più tempo per assimilare le "solite" novità. Difatti, abbiamo introdotto nel nostro staff di pubblicazione un nuovo autore dalle idee lungimiranti, con una serie in cantiere! Si tratta di Levyan, e sabato Pokémon Courage avrà il piacere di pubblicare un pezzo che io ho già letto, molto particolare.
Ed il resto?! Beh, oggi è fuori Hoenn's Crysis, il capitolo trentasette!
Ma che succederà dopo HC? Beh, gente, quest'estate sarà parecchio piena! Assieme a Litgin si sta scrivendo una storia che vedrà coinvolto ognuno di voi lettori... Ma lasciamo perdere adesso. Rachel Aori ci delizierà con una short di pochi capitoli su di uno dei pairings più amati del Fandom, gli amanti di N e White ringrazieranno. In più un paio di storie collaborative con gli stessi Levyan e Cyber Witch e l'uscita d'un paio di one shot, di cui una molto particolare!
Courage s'è fatta praticamente in CINQUE!
Ah, e poi c'è questo... Black Lady... Ma ne parleremo tra qualche tempo...
“Come stai, Marina?!” si fiondò Martino su di lei, prendendole il viso bagnato tra le mani e stringendolo. Gli occhi della Ranger erano spalancati.
“Sto bene, cazzo, ma quello è Kyogre! Non preoccuparti di me, adesso!” fece, con voce compressa. Si rimise in piedi, poiché era inginocchiata, e vide Alice immobile.
“Ragazzi... dannazione, cosa dobbiamo fare ora?” chiedeva, cercando di calcolare una strategia giusta, nel minor tempo possibile. Avrebbe voluto cominciare un’offensiva dall’alto, ma non avrebbe mai potuto lasciare Marina e Martino da soli. Certo, quest’ultimo aveva il suo Staraptor, ma dubitava che con su due persone avesse potuto creare minacce rapide dal cielo.
Avrebbe dovuto lasciare Marina per terra, Martino, ma vista la situazione era fuori luogo che lui facesse una cosa del genere. Per di più era sicura che il problema non se lo sarebbe minimamente posto.
La Capopalestra di Forestopoli alzò nuovamente lo sguardo, mentre il vento soffiava indietro i capelli bagnati dalla pioggia della donna.
E poi vedeva il muso di Kyogre, fuori dall’acqua, e le sue creste blu. I suoi occhi giallastri erano grandissimi, fissavano Ceneride con fermezza, puntando la Grotta dei Tempi.
Dove stava Adriano.
“Alice” tuonò una voce profonda. Pochi secondi dopo ed i tre si accorsero che, sulla testa di Kyogre, stava avanzando una figura; era abbastanza lontana e la pioggia lo celava meglio che potesse. “Mi aspettavo di vederti viva. In fondo hai un temperamento ed un senso della responsabilità encomiabile”.
L’uomo si fermò nel punto più alto della testa del leggendario Pokémon su cui stava in piedi, quindi incrociò le braccia.
“E tu chi diamine saresti?!” domandò quella, urlando.
“Io sono Igor; sono il capo del Team Idro”.
“Diavolo...” disse tra i denti quella. Si voltò in direzione di Martino, e poi allungò lo sguardo, verso la Palestra. “Martino...” disse lei, a bassa voce.
Quello alzò la testa ed ascoltò.
“Entra nella Palestra di Ceneride e corri a chiamare Gold e Silver. Qui avremo bisogno d’aiuto”.
“Subito” disse e poi lasciò sua sorella da sola, prima di avviarsi assieme a Pichu Ukulele in direzione dell’obiettivo.
Le parole di Alice furono infine rivolte verso Marina.
“Non preoccuparti di nulla. Ora devi semplicemente alzarti e stare vicina a me”.
Eseguì immediatamente, avvicinandosi a lei ancora grondante d’acqua sporca di sangue. I cappelli le erano totalmente schiacciati in testa e, senza rendersene conto, li ravvivò passandoci una mano attraverso.
“Che devo fare?” chiese poi.
“Ora, cara mia, io e te dovremmo difendere Ceneride. Almeno finché qualcuno non verrà ad aiutarci”. Il volto di Alice era marmoreo, teso al limite mentre, con gli occhi color pervinca fissava il volto di Igor. Pareva strano, come se avesse qualcosa dipinto sul volto.
Non ci pensò più di molto e tornò a guardare Marina. Sembrava scossa dal pensiero di doversi battere con tutte quelle persone, da sola, senza nemmeno Martino accanto.
“Che faremo? Attaccheremo dall’alto?” chiedeva la più giovane, vedendo il suo Staraptor fermo, in attesa di ordini.
Alice si voltò alle sue spalle, solo per pochi secondi, fissando la Grotta dei Tempi, e sospirando. Sbuffò poi, quindi tornò a guardare verso Kyogre.
“No, Marina. Ci sono centinaia di Reclute il cui unico scopo è quello di entrare nella culla ancestrale di Ceneride e sconfiggere Groudon; Adriano è lì dentro, e a queste bestie poco importerà se lì dentro troveranno i Magma oppure i nostri: li uccideranno in ogni caso. Rocco, Fiammetta e Crystal... Adriano... saranno in grande difficoltà se si trovassero schiacciati tra il Team Idro ed il Team Magma. E se si alleassero per levare da mezzo il terzo incomodo, ovvero noi, per poi vedersela tra di loro”.
Marina guardo per un attimo il volto statico di Alice, i suoi occhi lucidi ed i capelli bagnati che gocciolavano; nei suoi occhi c’era solo un’immagine, nella sua testa solo un pensiero. Le sue labbra si mossero inconsciamente a formare un nome:
...A D R I A N O...
Alice non avrebbe mai permesso che qualcuno gli facesse del male. Era l’affetto che provava nei suoi confronti, l’amore che nutriva il suo cuore d’aviatrice. Amava volare, ma toccare terra per lei significava andare da Adriano e stare con lui. Anche se c’avevano provato, anche se già sapeva che sarebbe stata male perché lui aveva da fare, e lei pure, e che si sarebbero visti poco, e che ogni occasione per litigare l’avrebbero colta come una sorsata d’acqua al centro del deserto.
No, poco importava, tutto ciò era solamente qualcosa di effimero e superficiale, e la Capopalestra se n’era resa conto: lei amava Adriano e non voleva perderlo.
Ed avrebbe lottato con tutta se stessa, costringendo gli avversari ad ammazzare il suo corpo già morto, più di una volta se necessario, pur di donare un solo secondo in più all’uomo del suo cuore, permettendogli di salvarsi.
“Non possiamo attaccarli dal cielo: combatteremmo contro pochi di loro, e molti avanzerebbero, arrivando alla grotta. Distruggerebbero quel che resta di Ceneride, mutilando l’importantissima identità di quest’isola. Per Hoenn, questo posto è importantissimo”.
“Quindi?” domandò una confusissima e bagnata Marina.
“Quindi rimarremo qui, io e te, a combattere contro di loro”.
