Il macellaio
Slurpuff non parlava. Raramente si muoveva. Slurpuff era rinchiuso da tempo in quella casa, quella con il tetto rosso e il porticato di legno.
Non era una vera casa, più che altro un negozio con dentro una stanza per dormire. Un pasticcere lo aveva salvato dalla pioggia, quando ancora era uno Swirlix, e la sua soffice pelliccia rosata era tutta un grande disastro appiccicaticcio.
Viveva da re, l’unica cosa che doveva fare era tenere sott’occhio i vari composti per i dolci, ma Slurpuff aveva imparato col tempo che gli bastava rimanere vicino ad essi affinché non perdessero la loro fragranza. La sola vicinanza del Pokémon ai dolci sembrava rendere questi ultimi ancora più buoni e appetibili.
L’uomo che lo ospitava non pretendeva molto da lui: gli bastava che i suoi dolci fossero apprezzati e tutto sarebbe andato bene.
Slurpuff, però, non era sempre così accondiscendente. C’erano periodi nei quali si rifiutava di uscire dal letto, dove la pigrizia la faceva da padrone e si nascondeva dagli occhi del pasticcere che, in fondo, pretendeva da lui solo l’essenziale.
Il problema di Slurpuff non era le pretese, nemmeno troppo alte, del proprietario del negozio. Il problema di Slurpuff era trovare un buon motivo per poterle soddisfare.
In fondo, se solo avesse voluto, sarebbe potuto vivere bene anche senza il pasticcere. Fu così che un giorno, non tanto diverso da quello in cui l’uomo lo aveva trovato, Slurpuff riuscì a prendere l’iniziativa.
Davvero divertente ciò che la procrastinazione può far fare a qualcuno: preferire la fuga ad una semplice mansione.
Slurpuff non fece molto, sgattaiolò fuori dalla stanza ancora prima che il sole sorgesse. Sapeva che l’uomo si svegliava ai primi albori del mattino, ma sperando di essere abbastanza silenzioso, sarebbe riuscito ad eludere il pasticcere.
Ci riuscì, nonostante i suoi passi goffi e ben lungi dall’essere silenziosi. Forse il pasticcere si era svegliato, forse era a conoscenza del suo piano per evadere. Eppure non aveva fatto niente. Slurpuff non seppe ben identificare cosa provasse nel pensare certe cose.
Gli faceva venire una strana sensazione allo stomaco, diversa da quella che provava quando il pasticcere lo sgridava. Era rabbiosa, piena di furia.
Non aveva mai sentito qualcosa di simile, eppure fomentò quel sentimento fino a quando, accecato dalla rabbia, non si ritrovò nel mezzo di una radura.
Era uscito dalla cittadina e il sole aveva appena iniziato a sorgere. Nel bosco non ci era mai stato, non perché gli fosse proibito andarci – o forse era zona vietata, sinceramente Slurpuff non aveva mai fatto caso a quello che l’uomo gli diceva – ma semplicemente perché era troppo distante dalla comodità del letto di casa.
Forse quello gli sarebbe mancato, ma era troppo arrabbiato – troppo vivo – per poter pensarci in quel momento.
Semplicemente spinto dal pensiero del pasticcere che aveva preferito lasciarlo andare, Slurpuff, si inoltrò ancora più a fondo nella radura.
Si sarebbe coricato sopra un masso, avrebbe chiuso gli occhi, e avrebbe aspettato che la morte arrivasse. Dormire aspettando la fine, quello gli sarebbe piaciuto.
Una cosa che non gli sarebbe piaciuta, invece, era la sensazione dei vermi che si avvicinavano al suo cadavere. La carne dolce e profumata del suo corpo sarebbe marcita, andata in putrefazione e gli animaletti necrofagi avrebbero fatto della sua salma la propria casa.
Il delicato profumo di zucchero filato sarebbe diventato nauseabondo, troppo dolce e poi, dopo qualche settimana, un tanfo che avrebbe impestato la radura.
Il suo sangue, denso come marmellata alle fragole, sarebbe fuoriuscito dai buchi che i vermi avrebbero creato per mangiargli le interiora.
Oh, Slurpuff si sarebbe mangiato da solo se solo avesse saputo quanto dolce fosse la sua consistenza. I suoi pensieri lugubri riguardanti la sua morte non lo sfiorarono più di tanto, sarebbe stato insensibile a ciò che sarebbe avvenuto al suo corpo, quindi non si preoccupò oltre.
