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The 25thHour - Capitolo 1: - 22 ore e 58 minuti

.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 1
 
- Adamanta, Monte Trave –
- 22 ore e 58 minuti;

Emerald era contrariato.
Crystal lo aveva avvertito che avrebbe dovuto intraprendere un viaggio nella vicina Adamanta perché secondo i calcoli di Green sarebbe stato lì che la Cometa Millennium avrebbe attraversato l’atmosfera per poi schiantarsi al suolo, ma non gli aveva detto che avrebbe dovuto salire mille gradoni di granito, scavati nella grossa montagna al centro della regione.
Era stata una faticaccia, per altro s’era visto costretto e invitato dal profumino d’uno chalet verso la metà della faticata a entrare e a rifocillarsi in quella struttura un tantino fatiscente, un tantino vecchia, un tantino evocativa.
S’era addormentato con la testa sul bancone e poi s’era rimesso in marcia.
Una volta arrivato sulla cima, la neve era ben distesa, come una coperta candida sul terreno pieno d’erba bruciata dal freddo. Anche sul tetto del tempio vi era quel manto candido.
Il ragazzo si strinse nel suo piumino verde e fece la sola cosa che avrebbe avuto senso fare: alzò la testa.
Sulla cima le luci artificiali erano poche. Una in particolare era parecchio invadente, un grosso riflettore sull’ingresso del tempio. S’avvicinò e, con l’ausilio delle sue mani allungabili, staccò lo spinotto del faro, immergendo nel buio più che totale il Monte Trave.
Solo le stelle a illuminare il mondo, dall’alto, mentre dal basso altre migliaia di piccole stelle, partivano da Edesea, Primaluce, Timea, ed oltre.
Non poteva quantificare il numero di lampadine accese nell’universo. Ogni volta che si trovava davanti quello spettacolo si sentiva piccolo e insignificante, schiacciato dalla proverbiale magniloquenza della natura.
Prese l’Holovox e chiamò Crystal. Pochi secondi dopo l’immagine della ragazza fu trasmessa davanti ai suoi occhi, azzurrina.
“Hey, Rald. Novità?” fece quella, col volto serio.
Quello scosse la testa, guardando in cielo. “No, Crys, niente ancora. Non mi avevi detto che fosse così difficile questa missione!”.
“Hai trovato difficoltà?” domandò quella.
“Mille scalini!”.
“C’era un montacarichi, alle spalle della montagna, Rald…”.
Quello abbassò la testa e spalancò gli occhi. “E me lo dici soltanto adesso?!”.
“Comunque… La cometa passerà da sud-est verso il quadrante nord-ovest del cielo, quindi focalizzati lì”.
“Avete già scelto i desideri?”.
Crystal fece cenno di no con la testa. “Sceglieranno domani in una riunione di comitato della Lega di Hoenn a cui noi Dexholder di Johto non siamo stata invitati. Decideranno loro”.
“Ok. Ma Ruby è lì, no?”.
“Sì, Ruby sarà presente perché farà le veci di suo padre, ancora in ospedale”.
“Ok. Beh, la cometa è appena passata”.
Attimo di silenzio.
“Me lo dici così?!”.
“Sì. È diretta verso… verso nord-ovest”.
“Te l’avevo già detto, Rald…” sospirò lei, cercando di mantenere la calma.
“Ed è anche caduta da qualche parte… Secondo la mappa…” consultò quello, cacciando la lingua tra le labbra. “… qui dice che è a… Ondalta…”.
Crystal annuì, poi s’accigliò. “Non è Ondalta, quella si trova ad sud… a nord c’è…”.
“Solarea! A nord c’è Solarea!” si corresse lui.
“Ottimo, avverto subito Rocco Petri”.
Emerald continuava a guardare il cielo,
“Posso andare a dormire, adesso? È notte fonda”.
 
