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TSR - 11 - Glitch

11. Glitch


 
Hoenn, Verdeazzupoli, Villa Petri

Il mattino aveva l’oro in bocca, solitamente.
Quello no.
“E anche oggi un po’ di pioggia... ti pareva...” sbuffò Fiammetta, dopo aver aperto le persiane. Il giardino di Villa Petri era spoglio e grosse pozzanghere si erano formate nel prato bruciato dal freddo. La donna si portò davanti al comò e, osservando il proprio riflesso nello specchio, raccolse i capelli con entrambe le mani, per poi legarli con l’elastico che teneva al polso. Solita coda alta, poi scese al piano di sotto, camminando lentamente, a piedi scalzi. I talloni battevano sul parquet di mogano.
“Buongiorno, Fiammy” diceva Jarica, seduta sul tappeto con le gambe incrociate. Giocava con le bambole mentre guardava alla televisione un cartone animato.
“Buongiorno, tesoro. Hai fatto colazione?”.
“Sì, Leslie mi ha fatto i cereali”.
La donna sorrise. “Si dice preparato. Tra poco spegni e posa tutto, dobbiamo fare i compiti”.
Quella sbuffò. “La matematica non la capisco…”.
E fece ridere Fiammetta. Si avvicinò a lei e le carezzò la testa. “Non sei la sola”.
“Rocco è più bravo di me”.
Mphf. Rocco è più bravo di tutti, ma credo che potrei comunque darti una mano… Appena finisce la puntata vieni in cucina”.
Andò lì, Leslie stava preparando il pranzo, chiusa nel suo grembiule candido, allacciato dietro al collo e perfettamente pulito.
“Buongiorno, Signorina Moore” fece, senza neppure voltarsi.
“Buongiorno… Il programma di oggi era andare a Cuordilava per sostenere due sfide in Palestra ma…” prese una piccola pausa e sospirò. Si avvicinò poi alla finestra e spostò leggermente la tenda bianca. “… beh, il tempo fa schifo. C’è allerta e siamo bloccate su di un’isola in mezzo al mare… Che pessima idea”.
“Il Signor Rocco sa quello che fa” ribatté Leslie, sorridente.
“Sì, sì, lo so…”  sbuffò l’altra, continuando a guardare la pioggia cadere. “Volevo uscire a comprare qualcosa ma…”.
“Non è il caso”.
“Odio la pioggia”.
“Anche io” ribatté Jarica, con la sua voce squillante, che apparve alle loro spalle con lo sguardo corrucciato. “E odio anche il freddo”.
Fiammetta sorrise. “Fortunatamente qui si sta bene”. Vide l’altra annuire, poi si sedettero entrambe al tavolo, grosso e parecchio antico e cominciarono a studiare.
 

*

Nonostante i problemi con la matematica, la sorella maggiore non ebbe grossi problemi ad aiutare quella minore coi problemi di seconda elementare.
“Grazie” fece quella, chiudendo la zip dell’astuccio e sovrapponendo ordinatamente fogli, quaderni e libri.
“Ripassa le moltiplicazioni, piccola”.
“Va bene”.
Leslie si voltò e andò in salone, lasciandole da sole. Jarica la fissava, e la cosa incuriosì la più grande.
“Che c’è?”.
“Quando torneremo a casa?”.
L’altra ridacchiò sommessamente, annuendo e facendo spallucce. Portò una mano sul volto e sospirò.
“Non lo so, tesoro. Quando sarà sicuro, immagino”.
“Mi manca la mia camera” ribatté spedita la ragazzina.
Quella non aveva torto. Nonostante casa di Rocco fosse meravigliosa desiderava la sua doccia e i suoi spazi.
“Beh, forse potrei tornare a Cuordilava a prendere qualcosa. Scrivimi ciò che ti serve da qualche parte e te lo porto, devo soltanto chiedere a Pat di aiutarmi”.

Bohemian Rhapsody cominciò a suonare al piano superiore. Era il suo cellulare.

