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Cose Preziose

5. Cose Preziose

.Universo X.



Note di pianoforte dietro ad un portone chiuso.
Ogni volta che doveva entrare nella sala di Cassandra, Xavier guardava la donna col volto triste e quella col volto sorridente, che sostavano davanti alla porta, una a destra ed una a sinistra.
Quando sentiva il suono, al di là dell’uscio, pensava alla pianista, la ragazza delicata che con mani candide creava musica, nella sua lunga veste di seta bianca, così sottile da sembrare trasparente.
E a lui intrigava, ogni volta che entrava lì dentro aveva la tentazione di toccarle il collo, o un braccio.
Immaginava la sua pelle fredda.
Ah, e certo, poi voleva levarle la benda dal volto, per vedere i suoi occhi.
Forse era cieca, o forse, per un semplice feticismo di quei vecchi incappucciati, volevano che fosse bendata.
Scosse la testa e lasciò andare via i pensieri, trattenendo solo le mani di Cassandra che baciavano i tasti d’avorio quando Felicità e Tristezza gli spalancarono le porte.

“Dottor Solomon”.

Sempre tutto uguale, pensò Xavier, spostando una ciocca di capelli biondi dal volto.
Vedeva gli uomini in cappuccio seduti attorno alla grande tavola dorata e sospirò quando vide la donna irrigidirsi.
Anche le sue mani si fermarono per un attimo, lasciando sedimentare i rimasugli dell’ultima nota che aveva suonato.
“Continua a suonare!” tuonò Mr. Zed, l’uomo al capo della tavolata. “Dottor Solomon” ripeté poi.
“Vegli, buongiorno”.
“Come mai hai indetto questa riunione? Ci siamo?”.
Le mani di Cassandra presero a suonare nuovamente, una melodia tesa e con note assai basse.
Xavier annuì, ma lei non poté vederlo. “Sto per andare nell’Universo X e convincerò Lionell Weaves a fare parte del lavoro per noi”.
“Quanto ci vorrà?”.
“Beh, se tutto andrà bene poche settimane, del resto la sua donna è incinta”.
Mr. Heich faceva sempre tante domande e quella volta non fece differenza.
“Mi spieghi meglio la situazione”.
Xavier portò le mani ai fianchi e sospirò.
“Porta pazienza e fai ciò per cui sei pagato, Solomon” ruggì Mr. Epsilon, il più rude dei cinque.
“Arceus può essere evocato tramite il cristallo che, molto tempo fa, in quell’universo, era tenuto dal suo oracolo, tale Prima. Questa donna scampò ad un assalto d’infedeli ed in qualche modo inglobò il cristallo, il nostro cristallo, quello che ci serve, nel suo corpo; era diventata ella stessa il cristallo. E da quel momento in poi, ogni bambino nato da quel grembo sacro sarebbe stata una donna, con le stesse caratteristiche di Prima...”.
“Come una fenice...” disse Heich.
“Non lo interrompere” tuonò Zed.
“Ma è chiaro che in questo modo non possiamo prendere il cristallo” continuò invece il Dottore.
“Già” continuò quello a capotavola. “Non ce ne facciamo niente dell’oracolo, a noi serve il cristallo, materialmente. È una delle quattro chiavi per sbloccare l’Arcan, senza il quale tutti i nostri piani sono del tutto inutili”.
Xavier annuì. “Motivo per cui c’è bisogno d’intrappolare Arceus e sfruttare il suo potere infinito, per estirpare la pietra dall’animo della donna”.
“Chi è?” chiese ancora Heich.
“Si chiama Irya, ed è la diretta discendente di Prima. Di madre in figlia, il cristallo viene passato assieme ai poteri dell’oracolo”.
“L’oracolo può quindi intercettare la dimensione di Arceus?”.
“No, quello posso farlo solo io. Il cristallo può richiamarlo e farlo apparire”.
“Ok. E Lionell Weaves cosa c’entra?”.
“È il marito di Irya e padre del futuro oracolo. Sarà lui a fare il lavoro sporco per noi”.
“Perché non occupartene tu stesso?! Credi che un padre faccia del male alla propria figlia?”.

Xavier sorrise.

