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Lev - Il Pianto delle Stelle - 13 - Caduta

Capitolo 13 - Caduta

‒ Aspetta un momento ‒ sussurrò Xavier.
Il castano si mosse in direzione della sorella che giungeva a passo svelto fermando Cassandra.
‒ Dobbiamo parlare ‒ esclamò Celia prima che lui potesse aprire bocca.
‒ Dobbiamo parlare? ‒ chiese lui per conferma.
‒ Dobbiamo parlare.
‒ Puoi attendere un attimo…?
Celia scrutò appena oltre la sagoma del ragazzo intravedendo la Capopalestra.
‒ Va bene… ‒ confermò lievemente seccata.
Xavier la ringraziò sorridendo, quindi tornò dalla Capopalestra.
‒ Allora, che intendi fare con Antares? ‒ domandò a bruciapelo.
Lei scosse la testa. ‒ Penso che andrò a parlarci…
‒ Ottimo, ma prima non scordarti che mi devi una lotta
‒ Ah, e per cosa ti sarei debitrice scusa?
‒ Ti ho ascoltato tutto il tempo e neanche ci conosciamo.
‒ Oh… va bene signor ascoltatore, ti aspetto alla mia palestra così vediamo se sei così duro come sembri ‒ lo attizzò lei.
Xavier sollevò un sopracciglio. ‒ Più di quanto sembro…
Cassandra sorrise prima di voltarsi e prendere la sua strada ancheggiando. Xavier le fissò il culo per alcuni istanti prima di vederla girare l’angolo. Poi concesse la sua attenzione a Celia.
‒ Ehm… come si suol dire…? Che schifo? ‒ lo provocò la bionda.
‒ Oh dai, l’hai vista pure tu, no? È una bomba!
‒ Facciamo che io non ne faccio parola con Julie se tu prometti di non dire a Marcos che ho gettato via un bel po’ dei soldini che mi aveva dato per una medaglia? ‒ tentò di corromperlo lei.
‒ Cosa hai fatto?! ‒ esclamò lui mezzo furioso e mezzo stupito stritolando tra le mani il foglio con la ricevuta che aveva improvvisato Perseo prima di consegnare la medaglia a Celia.
‒ Dai, seriamente… pensaci un attimo ‒ lo prese in contropiede lei cercando di calmarlo.
Xavier le concesse un istante di pausa dalla furia.
‒ Allora, rifletti, noi dobbiamo arrivare alla Lega ‒ cominciò. ‒ e per farlo dobbiamo avere le medaglie ‒ proseguì. ‒ quindi tanto vale spenderli ora i soldi e magari più in là li riguadagniamo, no?
Xavier aveva tutte le carte in tavola per tirare un sospiro e lasciare il discorso con un “ok, sticazzi”, ma la cifra scritta a penna su quel foglietto tanto striminzito e fastidioso gli dicevano che quello che aveva combinato la ragazza era male. Ci mise un bel po’ di consapevolezza del fatto che fosse l’unico modo per ottenere tutte le medaglie e altrettanto buon senso per convincersi dell’ovvio.
‒ Va bene dai… alla fin fine avresti dovuto comunque spenderli quei soldi ‒ mormorò.
Celia annuì. ‒ Quindi intendi comprarne una anche per te?
‒ Non ora, non subito per lo meno…
L’argomento si chiuse in quel momento.
‒ Che si fa quindi ora? Intendi andare in palestra?
‒ Non subito, domani ci andrò…
‒ E quindi?
‒ Non so, facciamo che abbiamo una serata libera ‒ propose lui. ‒ Abbiamo il tempo di fare quello che ci pare…
Celia si focalizzò sulla cosa.  ‒ Sì dai, non male…
‒ Io controllo se c’è qualche festa in città ‒ annunciò Xavier allontanandosi e portando gli occhi al suo PokéNet.
‒ O-ok…

I muscoli di Kalut sapevano quanto contrarsi e quando distendersi, gli veniva tutto spontaneo ormai. Il ragazzo saltava da un tetto all’altro calpestando le tegole con gran facilità, senza sentire la stanchezza ad una prima impressione.
“Ok, continua così” sussurrò Xatu.
Kalu non sentiva gravare il peso del corpo sulle sue gambe quando atterrava, sapeva come muoversi e lentamente si rendeva conto che si stava muovendo come spinto da un istinto sconosciuto.
“Va bene, fermati” ordinò ad un certo punto il Pokémon.
Il ragazzo interruppe la sua corsa posando i piedi e non avanzando ulteriormente. Cadde a terra all’istante, respirando a fatica e non avvertendo nemmeno il distendersi dei muscoli sfuggevole alla sua volontà. Era distrutto, come se avesse recepito tutta la fatica in un solo istante dopo essersi fermato. Xatu osservava con un velo di cruccio mentre il ragazzo ansimava mezzo morente.


