Capitolo
26 – Domanda
Celia era fuori
dalla struttura
vitrea e traslucida che era la Palestra di Sirrah, si era appena alzata
dalla
sua panchina. Aveva una medaglia in più, tre Pokémon un po’ più sudati,
la gola
leggermente dolorante per le grida e la netta sensazione che qualcosa
non
andasse per il verso giusto.
‒ Celia, chi si
rivede! ‒ fece
una voce greve in lontananza.
La bionda si
voltò. E subito un
sorriso strano spuntò sul suo volto. Antares era comparso con la sua
cascata di
capelli scompigliati e un Absol dal pelo del colore della neve al
seguito.
‒ Antares ‒
salutò mezza convinta
la ragazza.
Il Campione
della Lega mise
amichevolmente la mano sulla spalla di lei senza smettere di muoversi, i
due
cominciarono a camminare nella stessa direzione.
‒ Allora, a che
punto sei con le
medaglie? ‒ chiese l’uomo.
‒ Attualmente
sono a quota tre,
diciamo che me la sto prendendo comoda… ‒ rise lei.
‒ Ah, ma è
giusto che sia così,
dai, devi anche divertirti e distrarti un po’.
Antares
condusse, senza aver mai
pianificato la cosa, la giovane ragazza fino alla sua auto. Celia
neanche se ne
accorse e tra una domanda e l’altra avevano già percorso un paio di
isolati.
‒ Che ne dici,
vuoi un altro strappo?
Magari posso accompagnarti io alla prossima città.
La bionda, che
aveva visto
comparire davanti a sé quel BMW nero cromato, non poté rifiutare.
‒ Però prima
vorrei portare i
miei Pokémon al Centro ‒ sottolineò.
‒ Fai con
comodo, io ho ancora un
paio di commissioni da fare qui attorno, ti passo a prendere
direttamente al
Centro.
I due si
separarono, Celia si
indirizzò verso il centro più vicino, lo raggiunse, quindi affidò le tre
Ball
dei suoi compagni che avevano combattuto in quella lotta all’infermiera.
In
quel momento, con la voce della anchor-woman del tg di sottofondo,
l’odore di
vaniglia del deodorante per ambienti e anche una certa pesantezza delle
palpebre, cominciò a riflettere sulla situazione:
“Avril, sono
alla terza medaglia
di Sidera, ho un fratello dall’altra parte della regione e un padre
adottivo
che mi aspetta a casa ed è ancora estate. La mia squadra è composta da
Pokémon
forti ma che dovrebbero risvegliare in qualche modo la loro voglia di
lavorare
e porto al polso uno strumento davvero molto figo e comodo che però
ancora non
esiste in commercio.”
“Cipolle,
crocchette e
fagiolini?”
“Che?”
“Ah, no scusa,
ah bene, vedo che
siamo messe più o meno allo stesso modo…”
“Scema.”
“Che devo dirti,
la situazione è
questa, perché elenchi cose che già conosco quando vorresti solo
chiedermi se
penso che Antares sia un pedofilo?”
“Vaffanculo.”
“Non puoi
attaccarmi il telefono
in faccia, sono la tua coscienza.”
“Non sei la mia
coscienza, è che
non si ha idee su come farmi comunicare con qualcuno!”
“Oh.”
“Inutile, dai,
almeno rispondi…”
“Essendo la voce
anche del tuo
subconscio, sì lo penso, sono paranoica per natura.”
“E poi un
Campione della Lega che
commissioni deve sbrigare a Porto Acquario?”
“Credo sia
arrivato…”
Celia si voltò,
effettivamente i
vetri oscurati dell’auto di Antares la scrutavano attraverso le porte
trasparenti del luogo di servizio.
“Cazzo, vetri
oscurati.”
“Non essere così
volgare…”
“Smettila, anche
tu hai paura.”
“Sicura?”
“No.”
“Paranoica…”
“Ah, già…”
“…”
“Dai, pensaci,
lui avrebbe potuto
approfittarsene più volte ma non l’ha mai fatto, secondo me fidarsi non
comporterebbe alcun rischio.”
“A posto.”
Avril tacque.
