Avete presente
quando, mentre dormite, sentite quel forte freddo ai piedi e vi svegliate? Sì,
aprite gli occhi e vi accorgete con orrore che le coperte vi sono arrivate alle
caviglie?
Sì, quella
sensazione orribile che vi farà dormire male, perché avete sonno e non avete il
coraggio di interrompere la ricarica delle vostre batterie per i vostri piedi.
Meglio dormire
con le gambe tirate, dico io. Già, non mi alzerei mai prima dell’alba.
Mi fa terrore
ciò che c’è sotto il mio letto.
Sì, li sento,
quei rumori. Quei rumori sinistri mentre dormo, intendo.
Sento anche
quelle mani fredde e quegli occhi puntati addosso. Quelli mi svegliano, ma io
gli occhi non li apro, altrimenti capisce che sono sveglio.
E se sono
sveglio lui mi prende.
“Ma perché diamine sei triste adesso?!”.
“Non sono triste, Gold...”.
Yellow guardava l’orizzonte dal solito bar di Fiorpescopoli mentre il
tramonto le baciava il volto e donava un colorito alla sua pelle simile a quello
delle iridi del ragazzo che le faceva compagnia.
“Già, ed io sono John Wayne. Ed io, chiaramente, non sono John Wayne”.
Yellow sorrise debolmente. “Direi di no”.
“Ho capito!” esclamò quello, illuminandosi mentre il paesino cominciava a
popolarsi di bambini vestiti da mummie e sedicenti adolescenti fin troppo
svestite.
“Che avresti capito?”.
“Tu vuoi sentire una delle mie formidabili barzellette!”.
“Oh, no! Assolutamente no!”.
“Non fare la timida, so che sei il tipo di persona che non vuole chiedere
ma io sono un tuo amico e quindi riesco a capire ciò che intendi, nel più
profondo del tuo animo”.
Yellow sorrise ancora, muovendo la testa come per dire no. “Sei il solito
fanfarone...”.
“Allora, ci sono due uomini; uno chiede all’altro: come ti chiami? L’altro
risponde: Do-do-do-dominic”.
“Uhm, ok?”.
“E allora il primo fa: sei balbuziente? E quello: No, mio padre lo era. Ed
il tizio dell’anagrafe era un bastardo”. E poi esplose in una risata grassa e
sguaiata, che fece girare le altre persone sedute ai tavolini.
Yellow gli fece cenno con le mani di abbassare la voce, sbuffò sconfitta e
mise la fronte tra le mani. “Abbassa la voce, ci stanno sentendo tutti...”.
“Avanti! L’hai capita, no?! Il padre era balbuziente e...”.
Yellow non rideva.
“Oh, andiamo!” protestò il ragazzo, spintonandola con rude delicatezza.
“Questa è la migliore del mio repertorio. Non sarà un’altra volta quella testa
di carciofo di Red?”.
Yellow si liberò da quella maschera di dita e lo fissò negli occhi; si
limitò ad annuire silenziosa.
“Di nuovo?! Che altro ha fatto quel mitomane?!”.
“Mitomane?!” esclamò sorridente Yellow.
“Andiamo, rispondi!”.
“Andiamo, rispondi!”.
“È partito, è andato in viaggio”.
“Viaggio? E per dove?”.
“Unima. Partecipa ad un torneo molto importante”.
“E perché non l’hai accompagnato, scusa?”.
“Mi ha chiamato Valerio. Con ogni probabilità gireremo il sequel del...”.
Bastò un cenno di Gold, che annuì come per zittirla e non farla continuare.
“Non me lo ricordare. È stata la prima ed ultima volta che ho prestato il mio
volto ad una stupidaggine del genere... E non so perché, ti chiamino per queste
cose”.
Yellow fece spallucce.
“Sarà perché vogliono una bionda stupida...” ragionò lui, guardando il
cielo violaceo al di sopra della grande fascia giallastra. Seguivano un
segmento arancione sottile ed uno più forte e diffuso, rosso, più vicino al
sole.
“Hey!” esclamò lei, contrariata. Gold sorrise. “Odio questi stereotipi!”.
“Stavo scherzando, bionda, calmati.