“Ma che diamine dici?! Come faremo?! Cioè, tu hai dei Pokémon, ma io?! Quelli mi faranno a pezzi!” urlò la Ranger, puntando il dito contro le Reclute Idro e portando il volto vicino a quello dell’interlocutrice. “Noi abbiamo bisogno di Gold! Di Silver e Gold! Loro sanno gestire queste situazioni!”.
“È per questo che ho mandato Martino a recuperarli. Ma intanto dobbiamo avere fede su noi stesse. E poi anche tu hai dei Pokémon: hai Staraptor, e Vulpix. Senza contare quel Gyarados che abbiamo appena catturato”.
“Ma che diamine stai dicendo?! Quello è più esausto di me!”.
“I Pokémon si curano, ed io ho gli strumenti adatti per farlo. Ma tu devi assicurarmi che mi aiuterai” disse lei. “Ora, Ceneride è nelle nostre mani”.
Fu uno sguardo, quello che si scambiarono Alice e Marina, che le connesse in maniera profonda, collegando i propri animi per un momento. La Ranger comprese il sentimento di profonda inquietudine che provava la Capopalestra, la paura di non rivedere l’uomo che amava.
Si voltò, guardando la porta della Palestra di Ceneride, quindi abbassò gli occhi.
“Ti aiuterò. Questa è la sfera di Gyarados” fece, ponendola tra le mani della donna. Si mise davanti a lei, vedendo Staraptor alzarsi in volo.
Ascoltava la voce di Alice che, cercando nel suo piccolo strumentario, scorreva distrattamente tra Pozioni e Revitalizzanti. Non si voltò a guardare nemmeno quando sentì la Capopalestra aprì la sfera del Gyarados gigante, udendo i versi rabbiosi del leviatano; l’ombra del Pokémon s’espanse veloce sulla spiaggia di sassi dove si trovavano e fu ricoperta rapida dalla pioggia.
Non fece nulla che non fosse brandire la sfera di Vulpix e metterlo in gioco.
Il Pokémon vide davanti a sé una folta schiera di uomini dai pantaloni blu, stretti e dalle magliette a righe orizzontali. Bandane con un simbolo stilizzato, disegnato con ossa e simile ad un’alfa, coprivano i loro capi dalle intemperie.
Erano centinaia di teste, forse migliaia, non riusciva a scorgerle tutte; dietro di loro c’era Kyogre, che stava fermo, come una montagna che si ergeva dalle acque profonde di quel lago. Sulla sua testa Igor sembrava una virgola minuta, un’escrescenza inutile.
“Ecco” sentì poi Alice, che le aveva posto la mano sulla spalla destra. Marina si girò e la vide sorridente; la Capopalestra le consegnò la sfera del suo Gyarados, e la invitò con lo sguardo ad osservare la salute perfetta del suo Gyarados.
“Ottimo” fece la più giovane, con l’ansia che le spingeva tra stomaco e polmoni, come se qualcuno premesse dall’interno del suo sottile corpo.
“Dannazione, andiamo!” urlò lei. Staraptor non se lo fece ripetere, selvatico com’era non necessitava nemmeno di ordini. Sapeva che doveva abbattere l’obiettivo, e tanto gli bastava. Vulpix invece, cucciolo com’era, necessitava di ordini. Anche Gyarados, siccome era stato catturato.
“Non avere paura. Siamo più forti. Il sistema di reclutamento di questi Team non è così selezionatore come dovrebbe essere: chiunque si presenti diventa utile alla causa. Sono tanti numeri zero. Noi siamo due cento” le disse Alice, tirando fuori due sfere.
“Beh... facciamo io uno zero e tu un mille...” sussurrò, più a se stessa che all’altra, che non poté non sorridere.
“Lo facciamo per Adriano. E per Gold, che dici?”.
Marina si voltò veloce verso di quella, con gli occhi spalancati. Silenziosa, attese spiegazioni.
“Tu sei esattamente come me: non riusciamo a nascondere certe cose. Vai Swellow! Altaria!” urlò poi, tirando in campo i suoi due Pokémon.
La pioggia non li favoriva affatto, anzi, avevano le stesse difficoltà di Staraptor, ma essendo stati cresciuti ed allenati a Forestopoli, dove la pioggia non dava tregua alla popolazione degli alberi, avevano sviluppato una sorta di resistenza.
“Forza!” urlarono entrambe, non appena le prime quattro Reclute toccarono con i piedi la battigia sassosa.
“Dove diamine li trovo, adesso?” si chiedeva Martino. Aveva appena oltrepassato la soglia della Palestra ed un tanfo di rancido gli si gettò in faccia.
Tossì, lui, affondando i piedi in una pozza d’acqua e polvere. Pichu era sulla sua spalla e tutto sembrava pericolante.
“Devo fare presto” fece, vedendo il pavimento crollato, proprio ad una decina di passi davanti a lui. A destra vide le scale che servivano a collegare alla parte sotterranea della Palestra.
Doveva capire velocemente se per trovare Gold e Silver avesse dovuto scendere al piano di sotto oppure continuare per quel corridoio disastrato.
Guardò Pichu per un momento, e l’impronta di Silver che si avviava verso i sotterranei lo convinse a seguire quella via.
Scese le scale velocemente, immergendosi nel buio più che totale; qualche secondo dopo, ad immergersi furono le sue caviglie. Urlò un porca puttana nella sua testa, per paura di destare qualche minaccia dal suo riposo, quindi trascinò i piedi in quell’acqua nera che, mano a mano che avanzava, sembrava unirsi al soffitto in un’unica cappa buia, assalente ed asfissiante.
Mano a mano che Martino avanzava il livello dell’acqua saliva e raggiungeva i polpacci. L’acqua era fredda, ed in alcuni punti toccava qualcosa con le gambe che gli faceva drizzare i peli sul collo.
Si sentiva inquieto, voleva scappare da lì.
Nel buio ci poteva essere tutto: mostri inimmaginabili, Pokémon sconosciuti, volanti oppure acquatici; ci poteva essere uno dei Magma, un assassino.
Probabilmente quello l’avrebbe riconosciuto e colpito, fatto affogare in quell’acqua tanto nera e torbida.
Teneva gli occhi più aperti che poteva, acuì l’udito, ascoltando dei mormorii distanti ed irregolari, che non riusciva a ricollocare sottoforma di frasi sensate.
Fece un altro, ultimo passo, prima di fermarsi completamente, in attesa che qualcosa succedesse: dopo quel passo, infatti, Martino non vide più nulla. Si voltò, distante c’era la scala con cui era sceso lì giù, illuminata male da qualche neon superstite.
“Pichu... ci sei ancora?” domandò il ragazzo, sentendo il Pokémon muoversi lentamente sulla sua spalla. Squittì, attestando la sua presenza.
Analizzò rapidamente la situazione. Tornare indietro non era logico, dato che era già a metà percorso. E poi aveva visto quelle orme dall’ingresso scendere lì sotto, ed anche sulle scale. Il problema era quell’acqua nera, che nascondeva qualcosa che nessuno sapeva.
