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Yelloween 3

Yelloween 3.0... 



Era davanti ai miei occhi. Lo so, lo posso ricordare alla perfezione. Ricordo il rumore freddo delle ossa che si spezzavano, delle fauci di quel Noivern che masticavano le vertebre; ricordo l’odore del sangue, che sgorgava dalla bocca di Valerio come se non ne avesse più bisogno.
Ricordo come ne era ricoperto. Ricordo i suoi occhi, la sua paura, la mia paura, quella puzza di sangue e terrore, di rassegnazione al senso d’abbandono.
Credevo che lui avrebbe fatto di me quello che voleva. Ricordo il colore della sua pelle, così fredda e pallida.
Ricordo lo schifo che provai quando mi toccò il collo, con le mani sporche del sangue di Valerio. Le trascinò, fredde com’erano, sul mento, e poi sulle labbra.
Mi baciò, rimestando la sua saliva ed il suo sangue nella mia bocca.
Mi catturò, mi abbandonò e mi promise che sarebbe ritornato a prendermi.
Sarebbe tornato ad ammazzarmi, a donarmi un altro bacio, l’ultimo.
Il bacio della morte.

“Era qui? Sei sicuro? Proprio qui?”.
Raffaello annuiva, stanco, mentre il sole picchiava pallido su Azalina. Tutt’intorno il silenzio spingeva le proprie mani sugli alberi e sui tetti delle case, costringendo chiunque a sussurrare.
Del resto Red di Biancavilla non andava in quei posti tutti i giorni.
Il Capopalestra indossava un maglioncino morbido di filo, color crema, sul quale i lunghi capelli violacei s’appoggiavano morbidamente. Guardava gli occhi di Red e vedeva la paura e l’ansia di chi non sa e vuole sapere.
Di chi dovrebbe sapere.
Proprio davanti ai loro occhi era rimasta la sagoma del cadavere che meno di ventiquattr’ore prima cadavere non era, in quanto camminava, rideva, piangeva. Respirava, proprio come loro.
“Ieri è venuta con Valerio, partecipavano a quest’indagine...”.
“Che indagine?” replicò immediatamente il Dexholder, cercando di calmare l’istinto di stringere quel ragazzo per le spalle e cominciare a scuoterlo.
“Questa” rispose Raffaello, allungando l’indice verso le bande bianche stese sulla pavimentazione del paese. La gente camminava attorno ai due cercando di passare quanto più inosservati possibile. Gli Slowpoke sbadigliavano stanchi e sonnecchianti, muovendosi lenti come le onde del mare d’estate, di notte.
“Un uomo trovato ucciso senza il collo. E la polizia sta continuando le sue ricerche anche nel Bosco di Lecci, perché anche Valerio è stato trovato senza vita...”.
“Valerio?! Il Capopalestra di Violapoli?! Quello che è era con Yellow!” esclamò il ragazzo, spaventato.
“Sì. Ma di Yellow non c’era traccia...”.
Red fu impulsivo, si voltò d’improvviso e corse verso ovest, superando l’ingresso del bosco e sparendo tra i rigidi fusti degli alberi.
Sembravano essere infiniti. Lui correva dritto, dribblando gli alberi e calpestando rametti ed erba secca. Il sottobosco avvertiva i Pokémon selvatici del suo arrivo e quelli s’apprestavano a nascondersi tra le fronde imbrunite dall’autunno.
Il cuore batteva, Valerio era morto e Yellow era in quel bosco, con lui; tutto era uguale, ed orientarsi era impossibile.

Dov’è andata Yellow?!