“L’Arcan serve a manipolare la realtà... A me non serve una stupida chiave di volta per convincere qualcuno...”.
Il silenzio veniva baciato solo dalla melodia pesante di Cassandra.
“E poi?” domandò ancora Heich.
“Poi catturerà la figlia, la ucciderà e le caccerà il cristallo da dentro, l’ho già detto. Lo consegnerà a me ed io lo consegnerò a voi. Ma in cambio voglio qualcos’altro”.
“Cosa vuoi?” tuonò ancora Zed.
La melodia continuava a cadere lenta, così ripetitiva da sembrare un loop.
“Voglio lei” puntò il dito contro la pianista. “Voglio Cassandra”.

La musica si fermò, le mani della bella caddero lungo i fianchi e si poggiarono sullo sgabello.

Zed si voltò, furibondo.
“Cassandra! Non devi fermarti mai! Mai!”.
La donna si morse il labbro inferiore. La benda che aveva sugli occhi, candida, si scurì rapidamente, bagnandosi. Lacrime colarono sulle sue guance rosse.
Poi gemette.
“Ultimamente si sta fermando troppo spesso. Non vorrei che facesse la fine di sua madre prima e sua sorella poi...” commento Mr. Epsilon.
“Non accadrà più!” pianse lei. La voce era delicata ed infantile, dolce e spaesata.
Impaurita.
Era la prima volta che Xavier la sentiva parlare. Sorrise automaticamente, nonostante quel sadismo non gli andasse proprio a genio.
No, a lui andava a genio soltanto il proprio, di sadismo.
“Come ti sei permessa di parlare?!” urlò Zed, furibondo, sollevandosi di peso dalla sedia pomposa con il sedile di velluto rosso. Si mosse con passi stentati ed una zoppia che non riusciva a nascondere, fino a raggiungere la donna.
L’afferrò per i capelli e la costrinse ad alzare il mento.
“No!” urlò quella, terrorizzata mentre la benda continuava ad inzupparsi di lacrime.
“Non devi permetterti mai più di parlare! Mai più! Il tuo solo scopo è suonare! Suonare questo maledetto Steinway! Hai deciso tu di non voler morire! Ora sei condannata a suonare per sempre, finché non morirai! Hai capito?!”.
E poi le diede due ceffoni violenti, uno di dritto ed uno di manrovescio.
Cassandra cadde dallo sgabello, scosciando il grande vestito bianco e mostrando la gamba.
“Ora inginocchiati verso la mia voce e chiedi perdono al Dottor Solomon per la tua negligenza!”.
La voce di Zed rimbombava per le pareti.
La donna piangeva, con labbro spaccato che bruciava; sistemò la veste che sentiva troppo storta sulle gambe e poi si inginocchiò verso l’uomo che l’aveva ridotta in quello stato.
“Chiedi scusa!” urlò ancora Zed.
“Non ce n’è bisogno, io stavo per andare” s’inserì Xavier.
“Non si muova di lì! Parla, lurida puttana!”.
“S-sc... scusi... Dottor Solomon, scusi...”.
“Non sento!” urlò Zed, dandole un calcio sul braccio. “Più forte”.
La donna perse stabilità e cadde col volto per terra. Pianse più forte. “Scusi!” urlò.
“Scusi chi?!”.
“Scusi, Dottor Solomon!” continuò la donna.
Poi il silenzio. “Non era necessario” tuonò Xavier.
“Lei si faccia gli affari propri” fece Mr. Epsilon.
Xavier si voltò, cercando lo sguardo dell’uomo nascosto però dalla tesa del cappuccio.
“Alina, Elisa, venite a prendere questa miserabile e medicatela. E tu, Cassandra, dovrai continuare a suonare. Hai capito?!”.
“Sì, papà” piangeva lei, mentre Felicità e Tristezza la raccoglievano da terra e la portavano via.