E poi vide un buco nel solaio ad una decina di metri in avanti, che riempiva di luce quella zona.
Decise che fosse saggio raggiungerla, magari muovere quelle acque sporche, per cercare un elemento da poter utilizzare come arma.
Magari qualche Pokémon, da poter catturare con lo Styler.
Avanzò ancora, pensando che avrebbe potuto far usare una mossa elettrica a Pichu Ukulele, in modo da illuminare per qualche istante il lungo corridoio che stava percorrendo e capire il da farsi.
Tuttavia era immerso nell’acqua fino alle ginocchia, una mossa elettrica probabilmente lo avrebbe fatto passare a miglior vita, in quel contesto.
No, doveva proseguire al buio, almeno fino a quel buco nel solaio.
“Dannazione...” sussurrò, tra i denti stretti. “Quel cazzo di Gold, con le sue manie di protagonismo. Proprio in questo buco ignobile si doveva andare a buttare? E Silver, poi, subito a seguirlo. Raimondo lo diceva sempre: gli Allenatori sono una brutta razza; tutti impettiti, le medaglie, le catture, i Pokémon da sconfiggere... E poi nascono il Team Idro ed Il Team Magma che vogliono distruggere tutto. Non sarebbe meglio per queste persone trovare un lavoro normale, mangiare, dormire e scopare in santa pace?! No! Devono rovinare la vita a quest’individuo qui!” esclamò in quella sorta di sfogo, puntando gli indici verso il suo volto indaffarato.
“Gold!” urlò poi, poco prima di raggiungere la parte d’acqua illuminata dal piano di sopra.
Si guardò i piedi, o quantomeno ci provò, non riuscendo a penetrare nelle torbide acque che gli abbracciavano le gambe.
Guardò per un attimo il volto di Pichu sulla sua spalla, contrito e concentrato.
“Tranquillo, tra poco andremo via da qui... Li troveremo ed usciremo fuori”.
Il fatto che bestie come Groudon e Kyogre fossero libere di distruggere tutto non facevano altro che aumentare l’ansia del ragazzo.
Bastava un sospiro di quei due Pokémon e quella Palestra, già mezza sfasciata dai terremoti, sarebbe stata distrutta.
Avanzò ancora, e l’acqua continuava a salire di livello, arrivando al bacino. Si muoveva ormai con difficoltà, cercando di proseguire quanto più velocemente possibile. Toccò qualcosa nell’acqua; qualcosa di pesante ed immobile.
Spalancò gli occhi ed allungò la mano fin dove poté; brancolava letteralmente nel buio, quando, con stupore e paura, toccò quella cosa: era una testa.
“Ca...” inspirò profondamente, scioccato. “...zzo” affannò poi. Il cuore batteva nel petto, forte, la mano tremava nel carezzare i capelli bagnati su quella nuca. Scese con la mano, disteso galleggiava l’intero cadavere di qualcuno.
Poteva essere Gold. O Silver. E se fosse stato Gold, sua sorella sarebbe morta per la seconda volta nella sua vita.
Riportò la mano sulla nuca che sentiva, carezzando quei capelli ed attestando con profondo terrore che fossero corti. E a meno che Silver non fosse capitato sotto le mani di un barbiere nell’ultima ventina di minuti, quello poteva essere soltanto Gold.
Cercò a tentoni la mano di quell’individuo che individuo più non era, la trovò e poi si gettò con foga indietro, verso quella torcia involontaria che partiva dal solaio.
Vi arrivò qualche secondo dopo, con sforzi immani e lamentosi, trascinandosi dietro quel corpo galleggiante che dopo pochi metri s’inabissò, per poi riaffiorare nuovamente.
Giunse dove voleva, Martino, sembrava che sul palcoscenico l’unica luce puntasse su di lui, quindi lo afferrò per i capelli, che già vedeva essere neri, e voltò il capo di quello, per guardarlo in faccia.
“E questo chi cazzo è?!” esclamò, impanicato.
Non lo conosceva, Wilbur Jones si chiamava ed era uno degli apprendisti che si allenava nella Palestra di Ceneride. Rigettò sollevato il corpo nelle acque nere e portò le mani ai fianchi.
“Gold!” urlò. “Gold!”.
Si sentì chiamare, quello dagli occhi dorati. Portò lo sguardo stanco verso il compagno e si fermò.
“Era Martino?” domandò poi.
“Non ho sentito niente” rispose Silver, continuando a camminare. Gold gli era poggiato addosso, facendo forza sulla spalla del fulvo per camminare. Lo scontro con Ottavio lo aveva letteralmente indebolito, e per quei pochi secondi che il suo cervello era rimasto senza ossigeno, mentre il malvagio gli stringeva quelle due enormi mani al collo risultarono bastevoli a fargli necessitare un minimo d’assistenza, almeno per quei primi minuti.
“No, ti assicuro, era Martino. L’ho sentito con le mie orecchie”.
Silver sbuffò. “Due minuti fa stavi morendo ed ora senti le voci. Non mi sorprende che tu senta qualcuno che ti chiami. Sarà Arceus, o qualche arcangelo”.
“Non è il momento di fare i simpatici. Anche perché non ci riesci. Ho sentito realmente qualcuno che mi chiamava!”.
“Non può essere Martino! Lui è fuori a monitorare la situazione!”.
“Ma...”
E poi un violento terremoto, che i ragazzi non sapevano essere stato provocato da Groudon nella Grotta dei Tempi, scosse ulteriormente le fondamenta.
“Che succede?!” esclamò Gold, ridestatosi improvvisamente e dritto sulle sue gambe.
“Un terremoto!” esclamò Silver, spingendo il ragazzo sotto le pareti e pressandolo, cercando di diminuire il proprio volume.
Gold spalancò gli occhi, quelli di Silver erano chiusi ed i denti stretti e quando il terremoto finì, il moro spinse l’altro.
“Che cavolo stai facendo?! Staccati da dosso. Crystal è da sola!” esclamò poi, d’improvviso, quello.
“Già. Ma se la caverà. Lei è parecchio in gamba” rispose il fulvo, staccando il petto da quello del ragazzo.
Gold barcollò, avanzando qualche passo verso l’uscita; erano passi cauti, sapeva che sarebbe sopraggiunta una scossa d’assestamento. Sapeva anche che erano proprio quelle che spesso causavano il crollo degli edifici.
“Non permetterti più di buttarti addosso a me in questo modo. Non mi piaci in quel senso”.
“Stai tranquillo” sospirò Silver. “Il sentimento è reciproco. Volevo soltanto salvarti. Di nuovo”.
“Ora per qualche intervento sul gong ti senti Superman...” sbuffò Gold.
Poi la scossa d’assestamento li costrinse nuovamente a gettarsi contro il muro.
“Cazzo, come odio i terremoti. Appena trovo Groudon lo prendo a calci in bocca!” urlò iracondo il moro, vedendo poi il soffitto alla fine del corridoio crollare.
“Cavolo!” esclamò Silver, facendo un passo in avanti. Polvere di cemento si alzò nella confusione e poi un rombo assai sinistro fu seguito dallo schianto di qualcosa all’interno della grossa piscina d’acqua che si trovava nei sotterranei.