E quindi parteciperai a questo secondo film?”.
“Mi permetterà d’occupare il tempo”.
“Non ti ci vedo proprio come attrice... non riesco...” incrociò le braccia
quello.
“Oh, beh, neppure io...”
Tornò a casa ed accese le luci. Dovevano essere sempre accese, quando c’era
il buio.
Yellow odiava il buio.
Già, perché era sola e troppe cose potevano nascondersi dove non avrebbe
potuto vederle.
Levò le ballerine, muovendo con sollievo le dita dei piedi e poggiando le
calde piante sulle mattonelle del pavimento, fredde, come normale che fosse in
quel periodo.
Era fine ottobre del resto, il periodo peggiore secondo lei. Non le piaceva
l’autunno.
No, lei era più tipo da estate. Red anche.
Gold pure.
C’era più luce, c’erano più rumori, le persone rimanevano fuori fino a
tardi.
Non che le piacesse fare l’alba, ma sentire che ci fosse sempre qualcuno,
nella piazza di Fiordoropoli, a meno di duecento metri da dove abitava lei, le
dava più sicurezza; c’era musica, chiacchiericcio. Vita.
Invece l’inverno portava il freddo, carnefice e padrone, spingeva le
persone nelle proprie case, a rimbambirsi davanti al televisore, lasciando
Fiordoropoli in quel silenzio tombale.
E lei nel silenzio già ci viveva.
Era strana la situazione, perché il silenzio la spaventava: era proprio nel
silenzio, che un rumore faceva più rumore. E quando, quella sera, affondò lo
sguardo sulla sua cena, filetti di sgombro e riso bollito (con aggiunta di
salsa di soia), quel sinistro cigolio la fece rabbrividire.
Rimase in ascolto, le Pokéball erano al piano di sopra e tutto ciò che
aveva erano le bacchette con cui stava mangiando.
Sospirò, non era niente di male, sicuramente: il vento che s’era alzato
aveva fatto muovere l’anta della finestra esterna. E poi non doveva aver paura
dei rumori.
Era tutto illuminato, tutto visibile. La cucina, lucida con le sue
mattonelle bianche e gli elementi in acciaio, riluceva.
Anche il salone era illuminato.
Ma quella maledetta finestra cigolò nuovamente, sbattendo contro le mura
esterne dell’abitazione.
Il cuore saltò un battito; perché mai farsi prendere da così tante paranoie?
Era in casa sua, con tutte le luci accese. E sul banco della cucina c’era un
grosso coltellaccio, di quelli senza seghettatura e con la lama ancora sporca
di succo di limone.
S’alzò, lei, mentre il cigolio si perpetuava in quei secondi infiniti in
cui la ragazza brandì il manico del coltello.
Lo strinse, sentiva ancora quel rumore. Le gambe stentavano a tenere la sua
esile figura in piedi, ma curiosità e voglia di pace collaborarono, facendole
muovere piccoli passi.
Il rumore svanì, ma la luce si spense.
Lei spalancò gli occhi, non riuscendo a trattenere un urlo.
“Cielo...”.
Ed il cigolio ricominciò, mentre il soffio del vento venne sostituito dallo
scroscio d’un tuono poderoso.
Yellow strinse il coltello più che poteva. Doveva raggiungere il contatore
e rialzare gli interruttori. Perché era stato sicuramente il temporale
imminente ad aver fatto saltare la corrente.
Mosse un passo molto stentato nel buio del corridoio breve tra la cucina ed
il salotto; la porta del bagno era aperta ed il rumore dello scarico, era
flebile.
Respirava a bocca aperta, con piccoli fiati, cercando di non fare troppo
rumore nel caso qualche minaccia la prendesse di mira: avrebbe dovuto sentire
tutto.
E tutto ciò che sentiva erano sinistri rumori che la sua mente aveva
catalogato come ordinari, come il continuo ticchettio dell’orologio, oppure
l’urlo del vento.
Ancora il cigolio, ancora la finestra che sbatteva, il suo cuore batteva
all’impazzata mentre la mano stringeva sempre più forte il coltello.