 Riscese di nuovo il silenzio.
Zed si voltò verso di lui, col fiatone. “Non puoi avere Cassandra. Hai già avuto tutti i soldi che volevi”.
“Non durerà molto sotto le tue mani, lo sai?”.
“Non ti ha permesso di dargli del tu!” esclamò nuovamente Epsilon.
Xavier si bloccò, quindi si girò verso l’uomo e lo fissò, per quasi dieci secondi buoni, sempre senza riuscire a vederlo in volto.
“Vorrei ricordarvi che di me voi avete bisogno. Io devi vostri soldi non ho molta necessità, con i miei mezzi potrei prendermeli lo stesso senza che voi ve ne accorgiate”.
“Insolente!” urlò l’altro, battendo i pugni sul tavolo.
“Calmati” faceva Heich, al suo fianco.
“Tu sei vivo perché te lo consentiamo noi! Dovresti essere onorato di fare questo lavoro per noi!”.
Xavier rimase calmo. “Potrei uccidervi tutti. Adesso. Cancellerei dalle vostre teste tutti questi pensieri di conquista e di sofferenza... Rimarreste cinque vecchi nascosti da una tunica attorno ad un tavola che costa quanto l’intero palazzo... In una stanza in cui una donna viene schiavizzata”.
“Solomon, lei è pagato per produrre. Cassandra è mia figlia e non l’avrà. Ora si rechi nell’universo di riferimento di cui abbiamo discusso e parli con Lionell Weaves” s’inserì Zed, come per placare tutto quel polverone. “E dopo torni qui a fare rapporto”.
Xavier continuava a guardare Epsilon, poi scosse la testa e sorrise, camminando lentamente verso la porta e sparendovi oltre l’uscio.

Il suo studio era, come sempre, immerso nel buio.
Aveva preparato tutto l’occorrente per quel salto metauniversale e non aveva motivo per essere incerto, anzi.
Sarebbe andato ad Adamanta, quattordici anni prima del suo ultimo viaggio nell’universo X, dove aveva portato Fiammetta bambina e l’aveva consegnata al fato.
Pensò a come la vita di un essere umano, le sue scelte, potessero essere così facilmente influenzabili. Già, sospirò al sol pensiero, ricordando Fiammetta con l’ago in vena e la morte che aveva sventato iniettandole il medicinale che aveva trovato nella borsa dell’uomo che la faceva drogare.
Lo uccise anche, era giusto così.
Aveva fatto del bene, quella volta. Non ne andava fiero ma non era nemmeno interessato a fare per forza la peggiore impressione possibile.
Non gli interessava dell’opinione degli altri, tutto qui.
Era un fisico, un dottore. Un killer.
Viaggiare nel tempo e nello spazio, al contrario di come tutti sono abituati a fare, lo aveva portato a rivalutare ogni sua posizione.
Si sentiva superiore agli altri, ed accettare il lavoro dell’Azoth, così infinitamente complesso, era l’unico modo per attestare realmente la sua superiorità.
Insomma, lui era davvero l’unico ad avere il potenziale per sbloccare l’Arcan ed assistere a due minuti di scene pietose per il genere umano, prima di fuggire in un universo cuscinetto, dove non sarebbe stato possibile trovarlo.
Ripensò a Fiammetta, poi il suo volto fu coperto da una benda e diventò Cassandra.
Non riusciva a credere fosse la figlia di quel pazzo assassino.
Poco importava, c’era del lavoro da fare.
Strinse la cinghia che aveva in vita e chiuse il grande soprabito nero di pelle, mise a tracolla la grande borsa ed entrò all’interno della sala vuota.
Prese la macchina metauniversale e digitò le coordinate.
 

Access:<0000000000//> X -1984-Oct-22-20:00:00//location:Edesea/Adamanta>whitelocalplace

E poi una serie di cifre relative all’apertura del portale.
Si formò la particella oscura, piccolissima, davanti a lui.
Era una particella ma riusciva a vederla, perché la realtà si deformava attorno alla stessa.
Gli bastò toccarla col dito per venire risucchiato all’interno del tunnel spazio-tempo e ritornare all’attimo immediatamente successivo al Big Bang 0, come soleva definirlo, il punto di salvataggio. Le coordinate erano impostate per viaggiare all’interno dell’universo X, dove il Big Bang aveva avuto effetti del tutto identici a quelli del suo universo, quello Z.
La differenza stava in avvenimenti successivi eccezionali che avevano caratterizzato a lungo andare l’intera storia dell’umanità.
Ecco il motivo per cui le civiltà dell’universo Z erano collassate su loro stesse, e l’X era ancora in piedi, a combattere per la libertà del proprio popolo.
Quando quel viaggio, che durò poco più di un secondo, terminò Xavier si trovò in piedi a braccia conserte in un bagno di servizio, poco lontano dall’università di Edesea.
Uscì dal bagno velocemente, guardandosi attorno per un istante, fermandosi in una grande piazza con al centro una statua raffigurante un Braviary di bronzo.
Si avvicinò alla lastra incisa, leggendo ciò che vi era scritto.