- Hoenn, Verdeazzupoli, Casa di Rocco Petri –
- 18 ore e 33 minuti;

La sveglia suonò alle 6:24, come ogni mattina da dieci anni a quella parte. Rocco Petri spalancava gli occhi d’acciaio nel buio del mattino ancora acerbo, tendendo gli arti nell’atto di stiracchiarsi, sbadigliando.
Era stanco, l’ansia per quel grande giorno lo aveva tenuto fin troppo sveglio, ma comunque era già a conoscenza della solfa: responsabilità, lavoro... Poi lo stato d’emergenza di Hoenn appena concluso era il sintomo di una pila enorme di carte che lo raggiungeva.
Non si lamentava del lavoro da scrivania, in un certo senso gli piaceva risolvere problemi burocratici seduto sulla sua bella poltroncina di pelle, nella stanza accanto alla Sala d’Onore, ma chiaramente c’era gran bisogno d’aiutare gli sfollati e di appianare tutte le incombenze create dai neoterroristi ambientali che avevano sconfitto poche settimane prima, tramite l’apporto dei Dexholder di Johto e i Ranger d’Oblivia.
S’alzò, cercando di non svegliare Fiammetta che gli dormiva accanto, quindi andò in bagno. Canticchiava Laila di Eric Clapton mentre l’acqua bollente rinvigoriva i suoi muscoli, raffreddati dal gelo di gennaio. Si rasò, come faceva ogni mattina e infilò i boxer.
Doveva vestirsi.
Tornò in stanza, Fiammetta aveva avvertito la mancanza dell’uomo nel grande letto e s’era posta in diagonale.
Era seminuda, indossava slip e una canottiera che era inevitabilmente salita in alto, scoprendole ombelico e torace, fermandosi ai seni.
Irrequieta e incandescente, Fiammetta riusciva a rimanere immobile soltanto quando Rocco la stringeva tra le sue braccia.
E fortuna che fuori la temperatura baciava i quattro gradi centigradi, in estate sarebbe stato improponibile dormirle accanto: il suo sangue era incandescente.
Ma poi la osservò meglio, con quei capelli lunghi e spettinati, rossi come il fuoco e sparsi a raggiera sopra le lenzuola. S’era scoperta, evidentemente aveva caldo.
Con lo sguardo carezzò la pelle rosea della donna, indugiando sul collo, sui seni sotto la canottiera e poi sulla zona dell’ombelico. Le gambe strette erano lunghe e sottili.
E i piedi: congelati. Insomma, aveva il sangue bollente ma era pur sempre una donna.
Le si sedette accanto e le poggiò una mano sulla pancia.
Era calda.
Le dita dell’uomo invece erano fredde e lei compresse il volto in una smorfia di fastidio, bastevole a fargli capire che dovesse levarle.
“Fiammetta... È ora di svegliarsi”.
Quella emise una sorta di muggito, girandosi dall’altra parte, dandogli la schiena.
E lui ne abusò. Con lo sguardo, s’intende.
Le carezzò la coscia e poi le si stese affianco. Il suo corpo era freddo per via della doccia e aderì contro quello bollente della ragazza; parvero trovarvi sollievo entrambi.
“Buongiorno...” concluse lui, e ormai non c’era più nulla da fare, Fiammetta s’era svegliata.
Odiava quel momento della sua giornata. Nonostante fosse una persona attivissima, piena di vita, esplosiva al massimo, avrebbe passato metà del suo tempo a caricare le batterie.
E pareva anche giusto, dato che quella sostanzialmente viveva due problemi esistenziali:
 
1.    Per una questione congenita, insita all’interno del suo animo, nello stomaco, nel petto, nella testa, non riusciva a dormire più d’un paio d’ore senza svegliarsi. Come una cretina, controllava che tutto fosse a posto e poi ricadeva esanime sul suo cuscino.
2.    Andava a dormire troppo tardi. Certo, col passare del tempo le cause erano mutate, diventate molteplici e spesso si erano accavallate tra di loro, finendo di fatto per allungare ancor di più le sue giornate; inevitabilmente, finiva spesso per vedere l’alba prima d’accasciarsi sul letto senza energie. Adolescente, passava il suo tempo per le vie di Cuordilava con gli amici della sua combriccola; divenuta Capopalestra, invece, doveva regolare conti e bilanci, oltre che allenare come si doveva i suoi Pokémon.
In quel periodo, infine, il suo sonno lo stava rubando Rocco, con quei baci, e quelle mani, e gli addominali scolpiti e i sorrisi.
Il piacere stava saccheggiando le sue notti.