Odiava rendersi conto del fatto che se ci fosse stato Red lì, sarebbe stata
più tranquilla. Invece era sola e s’era ritrovata a combattere contro la sua
paura più grande: il buio.
Già, perché lei non aveva alcuna idea di dove si stesse andando a cacciare;
ringraziò soltanto che la sua casa non avesse alcun generatore di corrente
nello scantinato, perché abitava in un monolocale, e quindi il contatore era
accanto la porta d’ingresso.
Ma c’era di mezzo ancora tutto il salone; questo era leggermente più
illuminato: la luce della luna penetrava attraverso le fredde finestre, dove la
pioggia s’infrangeva con prepotenza, quasi nel tentativo disperato di sfondare
il vetro ed entrare dentro.
Fuggire da quel temporale.
Le ombre venivano proiettata lunghe, grottesche, lasciando deboli lingue
luminose davanti alle vetrate battute. Era davanti ad una di queste, quella a
sinistra, che l’inferriata esterna cigolava e sbatteva, in corrispondenza del
vento.
S’apriva e si chiudeva.
S’apriva.
La faccia d’un Noivern apparve durante un lampo, furiosa, vogliosa di
sangue, bramosa di vendetta.
La ragazza produsse un urlo fortissimo, lasciando cadere il coltello per
terra. Il cuore batteva con forza quasi omicida, voleva esplodere fuori da quel
petto, detonare in milioni di piccoli pezzi, lasciandola lì inerme, senza
forze.
Si sentiva male: nello stomaco presero a turbinare le sue paure più
profonde, le mani tremavano e la sua testa non comandava più le gambe.
Il Pokémon prese a battere con forza contro il vetro, un paio di volte,
prima che il vento facesse chiudere nuovamente le ante, quella volta entrambe,
e facesse scappare il Pokémon.
Lucida all’improvviso, sbatté gli occhi, poi li spalancò e corse verso la
porta, girando la chiave nella serratura per tre volte ed alzando la levetta
del salvavita, donando luce nuova alla sua casa.
Ansimava, come dopo due ore di corsa continua, e le gambe le tremavano.
Come dopo due ore di corsa continua.
Il suo respiro esplodeva nei polmoni, bruciava, e gli occhi erano rimasti
spalancati e fissi, proprio davanti a lei. Le mani s’aggrappavano al muro ed
avrebbero lasciato un alone nerastro sulle pareti imbiancate.
Come un fantasma, si mosse nel salotto illuminato e sorpassò l’enorme
coltellaccio per poi raggiungere il telefono.
Compose un numero, con ancora le mani che le tremavano ed attaccò il
ricevitore all’orecchio.
“È tornato!” esclamò, piangendo.
Esattamente sette minuti dopo Valerio era fuori casa di Yellow. C’erano
voluti un paio di minuti per permetterle d’alzarsi dalla sedia della cucina ed
aprire la porta, tremante com’era.
Non era riuscita immediatamente ad infilare la chiave nella serratura ma
quando il ragazzo entrò si trovò davanti una figura pallida e sbiadita, con gli
occhi gialli.
“Siediti e spiegami” fece quello, calmo. I capelli erano rimasti sempre gli
stessi, di quel particolare colorito blu, ben pettinati.
Aveva preso l’abitudine di cambiarsi d’abito, però: da quando era diventato
Ispettore indossava pantaloni marroni e scarpe laccate nere, come la giacca,
con camicia bianca.
Una volta seduti sul divano, Yellow cominciò a parlare.
“È a-andata vi-via la cor-r-rente e... e... e... Scusa!” cominciò a
piangere, ancora terrorizzata.
“Stai tranquilla... Ora è tutto a posto...”.
“È nato tutto come un film! Com’è possibile che adesso quel Noivern sia
tornato?!”.
Valerio fece spallucce ed affondò nei caldi e voluminosi cuscini del divano
della ragazza; ricordò quando s’era prestato per quella sorta di pacchianata
cinematografica, in cui, assieme a Yellow, aveva dovuto sbaragliare un Noivern
assassino.
“È un Pokémon molto aggressivo, probabilmente recitare non era ciò che
faceva meglio”.