Questo Braviary rappresenta il simbolo della nostra città, in cui la libertà, gli ideali e la verità voleranno sempre in alto. Ognuno di voi deve volare in alto, per proteggere vicino al cuore le cose preziose del vostro tempo.

“Cose preziose...” ripeté Xavier, stringendo la cinghia della tracolla all’altezza del bacino. Sospirò, camminò un po’ e poi si ritrovò nei pressi di un bar.
Vi entrò.
Era molto bello, con luci soffuse e persone in abiti eleganti a conversare giovialmente. Una bella donna, dal vestito blu e le calze nere lo guardò.
Sorrise in sua direzione, in mano aveva una coppa con del Martini ed era appoggiata al bancone. Giocava con l’olivina all’interno del bicchiere cristallo.
Lui la gelò col suo sguardo purpureo ed andò avanti. Andò dal cameriere e lo fermò.
“Cerco quest’uomo” disse, telegrafico. Mostrò una fotografia di Lionell Weaves a ventisei anni e vide il cameriere annuire.
“Sì, quel ragazzo viene qui quasi ogni giorno, studia all’università e contemporaneamente ha aperto una società di videosorveglianza”.
“Come sai tutte queste cose?”.
“Voce di popolo, voce di Dio”.
Xavier lo ringraziò ed uscì fuori, passando davanti la donna di prima. Non avrebbe mai giurato che sarebbe stato così semplice.
Fermò un altro passante, facendosi indicare l’università e quindi vi si intrufolò. L’edificio era enorme, con ampie vetrate ed un cortile molto grande.
Non ebbe problemi a forzare le serrature e ad eludere gli antifurti, che disattivò con l’utilizzo di un distorsore ad onde, roba potente di sua invenzione.
Un po’ spaesato, raggiunse la segreteria.
Questa era una sala molto grande, con diversi pc ed uno schedario alto e largo.
Xavier si diresse lì.
Lo aprì, vedendo una catalogazione schematica assai organizzata.
Ordine alfabetico.
“Doppiavvù...” disse Xavier, sovrappensiero. “...Weaves...” continuò, scartabellando con l’indice le cartelline. Trovò tre fascicoli col nome Weaves.
La prima apparteneva a John Weaves, la seconda a Tamara Weaves.
Poi la terza.
“Lionell Weaves...” disse conciso, estraendo il fascicolo. Lo pose sulla scrivania di quella che sembrava chiamarsi Sonia Turner, dalla targa vicino la tastiera del pc, e quindi lo aprì.
Eliminò velocemente i fogli a lui inutili, fino a raggiungere la pagina che gli occorreva.
“Dati personali... andiamo amico, dove abiti?” faceva, scorrendo con l’indice la linea di lettura.
“North Port Drive, civico 28. Meraviglioso” per poi sparire nell’ombra, prima che un guardiano notturno illuminasse con la propria torcia la scrivania vuota di Sonia Turner.

 

- Pochi minuti dopo, North Port Drive, Edesea – Universo X, ore 21:04:13 –

Gli pareva davvero inutile bussare. Nella parte Nord di Edesea, a qualche chilometro dal piccolo porticciolo turistico, abitavano Lionell Weaves assieme alla sua neosposa, Irya Morgan.
La loro era una casina piuttosto carina, una villetta con facciata ed inserti in legno chiaro, tetto scuro ed ampie finestre sul lato sud.
Il piccolo giardino era attraversato da un percorso di cemento, che raggiungeva la porta d’ingresso all’abitazione.
Xavier s’affacciò, giusto per un attimo, alla finestra nel salotto. Vide l’uomo, giovane e biondo, con un filo di barba chiara che gli pungeva la faccia, e poi Irya.
Lei era una donna veramente bella, con gli occhi azzurri ed i capelli neri, acconciati con un fermaglio rosa. Sorrideva dolcemente, davanti alla televisione, mentre teneva le mani sulla pancia, leggermente ingrossata.
Xavier annuì, poi lo vide salire le scale per il piano di sopra.