Fatto stava che ogni mattina si rendeva conto quanto fosse stato un errore enorme non essere andata a dormire prima, mentre abbracciava il cuscino e un raggio di sole le apriva gli occhi pian piano.
Quel giorno non fece differenza.
Sentiva le braccia forti di Rocco che la stringevano, il suo petto freddo dietro la schiena.
“... Mi stai tirando i capelli...” disse, con voce compressa.
“Scusami” rispose l’altro, alzandosi e facendola girare verso di lui. Gli occhi vermigli della ragazza s’aprirono verso i suoi, bucandoli con un sorriso.
“Oggi è il grande giorno...” sospirò lei. Provava un misto d’ansia e timore assieme a una grande carica adrenalinica. Cioè, l’avrebbe provata una volta alzatasi.
“Già. Pat sarà sicuramente già sveglia”.
“Pat qui, Pat lì...” sbuffò lei, spingendolo e voltandosi. Abbassò la canottiera sulla pancia e prese un elastico dal comodino accanto al letto, mettendolo attorno al polso, quindi s’alzò.
“Fai presto... T’aspetto di sotto per la colazione...”.
“Un tempo a quest’ora cenavo” sospirava lei, sfilando verso il bagno della stanza sotto gli occhi da lupo di Rocco. Lei preda ingenua, lui predatore famelico.

Il Campione stava versando del succo d’arancia da una grande brocca in un bicchiere quando Fiammetta comparve in cucina. Rocco alzò la testa, vedendola in pantaloni e giubbino di jeans con sotto una maglietta nera.
Portava un orologio, al polso.
Ed era strano, perché non li indossava mai.
I capelli erano stati legati alti, come faceva sempre, ma erano gli occhi ad attirare più di tutto l’attenzione dell’uomo: vividi, ardevano di quel fuoco che bruciava nel suo cuore nei momenti in cui c’era bisogno di quella marcia in più.
Quando c’era bisogno d’una svolta, Fiammetta aveva quegli occhi lì.
“Sei bellissima stamattina” fece lui, levando la sedia dal tavolo per permetterle di sedersi. Quella sorrise, arrossendo.
“Grazie mille”.
L’uomo andò verso i fornelli e portò a tavola una scodella, distribuendo nei due piatti della macedonia di frutta fresca. Versò poi del latte in due bicchieri e si sedette.
Fiammetta sorrise: le piaceva il fatto che il suo uomo le preparasse la colazione; lui sapeva cucinare molto bene ma lei era più brava.
“Ho sentito Leslie, prima” fece lei, addentando la colazione.
“Oh... Forse è un po’ presto per chiamare le persone, no?”.
“Dovevo sapere come stesse Jarica, Rocco. Comunque dormiva. Sta bene.”.
Lui annuì. Da quando quell’ondata di calamità s’era abbattuta sulla loro regione, Fiammetta s’era vista costretta a consegnare sua sorella Jarica a Leslie, la tata di famiglia, che per sicurezza s’era trasferita a casa di Alice, Capopalestra di Forestopoli.
Non la vedeva da una settimana e la mancanza cominciava a farsi sentire.
“Bene. Ricordi tutto quello che dovrai fare?”.
“Sì. Il viaggio ad Adamanta è prenotato per oggi alle 12.00. Dopodiché dovremmo andare verso il corpo della stella sul suolo e infine catturare Jirachi. Lo portiamo a te, tu esprimerai i tre desideri e io potrò tornare a dormire...”.
“Uhm...” sospirò lui.
“Che c’è, ora?”.
“Tu dormi troppo”.
“Sei tu che ti svegli troppo presto…”.
Rocco annuì, rassegnato. “Ho tante cose da fare, devo per forza svegliarmi presto” rispose, sorridendo.
“Io invece non ho nemmeno una Palestra, quindi sono idealmente libera da ogni impegno prima delle 14:00”.
Cuordilava era stata sommersa dalla lava, e lei ricordava ancora il momento in cui aveva dato le sue dimissioni, sentendosi colpevole per qualcosa che non avrebbe potuto contrastare. Ma aveva messo tutto a posto, lei con i ragazzi di Johto. E i Ranger.
Rocco sorrise ancora. “Facciamo presto e andiamo”.
 