“Ricordo che dovevamo fermarlo spesso, perché altrimenti avrebbe davvero
aggredito gli attori e la troupe...” disse la bionda, calmata.
“Dici che vuole vendicarsi?”
“Sì!” scattò quella, spalancando gli occhi. “Era lì, fuori dalla finestra,
ed ha provato a sfondarla ed entrare!”.
“Sei proprio sicura che fosse lui? Perché, insomma, potrebbe essere anche
un altro esemplare, non pensi?”.
Yellow fece segno di no, categoricamente.
“Non dimenticherei quegli occhi... mai lo farei...”.
“Non dimenticherei quegli occhi... mai lo farei...”.
“E allora c’è da catturare un Noivern impazzito” s’alzò quello, quando il
Pokégear suonò: qualcuno lo cercava.
Portò l’apparecchio all’orecchio e vide Yellow scrutare il suo volto.
Spalancò gli occhi, vide Yellow preoccuparsi per la sua espressione, annuì
senza dire una parola e poi concluse con: “Sto arrivando”.
“È stato assassinato Riku” disse a Yellow, voltandosi ed incamminandosi
verso la porta.
“È l’assistente del regista!” esclamò l’altra, spalancando gli occhi.
Quello annuì.
“Aspetta!” esclamò lei, alzandosi repentina e prendendogli il braccio.
“Dove vai?!”.
“Devo andare”.
Yellow fece cenno di no con la testa. “Non voglio rimanere qui da sola!”.
“Vai da Gold o da qualcun altro, ora c’è da fare”.
“Assolutamente no!” esclamò infine quella, alzandosi. “Verrò con te!”.
“Non puoi”.
“Fammi diventare una consulente esterna e parteciperò alle investigazioni. Se Noivern è tornato è sicuro che verrà anche da me!”.
“Fammi diventare una consulente esterna e parteciperò alle investigazioni. Se Noivern è tornato è sicuro che verrà anche da me!”.
Valerio rimase in silenzio, sempre voltato verso la porta, quindi abbassò
la testa.
“Non fare casino e vieni”.
“Vado a prendere le Pokéball”.
Raggiunsero la scena del crimine in meno di venti minuti. Avevano volato
sul Pidgeot di Valerio ed arrivarono subito ad Azalina, attraversando il mare.
Quella sera c’era parecchio vento ma la cittadina era coperta dalle pareti
montuose alle sue spalle, limitando il tutto a mugolii lontani ed indistinti.
Azalina era una città parecchio piccola, poco illuminata. La vicinanza al Bosco
di Lecci rendeva le persone parecchio paranoiche e, una volta che il sole
lasciava il cielo, cominciava il coprifuoco morale degli abitanti.
Raffaello era davanti al cadavere, inquieto. Il ragazzo, appena ventenne,
era diventato parecchio più alto. Sempre magrolino, i suoi capelli s’erano
allungati fin sulle spalle.
“Che succede?” domandò Valerio, saltando agilmente da Pidgeot ed aiutando
Yellow a fare altrettanto.
“Ero in Palestra” rispose l’altro, indicando l’edificio alle sue spalle.
“Ho sentito un urlo e dopo dieci secondi quest’uomo era qui, in questo stato...”.
Yellow salutò con un cenno l’uomo, cercando di rinviare quanto più poteva
l’incontro con il corpo esanime. Un puzzo di sangue rappreso e feci umane stava
impestando l’aria.
Guardò Valerio, lei, e non sembrava turbato; per lui era tutta normale
amministrazione.
L’Ispettore girò attorno al corpo, scattando una fotografia, quindi si
focalizzò sulla ferita.
“Non ha più il collo” vide. “Ed ha diversi fori d’entrata sul petto... e
sulla schiena...”.
“È stato sparato?”.
“Probabile. E dopo è stato decapitato brutalmente”.
“Ma manca un pezzo... un pezzo del corpo, santo cielo...” sbuffò Yellow,
cercando di tenere lontani gli occhi da quelli senza scintilla dell’uomo, ormai
riversato sul fianco in una gigantesca pozza di sangue.