Lionell Weaves era un uomo fortunato.
Il lavoro di suo padre gli aveva consentito di vivere assai agiatamente e di seguire la strada che amava. Infatti, Marlon Weaves gestiva una società di telesorveglianza regionale.
Aveva ottenuto, sei anni prima, l’esclusiva da parte della sovrintendenza di Adamanta per l’installazione delle sue telecamere ad alta ingegneria nella gran parte del territorio e la cosa lo aveva reso estremamente ricco, permettendo alla sua famiglia di vivere in maniera piuttosto comoda.
Ecco perché Lionell stava ancora studiando Storia e Mitologia all’università di Edesea e si poteva permettere una casa assai carina nel distretto più sistemato ed in voga dell’intera città.
Aveva conosciuto Irya in università, qualche anno prima e ci aveva legato immediatamente. Lei era un tipo all’apparenza parecchio timido e riservato, ma con le persone che reputava fidate gettava via  quella maschera di timore verso il mondo, lasciando fuoriuscire tutta la propria vulcanicità.
Una sera, mentre studiavano assieme, lui trovò la forza per dichiarare la propria passione verso di lei, che pareva essere ricambiata. Si fidanzarono, si sposarono qualche anno dopo e passati alcuni mesi, il test di gravidanza risultò positivo.
Quel 22 Ottobre Lionell era tornato a casa dopo aver passato la giornata quasi interamente in biblioteca, a studiare per l’esame di Storia Medievale di Unima.
Era parecchio stanco, mentalmente.
Una volta tornato a casa vide Irya ai fornelli.
L’uomo sorrise e l’avvicinò, baciandole dolcemente le labbra. “Non dovresti passare tanto tempo in piedi. Dovresti riposarti. Il nostro bambino...”.
“O bambina...” obiettò la donna, sorridendo e poggiando la testa sul petto dell’uomo. Quello le baciò la testa ed annuì. “O bambina... ma ho l’impressione che verrà fuori un maschietto”.
Irya sorrise, annuendo a sua volta in maniera condiscendente. “Già... ti ho preparato del salmone al vapore”.
“Delizioso” sorrise l’uomo. “Ma la prossima volta aspettami prima di cucinare. Ti aiuterò”.
L’amorevole coppia passò un’oretta a tavola, a parlare del più e del meno, a programmare un viaggio a Kalos e parlando dell’effettiva utilità del frullatore nuovo che avevano acquistato qualche settimana prima.
Poi lei si offrì di levare la tavola e lavare le stoviglie ma Lionell le ordinò di sedersi a gambe alzate sul divano, a guardare la tv. Insomma, certi ordini sono difficili da rifiutare o controbattere, quindi lo accolse come un mantra, ascoltandolo.
Venti minuti dopo la cucina brillava e l’uomo, stanco, senza notare il tizio biondo che lo guardava dalla finestra del salone, decise di andare a lavarsi e poi di chiudersi nel suo studio, per continuare il progetto di tesi che aveva ideato qualche giorno prima.
Solo che, appena entrato nel suo studio, parquet di faggio e mobili antichi acquistati ad un’asta, vi trovò proprio l’uomo biondo.
Era alto e sottile; s’era seduto sulla sua chaiselongue Le Corbusier.
Lionell spalancò gli occhi, spaventato quando l’intruso gli fece cenno di fare silenzio. Gli fece poi segno che lo avrebbe ucciso se avesse provato ad urlare.
“Ecco... chiudi la porta con calma” continuò. “Io sono Xavier Solomon, e cercavo proprio te, Lionell”. La porta si chiuse con uno scatto. “Siediti pure. Fa’ come se stessi a casa tua” sorrise poi.
Il padrone di casa s’accomodò sulla sedia vicino la sua scrivania, lentamente, con gli occhi spalancati e la bocca schiusa. Sentiva il battito del suo cuore esplodere.