“Uff… dannazione…”.
Fiammetta scattò in piedi e scavalcò sua sorella, uscendo dalla cucina e cominciando a salire i gradini in legno della vecchia villa. Scricchiolavano sotto al suo peso, mentre Freddie Mercury cantava a sua madre. Passò davanti alla porta del bagno, spalancò quella della camera da letto e si gettò sul letto, passando velocemente il dito sullo schermo, che segnava chiaramente il nome di Rocco.
“Pronto! Uff, amore! Ero di sotto”.
“Fiammetta!” tuonò quello.
La donna corrucciò lo sguardo. Aspettò che quello continuasse.
“Fiammetta! Non uscire di casa per nessun motivo!” esclamò, con voce preoccupatissima.
“Ma… ma, Rocco… che succede?”.
“Non hai ancora visto i telegiornali?!”.
“Veramente no… Mi sono svegliata da poco… Aspetta…”.
Rotolò sul lato e afferrò il telecomando sul comodino dell’uomo, accendendo il grande Samsung appeso alla parete. La prima immagine che vide fu il suo volto.
Si alzò in piedi lentamente, confusa.
“Ma che… che diamine…”.
“Sei la principale indiziata per l’omicidio di Rafan, avvenuto ieri...”
“Rafan è morto?!”.
” rispose l’altro. “Dopo una rapina nella miniera di diamanti, a Libecciopoli. Ci sono le immagini della videosorveglianza, hai ucciso la receptionist della Palestra con una penna e poi sei scesa giù... Hai ammazzato settantatre persone”.
A quelle parole, la donna impallidì. Era una persona con la testa sulle spalle, non si sarebbe mai sognata di fare del male a una mosca.
“... Io... io non so che dire... Poi, ieri eravamo assieme, ricordi no?”.
Ma sì, ma sì, non è questo il problema... Sono pronto a testimoniare in tuo favore, e anche Leslie e Jarica erano qui con noi. Tu eri a Verdeazzupoli, ne siamo certi ma...”.

E poi il campanello suonò.

“Aspetta”.
Si alzò rapida dal letto, abbassando il volume alla televisione. Il cellulare nella mano destra, la sinistra abbassò la maniglia d’ottone e la porta si riaprì. Sentiva i passi di Leslie avvicinarsi alla porta.
Il campanello, Rocco”.
Sono già lì...” sbuffò l’altro.
Leslie stava per aprire, la sentiva.
“Chi?”.
Quelli della Polizia Internazionale, Fiammetta... Stai zitta, non dire niente, sto arrivando”.
“Merda...” sospirò, fiondandosi al piano di sotto. La mano che non stringeva il cellulare carezzava il corrimano e le gambe diventavano sempre più pesanti. Non appena Leslie aprì la porta, quella gli sbatté addosso, facendola cadere di lato.
“Fermi!” urlò lei.
“POLIZIA INTERNAZIONALE! TUTTI A TERRA! MANI DIETRO LA TESTA!”.
Più di dieci uomini entrarono velocemente in casa, tutti armati di Glock nere. Tutti con indosso passamontagna scuri e giubbotti antiproiettili, tutti con grossi stivali anfibi di gomma.
E quando uno di quelli puntò la pistola contro la testa della domestica, alla mente di Fiammetta saltò subito Jarica.
“Fermi! Sono qui! Sono qui, cercate me! Non toccate mia sorella!”.
“MANI IN ALTO!”.
“Fiammetta!” urlava Rocco al cellulare. “Fiammetta, sto arrivando! Tieni duro!”.
“Non toccate Jarica! Non fatele del male!”.
Scese lentamente le scale, con le mani alzate, mentre tre bocche di fuoco erano puntate sul suo viso e sul suo petto. Un agente impattò contro di lei, le scivolò alle spalle e la colpì sulle gambe, per farla inginocchiare. Le strapparono il telefono dalle mani e le piegarono i polsi, prima di ammanettarla.
Sulla destra, sotto la cornice della porta della cucina, la piccola Jarica guardava inorridita sua sorella, mentre le spiegavano i suoi diritti. Vide poi entrare in casa un ultimo uomo, diverso dagli altri perché non in divisa, e senza arma tra le mani.
Era più calmo ma il suo sguardo era attento e vispo. Indossava un grosso soprabito beige, pantaloni neri e stivali lucidi. Era magro e molto alto, di bell’aspetto, coi capelli ben pettinati verso destra, brizzolati, e il volto totalmente sbarbato.
“L’abbiamo presa...” sospirò. Prese il telefono e lo avvicinò al’orecchio.
“Sì, qui agente 369, nome in codice Bellocchio. Abbiamo messo la sospettata sotto arresto e ora la portiamo con noi”.