- Hoenn, Iridopoli, Sede Regionale della Lega Pokémon -

“Allora...” fece Rocco, zittendo le voci che si incontravano in quel chiacchiericcio selvaggio.
La Lega di Hoenn al completo, o quello che ne rimaneva, era seduta attorno a un tavolo ovale. Mancavano Norman, sostituito da un Ruby più che cupo, oltre a Tell, Petra e Rudi, e tutti i Superquattro.
“La situazione è semplice. Grazie al supporto di Emerald,  e di Crystal, siamo riusciti a localizzare la Cometa Millennium”.
“Dove si trova?” chiese Pat, con la treccia ben sistemata che cadeva davanti, sul suo petto.
“Adamanta” rispose Alice, informata dei fatti. “La cometa è caduta tre ore fa ad Adamanta. Tu, Pat, assieme a Fiammetta, farai parte della rappresentativa della Lega Pokémon per il recupero del leggendario Pokémon Jirachi” aveva detto la donna, vedendo Adriano annuire come se stesse recitando a memoria le battute d’un copione trito e ritrito.
“Va bene. A cosa servirà?” domandò quella di Verdeazzupoli, tamburellando con le dita sul tavolo, innervosendo un già più che teso Ruby.
Alice ed Adriano si scambiarono uno sguardo che si spostò automaticamente verso Rocco. Quello s’alzò in piedi e prese a camminare lungo la grande sala, fino a raggiungere l’ampio finestrone che, dall’alto della grossa scogliera che altro non era che Iridopoli, dava la vista pietosa d’una Hoenn distrutta e dilaniata.
“Rudi e Petra... Tell. Sapphire...  tutti i Superquattro, e migliaia di altre persone. Sono tutti morti per mano di Groudon e Kyogre, Pat” fece il Campione.
Fiammetta incrociò lo sguardo di Ruby e quello non lo riuscì a sostenere, abbassandolo.
Rocco continuava a parlare. “I danni alle costruzioni e al territorio sono stati devastanti... Le Cascate Meteora e il Monte Pira sono crollati, Porto Selcepoli e Bluruvia sono sott’acqua... Cuordilava è stata ricoperta dalla lava e il deserto ha raggiunto Ciclamipoli... per non parlare dei danni derivati dai forti terremoti, l’Università di Ferrugipoli è crollata, come anche la volta del Tunnel Menferro e la Palestra di Verdeazzupoli... La gente di Hoenn non si riprenderà molto in fretta, ma cominceremo con restituire loro i posti dove vivevano, e le persone care che hanno perso ingiustamente”.
“Questo con i desideri di Jirachi” puntualizzò Walter, ridendo. “Hai presente le Sfere del Drago?”. Partì poi con una delle sue risate sguaiate.
“Più o meno...” annuì Rocco. “Ragazze” disse poi, voltandosi verso le due incaricate. “Hoenn è nelle vostre mani”.
Pat e Fiammetta vivevano un dissidio non indifferente all’interno dei propri animi: era per entrambe l’occasione di riscattarsi dagli errori commessi durante l’apocalisse che aveva colpito Hoenn qualche settimana prima. Pat, per esempio, non era riuscita a proteggere Tell, suo fratello, quello più grande di tre minuti e venticinque secondi, dai grandi occhi violacei e i lunghi capelli neri. Era bellissimo e ricordava, lei, la sensazione di dolore e vuoto, sconfitta e baratro, che aveva provato quando vide spuntare dalle macerie della sua Palestra la mano esanime di suo fratello.
Aveva aiutato gli specialisti suo malgrado, aveva fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per mandare avanti la missione di cattura di Groudon e Kyogre e aveva visto i cattivi perire.
Ma il vuoto nel suo cuore non s’era colmato quando, in quelle notti fredde, sentiva la loro casa silenziosa come non mai.