“Calmati. Non ho alcuna intenzione di farti del male” fece Xavier.
“Chi sei?”.
“Mi chiamo Xavier Solomon e vengo da un altro universo, da un altro tempo. E tu sei la chiave per salvare il mio futuro”.
“Il tuo... il tuo futuro?”.
“Anche il tuo a dire il vero. Gli universi sono tutti connessi”.
Non era vero, ma Lionell Weaves studiava storia, non fisica. Ed anche se fosse stato era sicuro che nessuno conoscesse la chiave del multiverso.
Tranne lo Xavier Solomon di quell’universo, che però si trovava ad Amarantopoli, a Johto, in un’altra regione. Avrebbe pensato a lui più tardi, in quel momento il suo dovere era parlare con Lionell.
“Co-cosa?! Universi?!”.
“Tu, nel mio universo sei morto, ucciso da... da un virus. Pochi sono sopravvissuti, io compreso, naturalmente”.
Lionell inarcò le sopracciglia, poi le aggrottò. “Balle”.
Xavier sorrise. “Balle?”.
“Sì, balle! Stai raccontando solo un mucchio di fandonie! Tu sei un ladro, ti sei intrufolato nella mia casa e ti ho colto in flagrante, ed ora vuoi convincermi di questa cazzata gigantesca! Ma io chiamo la polizia, sai?! Non mi faccio mica condizionare dalle tue stronzate!”.
Xavier sorrise. “Se fossi un ladro non ti avrei aspettato steso qui. Comoda, comunque”.
Lionell ingoiò un groppone di sabbia. “Puoi... puoi dimostrarmi che ciò che dici è vero?”.
Xavier lo guardò fisso, poi annuì lentamente. “Sì. Guarda”.
Tirò quindi fuori dalla tasca un apparecchio dalla suite trasparente, che lasciava intravedere processori, cavi e schede di funzione. “Venti secondi fa” disse poi, e premette un tasto. Lionell si voltò e vide se stesso che entrava dalla porta, spaventato. Si vide sedersi al suo posto e poi rabbrividì.
“Vieni dal futuro?”.
“Già ti ho detto di sì”.
“E... e com’è il futuro?”.
“Una merda. Tutti morti, te l’ho detto. A meno che tu non mi dia una mano”.
“Cosa devo fare?”.
Xavier annuì. “Il problema sarà tua figlia”.
“Figlia?! Io non ho una figlia!”.
“Irya, tua moglie, è incinta”.
“Come fai a sapere il nome di mia moglie! Come fai a sapere che è incinta! E che avrò una bambina, dannazione!” s’angosciò Lionell.
“Calmati, figlio di papà, te l’ho detto, vengo dal futuro. Ho studiato, prima di venire”.
L’uomo cominciò a piangere. “E... e mia figlia sarà...”.
“Tua moglie t’ha mentito fino ad ora. Lei è una persona fin troppo speciale”.
Lionell asciugò le lacrime, singhiozzando. “Co-cosa?!”.
“Tua moglie Irya viene da una famiglia particolarmente importante di Adamanta. Tu studi storia, vero?”.
Lionell annuì.
“E quindi sai bene cosa avvenne nella Battaglia del Plenilunio, vero?”.
“Sì...” fece l’uomo. “I Templari e gli Ingiusti combatterono sul Monte Trave”.
“Poi?”.
“I Templari proteggevano Arceus, il tempio e soprattutto Prima, l’oracolo, che deteneva il possesso del Cristallo che serviva ad evocare la divinità, mentre gli Ingiusti volevano smontare la società clericale che imponeva rigide regole al popolo e soprattutto ai regni adiacenti. Nestore era il re più convinto di dover levare da mezzo Arceus, per poter sfruttare appieno le potenzialità delle proprie terre. Per fare ciò Prima ed Arceus dovevano morire”.
“Sei preparato, complimenti”.
“È oggetto della mia tesi...”.
“Sì. Ciò che non sai, però, è come si è conclusa la Battaglia del Plenilunio”.
“Con... con la morte di Prima e la vittoria degli Ingiusti. Ma il cristallo non fu mai ritrovato”.