Solo tronchi d’albero, lecci tutti uguali, dai tronchi nodosi e scuri e dalle foglie rigide, quasi secche e taglienti come denti di squalo. Nessun leccio aveva il fusto dritto, bensì sembravano essere stati costretti a crescere storti, torturati da un peso contro il quale s’erano stagliati.
E il bosco era fitto. Fitto e buio, poca luce attraversava la volta frondosa, illuminando qualche sprazzo di passeggio con raggi parecchio luminosi.
Red aveva freddo ma l’adrenalina che gli scorreva nel sangue lo scaldava e gli dava la motivazione per andare avanti, cercando con occhi spalancati attraverso quella sala degli specchi, dove ogni sguardo era uguale a quello precedente.
Solo alberi. Un solo leccio, ripetuto per migliaia e migliaia di volte.
Ettari interi di paura.

Non è morta. La troverò.

Il suo pensiero andava alle parole di Crystal, che non l’aveva vista arrivare ad un importante appuntamento che avevano preso il giorno prima della fine di ottobre. Yellow era precisa, puntuale, non avrebbe mai ritardato.
Quando aveva ricevuto quella telefonata era di ritorno da uno dei suoi viaggi.
Unima, luogo perfetto. Avrebbe voluto portarla lì, per qualche settimana di vacanza.
Ma era novembre, le vacanze erano lontane.
Sospirò, continuò a camminare e pensò che non avrebbe dovuto lasciarla da sola. Lei era fragile, piccola. Debole, senza di lui.
Lui avrebbe dovuto proteggerla.
Pensava, parlava con se stesso quando poi un rumore sinistro lo fece bloccare. Era in uno spazio assai ristretto, con quattro lecci, ognuno con tre rami possenti a salire verso l’alto.
Quello che aveva sentito era un verso, di un Pokémon che non sarebbe dovuto essere lì.
Si sentiva osservato, si voltò immediatamente alle spalle, vedendo il suo cammino che aveva ammaccato l’erba alta. Aveva la sfera di Poli tra le mani e la stringeva, continuando a guardarsi attorno. Era timoroso ma non poteva tornare indietro.
Doveva salvare la sua donna.
Avanzò un altro passo, quando il corpo morto d’uno Spearow ricadde pesante davanti ai suoi occhi, spiaccicandosi davanti ai suoi piedi e schizzando il sangue sulle sue gambe. Red indietreggiò, serrando la mandibola e stringendo i denti. Guardò il Pokémon ormai morto davanti a sé, senza un’ala, parte del collo e del torace.
Poi un grido, potente, un battito d’ali e le foglie che, dalle cime di quei lecci, cadevano per terra, piovendo sul cappello del ragazzo.

C’è qualcosa!

Mosse i suoi passi ancor più veloce di prima, quasi correndo, intimorito da ciò che quella bestia avrebbe potuto fare a Yellow.
“Amore!” la chiamava lui, sentendo poi i Pokémon selvatici fuggire e cambiare direzione. Ancora lecci davanti a lui, li sorpassava come fossero in fila e lui corresse in spider sull’autostrada, tutti anonimi ma differenti tra di loro.
Quei lecci erano importanti ma lui non gli prestava attenzione.
Perché se solo si fosse girato avrebbe visto la sagoma d’un uomo ormai morto praticamente crocifisso sul fusto nodoso di uno di quegli alberi nobili. Avrebbe visto le sue mani bucate da grossi perni di ferro arrugginito ed il suo corpo ormai svuotato dal sangue che aveva nutrito per giorni Weedle e Caterpie seccato ai suoi piedi.
Avrebbe visto un volto emaciato e parte del collo stracciato come da un morso.
Avrebbe visto un corpo deperito ed emaciato ed una smorfia di terrore sul volto, rimasto come paralizzato prima di perdere il contatto con l’anima.
Ma non s’era girato, ed aveva proseguito verso sinistra, quando sentì un vociare assai lieve.
Come un sussurro.
   ... Aiutami...                                       

Si bloccò e si girò di nuovo intorno. Si sentiva sempre più osservato ma non sentiva più alcun rumore, almeno nessuno che appartenesse a quel bosco, sempre così rumoroso ed invadente.
Quella voce la conosceva. Temeva fosse di Yellow.
“Amore! Dove sei?!”.
... Aiutami...                                      