 

Adamanta, Timea, Uffici della Omecorp

“Più di tre quintali di diamanti...”.
Linda sorrideva. Era in piedi accanto a Lionell, nel suo ufficio.  Guardava Fiammetta, quella versione folle e senza scrupoli, stesa sul divano; i lunghi capelli fulvi erano stesi sul bracciolo, quasi toccavano terra, mentre le dita si muovevano agili suonando la melodia di un pianoforte immaginario.
“Sono grezzi, e questo abbassa il prezzo di vendita” osservò Lionell, sospirando. Si sistemò meglio sulla sedia e annuì, consapevole. “È comunque un buon punto di partenza. Li venderemo così, non possiamo perder tempo nel lavorarli. Abbiamo altri due colpi da organizzare...”.
Il suo volto era freddo, il suo sguardo concentrato. Linda era profondamente attratta da quell’uomo.
“Mi sto mettendo già alla ricerca di un acquirente per l’intero stock”.
“Meraviglioso. Ci sono sospetti su di noi?”.
L’altra sorrise, facendo cenno di no con la testa. Puntò il dito contro Fiammetta. “Cercano lei. In più hanno arrestato la vera Fiammetta Moore qualche ora fa, quindi tra interrogatori e accertamenti guadagneremmo ancora tempo”.
“Sempre che non confermino l’arresto” osservò Jasmine, sempre più lucida delle altre due, seduta sulla poltroncina a sinistra di fronte la scrivania. Accanto a lei c’era una più che assente Sandra.
“Infatti” osservò Lionell. “Se la condannassero potremmo andare avanti tranquilli. Ma è molto probabile che non succeda”.
“Ma poi dovrebbero trovare una perfetta sosia di Fiammetta” ribatté Linda.
L’uomo si alzò, guardando oltre la finestra. Pianificava, cercava di anticipare gli eventi, immaginando i passi successivi. E l’unica cosa che poté fare, fu voltarsi e guardare Fiammetta, ancora stesa sul divano.
“Incredibile... Potete andare. Mi raccomando, Linda, entro domattina dovremo far sparire questi diamanti dai nostri magazzini”.
“Come fosse già fatto”.
“Meraviglioso”.

 