Senza accorgersene, proprio nello stesso modo secondo il quale era entrato nel bosco, si trovò a salire delle scale scavate nella roccia. Il Pokémon non sapeva dire se queste fossero state create dalla natura o dall’uomo, tanto erano perfette, quanto amalgamate con il resto dell’ambiente.
Le salì goffamente, ritrovandosi poi sopra ad un altipiano ricoperto di cespugli scuri ed erba troppo alta affinché si potesse vedere oltre il proprio naso.
Sentì un fruscio fra le fronde di qualche albero, ma non si preoccupò più di tanto. Era troppo stanco per pensare alle conseguenze della sua fuga e gli unici pensieri che gli sfioravano la mente erano quelli riguardanti i vermi che sarebbero venuti a mangiarlo una volta deceduto.
Non pensava certamente che sarebbe successo davvero. Non pensava davvero alla sua morte, non lo sfiorava minimamente la paura di morire in quella foresta.
Perché non gli importava più di tanto, si sarebbe seduto sopra ad un masso e avrebbe aspettato che qualche Pokémon, attratto dalla sua dolce fragranza, si sarebbe avvicinato, per ucciderlo e mangiarlo.
Sperava solamente in una morte indolore.
O forse no. Forse non sperava in niente, era troppo accidioso anche solo per sperare di sopravvivere. La vita non faceva per lui: troppe cose da tenere sotto controllo, troppe emozioni e troppo tutto.
Slurpuff stava bene da solo, in silenzio, coricato sopra quel masso. Come morto.
Incredibile come un desiderio così radicato nell’inconscio di qualcuno possa avverarsi. Può capitare raramente, ma Slurpuff fu certo di sentire il suo fiato venir meno, la sua vista offuscarsi e le sue membra intorpidirsi, prima di chiudere gli occhi davanti ad un ghigno e due occhi arrossati.
Stava morendo dissanguato, sarebbe stato ancora cosciente per percepire il dolore. Eppure, nonostante fosse sicuro di star per morire divorato da qualcuno, si sentì trascinare verso un fosso.
Non provò a ribellarsi, sarebbe stato inutile perché non era abbastanza forte per porre resistenza a chiunque lo stesse trascinando via.
La vista si sfuocò e per un attimo, assaggiò quello che significava morire.
Quando si svegliò Spritzee era al suo fianco, fluttuando tranquillamente in mezzo ad ossa appese con viticci, barattoli di vetro sporchi e trovati chissà dove e sangue.
Tanto sangue, tante ossa, tanti barattoli pieni di interiora e occhi che lo osservavano. Sylveon era accucciato nell’angolo, mentre riposava gli arti. Era ancora sporco del suo sangue color fragola, quindi Slurpuff aveva supposto che fosse stato lui a trascinarlo fino in quella tana.
Florges era seduta graziosamente sopra un piccolo ceppo di betulla, con Klefki in grembo tutto tremolante. Il Pokémon Giardino era composto e altero, la sua chioma a tratti rossa e a tratti bianca.
Slurpuff riuscì ad alzarsi, solo per venir bloccato di nuovo a terra da una mano sconosciuta. Era Clefairy, gli occhi spiritati come se non avesse dormito abbastanza.
Con un debole fischio di Clefairy, Sylveon si svegliò e scrollando i residui di rosso dalla sua pelliccia irsuta si avvicinò.
Con i suoi nastri, ed il ghigno sempre presente, prese due barattoli, obbligando Spritzee a spostarsi con un brontolio di disapprovazione.
Sylveon si avvicinò, gli occhi arrossati e stanchi, pieni di rabbia ma anche di curiosità.
Klefki tremava e Florges restava stoica ad osservare la scena del Pokémon quadrupede che si avvicinava a Slurpuff. Lo sormontò con la sua stazza, e gli aprì a forza la bocca.
Ciò che assaggiò non gli piacque per niente: sapeva di ferro, di terra ed era viscido. Lui non era abituato a certi sapori così forti.
A lui piacevano i dolci.
Cercò di ribellarsi, cercò in tutti i modi di chiudere la mascella, ma ciò lo obbligava a deglutire.
Non capiva perché gli stessero facendo certe cose, ma mano a mano che ingoiava interiora e carne umana, e di Pokémon e di qualsiasi altro essere vivente, Slurpuff iniziava a capire.
Volevano corromperlo.
Corrompere la sua dolcezza, la sua morbidezza. Il suo sangue di fragola e il suo dolce profumo di zucchero filato.
E Slurpuff era troppo pigro affinché potesse opporre resistenza.
.:.Cyber-spazio.:.
Giuro che rispondo alle vostre recensioni, fatemi solo mettere a posto i pezzi della mia vita e poi arrivo. Lo giuro.
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