La sentiva. Finalmente aveva una sua traccia. Era a destra. Si voltò e fece per scattare quando s’accorse d’un enorme macchia di sangue sul manto erboso. Le bande della polizia intimavano agli avventori di non oltrepassarle, di mantenere le distanze.
Ma a Red non si poteva chiedere una cosa del genere.
Alzò una di queste lunghe fasce ed attraversò quel limite.
Un Butterfree aveva intinto ormai le proprie ali candide all’interno del sangue rappreso e, non appena notata la presenza dell’avventore volò velocemente via.
L’Allenatore s’avvicinò con cautela, stringendo gli occhi non appena il puzzo rancido gli si gettò in faccia, lasciandogli indossare una maschera di disgusto.
Vide per terra l’erba impiastricciata col sangue, ormai colloso e più scuro. Piccoli Weedle continuavano a cibarsi del liquido rubino. Accanto ad esso una ciocca di capelli cerulei.
“Valerio... Questo... questo è il sangue di Valerio...” disse tra sé e sé.
Una sottile linea di sangue avanzava verso il grosso leccio che aveva alle spalle. Guardò meglio l’albero, aveva qualcosa appeso sul tronco.
Poi lo vide.

Un cadavere. Un cadavere crocifisso.

Avevano lasciato il corpo appeso, quelli della polizia, e Red non ne aveva capito il motivo.
Vedeva soltanto quello spettacolo macabro ed obbrobrioso, e la luce del sole che filtrava attraverso le foglie esser disturbata dagli uccelli in volo.
Si guardò attorno, evitando il contatto con gli occhi vitrei dell’uomo morto, focalizzandosi sulle sue mani: le unghie erano state strappate ed un paio di dita erano spezzate. Aveva lottato.
Poi il sole non apparve più ed un grido sinistro, quel grido sinistro, si levò nel cielo.
Red spalancò gli occhi, coi battiti del cuore che colpivano forti la cassa toracica risuonando sordi nei polmoni.
Alzò la testa, lui, e vide un Noivern scendere in picchiata in tutta velocità.
Un Noivern che lo colpì.
E tutto diventò buio.




Ero rimasta lì. Ferma, immobile, col cuore in mano che continuava a battere, ed io lo vedevo.
Avevo paura, avevo fretta d’andare via ma non ci riuscivo.
Ero rimasta in quella pozza d’urina e sangue non mio per tutta la notte, sentendo ancora tra le labbra il suo sapore. Sentendo le sue mani toccare il mio corpo e, stranamente, continuando a desiderarlo.
Volevo un altro bacio, un altro di quei baci, freddi e caldi.
Volevo ancora il sapore del sangue tra le labbra.
Per tutta la vita ho vissuto simulando la felicità ed il desiderio.
Per tutta la vita ho recitato la parte della donna.
Solo adesso mi sono resa conto d’essere sempre stata un mostro.




La testa era esplosa in un dolore micidiale. Aveva riaperto gli occhi lentamente, Red, nel freddo più che totale. Erano i primi giorni di novembre, e lui era nudo, incatenato ad una parete, al buio.
Il cuore batteva nel petto ed i suoi occhi, nonostante fossero spalancati, non riuscivano a captare alcuna luce.
Era nell’oscurità più che totale, mentre le manette e le cavigliere d’acciaio tintinnavano, sembrando sempre più strette ogni secondo che passava.
Le braccia, tese al limite del possibile, facevano malissimo, come anche le gambe.
“Che diamine... Aiuto!” urlò, totalmente spaventato. Un altro rumore di catene, di fronte a lui di diversi metri, lo destò.
“Aiutami!” urlava quella voce.
Era la voce di una donna.
La voce di Yellow.
“Amore! Amore, sei qui?!” chiedeva quello, disperato ed impaurito.
“Sì!” piangeva lei. “Aiutami, ti prego!”.
Red sentì il cuore distruggersi in mille pezzi alla voce impaurita della sua donna; tuttavia non bastò tutta l’adrenalina che aveva in corpo per liberarsi dalle catene. “Non riesco a liberarmi! Dove siamo?!” fece quello, faticando a respirare. Sentiva odore di feci ed urina a viziare l’aria.
“Non lo so! Ero con Valerio, nel bosco, e...”.
“Perché diamine sei andata in un bosco, di notte?!”.
Red sentì la sua donna piangere silenziosamente. “Avevo paura, Red. Avevo paura di rimanere da sola”.