“Raffaello, entra nella Palestra e non uscire per nessun motivo. Dopo un
agente verrà a registrare la tua deposizione” gli disse Valerio, prendendo il
Pokégear ed andando a fare una telefonata.
Yellow rimase con il cadavere; gli si avvicinò leggermente, fissandolo con
perizia.
Quattro profondi fori avevano bucato il torace dell’uomo, ed anche la schiena.
Avrebbe voluto chinarsi per vedere meglio la scena ma non era così curiosa e
stava cercando di limitare i conati.
E la testa, quella era la parte peggiore. Lontana circa un paio di metri,
Il sangue dell’uomo aveva intriso i capelli di rosso rubino, sporcando la nuca
frantumata; parti del cervello erano visibili, insanguinate.
Danzò attorno alla testa, notando che soltanto una palpebra era aperta, a
mostrare l’occhio spalancato dell’uomo. L’altra era infossata nell’orbita,
perché la pupilla mancava.
Un grosso taglio partiva da quell’occhio e dilaniava la guancia, fino alla
bocca, mostrando la gengiva e la dentatura giallastra.
Yellow non trattenne più i conati, s’allontanò velocemente di qualche passo
e vomitò, poggiata ad un albero.
Valerio le si avvicinò velocemente. “Hey! Stai bene?”.
Quella non gli rispose, sentiva solo la gola bruciare e gli occhi
lacrimare.
“Sta arrivando il team della scientifica, per analizzare il cadavere.
Noivern è stato qui”.
Quella si voltò, come se chiamata improvvisamente da qualcuno, con gli
occhi spalancati.
“Hai detto che era stato sparato!” urlò.
L’uomo le fece cenno d’abbassare la voce. “Non volevo far preoccupare
Raffaello... E comunque non ci sono bossoli di proiettile. Ci sono... otto...
otto fori...” fece, controllando nuovamente il corpo. “... e dovrebbero esserci
altrettanti bossoli per terra. Ed io non li vedo”.
“Quindi...” Yellow era ancora piegata, poggiata all’albero.
“Quindi è stato un Pokémon... E se tu hai visto Noivern, se l’hai visto
davvero...”.
“Certo che l’ho visto davvero!” scattò quella, gesticolando vistosamente.
“... allora è il primo indiziato. In questo posto non ci sono Pokémon in
grado di arrecare simili danni alle persone”.
Yellow corrucciò lo sguardo e si guardò attorno: poche case e luci spente,
meno di dieci lampioni a gas accesi per Azalina, una montagna che li sovrastava
alle spalle ed il Bosco di Lecci tutt’intorno a loro.
Noivern poteva essere ovunque.
“Beh, dovremmo cominciare con le investigazioni e...” Valerio fece per parlare,
quando un urlo li fece rabbrividire. Incrociarono lo sguardo e guardarono
l’ingresso del bosco: l’urlo, quel gigantesco urlo, proveniva proprio da lì.
Il sottobosco scricchiolava sotto i loro passi. Valerio camminava in
avanti, col cuore in gola ed una torcia tra le mani. Sentiva il fruscio tra gli
arbusti, vedeva le ombre muoversi velocemente, nascondersi nelle pieghe della
sua mente, indossando maschere spettrali, ululando al vento.
Lo stesso vento incanalato tra i tronchi morti e vivi di quel bosco
sinistro.
Yellow si strinse nella sua giacca, infossando la testa e celando le labbra
ed il mento nel colletto, a racimolare un po’ di calore.
“È... è qui?” domandò la ragazza.
“Non lo so. Ma abbiamo sentito urlare, devo vedere”.
“È tutto così sinistro, qui...” sospirò quella, con la mano su di una
Pokéball.
“Ti avevo detto di rimanere da Raffaello”.
“Assolutamente no! Potresti aver bisogno d’una mano!”.
Poi uno scricchiolio verso destra. Veniva dall’alto. I battiti di Yellow s’inspessirono,
le colpivano il petto e tradivano la sua paura. Cercò il braccio di Valerio,
trovandolo subito. Gli occhi spalancati cercavano d’inserirsi in quella trama
buia, finendo per perdersi in quel mare scuro e denso, senza via d’uscita.