Xavier annuì. “Se ti dicessi che tua figlia sarà il cristallo, e che prima di lei lo è stato tua moglie?”.
“Cosa?!” urlò Lionell, alzando troppo la voce.
“Amore!” si sentì dal piano di sotto. “Tutto bene?”.
“Rispondile” tuonò Xavier.
“Sì, amore! Tutto bene, tranquilla!”.
“Chiudi a chiave la porta...”.
“Questa stanza non ha chiavi e noi siamo contrari all’utilizzo di...”.
“Spranga la porta con la sedia: tra due minuti lei vorrà entrare”.
“E come le spiego perché mi sono chiuso dentro?!”.
“Inventati qualcosa ma non deve vedermi, altrimenti tutto sarà inutile”.
Lionell allora s’alzò, prese il bastone della tenda e lo pose tra la maniglia della porta ed il muro.
“Fatto. Ora puoi spiegarmi, per favore?” fece lui, portando le mani alla testa e rimanendo in piedi, sotto il lampadario.
“Irya è una diretta discendente di Prima. E sua figlia, perché avrà una figlia, sarà il cristallo”.
“Ma perché?!”.
“Poco tempo prima di sparire da Adamanta, Prima aveva desiderato di inglobare il cristallo nel proprio corpo, in modo da diventare sia oracolo che cristallo, contemporaneamente. Con la progenie, il potere venne tramandato”.
“Quindi...”.
“Quindi tua moglie è stata in grado di parlare con Arceus, e lo sarà finché non nascerà tua figlia Rachel”.
“Ra-Rachel?!”.
“La chiamerete così. Sarà poi lei il nuovo oracolo. E cristallo, ovviamente”.
“Ok, ma tutto questo cosa c’entra col tuo futuro?!”.
“Hai presente la Battaglia del Plenilunio, quando  gli Ingiusti utilizzarono i propri Pokémon per distruggere ed ammazzare? Beh, ad Arceus la cosa non piacque tanto”.
“E... e cosa successe?”.
“Successe semplicemente che profetizzò la fine del mondo, entro mille anni da quel giorno. Ed è chiaro perché sono qui, ora, no?”.
Lionell fece cenno di no.
“La fine del mondo ha implicato nel mio universo, tra diciott’anni nel tuo, la distruzione di tutto causata per mano di potenti Pokémon. Rachel sarà quindi l’unica in grado di parlare con Arceus per fermare tutto”.
Lionell aveva le sopracciglia inarcate e gli occhi spalancati. “Dimmi un po’, Lionell... vuoi lasciare ad una ragazza di diciott’anni la responsabilità di salvare la vita umana?”.
L’uomo rimase in silenzio. “Io credo sia difficile...” continuò Xavier. “Credo debba farlo tu e...”.
Poi la porta cercò d’aprirsi, trovando la resistenza del bastone.
“Amore” sentì da dietro l’uscio. “Con chi parli?”.
Lionell spalancò gli occhi, poi vide Xavier sorridere divertito.
“Io... sto studiando la mia tesi...”.
“E perché sei chiuso dentro?”. La voce arrivava ovattata dietro la porta di legno.
“Perché... mi concentro di più così!”.
“Ma se non ci sono le chiavi! Come diamine hai fatto?!”.
“L’ho bloccata! Ora però lasciami studiare, dai”.
“... ok... Torno di sotto...”.
Pochi passi poi il rumore degli scalini sotto il suo peso, quindi Xavier annuì.
“Che devo fare?” domandò Lionell.
L’uomo sulla chaiselongue sorrise. “Devi aspettare che tua figlia cresca e che impari a parlare con Arceus, prima dei diciott’anni. Averla sempre sottocontrollo. Dopodiché dovrai estrarre il cristallo dal corpo di tua figlia, per salvare il mondo”.
Lionell spalancò gli occhi. “Cosa?”.
“Dovrai darlo a me, che lo terrò al sicuro”.
“Ma Rachel starà bene?”.
Un attimo di silenzio.
“Rispondimi!” urlò lui, nervoso, noncurante di sua moglie Irya.
“Non alzare la voce con me, non te lo consento. Tua figlia morirà ma tu dovrai fare questo, per l’umanità. Oppure io verrò qui, ed ucciderò tutte le persone che ami”.