Cielo di Hoenn, Base Dirigibile della Polizia Internazionale

Rabbia.
“HO GIÀ DETTO CHE NON ERO IO QUELLA PERSONA!”.
La voce di Fiammetta rimbombava in quella piccola stanzetta buia. Aveva alzato entrambi i polsi, legati tra di loro con fredde e solide manette d’acciaio, e sbatté i pugni sul tavolo che aveva davanti.
“COME AVREI FATTO AD ESSERE CONTEMPORANEAMENTE A LIBECCIOPOLI E A VERDEAZZUPOLI?!”
Bellocchio era di fronte a lei, dall’altra parte del tavolo. Aveva svestito l’impermeabile, lo aveva piegato minuziosamente e poi poggiato sul divanetto di pelle grigia che c’era accanto alla porta. Era rimasto in camicia, aveva tirato su le maniche e liberato il collo dalla cravatta.
Sudava.
Umettò le labbra e deterse la fronte con la mano.
“Qui fa caldo... Ma ragioniamo, si calmi, signorina Moore, e facciamo un riepilogo...” sospirò. Fiammetta lo fissava impaziente, sbuffava in continuazione, mordendosi le labbra e stringendo i pugni. Era infastidita dalla luce bianca sospesa sulle loro teste.
“Vuole davvero che le ripeta per la seicentoventesima volta che cosa stavo facendo ieri sera?!”.
“Non si alteri. Allora: ha detto di essere stata tutto il pomeriggio di ieri a casa del tuo fidanzato, che peraltro è anche il Campione di Hoenn. Era quindi a Verdeazzupoli, nega di aver prenotato un biglietto per Unima e di essersi imbarcata ad Adamanta e, sicuramente non ha preso una linea bus da...” la voce profonda s’interruppe e gli occhi scuri si abbassarono sul foglio che aveva sotto le mani. “... Ponentopoli, prima di arrivare a Libecciopoli, proprio pochi minuti prima della strage... Esatto?”.
“Sì!” esplose Fiammetta, con le lacrime agli occhi. “Cazzo, io...”.
I loro sguardi s’incontrarono a metà strada.
“Cosa?”.
“Io sono una donna di legge... Gestisco una Palestra da anni, mi batto ogni giorno per la giustizia e la lealtà, come feci tre anni fa, quando per la seconda volta ho rischiato la vita nel tentativo di salvare questa dannatissima regione... Voi invece dov’eravate?”.
Silenzio. Bellocchio fissava la donna, guardava le sue lacrime scivolare sul viso.
“Si dichiara colpevole?”.
“No...” sbuffò l’altra.
L’uomo allora spinse un foglio sul tavolo, fino a portarlo davanti al suo sguardo.
“Questa però è chiaramente lei”.
“O qualcuno che mi assomigli! Senta, a meno che non sia un reato stare sul divano di casa mia, dacché ne ha le prove, non può trattenermi qui!”.
La sua voce rimbombò forte in quel cubicolo, prima che fuggisse via dalla porta: qualcuno l’aveva aperta, entrando immediatamente nella sala interrogatori. era Rocco Petri.
Furibondo.
“Fiammetta!” esclamò, correndo verso di lei e sollevandola di peso, stringendola poi in un caloroso abbraccio. La sentì piangere e abbandonarsi a lui, sollevata.
Bellocchio guardava in silenzio la scena, totalmente immobile, coi gomiti puntellati sul tavolo e il viso totalmente spoglio d’emozioni.
“Immagino che lei sia il Campione di Hoenn...”.
“Liberatela subito!” gli ordinò l’altro, con l’espressione corrucciata in viso. Il poliziotto, tuttavia, rimase fermo, limitandosi a incrociare le braccia.
“Non so come sia riuscito ad arrivare fin qui ma prima che l’arresti per interruzione di pubblico ufficio, intralcio alla giustizia e un sacco di altre cose è meglio che se ne vada e mi faccia finire di fare il mio lavoro”
“Lei sta tenendo questa donna ammanettata ingiustamente!”.
Il silenzio veniva rovinato soltanto dai gemiti di Fiammetta, che tremava stretta tra le braccia del suo uomo. Bellocchio sospirò e si alzò in piedi, con una lentezza quasi esagerata, e si avvicinò muso a muso all’altro.
“Non m’interessa chi è lei, di chi sia il figlio o quale sia il suo lavoro” ringhiò. “Quella che abbraccia, è la donna che è accusata di aver reso settantatre donne vedove, e più dei duecento bambini orfani di padre...”.
“Non sono stata io!” urlò di contro Fiammetta.
“Questa donna è accusata di aver dato alle fiamme un luogo istituzionale e aver commesso la più grande rapina a una miniera di diamanti degli ultimi cinquant’anni. E lei mi chiede di liberarla senza aver fatto luce su nulla”.
I due si fissavano. Lo sguardo glaciale di Rocco si scontrava in quello granitico dell’agente 369.
“Liberi immediatamente Fiammetta”.
“Qui non ha alcuna autorità, Rocco Petri”.
Quello sorrise, facendo cenno di no con la testa. Lasciò la presa dalla sua donna.
“Dal cielo fino al centro della terra, tutto ciò che si trova a Hoenn è e sarà sotto la mia autorità, fino a quando sarò io a controllare che la giustizia di questo posto sia sempre tutelata. Io proteggo la mia gente. Lei è la mia gente. Quindi, mio caro Poliziotto Internazionale, liberi questa donna, prima che sia io ad arrestarla”.
Bellocchio rimase a guardare Rocco per qualche secondo, grattandosi la guancia; sentiva la barba sottile sotto le dita; lui si radeva ogni mattina.
“La signorina Moore l’ha citata durante il suo interrogatorio, quindi è bene che faccia qualche domanda anche a lei... Si accomodi, Campione”.
Fiammetta e Rocco si guardarono per quattro intensi secondi.
“Potrebbe servire a scagionarla” aggiunse l’altro, guardando il Breil. Subito dopo indicò con la mano la sedia.
Quello dai capelli grigi annuì, guardando Fiammetta. Quindi si sedette, mentre Fiammetta rimase in piedi, dietro di lui. Bellocchio, riprese posto di fronte a lui, sistemò le carte che aveva davanti agli occhi e sospirò.
 “La signorina Moore afferma d’esser stata...”.
Rocco lo interruppe. “Tutta la giornata con me, a casa mia, dove sua sorella minorenne Jarica Moore e la governante, Leslie Winter, possono testimoniare. Inoltre abbiamo ordinato una pizza, il ragazzo che ce l’ha portata potrà sicuramente dire d’aver visto la mia fidanzata aprirgli la porta, pagare e consegnargli più di cinque dollari di mancia...”.
Bellocchio sospirò. “Aspetterete qui mentre appuriamo che ciò che affermate sia vero. Intanto la signorina Moore aspetterà nella cella di sicurezza”.
“Assolutamente no!”.
“Non transigo” ribatté l’agente, fermo.
“Allora arresterete anche me!”.
“Non me lo faccio ripetere due volte”.