Il respiro si frammentava mentre Valerio, che in quel momento aveva
deglutito un pugno di sabbia, portava con freddezza la lingua di luce in
corrispondenza del punto in cui aveva sentito quel rumore. La mano tremava,
tradendo il nervosismo che lo attanagliava.
Nulla.
S’avvicinarono a quel punto allora e
Yellow camminò proprio accanto a lui, seguendo ogni suoi passo, tastando il
terreno col piede e sentendolo rispondere tramite rametti ed aghi di pino
secchi e spezzati dall’incedere terrorizzato della ragazza.
“Cos’era?” chiese, respirando con la bocca e sentendo il cuore scavarsi un
tunnel nel petto.
“Non lo so, Yellow. Stai attenta...”.
Detto fatto, inciampò e cadde con le ginocchia in una pozzanghera; sentì lo
splash prodotto dalla caduta,
nell’acqua viscosa imbastardita dal fango del sottobosco.
Valerio s’era spaventato, aveva cercato di mantenerla ma senza riuscirci.
Puntò quindi la torcia verso di lei, per aiutarla a rialzarsi.
Ciò che sentì dopo furono soltanto le urla della ragazza.
Avete presente
quella sensazione strana che vi fa aprire gli occhi, di notte, quasi sempre,
tra le tre e le quattro del mattino?
Bene. Perché se
vi svegliate verso quell’ora è quasi sempre perché quella persona che c’è nel
vostro armadio vi sta guardando.
Yellow era sporca di sangue. Era inciampata in una gamba, messa lì,
solitaria, svuotata dal liquido ematico. Era diventata cibo per il bosco, per i
piccoli insetti che, lentamente, corrodevano la pelle, penetravano la carne e
ne bevevano il sangue.
Yellow era con le ginocchia in una pozza di sangue, schizzatole poi sul
volto, in bocca, nei capelli.
Aveva affondato le mani in quel rosso.
“Calmati!” esclamò Valerio, inorridito. Vedeva la ragazza iperventilare.
L’afferrò per le spalle e la sollevò per poi scuoterla. Vedeva i suoi occhi
pieni di lacrime sgorgate, cadute nere sulle guance, pendere poi dal profilo
sottile del suo ovale.
“Calmati!” ripeté lui, stringendola poi tra le sue braccia. Gli occhi della
ragazza rimanevano spalancati, le mani ritratte sotto il petto ed il respiro
rotto e discontinuo.
“Stai calma...” disse, mettendole una mano sulla testa, ormai chiazzata di
rosso.
Yellow gettò tutto fuori con un sospiro lungo e rigenerante, quindi vide
l’uomo puntare il fascio di luce verso l’arto. Pareva strappato dal corpo con
violenza, tranciato con sdegno e noncuranza per il dolore altrui.
“Dov’è il corpo?” fece Yellow, singhiozzando.
Valerio muoveva la luce velocemente, cercando con lo sguardo il corpo a cui
apparteneva quella gamba.
“Dove diamine s’è cacciato...” disse, guardandosi attorno, mentre Yellow
continuava a tremare. Analizzò la gamba e poi s’accorse d’una striscia di
sangue che ammaccava l’erba alta e s’addentrava verso una serie di alberi
secchi, in fila tasti d’un pianoforte.
Valerio s’addentrò nel bosco, seguito da una Yellow incerta. Lei lo vide
affondare i passi nell’erba secca mentre la puzza di sangue rappreso s’univa a
quella d’umido del sottobosco, costringendola nuovamente a trattenere i conati.
Dieci passi e trovarono il corpo, crocifisso sui rami d’un leccio, bruciato
parecchi anni prima per via d’un incendio; difatti tutt’intorno il terreno era
secco, annerito, ed i Pokémon del bosco stavano bene attenti ad avvicinarvisi.
Il corpo, orfano della gamba destra, era rimasto appeso sui rami appuntiti,
due dei quali trafiggevano i bicipiti dell’uomo, ancora cosciente; perdeva
sangue, quello, dal moncherino che aveva al posto della coscia.
Noivern era davanti a lui, tracciava una linea con l’unghia appuntita che
diventava rossa di sangue, proprio sulla guancia dell’uomo. Yellow spalancò gli
occhi, l’aveva riconosciuto: l’uomo era un cameraman.