“È il pavimento! Sta crollando il pavimento!” urlò ancora il rosso, prendendo a correre, tirando per il braccio un malmesso Gold.
Fecero quattro, cinque passi stentati, poi videro un’enorme crepa aprirsi nel pavimento. Partiva da lontano ma si dirigeva velocemente verso di loro.
“Qui cade tutto! Dobbiamo andare via!” fece Silver.
“Gambe di merda! Funzionate!” urlava l’altro, lasciando improvvisamente la presa dal ragazzo che lo sosteneva e facendo dei passi in equilibrio precario, prima di cadere.
“Testa di cazzo!” urlò Silver, afferrandolo per le spalle e sollevandolo. Lo caricò sulle spalle e fece per correre, ma la crepa avanzava con grande velocità e lui era troppo lento.
“Porco... Qui crolla tutto!” esclamò Martino, facendo un paio di passi indietro. La foga e la paura lo travolsero, investendolo immediatamente. Vide la luce che mano a mano avvolgeva tutto, ed i calcinacci che cadevano dal solaio affondavano nell’acqua nera e possessiva, che tutto prendeva e che manteneva strette le gambe del Ranger, rendendo difficoltoso ogni suo passo.
E poi sentì qualcuno inveire sui terremoti, al piano di sopra.
“Gold!” esclamò, spalancando gli occhi color nocciola, che riflessero la poca luce che prendeva ad aumentare.
Urla di diversi Zubat e Golbat si levarono nel corridoio disastrato, dopodiché i Pokémon stessi si manifestarono, prendendo a volare nelle direzioni più disparate.
Martino agì d’istinto: prese lo Styler ed acquisì velocemente un paio di Golbat.
“Prendetemi e voliamo sopra! Dobbiamo salvare Gold e Silver!” gli ordinò. I Golbat afferrarono con le zampe il Ranger, che vi si aggrappò famelico. Pichu si mantenne alla sciarpa rossa del ragazzo, che vide i due Golbat attraversare la grossa breccia nel soffitto.
Martino strinse gli occhi durante il passaggio dal sotterraneo al pian terreno, finendo anche per urtare contro un pezzo di pavimento, spaccandolo e destabilizzando il volo dei Pokémon, che però si rimisero in rotta lentamente.
Le gambe del ragazzo ciondolarono per poco a destra e sinistra, poi le ritirò, per diminuire l’attrito ed aumentare la velocità. Pochi passi dopo vide Silver che correva, con Gold sulle spalle.
“Cavoli, eravate qui allora!” esclamò il ragazzo. Silver si voltò, vedendolo arrivare; osservò come il Ranger allargò le braccia e comprese immediatamente.
Lasciò scendere Gold, che lo fissò con sguardo stupito.
“Che diamine succede, adesso?” chiese quello.
Silver puntò col braccio Martino, mentre col volto girato dall’altra parte faceva uscire dalla sfera Honchkrow.
“Che fai?!” urlò Martino.
“Ci sono le spore!” urlò quell’altro.
“Ah, è vero!” annuì presto Gold.
Martino s’avvicinava velocemente intanto.
“Honchkrow, velocissimo! Devi andare ad usare Raffica dove c’è il corpo di Ottavio e di quell’Infernape!” ordinò il fulvo e, contemporaneamente, alzò il braccio.
Martino s’allungò velocemente ed afferrò entrambe le mani dei Deholders, sollevandoli da terra e producendo uno sforzo immane.
“Cazzo! Quanto pesate!” urlò tra i denti stretti il Ranger, mentre il battito d’ali dei Pokémon Pipistrello lo assordava.
Honchkrow, intanto, volava alla velocità di un missile verso l’uscita. E quando vi arrivò prese a sbattere le ali in maniera quasi compulsiva; alzò grandi quantità di polvere, calcinacci e solidi di fango, che si accumularono ai lati, sotto le pareti.
I Golbat seguirono subito dopo, volando spediti. Silver si voltò ed ebbe il tempo di far rientrare il suo Pokémon nella sfera, quindi guardò avanti: c’era la porta di cristallo della palestra.
“Silver! Vai!” urlò Gold, che ancora sentiva quello strano formicolio nelle gambe.
“Sì!” esclamò l’altro. Martino gli diede lo slancio e lui si gettò diretto sull’obbiettivo, infrangendo con un colpo da karateka il vetro, ruzzolando fuori.
Martino calcolò la distanza e rilasciò lo Styler, facendo in modo che i Golbat volassero liberi al di fuori della Palestra. Questi lasciarono la presa.
“Gold, attento!” esclamò il Ranger, lasciando la presa dal ragazzo che ancora stava trattenendo e calcolando l’atterraggio, che finì in modo perfetto.
La stessa cosa non si poté dire per Gold, che si ritrovò con la faccia nel terreno.
Sputò con disgusto, stufo di quella situazione. Cercò di non concentrarsi sul formicolio alle gambe, quindi alzò la testa e vide Marina, mentre dava ordini a dei Pokémon.
Si mise a sedere con calma, cercando di capire per bene ciò che stava succedendo.
Vide Vulpix, il Vulpix che avevano salvato sul Monte Pira, andare totalmente fuori combattimento, dopo l’attacco massivo di un Poliwhirl.
Poi vide Alice che le urlava di stare calma, e lei che annuiva e guardava un Gyarados gigante.
Sta combattendo, gli suggerì la sua mente.
E poi vide lo sguardo di Marina che tornò lascivo sul corpo esausto del piccolo Vulpix.
Lei non è un’Allenatrice, ma sta combattendo lo stesso.
“Gold!” urlò poi Silver, risvegliandolo.
“Sì...” fece, rimettendosi in piedi lentamente; il ciondolo che aveva al collo era uscito dalla maglietta, prendendo a penzolare davanti al suo naso. Trovò l’equilibrio e poi mosse leggeri passi, prima d’inciampare.
Marina si voltò improvvisamente vedendo Silver corrergli vicino, per sostenerlo.
Incurante di tutto, lasciò Alice da sola.
“Dove vai?!” esclamò sgomenta la Capopalestra.
La Ranger non si curò di nulla, vedendo soltanto Gold. “Che hai?!” gli urlò, prendendolo e liberando di fatto Silver. “Puoi andare” gli disse poi. “A lui ci penso io”.
Gold sorrise e vide brillare i suoi occhi nel buio di quel mattino.
“Stai bene?!” gli chiese poi, colma d’ansia.
“Sì, sto bene. Ho solo problemi a stare in piedi”.
“Che è successo?!” s’allarmò lei, abbassando lo sguardo verso il basso, cercando ferite o altro.
“Niente, non è il momento. Ora dobbiamo combattere!”.
“S-sì” fece lei, scuotendo la testa e fissando dritto.
Poi Gold scorse qualcosa che lo sconvolse, costringendolo a spalancare le auree iridi.
“Quello...”.
“Sì, Gold”.