L’hai lasciata sola, per giorni. E lei aveva paura.

“Stai tranquilla...” cercò di tranquillizzarla lui. “Andrà tutto bene. Sicuramente riusciremo a salvarci e...”.
“Ho paura, Red. Ho paura del buio”.
“Stai calma”.
“No! Non sto calma!” sbraitò quella, in lacrime, disperata. “Lui ora è qui!”.
“Lui chi?!”.
E poi Yellow urlò. Un sibilò sinistro rimbombò in quella fredda stanza scura, seguito poi dalle lacrime disperate della bionda.
“Lasciami!” urlava quella.
“Fermati immediatamente!” ribatté il ragazzo. Aveva paura, sentiva le urla di Yellow e quel sibilo, come un fischio, che batteva contro il muro e le catene. La ragazza urlava, strattonando le manette e riempiendo con un’eco pietosa la stanza mentre lui immaginava il corpo della sua donna ridotto come quello che aveva visto nel Bosco di Lecci, crocifisso.
“Yellow! Resisti!” faceva quello, tirando con forza le manette, finendo soltanto per segnarsi i polsi col metallo. “Lasciala stare! Prendi me!”.

Devo prendere te?” chiese qualcuno.

La sua voce rimbombò tetra tra le mura umide di quella sala, lasciando per un momento sbalordito il ragazzo. Poi il rumore della carne penetrata e le lacrime di Yellow che si univano alle sue grida. “No!” piangeva quella.
“Lasciala andare! Ti prego, lasciala andare e prendi me!”.
“No...” sussurrò Yellow.
Il suo sangue è dolce”.
“Ti prego” pianse Red, senza più forze. “Lasciala stare”.
“... dolce...”.

E poi il silenzio.
Solo il cuore di Red, che ormai saltava regolarmente un battito.
“Amore...” piangeva lui, avvertendo la pioggia all’esterno di quel posto cominciare a cadere. “Amore, ti prego, dimmi qualcosa...”.
Non ti dirà nulla... Yellow è morta”.
E poi fu solo rabbia.
“PERCHÈ?!”.
Quella voce sparì, prima di diventare una debole e sinistra risata. “Il suo sangue è dolce...”.
“Il mio è avvelenato!”.
Il tuo è puro”.
Red sentì solo due dita che schioccavano, prima che una luce misteriosa colpisse Yellow ed il suo cadavere, appeso ad un muro di mattoni ammuffiti. Il ragazzo fu in grado di vedere il suo volto totalmente rilassato, con gli occhi rimossi dalle orbite ed il sangue che fuoriusciva dalla bocca e scivolava lento sul petto nudo della donna, ed anche oltre, incastrandosi nei peli pubici biondi.

Yellow...