Noivern affondò l’unghia nella guancia dell’uomo, scendendo e disegnando
una linea perfettamente parallela con quella della mandibola, scarnificandogli
di fatto la guancia e mostrando i denti, ormai pieni di sangue.
Yellow si vomitò sulle scarpe e Valerio continuò a guardare quello
spettacolo di macabra bellezza.
Mentre l’uomo urlava, ancora stranamente vivo, effettuò la stessa
asportazione della guancia sinistra, e poi salì, cavando via l’occhio.
Il sangue si riversò dall’orbita fin sulla lingua scoperta dell’uomo, che
urlava come un ossesso.
L’unghia dell’uomo entrò lentamente nella pupilla destra e la estrasse
lentamente. Dopo l’ultimo, forte urlo, l’uomo s’accasciò e perse le forze.
Noivern lanciò un grido sinistro, spingendo l’uomo contro il ramo che aveva alle spalle, che penetrò nel suo corpo e lo perforò, uscendo dallo stomaco.
Noivern lanciò un grido sinistro, spingendo l’uomo contro il ramo che aveva alle spalle, che penetrò nel suo corpo e lo perforò, uscendo dallo stomaco.
Il Pokémon non si limitò al volto, ma prese a martoriare anche il torace
dell’uomo, scarnificandolo e mostrando le fasce muscolari, mentre il poco
sangue rimasto in corpo defluiva fuori dalla ferita nello stomaco. Strappò a
morsi pettorali ed addominali, seguiti poi dagli intestini, che ricaddero con
un tonfo sinistro e viscido sul terreno bruciato.
Valerio guardava inorridito la scena mentre il Pokémon strappava polmoni e
cuori con voracità, lacerando con le unghie gli organi interni.
L’uomo era totalmente esanime, il sangue era sparso ovunque lì attorno ed
il corpo morto dondolava crocifisso sui rami, cullato dal vento.
Yellow si risollevò, con gli occhi in lacrime. Singhiozzò e vide il Pokémon
voltarsi verso di loro, allargando le ali e ruggendo.
“Cazzo, Yellow! Fuggi!” urlò Valerio, spingendola indietro; lei inciampò e
rimase con i fondelli tra i rametti secchi mentre vedeva il Pokémon avversario
avventarsi contro l’Ispettore.
Poi una voce stoppò tutto, anche Noivern.
“Fermati”.
Un uomo apparve alle spalle dell’uomo crocifisso, camminando lentamente.
Yellow si sorprese della calma dell’uomo, affondava i piedi nudi nel sangue, noncurante
delle spine dei rovi che gli tormentavano le piante. Indossava maglia e
pantalone nero e portava lunghi capelli corvini.
La pelle era candida e gli occhi chiarissimi, capaci di riflettere la luce
della luna anche se nascosta da nuvole dispettose.
Le labbra erano violacee e le mani erano sporche di sangue.
La sua bellezza era tanta quanto la sua macabrezza.
“Stai fermo” ripeté, e Noivern eseguì. L’uomo lo raggiunse, carezzandolo,
noncurante del sangue dell’uomo che ancora grondava dalle fauci del Pokémon.
Valerio prese la sfera di Pidgeot e s’avvicinò, lentamente. “Chi sei?”
domandò.
“Puoi chiamarmi Hulrog, e lui è Druid”.
Valerio tentennò. “Cosa diamine... cosa diamine sei?”.
Hulrog avanzò lentamente, portandosi ad un paio di metri dal Capopalestra
di Violapoli. “Sono soltanto una persona sola. Una persona che ha freddo, in
notti come questa. Una persona che si risveglia con la fame di ottenere. E
Druid m’aiuta”.
“Sei deviato!” urlò quello, con i battiti che acceleravano.
Hulrog sorrise. “Avanti... Vuoi dirmi che non hai mai voluto provare
l’ebbrezza di stringere tra le dita un cuore che ancora batte, spremere fuori
la vita che porta, sentire lentamente l’anima allontanarsi dal corpo...”
sorrideva quello, leccandosi le dita insanguinate.