“Quello lì...” tentennò il giovane, trattenendo il respiro.
“Quello è Kyogre” concluse lei, mentre la pioggia continuava a cadere su di loro, senza pietà.
Ed il resto?! Beh, oggi è fuori Hoenn's Crysis, il capitolo trentasette!
Ma che succederà dopo HC? Beh, gente, quest'estate sarà parecchio piena! Assieme a Litgin si sta scrivendo una storia che vedrà coinvolto ognuno di voi lettori... Ma lasciamo perdere adesso. Rachel Aori ci delizierà con una short di pochi capitoli su di uno dei pairings più amati del Fandom, gli amanti di N e White ringrazieranno. In più un paio di storie collaborative con gli stessi Levyan e Cyber Witch e l'uscita d'un paio di one shot, di cui una molto particolare!
Courage s'è fatta praticamente in CINQUE!
Ah, e poi c'è questo... Black Lady... Ma ne parleremo tra qualche tempo...
In&Out in Five Minutes
“Come stai, Marina?!” si fiondò Martino su di lei, prendendole il viso bagnato tra le mani e stringendolo. Gli occhi della Ranger erano spalancati.
“Sto bene, cazzo, ma quello è Kyogre! Non preoccuparti di me, adesso!” fece, con voce compressa. Si rimise in piedi, poiché era inginocchiata, e vide Alice immobile.
“Ragazzi... dannazione, cosa dobbiamo fare ora?” chiedeva, cercando di calcolare una strategia giusta, nel minor tempo possibile. Avrebbe voluto cominciare un’offensiva dall’alto, ma non avrebbe mai potuto lasciare Marina e Martino da soli. Certo, quest’ultimo aveva il suo Staraptor, ma dubitava che con su due persone avesse potuto creare minacce rapide dal cielo.
Avrebbe dovuto lasciare Marina per terra, Martino, ma vista la situazione era fuori luogo che lui facesse una cosa del genere. Per di più era sicura che il problema non se lo sarebbe minimamente posto.
La Capopalestra di Forestopoli alzò nuovamente lo sguardo, mentre il vento soffiava indietro i capelli bagnati dalla pioggia della donna.
E poi vedeva il muso di Kyogre, fuori dall’acqua, e le sue creste blu. I suoi occhi giallastri erano grandissimi, fissavano Ceneride con fermezza, puntando la Grotta dei Tempi.
Dove stava Adriano.
“Alice” tuonò una voce profonda. Pochi secondi dopo ed i tre si accorsero che, sulla testa di Kyogre, stava avanzando una figura; era abbastanza lontana e la pioggia lo celava meglio che potesse. “Mi aspettavo di vederti viva. In fondo hai un temperamento ed un senso della responsabilità encomiabile”.
L’uomo si fermò nel punto più alto della testa del leggendario Pokémon su cui stava in piedi, quindi incrociò le braccia.
“E tu chi diamine saresti?!” domandò quella, urlando.
“Io sono Igor; sono il capo del Team Idro”.
“Diavolo...” disse tra i denti quella. Si voltò in direzione di Martino, e poi allungò lo sguardo, verso la Palestra. “Martino...” disse lei, a bassa voce.
Quello alzò la testa ed ascoltò.
“Entra nella Palestra di Ceneride e corri a chiamare Gold e Silver. Qui avremo bisogno d’aiuto”.
“Subito” disse e poi lasciò sua sorella da sola, prima di avviarsi assieme a Pichu Ukulele in direzione dell’obiettivo.
Le parole di Alice furono infine rivolte verso Marina.
“Non preoccuparti di nulla. Ora devi semplicemente alzarti e stare vicina a me”.
Eseguì immediatamente, avvicinandosi a lei ancora grondante d’acqua sporca di sangue. I cappelli le erano totalmente schiacciati in testa e, senza rendersene conto, li ravvivò passandoci una mano attraverso.
“Che devo fare?” chiese poi.
“Ora, cara mia, io e te dovremmo difendere Ceneride. Almeno finché qualcuno non verrà ad aiutarci”. Il volto di Alice era marmoreo, teso al limite mentre, con gli occhi color pervinca fissava il volto di Igor. Pareva strano, come se avesse qualcosa dipinto sul volto.
Non ci pensò più di molto e tornò a guardare Marina. Sembrava scossa dal pensiero di doversi battere con tutte quelle persone, da sola, senza nemmeno Martino accanto.
“Che faremo? Attaccheremo dall’alto?” chiedeva la più giovane, vedendo il suo Staraptor fermo, in attesa di ordini.
Alice si voltò alle sue spalle, solo per pochi secondi, fissando la Grotta dei Tempi, e sospirando. Sbuffò poi, quindi tornò a guardare verso Kyogre.
“No, Marina. Ci sono centinaia di Reclute il cui unico scopo è quello di entrare nella culla ancestrale di Ceneride e sconfiggere Groudon; Adriano è lì dentro, e a queste bestie poco importerà se lì dentro troveranno i Magma oppure i nostri: li uccideranno in ogni caso. Rocco, Fiammetta e Crystal... Adriano... saranno in grande difficoltà se si trovassero schiacciati tra il Team Idro ed il Team Magma. E se si alleassero per levare da mezzo il terzo incomodo, ovvero noi, per poi vedersela tra di loro”.
Marina guardo per un attimo il volto statico di Alice, i suoi occhi lucidi ed i capelli bagnati che gocciolavano; nei suoi occhi c’era solo un’immagine, nella sua testa solo un pensiero. Le sue labbra si mossero inconsciamente a formare un nome:
...A D R I A N O...
Alice non avrebbe mai permesso che qualcuno gli facesse del male. Era l’affetto che provava nei suoi confronti, l’amore che nutriva il suo cuore d’aviatrice. Amava volare, ma toccare terra per lei significava andare da Adriano e stare con lui. Anche se c’avevano provato, anche se già sapeva che sarebbe stata male perché lui aveva da fare, e lei pure, e che si sarebbero visti poco, e che ogni occasione per litigare l’avrebbero colta come una sorsata d’acqua al centro del deserto.
No, poco importava, tutto ciò era solamente qualcosa di effimero e superficiale, e la Capopalestra se n’era resa conto: lei amava Adriano e non voleva perderlo.
Ed avrebbe lottato con tutta se stessa, costringendo gli avversari ad ammazzare il suo corpo già morto, più di una volta se necessario, pur di donare un solo secondo in più all’uomo del suo cuore, permettendogli di salvarsi.
“Non possiamo attaccarli dal cielo: combatteremmo contro pochi di loro, e molti avanzerebbero, arrivando alla grotta. Distruggerebbero quel che resta di Ceneride, mutilando l’importantissima identità di quest’isola. Per Hoenn, questo posto è importantissimo”.
“Quindi?” domandò una confusissima e bagnata Marina.
“Quindi rimarremo qui, io e te, a combattere contro di loro”.
“Ma che diamine dici?! Come faremo?! Cioè, tu hai dei Pokémon, ma io?! Quelli mi faranno a pezzi!” urlò la Ranger, puntando il dito contro le Reclute Idro e portando il volto vicino a quello dell’interlocutrice. “Noi abbiamo bisogno di Gold! Di Silver e Gold! Loro sanno gestire queste situazioni!”.