 

Adamanta, Primaluce, Casa Recket

Quarantotto minuti.
Aveva tenuto il tempo, Rachel, prima che Allegra avesse protestato per il maltempo di quel giorno. La donna aveva provato a rilassarsi, mettendo su un po’ di musica classica.
Abbinata alla pioggia, e alla voglia di riprendere il Murakami che aveva sul comodino da tre settimane, quello doveva essere un pomeriggio di relax. Mise anche a preparare del tè verde, che bevve con un po’ di miele, in una tazza di porcellana bianca. Riscaldò anche le mani.
Zack, poi, quando si addormentava accanto a lei, aveva il dono di farla sentire in pace col mondo; si era poggiato sul divano, silenzioso, spegnendosi all’improvviso.
Tutto sembrava idilliaco, se non per l’impazienza della piccola di casa Recket.
“Ma quando smette di piovere?!” esclamava lamentosa Allegra, con le mani sulla finestra.
“Prima o poi” rispose sua madre, prendendo un sorso di tè.
“Uff… mi scoccio…” protestò ancora la bambina. Poggiò la fronte contro il vetro e il suo respiro fu catturato, diventando condensa. I piccoli ditini disegnarono una faccina triste. “Possiamo andare da zia Alma?”.
“Zia Alma ha da fare”.
Rachel voltò pagina, distratta.
Allegra guardò suo padre dormire steso sul fianco, che le dava la schiena. Arcanine era nella sfera, ed era tassativo l’ordine di non toccare le Pokéball.
“E da zio Ryan?”.
Rachel non le rispose, rimanendo immobile. Prese un altro sorso di tè e continuò a leggere.
E Allegra non ci stava.
“Mamma…”.
“Piccola”.
“Da zio Ryan?”.
La madre alzò lo sguardo.
“Anche lo zio Ryan ha da fare”.
“E uffa però!” esplose lei. Rachel vide Zack sorridere, immobile, e non poté fare altro che emularlo. “Papà dorme, zia Alma ha da fare, zio Ryan ha da fare! Tutti quelli simpatici hanno da fare!” esclamò, mettendo il broncio e incrociando le braccia.
Zack continuava a ridere. Rachel invece era contrariata.
“Io non sono simpatica?”.
“Sì…” aggiustò il tiro la piccola, evitando lo sguardo della madre. E li Rachel rise di gusto, chiudendo il libro e alzandosi.
“Ti va di giocare un po’ assieme?”.
“… Va bene…”.
“Con cosa vuoi giocare?” le domandò, abbassandosi verso di lei e prendendole le mani. Incrociò il suo sguardo cristallino e le sorrise.
“Coi Pokémon”.
Rachel sospirò. Quello bravo a fare quelle cose era Zack. “Ehm, che ne dici delle bambole, invece? Potremmo giocare con qualcos’altro”.
“No! Voglio uscire a giocare coi Pokémon!”.
“Assolutamente no! Fuori piove, ti prenderai un accidente!”.
“Ma! Allora vedi che sei noiosa?!” urlò quella. Rachel sospirò nuovamente, vedendo Zack continuare a ridere. Tuttavia non gli avrebbe dato la soddisfazione di svegliarlo per regolare sua figlia, l’avrebbe fatta divertire nonostante la pioggia.
“Forse puoi giocare con il mio primo Pokémon…”.
“Zoroark?!” esclamò, felicissima. Gli occhi della bambina erano spalancati e increduli. Insieme salirono le scale ed entrarono nella camera da letto. La bimba correva alle sue spalle, tenendo a fatica il passo della madre. “E... e... lo posso accarezzare?”.
“Certo” sorrise Rachel. Aprì il cassetto del comò e prese una delle tre sfere che erano lì.
La aprì e mostrò a sua figlia il suo Zoroark. Il Pokémon rimase immobile, mansueto com’era, fissando la sua Allenatrice, in piedi davanti a lui.
“Ciao…” gli sorrise quella. “Non ci vediamo da tempo…”.
Gli toccò la zampa. Quello rimase fermo, guardando poi la piccola figura aggrappata alla coscia della donna.
“Ti ricordi di mia figlia? Vorremmo divertirci un po’… puoi usare una delle tue illusioni?”. Poi si voltò. “Allegra, dov’è che vorresti essere, ora?”.
Quella non ebbe dubbi.
“Al Luna – Park di Plamenia!”.
Rachel sorrise e fece spallucce a Zoroark. “L’hai sentita? Il Luna-park”. Poi prese per mano la bambina e si sedette sul letto, prima che tutto diventasse buio e s’illuminasse a giorno.
Erano davvero a Plamenia, nel parco divertimenti. Sentiva il rumore delle giostrine e l’odore dello zucchero filato. Le persone s’accalcavano per salire sulla ruota panoramica ed un signore con la tuba ed il bastone invitava le persone ad assistere allo spettacolo di magia che si sarebbe tenuto proprio davanti all’autoscontro.
“Oh... Mamma! Andiamo a vedere lo spettacolo di magia!”.
Rachel sorrise. “Sì. Andiamo a vedere lo spettacolo”.