‒ Secondo te quanta gente ci sarà?
Celia, seduta sulla branda della camera che era stata il punto di riferimento di Xavier la notte precedente, aveva davanti il volantino di una festa in un locale del centro di Idresia.
‒ Non ne ho idea, ma sembra una roba importante, magari è pieno di gente ‒ rispose semplicemente il fratello che nel frattempo era impegnato a sistemarsi il colletto della camicia allo specchio.
Erano le ventuno circa, entrambi avevano riposato durante il pomeriggio per poi cenare alla buona e vestirsi decentemente per andare nel primo club che ospitasse una festa quella sera, città sconosciuta, posti sconosciuti, gente sconosciuta, importava poco quale sarebbe stato il club.
‒ Vabbè, vogliamo muoverci? Mezz’ora la impieghiamo per raggiungere… ‘sto posto ‒ propose Xavier.
‒ Vai, ti seguo
I due presero gli ultimi oggetti necessari lasciando nella cuccetta zaini, borse, Pokémon e altre strumentazioni e uscirono, Xavier si guardò bene dall’affidare la chiave alla reception del Centro Pokémon, decise invece di fare presente alla ragazza addetta a ricevere gli Allenatori che sarebbe tornato verso notte fonda. Si incamminarono.

‒ Xavier Levine, penso che sarai tu la prima cavia ‒ sussurrava il professor Willow seduto sulla poltrona davanti al suo monitor.
Sullo schermo del secondo pc si vedeva la figura in movimento del suo Allenatore dai capelli castani monitorato passo dopo passo dalle telecamere urbane di Idresia. Jason Willow picchiettava sulla scrivania con le dita a ritmo ascendente, il suono che si creava era ridondante e ossuto.
‒ I primi che devono diventare nostri alleati sono quelli che potrebbero essere i nostri più pericolosi nemici... ‒ La ripresa in tempo reale mostrò il ragazzo raggiungere un locale parecchio illuminato dal quale si dipanava lieve e soffocata dalle mura una musica insistente e sempre uguale. ‒ Sono sicuro che non rifiuterai di passare al livello successivo, numero 7…

