Capitolo
19 –
Pigrizia
Xavier e
Cassandra si stavano
muovendo da una ventina di minuti, la mattina era giunta come una
vecchia
vicina che passa a chiedere lo zucchero e i due si erano alzati più o
meno alla
stessa ora. Colazione veloce con una brioche e un cappuccino per lei, un
caffè
al ginseng per lui, quindi via verso nuove entusiasmanti avventure.
Il castano
camminava guardandosi
le punte dei piedi e la Capopalestra lo seguiva giochicchiando con la
Poké Ball
che aveva in mano.
‒ Secondo te
quanto manca ancora?
‒ domandò lei.
‒ Non lo so ‒
rispose lui.
‒ Dai, più o
meno… ‒ ribatté lei.
E Xavier sapeva
di star sprecando
tempo, di avere a disposizione qualche momento felice di castissima e
purissima
convivenza con quella ragazza non poco attraente che camminava seguendo
i suoi
passi e di non starli sfruttando. Ma non aveva idea di che cosa causasse
ciò.
Forse la caffeina non era ancora entrata in circolo, forse aveva dormito
meno
di quanto pensasse, forse aveva camminato più di quanto credesse il
giorno prima,
fatto sta che il sentiero che percorreva gli sembrava esattamente uguale
a se
stesso e quei minuti di movimento gli erano parsi ore.
‒ ‘Spe… ‒ di
malavoglia il
castano accese il PokéNet, immediatamente lo schermo gli mostrò la
posizione
della sorella ferma immobile dall’altra parte della regione, lui non ci
fece
caso e spostò la focalizzazione del mappa digitale sul tratto che
avrebbe
dovuto percorrere per giungere ad Alyanopoli. La malinconia della terza
serie
di flessioni in una sessione piramidale lo prese. Vedeva tanta, troppa
strada
davanti a se e ai suoi poveri crociati doloranti, talmente tanta che non
inserì
neanche le coordinate del percorso per verificarne la durata e non diede
neanche un responso alla Cassandra impaziente quanto lui, si limitò ad
un
gemito inumano che doveva simulare un “tanto”.
‒ Senti, io oggi
non ho proprio
voglia di camminare tutto il giorno… e penso neanche tu… che ne dici se
ci
fermiamo e almeno per stamattina ce la prendiamo comoda? ‒ propose lei.
Xavier,
flemmatico, si voltò. ‒
Tu sì che mi capisci… ‒ sussurrò.
‒ Ci dovrebbe
essere un laghetto
qui vicino, controlla un po’ sul tuo orologio fotonico ‒ proseguì quella
con le
proposte allettanti ma col viso ancora martoriato dal sonno.
‒
Non tutti dormono di notte… ‒ commentò infastidito Kalut.
Su
consiglio del suo Pokémon accompagnatore, Xatu, si era adagiato ai
piedi di
un’alta quercia cercando di chiudere gli occhi. Eppure la cosa gli
riusciva fin
troppo difficile. Non sentiva il bisogno di riposare una volta calato
il sole,
ma quasi controvoglia aveva deciso di dare fiducia a una delle frasi
del
volatile che, come diceva sempre, conosceva gli umani da molto più
tempo di
lui.
‒
Non tutti dormono di notte… - ripeté.
“Kalut,
ci sono umani con abitudini differenti dagli altri, io ti ho solo
fatto sapere
la regola generale…” disse Xatu.
‒
Quindi sarei io ad avere abitudini differenti? ‒ chiese con lo stesso
tono il
ragazzo ancora avvolto a braccia conserte nel suo lenzuolo bianco
rubato e con
lo sguardo imbronciato fisso davanti a sé.
“Beh,
dalla media… sì.”
‒
E secondo te perché?
“Sta
a te capirlo, Kalut.”
‒
Sei cosciente del fatto che mi hai detto che sta a me capire
un’enormità di
cose e non ho neanche la più pallida idea di che cosa dovrei scoprire,
da che
cosa dovrei partire, che cosa ci faccio qui.