Valerio era sconvolto. “No! E tu sei un folle! Devi venire con me!”.
Hulrog sorrise nuovamente e portò le mani ai fianchi. “Non posso. C’è
ancora tanto da fare, questa notte è magica ed io devo approfittare di tutto
questo...”.
“Di che stai parlando?”.
Hulrog annuì, mantenendo sempre vivo il sorriso insanguinato che indossava
sul volto. Sporse la testa oltre la figura di Valerio e sorrise. “E quella
bella bionda?”.
“Lasciala stare?!” urlò lui.
A quelle parole il cuore di Yellow parve fermarsi. Una parte di lei avrebbe
voluto scappare ma un’altra, quella più responsabile, doveva rimanere accanto a
Valerio. Tuttavia, rimanere per terra, impaurita, accanto ad una pozza di
vomito, beh, quello era controproducente.
Le gambe però non si muovevano; era la paura a muovere tutto.
“Mi piace. La ucciderò per ultima”.
“Non la ucciderai, tu! Saremo noi a sconfiggere, te e quel Noivern
demoniaco!”.
“Chi? Druid? Lui fa soltanto ciò che gli dico. Quando l’avete sfruttato per
quel film è stato parecchio ferito... Pokémon come lui, con la sua fierezza e
forza, non dovrebbero essere reclusi in una sfera... Non dovrebbero fare gli
attori. Questo Pokémon è un assassino nato”.
“Ha ucciso due persone...”.
“Fino ad ora sì. E ne ucciderà altre”.
Valerio fece due passi indietro, guardando Yellow, ancora profondamente
terrorizzata ed immobile, per terra. Quando tornò a guardare in avanti il volto
di Hulrog era a meno di venti centimetri dal suo. Il suo dito affilato penetrò
la carne al di sotto del mento, da cui sgorgò una grande quantità di sangue.
“Lo senti?” domandò quello, imbevendo la mano nel rosso del corpo
dell’uomo. “Senti com’è caldo? Lo senti quest’odore di ciò che è vivo?”.
“Valerio!” urlò Yellow, ripresasi dallo choc. SI sollevò in piedi, vedendo
la mano dell’amico perdere le forze e lasciar cadere la sfera di Pidgeot.
“Lascialo stare!”.
“No. Dovrà capire anche lui la bellezza della morte. La poesia della vita
che se ne va, Yellow...”.
“Come sai il mio nome?” impallidì quella.
“Lo so, non è questo che importa...”. Hulrog squarciò il collo di Valerio,
che ricadde senza forze ai suoi piedi. Il tetro lo scavalcò e s’avvicinò
lentamente a quella. Yellow indietreggiò lentamente, terrorizzata e con le
lacrime agli occhi, quando urtò un albero con la schiena.
Spalle al muro, non poté più indietreggiare ed Hulrog le si parò davanti;
la mano era ancora grondante del sangue di Valerio e lei la vide poggiarsi
sulla sua gola, a tracciare una linea con lo stesso liquido rubino. Il dito,
come una penna, tracciò un’altra linea che comprese la giugulare, il mento e le
labbra della ragazza.
Yellow aveva il sangue di Valerio sulla bocca. Immobile, non riusciva più a
fuggire né a dire niente, rassegnatasi ai progetti dell’antagonista che la
vedeva come un semplice cadavere, sacco di pelle ed organi e sangue.
“E tu? Tu conosci la bellezza della morte?”.
La bionda rimase ferma, sentendo la lingua di quello sferzarle il collo, e
poi il mento; poggiò le labbra sulle sue e la baciò, riempiendola di un terrore
macabro e sinistro.
Leccò il sangue dalla sua bocca, Hulrog, e s’allontanò dal suo viso,
sorridente.
“Quell’uomo conoscerà il sapore del sangue altrui. Verrà con me, ed insieme
torneremo a prenderti, quando sarà il momento giusto”.
Fu così che Druid caricò il corpo sanguinolento di Valerio e si mise in
volo, mentre l’anima scura di Hulrog sparì, lasciandola sola nel bosco, davanti
ad un cadavere dilaniato ed una pozza di sangue.
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