“È per questo che ho mandato Martino a recuperarli. Ma intanto dobbiamo avere fede su noi stesse. E poi anche tu hai dei Pokémon: hai Staraptor, e Vulpix. Senza contare quel Gyarados che abbiamo appena catturato”.
“Ma che diamine stai dicendo?! Quello è più esausto di me!”.
“I Pokémon si curano, ed io ho gli strumenti adatti per farlo. Ma tu devi assicurarmi che mi aiuterai” disse lei. “Ora, Ceneride è nelle nostre mani”.
Fu uno sguardo, quello che si scambiarono Alice e Marina, che le connesse in maniera profonda, collegando i propri animi per un momento. La Ranger comprese il sentimento di profonda inquietudine che provava la Capopalestra, la paura di non rivedere l’uomo che amava.
Si voltò, guardando la porta della Palestra di Ceneride, quindi abbassò gli occhi.
“Ti aiuterò. Questa è la sfera di Gyarados” fece, ponendola tra le mani della donna. Si mise davanti a lei, vedendo Staraptor alzarsi in volo.
Ascoltava la voce di Alice che, cercando nel suo piccolo strumentario, scorreva distrattamente tra Pozioni e Revitalizzanti. Non si voltò a guardare nemmeno quando sentì la Capopalestra aprì la sfera del Gyarados gigante, udendo i versi rabbiosi del leviatano; l’ombra del Pokémon s’espanse veloce sulla spiaggia di sassi dove si trovavano e fu ricoperta rapida dalla pioggia.
Non fece nulla che non fosse brandire la sfera di Vulpix e metterlo in gioco.
Il Pokémon vide davanti a sé una folta schiera di uomini dai pantaloni blu, stretti e dalle magliette a righe orizzontali. Bandane con un simbolo stilizzato, disegnato con ossa e simile ad un’alfa, coprivano i loro capi dalle intemperie.
Erano centinaia di teste, forse migliaia, non riusciva a scorgerle tutte; dietro di loro c’era Kyogre, che stava fermo, come una montagna che si ergeva dalle acque profonde di quel lago. Sulla sua testa Igor sembrava una virgola minuta, un’escrescenza inutile.
“Ecco” sentì poi Alice, che le aveva posto la mano sulla spalla destra. Marina si girò e la vide sorridente; la Capopalestra le consegnò la sfera del suo Gyarados, e la invitò con lo sguardo ad osservare la salute perfetta del suo Gyarados.
“Ottimo” fece la più giovane, con l’ansia che le spingeva tra stomaco e polmoni, come se qualcuno premesse dall’interno del suo sottile corpo.
“Dannazione, andiamo!” urlò lei. Staraptor non se lo fece ripetere, selvatico com’era non necessitava nemmeno di ordini. Sapeva che doveva abbattere l’obiettivo, e tanto gli bastava. Vulpix invece, cucciolo com’era, necessitava di ordini. Anche Gyarados, siccome era stato catturato.
“Non avere paura. Siamo più forti. Il sistema di reclutamento di questi Team non è così selezionatore come dovrebbe essere: chiunque si presenti diventa utile alla causa. Sono tanti numeri zero. Noi siamo due cento” le disse Alice, tirando fuori due sfere.
“Beh... facciamo io uno zero e tu un mille...” sussurrò, più a se stessa che all’altra, che non poté non sorridere.
“Lo facciamo per Adriano. E per Gold, che dici?”.
Marina si voltò veloce verso di quella, con gli occhi spalancati. Silenziosa, attese spiegazioni.
“Tu sei esattamente come me: non riusciamo a nascondere certe cose. Vai Swellow! Altaria!” urlò poi, tirando in campo i suoi due Pokémon.
La pioggia non li favoriva affatto, anzi, avevano le stesse difficoltà di Staraptor, ma essendo stati cresciuti ed allenati a Forestopoli, dove la pioggia non dava tregua alla popolazione degli alberi, avevano sviluppato una sorta di resistenza.
“Forza!” urlarono entrambe, non appena le prime quattro Reclute toccarono con i piedi la battigia sassosa.
“Dove diamine li trovo, adesso?” si chiedeva Martino. Aveva appena oltrepassato la soglia della Palestra ed un tanfo di rancido gli si gettò in faccia.
Tossì, lui, affondando i piedi in una pozza d’acqua e polvere. Pichu era sulla sua spalla e tutto sembrava pericolante.
“Devo fare presto” fece, vedendo il pavimento crollato, proprio ad una decina di passi davanti a lui. A destra vide le scale che servivano a collegare alla parte sotterranea della Palestra.
Doveva capire velocemente se per trovare Gold e Silver avesse dovuto scendere al piano di sotto oppure continuare per quel corridoio disastrato.
Guardò Pichu per un momento, e l’impronta di Silver che si avviava verso i sotterranei lo convinse a seguire quella via.
Scese le scale velocemente, immergendosi nel buio più che totale; qualche secondo dopo, ad immergersi furono le sue caviglie. Urlò un porca puttana nella sua testa, per paura di destare qualche minaccia dal suo riposo, quindi trascinò i piedi in quell’acqua nera che, mano a mano che avanzava, sembrava unirsi al soffitto in un’unica cappa buia, assalente ed asfissiante.
Mano a mano che Martino avanzava il livello dell’acqua saliva e raggiungeva i polpacci. L’acqua era fredda, ed in alcuni punti toccava qualcosa con le gambe che gli faceva drizzare i peli sul collo.
Si sentiva inquieto, voleva scappare da lì.
Nel buio ci poteva essere tutto: mostri inimmaginabili, Pokémon sconosciuti, volanti oppure acquatici; ci poteva essere uno dei Magma, un assassino.
Probabilmente quello l’avrebbe riconosciuto e colpito, fatto affogare in quell’acqua tanto nera e torbida.
Teneva gli occhi più aperti che poteva, acuì l’udito, ascoltando dei mormorii distanti ed irregolari, che non riusciva a ricollocare sottoforma di frasi sensate.
Fece un altro, ultimo passo, prima di fermarsi completamente, in attesa che qualcosa succedesse: dopo quel passo, infatti, Martino non vide più nulla. Si voltò, distante c’era la scala con cui era sceso lì giù, illuminata male da qualche neon superstite.
“Pichu... ci sei ancora?” domandò il ragazzo, sentendo il Pokémon muoversi lentamente sulla sua spalla. Squittì, attestando la sua presenza.
Analizzò rapidamente la situazione. Tornare indietro non era logico, dato che era già a metà percorso. E poi aveva visto quelle orme dall’ingresso scendere lì sotto, ed anche sulle scale. Il problema era quell’acqua nera, che nascondeva qualcosa che nessuno sapeva.
E poi vide un buco nel solaio ad una decina di metri in avanti, che riempiva di luce quella zona.
Decise che fosse saggio raggiungerla, magari muovere quelle acque sporche, per cercare un elemento da poter utilizzare come arma.