 

Cielo di Hoenn, Base Dirigibile della Polizia Internazionale

Fiammetta e Rocco erano nella cella di sicurezza, senza manette. Entrambi erano seduti su di una scomoda panca d’alluminio, con le gambe accavallate, attendendo il momento che li avrebbero liberati da quell’inutile prigionia. La cella non era vuota, dato che con i due fidanzati vi erano altre due persone. Il primo era un uomo sulla cinquantina, con una grossa cicatrice a deturpargli il volto e i capelli lunghi. Il secondo invece era un ragazzo parecchio più giovane, magro, totalmente calvo e con gli occhi azzurri.
“Quando andremo via?” domandava Fiammetta, sussurrando all’orecchio di Rocco. Aveva poggiato la testa sulla sua spalla mentre quello era rimasto immobile a fissare ciò che succedeva oltre le sbarre.
“Spero tra poco. Avranno sicuramente sentito Leslie”.
“Non vorrei che implicassero anche Jarica in questa situazione…”.
“Neppure io” ribatté l’uomo. Sospirò.
La donna portò una mano sul volto stropicciandosi i grossi occhi rubini. Si morse il labbro inferiore e strinse Rocco, rimanendo in quella posizione per un quarto d’ora ancora, prima che Bellocchio si presentasse al fianco di Green Oak e degli altri Dexholder di Kanto.
“Il porta pizze e la governante hanno confermato la vostra versione. Siete liberi”.
Fiammetta e Rocco si alzarono in piedi e uscirono, quindi Green Oak strinse le mani ad entrambe. “Dov’è che possiamo scambiare quattro chiacchiere?” chiese a Bellocchio.
Quello li condusse nella sala riunioni del dirigibile. Era una stanza assai grossa, con un’ampia finestrata a illuminare un tavolo d’acciaio, che li accolse.
Fiammetta guardava Blue e poi Red. Era sorpresa di vederli lì. Il suo sguardo si poggiò poi su Rocco, immobile, mentre Green non fece attenzione a Bellocchio, entrato per ultimo nella stanza. Chiuse la porta e si voltò, facendo per sedersi.
Tutti guardavano Green. Tutti aspettavano che dicesse qualcosa. Lui si sistemò meglio nella poltroncina rivestita di tessuto blu e prese un lungo respiro. “Allora…” fece. “Che è successo?”
Fiammetta allargò le braccia, come a sottolineare l’ovvietà della cosa. “Mi hanno arrestata”.
“Per quella cosa dei diamanti…” osservò Yellow, docile. “Ma non avevano ragione… vero?”.
“Assolutamente no!” ribatté la rossa. Red annuì e la guardò negli occhi. Poi fissò Yellow, concentrata e silenziosa, al suo fianco.
Calò il silenzio. Tutti guardarono Green, che sospirò e annuì. “Agente Bellocchio…” fece. “Sto per parlare d’informazioni strettamente confidenziali, quindi la pregherei di uscire per qualche minuto dalla stanza”.
Rocco guardò la soddisfazione negli occhi di Fiammetta, poi fissò l’uomo che li aveva interrogati rimanere immobile per qualche secondo, colpito. Annuì, vedendo Blue fare cenno con la testa in direzione della porta. E quando uscì, l’attenzione si focalizzò nuovamente sul capo dell’Osservatorio di Kanto.
“Che è successo?” domandò Fiammetta. Il fatto che fossero tutti lì, in quel contesto, la spaventava.
Green abbassò lo sguardo e rapprese le labbra. E poi lo disse, con uno strappo netto.
“Hanno rubato il Cristallo del Caos…”.