“Perché?” domandò quello. “Perché fai questo? Che abbiamo fatto di male?”.
Dal buio un paio d’occhi rossi si spalancarono, puntati come riflettori sul ragazzo.
Male... bene... Chi può dire cosa è male o bene? La tua vita, la vita di questa donna che ho appena preso, sono solamente un tassello da prendere per una causa superiore, per la quale tutti esistiamo”.
“Io...” piangeva il ragazzo.
Dal più ricco al più povero, dal più capace al più inutile degli esseri umani, tutti vivono la propria esistenza come fossero delle candele, finendo consumati alla base, sciolti nei propri ricordi, nei propri rimpianti. Ma la via è una sola: vivono per morire”.
“Non voglio morire!” continuava a piangere quello, disperato.
Quegli occhi si mossero verso il centro della stanza, seguiti da un corpo longilineo e sottile. L’uomo che l’indossava era pallido, dai capelli lisci e lunghi, corvini come la notte. Il sangue, presumibilmente di Yellow, aveva colorato le labbra ed il petto di quell’essere.
Dovresti ringraziarmi, invece. Io mi chiamo Hulrog e sono la fine dell’inizio”.
Sorrise e si voltò, andando verso la bionda e chinandosi. Baciò il pube della donna e con la lingua risalì la linea della pancia, leccando il rivolo di sangue che era colato dalle sue labbra, fino a raggiungerle.
“Ti prego...” sussurrò Red, chiudendo gli occhi.
Il suo sangue è dolce” ripeté, sorridendo, prima di schioccare lentamente le dita, lasciando che la luce sparisse. Il Dexholder sentì poi i passi lenti di quel demone raggiungerlo, con una flemma snervante.
Il tuo sangue è puro...” fece nuovamente quello, come un disco rotto. Red sentì l’unghia dell’uomo, sottile come un bisturi, infilarsi sotto la pelle del suo pettorale destro ed incidere due linee.
Una orizzontale ed una verticale.

L’unghia affondava ed il dolore aumentava ma Red sembrava essersi rassegnato.

Non voglio vivere una vita senza di lei.

Sentiva il sangue caldo riscaldare il suo addome, colare più giù, per poi scendere sulla coscia destra, fino ai piedi. Ricadde dall’alluce e terminò per terra, inquinando una pozzanghera d’urina.
Red lo sentiva, percepiva i suoi movimenti ma davanti agli occhi aveva l’immagine della sua donna senza vita e senza occhi, e non aveva la voglia di combattere. Sentiva il profumo di quel demone, dolce e delicato, quasi piacevole, se non fosse stato per il puzzo dell’aria circostante.
L’unghia dell’uomo fu estratta delicatamente, incidendo un nuovo simbolo  sul pettorale sinistro.



Il dolore aumentava ed il sangue pure finendo per riverberare nella sua discesa nella pozza.
Puro...” ripeteva quello, sorridendo.
La mano dell’uomo tracciò quattro linee sull’addome dell’eroe, meno profonde delle precedenti. E infine pose la sua attenzione sul collo, infilando l’unghia in profondità, recidendo la giugulare e lasciando che il sangue sgorgasse.
“Uccidimi...” fece Red, ormai abituatosi alle tempie che battevano ed al bruciore dei profondi tagli che il suo corpo stava subendo. “Uccidimi ora...”.
No...” rispose quello, ma con la voce differente. “Goditi questo momento”.

La luce s’accese, mostrando il vuoto al posto del cadavere di Yellow e la donna, la sua donna, davanti a lui, intenta a leccare il sangue che fuoriusciva dal suo collo.
Red aveva gli occhi spalancati e sentiva la mano della bionda tastargli i pettorali insanguinati, eccitata dalla situazione. I suoi occhi, i raggi di sole che illuminavano il suo sguardo, erano diventati acquitrini vermigli, rossi come il sangue di cui si abbeverava.
“Perché?”.
Perché è la mia natura. E tu mi appartieni”.





A mia volta avevo baciato con la morte e trasformato la vita.
Avevo dato la notte al giorno, il buio alla luce. Ho donato una giusta causa ad un’esistenza oberata, offrendole riposo.
Ma lui non vuol dormire. Ora Red è qui con me, e voliamo assieme, nel buio della mezzanotte, sapendo che un giorno torneremo a prendere assieme quello che io da sola ho preso a lui.
Quello che lui quel giorno ha preso a me.

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