Magari qualche Pokémon, da poter catturare con lo Styler.
Avanzò ancora, pensando che avrebbe potuto far usare una mossa elettrica a Pichu Ukulele, in modo da illuminare per qualche istante il lungo corridoio che stava percorrendo e capire il da farsi.
Tuttavia era immerso nell’acqua fino alle ginocchia, una mossa elettrica probabilmente lo avrebbe fatto passare a miglior vita, in quel contesto.
No, doveva proseguire al buio, almeno fino a quel buco nel solaio.
“Dannazione...” sussurrò, tra i denti stretti. “Quel cazzo di Gold, con le sue manie di protagonismo. Proprio in questo buco ignobile si doveva andare a buttare? E Silver, poi, subito a seguirlo. Raimondo lo diceva sempre: gli Allenatori sono una brutta razza; tutti impettiti, le medaglie, le catture, i Pokémon da sconfiggere... E poi nascono il Team Idro ed Il Team Magma che vogliono distruggere tutto. Non sarebbe meglio per queste persone trovare un lavoro normale, mangiare, dormire e scopare in santa pace?! No! Devono rovinare la vita a quest’individuo qui!” esclamò in quella sorta di sfogo, puntando gli indici verso il suo volto indaffarato.
“Gold!” urlò poi, poco prima di raggiungere la parte d’acqua illuminata dal piano di sopra.
Si guardò i piedi, o quantomeno ci provò, non riuscendo a penetrare nelle torbide acque che gli abbracciavano le gambe.
Guardò per un attimo il volto di Pichu sulla sua spalla, contrito e concentrato.
“Tranquillo, tra poco andremo via da qui... Li troveremo ed usciremo fuori”.
Il fatto che bestie come Groudon e Kyogre fossero libere di distruggere tutto non facevano altro che aumentare l’ansia del ragazzo.
Bastava un sospiro di quei due Pokémon e quella Palestra, già mezza sfasciata dai terremoti, sarebbe stata distrutta.
Avanzò ancora, e l’acqua continuava a salire di livello, arrivando al bacino. Si muoveva ormai con difficoltà, cercando di proseguire quanto più velocemente possibile. Toccò qualcosa nell’acqua; qualcosa di pesante ed immobile.
Spalancò gli occhi ed allungò la mano fin dove poté; brancolava letteralmente nel buio, quando, con stupore e paura, toccò quella cosa: era una testa.
“Ca...” inspirò profondamente, scioccato. “...zzo” affannò poi. Il cuore batteva nel petto, forte, la mano tremava nel carezzare i capelli bagnati su quella nuca. Scese con la mano, disteso galleggiava l’intero cadavere di qualcuno.
Poteva essere Gold. O Silver. E se fosse stato Gold, sua sorella sarebbe morta per la seconda volta nella sua vita.
Riportò la mano sulla nuca che sentiva, carezzando quei capelli ed attestando con profondo terrore che fossero corti. E a meno che Silver non fosse capitato sotto le mani di un barbiere nell’ultima ventina di minuti, quello poteva essere soltanto Gold.
Cercò a tentoni la mano di quell’individuo che individuo più non era, la trovò e poi si gettò con foga indietro, verso quella torcia involontaria che partiva dal solaio.
Vi arrivò qualche secondo dopo, con sforzi immani e lamentosi, trascinandosi dietro quel corpo galleggiante che dopo pochi metri s’inabissò, per poi riaffiorare nuovamente.
Giunse dove voleva, Martino, sembrava che sul palcoscenico l’unica luce puntasse su di lui, quindi lo afferrò per i capelli, che già vedeva essere neri, e voltò il capo di quello, per guardarlo in faccia.
“E questo chi cazzo è?!” esclamò, impanicato.
Non lo conosceva, Wilbur Jones si chiamava ed era uno degli apprendisti che si allenava nella Palestra di Ceneride. Rigettò sollevato il corpo nelle acque nere e portò le mani ai fianchi.
“Gold!” urlò. “Gold!”.
Si sentì chiamare, quello dagli occhi dorati. Portò lo sguardo stanco verso il compagno e si fermò.
“Era Martino?” domandò poi.
“Non ho sentito niente” rispose Silver, continuando a camminare. Gold gli era poggiato addosso, facendo forza sulla spalla del fulvo per camminare. Lo scontro con Ottavio lo aveva letteralmente indebolito, e per quei pochi secondi che il suo cervello era rimasto senza ossigeno, mentre il malvagio gli stringeva quelle due enormi mani al collo risultarono bastevoli a fargli necessitare un minimo d’assistenza, almeno per quei primi minuti.
“No, ti assicuro, era Martino. L’ho sentito con le mie orecchie”.
Silver sbuffò. “Due minuti fa stavi morendo ed ora senti le voci. Non mi sorprende che tu senta qualcuno che ti chiami. Sarà Arceus, o qualche arcangelo”.
“Non è il momento di fare i simpatici. Anche perché non ci riesci. Ho sentito realmente qualcuno che mi chiamava!”.
“Non può essere Martino! Lui è fuori a monitorare la situazione!”.
“Ma...”
E poi un violento terremoto, che i ragazzi non sapevano essere stato provocato da Groudon nella Grotta dei Tempi, scosse ulteriormente le fondamenta.
“Che succede?!” esclamò Gold, ridestatosi improvvisamente e dritto sulle sue gambe.
“Un terremoto!” esclamò Silver, spingendo il ragazzo sotto le pareti e pressandolo, cercando di diminuire il proprio volume.
Gold spalancò gli occhi, quelli di Silver erano chiusi ed i denti stretti e quando il terremoto finì, il moro spinse l’altro.
“Che cavolo stai facendo?! Staccati da dosso. Crystal è da sola!” esclamò poi, d’improvviso, quello.
“Già. Ma se la caverà. Lei è parecchio in gamba” rispose il fulvo, staccando il petto da quello del ragazzo.
Gold barcollò, avanzando qualche passo verso l’uscita; erano passi cauti, sapeva che sarebbe sopraggiunta una scossa d’assestamento. Sapeva anche che erano proprio quelle che spesso causavano il crollo degli edifici.
“Non permetterti più di buttarti addosso a me in questo modo. Non mi piaci in quel senso”.
“Stai tranquillo” sospirò Silver. “Il sentimento è reciproco. Volevo soltanto salvarti. Di nuovo”.
“Ora per qualche intervento sul gong ti senti Superman...” sbuffò Gold.
Poi la scossa d’assestamento li costrinse nuovamente a gettarsi contro il muro.
“Cazzo, come odio i terremoti. Appena trovo Groudon lo prendo a calci in bocca!” urlò iracondo il moro, vedendo poi il soffitto alla fine del corridoio crollare.
“Cavolo!” esclamò Silver, facendo un passo in avanti. Polvere di cemento si alzò nella confusione e poi un rombo assai sinistro fu seguito dallo schianto di qualcosa all’interno della grossa piscina d’acqua che si trovava nei sotterranei.