Celia riprese le
sfere e, uscita dal Centro, salì nella macchina con Antares che la
aspettava al
posto di guida per evitare che sostenitori accaniti lo rallentassero
assalendolo. Si adagiò sulla morbida pelle del sedile, il Campione le
sorrideva, al suo posto.
‒ Allora,
destinazione? ‒ chiese
lui.
‒ Oh, a dire il
vero non ci ho
ancora pensato, potrei passare ad Alyanpoli per poi salire verso nord,
andare
direttamente a Telescopia o tornare indietro per passare nelle città più
a sud
che ancora non ho visitato…
‒ Beh, se posso
darti un
consiglio, passare per prima cosa all’estremo nord, a Telescopia e poi
farsi un
unico grosso viaggio a ritroso verso Delfisia non è una cattiva idea.
‒ Mh, forse hai
ragione, vada per
Telescopia.
Antares mise in
moto, il dado di
peluche che teneva appeso allo specchietto sobbalzò a ritmo col motore.
I due
in auto uscirono dalla città e sotto la guida consapevole e sicura
dell’uomo
cominciarono il viaggio che poco non sarebbe durato.
‒ Il Capopalestra affronta gli sfidanti, questo è quello che hanno fatto
tutti i Capipalestra da sempre in ogni luogo del mondo e io devo
confrontarmi
con uno che sostiene che solamente il denaro può vincere la sua
medaglia! ‒
esclamò Xavier.
Il castano e il
moro di
Alyanopoli stavano discutendo da un po’, il Capopalestra aveva la sue
condizioni: la medaglia Gorgone aveva
un
prezzo, un prezzo che solo lui poteva stabilire.
‒ Cazzo, aiutami
Cassandra, tu
che conosci queste cose, è legale chiedere soldi in cambio di una
medaglia?
‒ Tecnicamente
nel regolamento
non si dice nulla a proposito, ma credo che con un po’ di pazienza si
riuscirebbe
a far diventare questa sua usanza assurda un reato di corruzione, un
buon
avvocato ci metterebbe due minuti esatti ‒ ripose lei mantenendo il suo
sguardo
da giaguaro furioso al ragazzo.
‒ Mi dispiace
davvero, ma la
decisione spetta a me e solamente a me in questo caso, e se vuoi la
medaglia
sganci, altrimenti… nulla ‒ ribadì con fare arrancante il Capopalestra.
‒ Senti, Xavier,
mi faresti il
favore di dirmi dove si trova la più vicina centrale di polizia? ‒
chiese
velenosa Celia.
‒ Certo ‒ e il
ragazzo controllò
la mappa sul PokéNet ‒ poco lontano da noi, al confine col quartiere
limitrofo.
‒ Hai sentito,
Perseo?
In quel momento
il volto del
ragazzo dal codino cambiò radicalmente, passò dall’impaurito al penoso,
immediatamente tirò fuori dalla giacca una delle sue medaglie e la
lanciò a
Xavier. Il castano la prese al volo non senza un velo di imbarazzo.
‒ Non chiederti
niente, non farmi
domande. Penso di aver cambiato idea… ‒ spiegò ben poco razionalmente il
Capopalestra.
Xavier non aprì
bocca, si limitò
a seguire la ragazza dagli occhi magnetici che lo invitava ad uscire da
quel
postaccio che era l’indecente palestra di Alyanopoli, con la medaglia
Gorgone a
forma di sfera violacea con un serpente attorcigliato e due piccole
protuberanze che ricordavano molto lontanamente delle ali. Poco prima
che
riprendesse la porta che conduceva fuori da quel luogo, incrociò lo
sguardo di
Perseo che, sedutosi alla sua scrivania aveva aperto Google sul suo PC.
Senza
volerlo, un poco destabilizzato dalla situazione, Xavier volle leggere
ciò che
il ragazzo aveva digitato sulla barra di ricerca; quando lo fece, capì
subito che
quelle tre parole quasi insignificanti erano dirette a lui:
“fatti
due domande”
Trasse un
sospiro.
‒ Sì. Sì, lo
farò ‒ disse sapendo
che Perseo lo stava ascoltando.
Quindi uscì
dalla stanza e chiuse
la porta.
‒ Quindi sei
riuscita a vincere
contro Sirrah? Mi fa piacere, quella donna è un’Allenatrice temibile ‒
commentò
Antares.