Per Fiammetta era un altro paio di maniche. Lei si sentiva profondamente responsabile di Cuordilava, il suo paese, quello che era stato sotto l’egida della famiglia Moore, la sua famiglia, per intere generazioni. Il Monte Camino, il grosso vulcano sulle cui pendici era costruito il villaggio, aveva eruttato in seguito a un grosso terremoto con epicentro poco al di sotto d’una camera magmatica ricca di gas sulfurei. Vulcanologia a parte, un’onda rossa si era stesa lungo tutto il fianco del Monte Camino, riversandosi tra le case e sommergendole di materiale piroclastico.
Una piana distesa e sopraelevata che puzzava di zolfo, Cuordilava era diventata quello; la gran parte della gente era rimasta intrappolata nelle proprie case, morte con la lava nei polmoni e la pelle fusa. I pochi superstiti, orfani di padri e madri, vedovi e vedove, genitori di figli uccisi, si erano riuniti in salvo, dove poi fu dato dell’incompetente a Fiammetta, che alle cinque del mattino, orario dell’eruzione, non era riuscita ad evitare il tutto.
Aveva abdicato ed era andata via, in cerca di redenzione.
Ma casa sua non c’era più.
Erano le persone più motivate tra quelle presenti a quel tavolo. Oltre a Ruby, un sempre più spento Ruby. Tutti lo guardavano, mentre si rodeva gli intestini col veleno che stava ingoiando.
E quegli occhi sembravano accusarlo, deriderlo delle catene che gli erano state imposte.
Furono proprio quegli sguardi a caricarlo, come un giocattolo a molla, che non esitò a esplodere.
“Dovrei essere io a partire! Dovrei essere io ad andare avanti e ad aiutare Sapphire!”.
Tutti rimasero in silenzio, sbalorditi. Adriano, da sempre reputato dal giovane un mentore, gli mise una mano sulla spalla, cercando di calmarlo; mano che lui cacciò via con rabbia.
“Non m’interessa nulla delle vostre giustificazioni! E se loro fallissero? Dovremo aspettare altri mille anni per vedere Jirachi! No, non c’è alcun modo di fermarmi qui!” scattò in piedi, facendo per andarsene. Ma Adriano lo afferrò per un polso.
“Fermati” tuonò poi, e la sua voce rimbombò nella fredda sala, sotto gli sguardi attoniti delle persone.
L’uomo s’alzò, sempre con la mano stretta attorno al polso del più giovane, tuffando i suoi occhi in quelli rubicondi dell’interlocutore e inquinandoli con un’insana tranquillità portata dalla saggezza e dall’esperienza.
“Non è il tuo compito. Tu sei importante qui ad Hoenn. Devi darci una mano”.
“Io... io devo pensare a Sapphire, Adriano!” fece il ragazzo, con le lacrime ancora incredibilmente ferme sulle rime inferiori degli occhi, appoggiate alle ciglia come su delle balaustre.
“Se può valere qualcosa...” si sentì Fiammetta dalle retrovie. “Io darò tutta la mia vita per concludere questa missione... Sapphire era anche una mia amica ma sarei ipocrita se affermassi di partecipi a questa spedizione soltanto per lei... Io penso a Cuordilava. Pat anche, suppongo sia dispiaciuta per Sapphire ma nella sua mente c’è soltanto sua fratello Tell, ne sono sicura. Di motivi per agire ne abbiamo, e non lasceremo che nulla ci possa passare avanti”.
Rocco le donò un sorriso dolce, annuendo.
“Darò tutto” s’aggiunse Pat. “Inoltre tu non sei tranquillo e questo potrebbe creare problemi”.
Ruby rimase immobile.
Avrebbe voluto urlare, sbraitare qualcosa sul fatto che anche lei avesse perso un proprio caro, dubitando sulla sua tranquillità, ma poi si rese conto che le palpitazioni, in quella stanza, fossero un fenomeno che aveva attecchito soltanto su di lui.
Era solo il suo cuore, lì dentro, a saltare un battito ogni tre.
Si limitò soltanto ad alzarsi, col volto basso, per poi uscire fuori, sbattendo la porta.
“Seguilo…” suggerì Rocco ad Adriano.
La commissione vide il Capopalestra di Ceneride alzarsi ed eseguire l’ordine. Fu in quel momento che Rocco guardò la sua donna.
“È ora di andare…”.