Fiammetta saltò un battito.

Le mani si strinsero attorno ai braccioli della poltroncina e la bocca si schiuse. Batté le palpebre ma lo sguardo rimase contrito e disperato.
“Han…” poi deglutì. Tutti, nessuno escluso, furono impressionati dal volto della donna; il fatto che fosse così terrorizzata diede loro a pensare che forse avessero preso la cosa sottogamba.
“Calmati…” le fece Rocco, stringendole il braccio.
“Hanno rubato la pietra?” chiese di contro la rossa, con un filo di voce. Non si mosse più, fino a quando non vide Green annuire.
“Temiamo che l’autore del furto a Libecciopoli sia lo stesso che ha trafugato il cristallo”.
“Ecco perché quando abbiamo sentito la notizia della rapina al telegiornale ci è venuta una terribile paura” subentrò Red. “Era quello che temevamo: sfruttare la furia del cristallo per questi scopi”.
“Sono morte quasi ottanta persone…” osservò Yellow, con lo sguardo basso.
Calò poi il silenzio. Blue annuì e sospirò. “Io non credo che sia stata tua, Fiammetta… La questione, però, è che quando hanno rubato il cristallo, le telecamere di Green hanno mostrato il volto di un uomo, che noi abbiamo interrogato”.
Rocco guardò Red, come a conferma della cosa. Quello annuì.
“Aveva un alibi di ferro” chiuse.
“Come lei…” rispose il Campione.
“Era totalmente innocente” riprese Blue. “Ignaro della situazione, cadeva dalle nuvole. Aveva delle riprese di videosorveglianza interna che lo riprendevano a casa sua nell’orario del fatto”.
Green batté le nocche sul tavolo. Il rumore riverberò nell’intera sala, zittendo i presenti.
“Ora…” fece, dopo un lungo sospiro. “Avete una spiegazione quantomeno verosimile a tutto questo?”.
Si guardarono, Rocco e Fiammetta. Silenziosi, sospiranti.
Lei lesse negli occhi dell’uomo il senso di responsabilità che aveva per la sua gente, e quasi visualizzava il suo timore, immaginando a un malvivente pronto a mettere ferro e fuoco per la terza volta Hoenn; negli occhi della donna, invece, il Campione vedeva solo terrore.
Entrambi fecero cenno di no.
“Sicuri?”.
“Non sono sicura più di niente…” sospirò Fiammetta, abbassando lo sguardo. Green annuì, guardò Blue e si alzò. Gli altri lo seguirono, lasciando i due fidanzati da soli, seduti.
Si guardarono ancora.
“Andiamo a Iridopoli, chiamiamoli e analizziamo meglio la cosa”.

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