Lui e Celia
stavano cercando di
ammazzare il tempo parlando di argomenti che difatti interessavano
veramente
poco a ognuno di loro due, ma è così che funziona quando si vuole
evitare il
silenzio dell’imbarazzo.
‒ Aspetta un
momento ‒ fece la
ragazza. ‒ vorrei controllare dove si trova mio fratello, ora.
E detto ciò
accese il PokéNet e
consultò la mappa. Antares taceva intanto.
Il puntino che
indicava la
posizione di Xavier era fermo ad Alyanopoli, come Celia si aspettava.
‒ Potrei
incontrarlo tornando
verso sud, è una buona idea… ‒ commentò la ragazza.
‒ Dimmi, Celia,
ti trovi bene con
il PokéNet? ‒ chiese atono il Campione.
‒ Beh, devo dire
che è molto
utile, sicuramente dà parecchio una mano ‒ rispose.
‒ Bene, mi fa
piacere… ‒ e
Antares fallì clamorosamente nel nascondere quella smorfia di
disappunto, prima
ci era riuscito bene, ma la palla non va in buca una seconda volta.
Celia lo guardò
incuriosita.
‒ Che succede? ‒
domandò con un
filo di voce appena.
L’uomo scosse
leggermente la
testa ‒ niente, niente ‒ fece.
‒ Antares ‒ la
bionda divenne
serissima. ‒ Che succede?
‒ Come diavolo
hai fatto? ‒
chiese Xavier.
‒ Che cosa? ‒
non capì Cassandra.
‒ A convincerlo
con uno sguardo ‒
spiegò lui.
‒ A, beh,
segreti femminili?
Xavier rise. Ma
con contegno.
‒ Bah, evito
pure di chiedermele
certe cose… ‒ rinunciò.
Eppure, un velo
di sospetto, si
era infilato sottile sottile dietro la sua schiena e, umidiccio e
fastidioso,
gli aveva mandato un brivido di avvertimento.
‒ Allora, dove
si va a pranzare?
‒ Penso di aver
visto un
ristorantino niente male qua vicino… che ne dici?
‒ Paghi tu?
Quella domanda
lo stroncò lì per
lì, si ricordò che avrebbe dovuto mandare dei soldi a Celia, ma la cosa
gli era
completamente uscita da un orecchio. Quella ragazza senza soldi, le
faceva pena
il solo pensiero.
‒ Certo, a una
scroccona così
bella chi non offrirebbe un pranzo?
Imprecò nella
sua mente, gli
tornarono alla luce anche le parole scritte da Perseo che aveva
momentaneamente
dimenticato. “Fatti due domande”.
Di nuovo il
sospetto bagnato e
gelido gli attraversò il midollo. Che cosa voleva dire quel ragazzo?
Sembrava
saperla lunga, ma allo stesso tempo non fregarsene.
‒ Andiamo? ‒ e
porse il braccio
alla castana.
‒ Sì, ma prima
passiamo al
Centro, vorrei togliermi di dosso la periferia…
E in due si
incamminarono.
“Non
so, dimmi tu, Kalut, hai mangiato fino a strafogarti, sei entrato a
ben tre
feste private e ignoro come tu abbia fatto sinceramente, hai lavato e
asciugato
il lenzuolo in una lavanderia aperta ventiquattro ore su ventiquattro,
hai
acquistato tre Poké Ball e penso ti sia anche scolato due tre cocktail
con
altri soldi rubati…” commentò Xatu. “E neanche ti piacevano, mi
spieghi che
cosa intendevi fare stanotte? Perché hai fatto tante cose senza che
nessuna di
loro ti interessasse davvero?”
Il
ragazzo dormiva, il volatile lo sorvegliava. Come prima, tutto
normale.
Eppure
c’era qualcosa di strano nel suo sonno, nel sonno del ragazzo: era
inquieto,
pieno di movimenti bruschi e contorsioni.
Non
stava dormendo bene, e Xatu si rese conto che era la prima volta che
lo vedeva
avere dei problemi durante il sonno. Ebbe un’idea, decise di entrare e
leggere
la sua mente, ciò lo avrebbe aiutato a capire cosa non andasse nel
riposo del
ragazzo.
Il
pennuto chiuse gli occhi.
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