- Hoenn, Porto Alghepoli, Porto Civile -

Porto Alghepoli era stata la prima città a essere presa in considerazione dai processi di ricostruzione, essendo il porto principale d’ingresso e uscita di Hoenn. Certo, le crepe tra le mattonelle della pavimentazione e parte della banchina crollata erano rimaste, ma s’era installata una nuova società navale, più temeraria rispetto alla precedente, la quale aveva abbandonato le tratte di Hoenn dopo i disagi dei mesi passati. Questa nuova compagnia garantiva viaggi verso tutti i porti limitrofi.
A Porto Alghepoli il sole splendeva. Era quel sole che dava luce bianca, che non riscaldava. Avvolti nelle proprie giacche, Rocco, Pat e Fiammetta camminavano lungo la banchina. Alle spalle c’era il grosso plesso residenziale, interamente crollato. C’era anche la casa d’un noto artista, da quelle parti, emigrato via da Hoenn qualche anno prima del secondo risveglio di Groudon e Kyogre.
Quando Rocco era morto. Sorrideva, l’uomo, a ripensarci, mentre i brividi accoglievano la muscolatura e i nervi in una stretta morsa. Ricordava il bacio freddo della vita che lo salutava, che percorreva l’intera lunghezza delle sue vene per volare via in una spirale incandescente, lasciandolo come un corpo vuoto su di un pavimento sporco di polvere.
Lui era morto ed era tornato in vita.
E aveva conosciuto la bella ragazza dai capelli rossi che camminava con lo sguardo distratto, mentre le onde s’infrangevano contro il cemento stanco della banchina. Venti metri più avanti c’era la MN Prima, l’aliscafo che avrebbe portato Fiammetta e Pat ad Adamanta.
E camminavano, in un silenzio teso e pesante, fastidioso come un pizzico sottile.
“Lo avrò detto migliaia di volte ma voglio...” Rocco decise d’abbattere la barriera del silenzio.
“Sì, Rocco, abbiamo capito!” tuonò infastidita Fiammetta, dandogli una leggera spinta. L’uomo sorrise, seguito a ruota da Pat.
“Siete una bella coppia” aggiunse questa.
“Grazie” arrossì l’altra. “Comunque stai tranquillo” continuò. “Faremo tutto ciò che in nostro potere per riuscire a concludere il nostro compito”.
La nave stava per salpare. Rocco strinse la mano a Pat, serio, e poi si soffermò su Fiammetta.
Sulla sua donna.
Le prese entrambe le mani e poggiò la fronte alla sua. “Io mi fido di te”.
Fiammetta attese qualche secondo prima di sorridere, come sorride qualcuno che viene consolato da qualcosa di brutto. “Grazie” rispose.
“Ora vai’” chiuse lui, dandole un bacio appassionato.

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