“Che
cosa ci fai qui? È una domanda che tutti si pongono almeno una volta.”
‒
Ah, bene… e per questo anche io…
“Kalut,
tu non sei come tutti gli altri, spero tu lo sappia…”
‒
Dovrei saperlo?
“Non
hai genitori, non sei nato… tu, Kalut, sei esistito.”
‒
Che cosa significa?
“Gli
esseri umani sono semplicemente animali molto evoluti, al contrario di
quello
che si convincono di essere… loro nascono, crescono, vivono finché non
trovano
qualcuno con cui condividere la propria esistenza, a quel punto
generano altri
esseri umani che cresceranno a loro volta mentre i loro genitori
moriranno…”
spiegò Xatu.
‒
E io invece…?
“Tu
non sei mai nato, ragazzo: un momento prima non c’eri, un momento dopo
c’eri.”
‒
Spiegami, significa che la mia non è una vita?
“No.”
Xatu
tacque per qualche istante.
“Vedi,
ci sono delle forze eterne a questo mondo che sembrano inarrestabili…
delle
forze superiori che tutti temono e che tutti venerano, forze che a
volte
l’uomo, come essere imperfetto, pensa anche di aver inventato e fa
finta di
dimenticare…” riprese solenne il Pokémon Magico. “Altre forze invece,
per
quanto presenti, sono destinate a morire… io sono una di queste forze
per
quanto potente e longevo, io un giorno conoscerò la mia fine.”
‒
E che cosa c’entra questo?
“Beh,
volevo spiegarti che tu, invece, sei un caso eccezionale… tu
semplicemente non
avrai termine, perché non hai avuto inizio.”
Kalut
rifletté sulle parole della saggia creatura. Chiuse gli occhi, tacque
e fece
finta di dormire per ingannare se stesso.
‒
Xatu, puoi farmi un favore? ‒ chiese Kalut.
Il
pennuto gli dette attenzione.
‒
Possiamo rimanere qui oggi? Non ho voglia di muovermi…
Celia era in
piedi, occhi
stravolti, capelli scompigliati e muscoli a pezzi. Ma rifaceva i suoi
bagagli
ricomponendo il suo sacco a pelo e il suo zaino.
“Perché ho
camminato così tanto
ieri, Avril?”
“Non lo so,
magari hai rotto il
fiato ed eri troppo pensierosa per renderti conto che non era il caso di
continuare a quel ritmo…soprattutto con i numerosissimi Pokémon
selvatici
inquieti che si trovavano in giro…”
“Non mi sono
neanche costretta, è
come se fossi caduta in un sonno in movimento e avessi continuato ad
andare
avanti alla cieca.”
“Controlla dove
siamo,
piuttosto.”
E in quel
momento la capacità
esclusiva femminile di pensare a due o più cose contemporaneamente
permise alla
ragazza di comporre con decenza un bagaglio da viaggiatrice con una mano
e di
controllare il PokéNet al suo polso con l’altra.
“Siamo quasi a
metà strada.”
“Perfetto.”
“Che ne dici,
prossimo Centro Pokémon
doccia e latte al cacao, così facciamo colazione?”
“Facciamoci del
male, ci sto.”
Il lieve
scrosciare di una
cascatella e il frinire delle cicale erano il sottofondo melodioso di
quel
panorama naturale. La distesa d’acqua così limpida da far intravedere
ogni
singola pietra sul fondo, pochi e quieti Goldeen nuotavano timidamente
vicino
al fondo mentre dei piccoli gruppi di Surskit pattinavano sul pelo
dell’acqua.
Un piccolo laghetto, con due torrenti, uno che lo riforniva di acqua
scendendo
dal monte e l’altro che lo svuotava allo stesso ritmo dalla parte
opposta.
‒ Che roba, eh?
‒ commentò
Cassandra.
‒ Cazzo,
bellissimo… ‒ approvò
Xavier.
‒ E dove li
trovi questi posti ad
Austropoli?