Lionell pianse, Xavier se ne andò qualche minuto dopo, raccomandandogli di nuovo di eseguire la sua missione e di mantenere la massima riservatezza.
Avrebbe fatto nascere la propria bambina, l’avrebbe cresciuta e l’avrebbe vista morire.
Oppure no, avrebbe lasciato che tutto fluisse come Arceus aveva comandato e sarebbero morti tutti quanti.
Forse era meglio così.
O forse no.
Levò il bastone della tenda dalla maniglia ed uscì fuori, il corridoio era buio.
Il rumore della televisione proveniva dal piano di sotto
Entrò in bagno e si lavò il volto, sporco di lacrime e paura, quindi raggiunse Irya.
Era sul divano, guardava una replica del David Letterman Show dove Kevin Hart chiamava Daveo il presentatore. Lo faceva con così tanta naturalezza che il fatto che fosse tutto artefatto pareva non risaltare più.
Irya rideva, Kevin Hart la divertiva parecchio.
Lionell aveva il volto cereo quando le si sedette accanto.
“Hey” fece quella, poggiando la testa sulla sua spalla, carezzando la pancia che lentamente levitava. “Finito di ripetere?”.
“Ho avuto un... un blocco”.
Chiamarlo contrattempo sembrava troppo riduttivo. Quasi stava per spifferare tutto, sentendo la rabbia dentro caricare quando la guardava negli occhi, pensando che lei gli avesse tenuto nascosto la faccenda delle sue origini da prescelta e questa cosa cambiò col tempo l’opinione che aveva di lei.
Nei sei mesi successivi, infatti, il rapporto con Irya cominciò ad incrinarsi.
Un mese prima del parto, Lionell ed Irya erano in auto.
Lui non riuscì più a mantenere il silenzio, andando contro gli accordi presi con Xavier, scucendosi al nuovo “ma che hai?!” quasi irritato di sua moglie.
“Non ho niente, Irya” faceva quello, serioso. Mise la freccia a destra e girò verso Park Avenue.
“A chi vuoi darla a bere?! Io ti conosco! Che c’è, hai un’altra donna?!”.
“Non me lo sognerei mai”.
“E allora che succede?! Perché sei così freddo, con me?!”.
Lionell si voltò e la guardò negli occhi: il suo volto era contrito e l’interrogativo che aveva stampato nello sguardo non accennava a diminuire.
“Non lo so. Chiedilo ad Arceus”.
Pungente. Ma Irya inizialmente non capì.
“Ma che risposta è?! Chiedilo ad Arceus! Incredibile! Cioè io...”.
“No, davvero: chiedilo ad Arceus”.
Poi scese il silenzio per qualche secondo. Irya sbatté le palpebre due volte, cercando di mantenere le lacrime.
“Come lo hai scoperto?”.
“Ho studiato, moglie. Ho studiato. Tu, invece, come hai potuto soltanto pensare di non mettermi a parte di un’informazione così importante?”.
Irya rimase in silenzio, mortificata.
“Nostra figlia sarà il cristallo di Arceus e tu non avevi intenzione di dirmel0?!” alzò la voce lui.
“Senti, io non potevo dirtelo! Questo è un segreto, nessuno sa questa cosa e...”.
“Cosa diamine significa, Irya! Io sono tuo marito! E nostra figlia sarà l’unico modo per mettere a posto le cose nel futuro?!”.
“Cosa?!”
“Sì, nostra figlia Rachel dovrà appianare le cose! E poi morirà!”.
Irya spalancò gli occhi, mettendo le mani sulla pancia. “Ma che diamine stai dicendo, Lionell?!”.
“Il cristallo dovrà essere estirpato dal suo corpo, Irya! Altrimenti moriremo tutti!”.
Lei guardò il ventre rigonfio e cominciò a piangere. “Io morirei, per Rachel”.
“Lasceresti che tutti muoiano per Rachel? Io no”.
“Io sì”.
Lionell si fermò e guardò la moglie, accostando la macchina.
“Faremo come dico io. Porteremo a termine la gravidanza ed alleveremo nostra figlia in modo che possa fare ciò che le spetta tra poco meno di diciott’anni. Poi saremo pronti a lasciarla andare. Vero amore?”.
Gli occhi di Irya erano ormai il bacino e le lacrime il canale. Cadevano, queste, sulla maglietta che copriva il pancione, sentendo l’impatto come una detonazione pesante.
Ogni lacrima pesava un quintale, un masso lanciato dal cavalcavia.
“Vero amore?!” urlò poi Lionell, furioso.
“Vero, amore...”.

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