Luci stroboscopiche, musica pompata nelle orecchie a tutto volume dalle casse e una massa di gente ammucchiata al centro della pista. Chi col drink in mano, chi con troppi drink in corpo, chi troppo preso dal dimenarsi a ritmo di musica per stare a contare il numero di drink ingeriti. A Celia non piaceva particolarmente quell’ambiente ma le sembrava figo, tutto sommato si stava divertendo, stava tra la folla muovendosi un po’ timidamente senza darsi troppo da fare per scansare i corpi che a lei si appiccicavano nel caos generale. In mezzo a personaggi sudaticci e poco controllati sembrava fuori posto, una ragazzina dai capelli chiari sul metro e sessanta con indosso un succinto tubino nero con le spalline sottili e dei tacchi abbastanza contenuti che comunque non miglioravano più di tanto la sua statura.
Un ragazzotto grosso con una camicia aperta sul petto villoso la fece quasi rotolare a terra colpendola per errore con la spalla mentre camminava facendosi strada tra la folla e tenendo per mano quella che presumibilmente era la sua ragazza, una alta e mora vestita di rosso. Celia finì contro un soggetto con una t-shirt leggera e una cascata di dreadlocks legati sopra la testa, il ragazzo non si scompose, le chiese scusa anche se era stata lei a colpirlo e si spostò lievemente. A Celia parve di conoscerlo, ma la confusione portò subito la sua attenzione altrove, doveva andare in bagno; la ragazzina con calma e senza sbrigarsi troppo raggiunse il bagno riservato alle donne, spostò il secondo tossico della serata dalla porta, evitò la toilette in cui si erano rinchiusi due piccioncini a discutere dei massimi sistemi e trovò il modo di incastrarsi nella seconda cabina.
Intanto, dall’altra parte del locale, Xavier seguiva i movimenti di una donzella dai capelli scuri che aveva adocchiato poco prima, la quale non aveva boicottato il tentativo di approccio del bel ragazzo dai capelli castani con indosso la stretta camicia nera che evidenziava la forma dei suoi pettorali. I due si erano avvicinati sempre più e muovendosi sempre a ritmo di musica finché lui non aveva fatto il primo passo offrendo a lei da bere, levatisi dal bancone poco dopo con la testa più leggera e il corpo più caldo, avevano ricominciato a ballare molto più connessi l’uno vicino all’altra. Probabilmente la ragazza stava aspettando la seconda carta da mettere in gioco del ragazzo, ma lui si era bloccato in un angolo. Xavier aveva sempre gradito l’attenzione del gentil sesso, faceva lo splendido senza problemi con Cassandra e con la prima ragazza con un balconcino degno di nota in discoteca ma il problema sorgeva al momento di passare oltre il dimostrare il proprio approccio vincente. Lui era burocraticamente impegnato con Julie.
Intanto Celia studiava la drink card con il numerino a tre cifre timbrato sulla carta unticcia, la studiava mentre le veniva resa dal barman dopo essere stata bucherellata, il Sex On The Beach comparve sopra al bancone davanti al suo sguardo mezzo sveglio mezzo no. Lei lo prese in mano, lo aveva ordinato solo perché aveva imitato il ragazzo che aveva richiesto da bere prima di lei e le era capitata la fortuna di capire le parole precise che componevano il nome del cocktail. Le sembrava succo di frutta con del ghiaccio dentro.
“Quattordici anni, quattordici anni, quattordici anni, quattordici anni…” le diceva la ragione. “Al diavolo!” Bevve.
Il discorso era differente per il castano che neanche al primo dei tre shottini gettati giù aveva avuto il rimorso.
‒ Dai, non vuoi divertirti un po’? ‒ chiese la ragazza indicando un luogo imprecisato a Xavier.
Lui aveva capito pressoché nulla delle sue parole, ma sorrise e annuì. Non era proprio lucidissimo.
‒ Vieni ‒ proseguì lei.
Il ragazzo comprese il messaggio solo grazie al gesto della mano di lei che lo invitava a seguirla. E lì tornò, come un chiodo estratto da un muro e ribattuto nello stesso buco, il dubbio atroce.
“Divanetti. Parliamo ma non capisco cosa dice. Mi tiene la mano sulla sua coscia, potrei macchiarle il vestito con il timbro, che stupido, mi sono fatto timbrare sotto il pollice. Oddio, sale un po’ più su. Si alza, camminiamo verso il bagno. Aspetta la sto portando io, merda…”
Cinque minuti dopo, il ragazzo era fuori dal locale con un occhio gonfio e una gran voglia di rompere qualcosa. L’erba aveva fatto dimenticare alla ragazza di essere fidanzata ma il pugno del suo ragazzo non lo aveva scordato mica.
‒ Vaffanculo… ‒ si sussurrò Xavier tenendosi del ghiaccio gentilmente offerto dal barman provvidenziale sul punto della colluttazione. Ma il minuto necessario per riprendersi almeno superficialmente, durò dodici secondi.
‒ Aspettate, dovrei avere qualcosa ‒ udì il castano riconoscendo bene la voce.
Ancora dolorante e un po’ rincitrullito dagli avvenimenti, Xavier si voltò. E non trovò affatto bella la scena di sua sorella che interagiva non proprio amichevolmente con due ragazzotti vestiti di nero e cercava dei soldi che non avrebbe trovato per pagare le bevute.
Il ragazzo decise di intervenire.
‒ Savi! ‒ esclamò lei scorgendo appena il fratello al di là del muro di carne dei due addetti. ‒ Non è che mi presteresti qualcosa? ‒ La voce rotta dall’ebbrezza, il tono frivolo e confuso e gli occhi storditi per l’alcool. Era ubriaca.
Xavier pagò il conto, il prezzo di due cocktail non esattamente adatti ad una quattordicenne.
‒ Dai, andiamo, Savi! ‒ strillò quella mezza seria mezza no.
‒ Stai calma, ora ti riporto al centro.
‒ No dai, volevo prendere solo un po’ d’aria, torniamo dentro! ‒ gridò quella opponendosi con modi infantili.
‒ Ma hai…! Bah, scordatelo! A dormire.
Il castano tirò un po’ la ragazzina per un braccio finché quella, prima decisa ad opporsi totalmente, cedette sotto il sonno accumulato e l’alcool a cui era poco abituata.
‒ Due cocktail ed eri KO, devi starci più attenta ‒ mormorò uno Xavier mezzo preoccupato per lei ad una Celia poco attenta alle parole del fratello e più addormentata che sveglia. La bionda lo seguiva praticamente trascinandosi con fatica e guardando a terra con le palpebre semichiuse.

‒ Perché stavo correndo tra i tetti?
“Kalut, eri completamente cosciente.”
Xatu era immobile di fronte al ragazzo che, scesa la sera, si era rintanato nella macchia vicina al paese. Seduto alla base del ramo di un alto albero, con vicini il Pokémon Magico e Venipede, scrutava silenzioso le luci dell’area urbana illuminare lo scuro scenario notturno.
‒ Xatu ‒ sussurrò il ragazzo.
“Stai sentendo freddo, non è vero?”
‒ Mi tremano le mani.
“E quello significa sentire freddo”
‒ Cosa posso fare per fermarle?
“Devi coprirti, devi stare al caldo”
Kalut soffiò ‒ ah, coprirmi.

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