‒ Infatti…
I due si
appostarono, la ragazza
tirò fuori dal suo zaino un asciugamano in microfibra che ripiegato era
fin
troppo discreto mentre con le sue dimensioni avrebbe fatto
tranquillamente da
coperta per un letto singolo, lo stese ad un angolo dello specchio
d’acqua in perfetta
corrispondenza dei raggi di sole. Dolcemente si adagiò sul tessuto che
aveva
assunto le forme del manto erbaceo sottostante e sistemò gli occhiali da
sole.
‒ Non è più aria
da spiaggia,
sorella ‒ scherzò il castano.
‒ Beh, io direi
di goderci questo
sole finché ce l’abbiamo, e poi ti ricordo che è ancora estate, fratello
‒ lo
imitò sarcastica.
‒ Piuttosto,
ripetimi un po’ qual
è la tua meta ‒ azzardò lui.
‒ Prima vengo
con te ad
Alyanopoli, no?
‒ Mh-mh, ma
perché sei venuta con
me, qual è la tua reale destinazione? ‒ avanzò ulteriormente il ragazzo.
‒ Beh, penso che
andrò alla Lega
a parlare con Antares. Lo sai, quella problema di cui abbiamo discusso
l’altro
ieri… ‒ fece lei.
‒ Vuoi che venga
con te?
‒ No ‒ rispose
precipitosa. ‒ Non
occorre, non preoccuparti.
Il ragazzo annuì
e si sedette sui
fili d’erba.
‒ Secondo te
come sarà l’acqua? ‒
domandò ad un certo punto cambiando discorso.
Il bancone
liscio e pulito da
poco del bar del Centro Pokémon con i porta-bustine-di-zucchero e i
dispensatori di tovagliolini ricordavano alla bionda le stazioni di
servizio
che incontravano lungo l’autostrada quando lei, Xavier e Marcos
scappavano da
Austropoli per una gita del weekend. Il cappuccino e il croissant erano
stati
benzina per il suo corpo, pagò e lasciò a malincuore quell’oasi di calma
e
tranquillità.
‒ Controlliamo
un po’ dove si
trova il fratello…
La mappa del suo
PokéNet mostrava
un puntino sperduto in una zona anonima a metà strada tra Idresia e
Alyanopoli,
fermo. Incuriosita, Celia cliccò sul puntino e immediatamente comparve
davanti
a lei una finestra che descriveva la zona circostante.
Rimase stupita,
vide l’immagine
di un laghetto e accanto una scheda minuziosa e dettagliata nella quale
comparivano persino i riferimenti alle specie Pokémon che vi si potevano
trovare. Allietata da quella novella scoperta, riprese il passo con un
mezzo
sorriso in più.
Kalut
aveva finalmente chiuso gli occhi, Venipede riposava ancora quieto al
suo
fianco e qualche Fletchling cinguettava nella sua zona. Xatu apparve
accanto al
ragazzo addormentato con delle bacche tra le ali e un Growlithe al suo
seguito,
quest’ultimo aveva iniziato a seguirlo dopo averlo visto muoversi tra
le foglie
del suo albero preferito cogliendone i migliori frutti. Il Pokémon
Cagnolino fu
immediatamente catturato dalla presenza dell’umano a cui lo aveva
condotto il
pennuto e, come tipico della sua specie, si accovacciò appresso ad uno
dei
fianchi di Kalut, in primis per capire se questo fosse vivo captandone
il
calore e poi per condividere un po’ del suo calore con lui.
Con
un gemito il ragazzo dai capelli bianchi uscì dal perfetto equilibrio
del suo
sonno a causa del sopraggiungere di quell’essere accanto a lui.
“Shhh…”
lo chetò Xatu riconcedendogli la quiete e il sonno per mezzo dei suoi
poteri
psichici.
Il
Pokémon lo osservò per qualche istante riprendere una posizione comoda
e
tornare all’immobilità.
“Sciocco
come un umano…” commentò poi tra sé e sé. “Ha un potere enorme e non
se rende
neanche conto.”
Commenti
Posta un commento