“È il pavimento! Sta crollando il pavimento!” urlò ancora il rosso, prendendo a correre, tirando per il braccio un malmesso Gold.
Fecero quattro, cinque passi stentati, poi videro un’enorme crepa aprirsi nel pavimento. Partiva da lontano ma si dirigeva velocemente verso di loro.
“Qui cade tutto! Dobbiamo andare via!” fece Silver.
“Gambe di merda! Funzionate!” urlava l’altro, lasciando improvvisamente la presa dal ragazzo che lo sosteneva e facendo dei passi in equilibrio precario, prima di cadere.
“Testa di cazzo!” urlò Silver, afferrandolo per le spalle e sollevandolo. Lo caricò sulle spalle e fece per correre, ma la crepa avanzava con grande velocità e lui era troppo lento.
“Porco... Qui crolla tutto!” esclamò Martino, facendo un paio di passi indietro. La foga e la paura lo travolsero, investendolo immediatamente. Vide la luce che mano a mano avvolgeva tutto, ed i calcinacci che cadevano dal solaio affondavano nell’acqua nera e possessiva, che tutto prendeva e che manteneva strette le gambe del Ranger, rendendo difficoltoso ogni suo passo.
E poi sentì qualcuno inveire sui terremoti, al piano di sopra.
“Gold!” esclamò, spalancando gli occhi color nocciola, che riflessero la poca luce che prendeva ad aumentare.
Urla di diversi Zubat e Golbat si levarono nel corridoio disastrato, dopodiché i Pokémon stessi si manifestarono, prendendo a volare nelle direzioni più disparate.
Martino agì d’istinto: prese lo Styler ed acquisì velocemente un paio di Golbat.
“Prendetemi e voliamo sopra! Dobbiamo salvare Gold e Silver!” gli ordinò. I Golbat afferrarono con le zampe il Ranger, che vi si aggrappò famelico. Pichu si mantenne alla sciarpa rossa del ragazzo, che vide i due Golbat attraversare la grossa breccia nel soffitto.
Martino strinse gli occhi durante il passaggio dal sotterraneo al pian terreno, finendo anche per urtare contro un pezzo di pavimento, spaccandolo e destabilizzando il volo dei Pokémon, che però si rimisero in rotta lentamente.
Le gambe del ragazzo ciondolarono per poco a destra e sinistra, poi le ritirò, per diminuire l’attrito ed aumentare la velocità. Pochi passi dopo vide Silver che correva, con Gold sulle spalle.
“Cavoli, eravate qui allora!” esclamò il ragazzo. Silver si voltò, vedendolo arrivare; osservò come il Ranger allargò le braccia e comprese immediatamente.
Lasciò scendere Gold, che lo fissò con sguardo stupito.
“Che diamine succede, adesso?” chiese quello.
Silver puntò col braccio Martino, mentre col volto girato dall’altra parte faceva uscire dalla sfera Honchkrow.
“Che fai?!” urlò Martino.
“Ci sono le spore!” urlò quell’altro.
“Ah, è vero!” annuì presto Gold.
Martino s’avvicinava velocemente intanto.
“Honchkrow, velocissimo! Devi andare ad usare Raffica dove c’è il corpo di Ottavio e di quell’Infernape!” ordinò il fulvo e, contemporaneamente, alzò il braccio.
Martino s’allungò velocemente ed afferrò entrambe le mani dei Deholders, sollevandoli da terra e producendo uno sforzo immane.
“Cazzo! Quanto pesate!” urlò tra i denti stretti il Ranger, mentre il battito d’ali dei Pokémon Pipistrello lo assordava.
Honchkrow, intanto, volava alla velocità di un missile verso l’uscita. E quando vi arrivò prese a sbattere le ali in maniera quasi compulsiva; alzò grandi quantità di polvere, calcinacci e solidi di fango, che si accumularono ai lati, sotto le pareti.
I Golbat seguirono subito dopo, volando spediti. Silver si voltò ed ebbe il tempo di far rientrare il suo Pokémon nella sfera, quindi guardò avanti: c’era la porta di cristallo della palestra.
“Silver! Vai!” urlò Gold, che ancora sentiva quello strano formicolio nelle gambe.
“Sì!” esclamò l’altro. Martino gli diede lo slancio e lui si gettò diretto sull’obbiettivo, infrangendo con un colpo da karateka il vetro, ruzzolando fuori.
Martino calcolò la distanza e rilasciò lo Styler, facendo in modo che i Golbat volassero liberi al di fuori della Palestra. Questi lasciarono la presa.
“Gold, attento!” esclamò il Ranger, lasciando la presa dal ragazzo che ancora stava trattenendo e calcolando l’atterraggio, che finì in modo perfetto.
La stessa cosa non si poté dire per Gold, che si ritrovò con la faccia nel terreno.
Sputò con disgusto, stufo di quella situazione. Cercò di non concentrarsi sul formicolio alle gambe, quindi alzò la testa e vide Marina, mentre dava ordini a dei Pokémon.
Si mise a sedere con calma, cercando di capire per bene ciò che stava succedendo.
Vide Vulpix, il Vulpix che avevano salvato sul Monte Pira, andare totalmente fuori combattimento, dopo l’attacco massivo di un Poliwhirl.
Poi vide Alice che le urlava di stare calma, e lei che annuiva e guardava un Gyarados gigante.
Sta combattendo, gli suggerì la sua mente.
E poi vide lo sguardo di Marina che tornò lascivo sul corpo esausto del piccolo Vulpix.
Lei non è un’Allenatrice, ma sta combattendo lo stesso.
“Gold!” urlò poi Silver, risvegliandolo.
“Sì...” fece, rimettendosi in piedi lentamente; il ciondolo che aveva al collo era uscito dalla maglietta, prendendo a penzolare davanti al suo naso. Trovò l’equilibrio e poi mosse leggeri passi, prima d’inciampare.
Marina si voltò improvvisamente vedendo Silver corrergli vicino, per sostenerlo.
Incurante di tutto, lasciò Alice da sola.
“Dove vai?!” esclamò sgomenta la Capopalestra.
La Ranger non si curò di nulla, vedendo soltanto Gold. “Che hai?!” gli urlò, prendendolo e liberando di fatto Silver. “Puoi andare” gli disse poi. “A lui ci penso io”.
Gold sorrise e vide brillare i suoi occhi nel buio di quel mattino.
“Stai bene?!” gli chiese poi, colma d’ansia.
“Sì, sto bene. Ho solo problemi a stare in piedi”.
“Che è successo?!” s’allarmò lei, abbassando lo sguardo verso il basso, cercando ferite o altro.
“Niente, non è il momento. Ora dobbiamo combattere!”.
“S-sì” fece lei, scuotendo la testa e fissando dritto.
Poi Gold scorse qualcosa che lo sconvolse, costringendolo a spalancare le auree iridi.
“Quello...”.
“Sì, Gold”.
“Quello lì...” tentennò il giovane, trattenendo il respiro.
“Quello è Kyogre” concluse lei, mentre la pioggia continuava a cadere su di loro, senza pietà.
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