16. 3,1415926535897932384626433832795028841971…
Johto,
Amarantopoli, Rainbow Hotel
La lancetta
del segnapiano dell’ascensore stava scendendo lentamente. Forse un po’ troppo,
ma erano entrambi stanchi e provati, lei più di lui, e non vedeva l’ora di potersi
chiudere il mondo alle spalle. Sandra e Red sostavano l’uno accanto all’altro,
mentre il vociare alle loro spalle faceva da rumore bianco.
“Vedrai,
Yellow non avrà problemi…” le disse quello, guardandola e annuendo. La donna si
limitò ad abbassare lo sguardo e ad annuire, non riuscendo a celare la
stanchezza sul viso ormai pallido.
Quando le
porte dell’ascensore si aprirono non esitarono un istante a entrare;
gentiluomo, lui, la lasciò passare per prima, seguendola e premendo il tasto 9 sul tastierino numerico. Una
musichetta soft in polifonica prese a risuonare attorno a loro, sostituendo di
fatto le voci delle persone una volta che la porta tagliò a mo’ di ghigliottino
la loro visuale.
“Grazie…”
sospirò lei, senza guardarlo in viso. Strinse il polso destro con l’altra mano
e cercò di far uscire dal corpo quel malessere che l’attanagliava, che prendeva
le sembianze di Gold, poi di Marina. Strinse gli occhi, sentendo l’esplosione,
vedendo il volto di quella donna che tanto le assomigliava e percependo sul
viso il calore del fuoco che fondeva il titanio.
“Non
preoccuparti” ribatté quello, riportandola coi piedi per terra.
“Tu dove
dormirai stanotte?”.
“Prenderò
un’altra stanza, non c’è problema. Tu starai con Yellow, almeno fino a quando
non ti sarai ripresa. Quella donna è un toccasana!” esclamò, entusiasta di
averla accanto.
“Grazie
ancora”.
“Ti ho detto
di non preoccuparti” ribatté lui, prima che le porte si aprissero davanti a
loro, mostrando un corridoio lungo ed elegante, che profumava di lavanda. Sandra
mosse timidi passi sulla moquette color pervinca, seguendo la falcata rapida di
Red, che si fermò alla terza porta sulla sinistra. Bussò, con le nocche, e
guardò la donna, sorridendo.
Yellow aprì
la porta qualche secondo dopo. Il suo viso non riuscì a celare una timida
sorpresa quando la vide, per poi rilassarsi subito dopo.
“Ah, siete
arrivati” fece, avvicinandosi a quella. “Leva il mantello e mettiti comoda”.
Quella
annuì.
Red le
strinse il polso, richiamando la sua attenzione. “Prova a rilassarti”.
“Ci proverò,
sì” ribatté Sandra, staccando la lunga cappa blu e sospirando.
Yellow annuì
e sorrise, scambiò uno sguardo d’intesa con l’uomo e lo vide andare via.
“Entriamo”.
“Sì”.
*
Red tornò
all’ascensore subito dopo.
Era stanco e
avrebbe decisamente concluso la sua giornata in quel momento, se solo non
incombesse sulle loro teste quell’ascia così affilata. Prenotò l’ascensore e
rimase ad aspettare, con le mani nelle tasche, i capelli neri spettinati e le
occhiaie scavate sotto lo sguardo cremisi.
Erano anni
che non succedeva qualcosa di così importante.
Qualcosa di
così terrificante. Gli tornò alla mente Gold, attaccato alle macchine, e il
volto di Marina. Poi quello di Sandra.
Quelli erano
tutti guerrieri, ora erano mortificati dalla vita.
Le porte si
aprirono lui vi entrò, ma prima di premere il tasto vide una signora di
mezz’età sorridergli, a metà corridoio, chiedendogli di attenderla.
Lui annuì.
Sbadigliò,
toccò le sfere nella cintura per riflesso incondizionato e pensò al fatto che
avessero aggiunto una tessera bella grande a quel mosaico enorme. La parola doppleganger gli si parò davanti al viso
proprio nel momento in cui la donna entrò nell’ascensore.
“Grazie”
fece.
“Prego…”.
“Scende?”.
“Sì”.
Fu quella a
premere il tasto 0 sul pad, prima che
le porte si chiudessero.
Quello
intanto pensava che avevano accusato fino a quel momento lo Xavier Solomon
sbagliato, come successo per Fiammetta. E se a fronteggiare quella Sandra non
ci fosse stata Sandra stessa, probabilmente sarebbe finita nei guai anche lei.
Quelle
strane copie stavano distruggendo, saccheggiando e destabilizzando. Copie, non
versioni reali. Copie. Forse create a laboratorio, pensava, o chissà in che
modo.
Non ci
vedeva chiaro, quel mosaico era troppo vicino ai suoi occhi per poter mettere a
fuoco con chiarezza il quadro d’insieme. Poco dopo le porte si aprirono, fece
un cenno di saluto alla donna ed entrò nell’atrio, dove diversi uomini d’affari
camminavano famelici, entrando nella porta girevole e sparendo nelle tenebre
ormai calate. Passeggiò fino al bar e affondò in una morbida poltroncina, col
rivestimento di velluto rosso. Carezzò i braccioli e si guardò attorno: una
donna anziana era assorta nella lettura d’un libro di Murakami, con le
ginocchia strette e il corpo sbilanciato verso destra. Dietro la copertina
spuntava una capigliatura candida, voluminosa e morbida. Accanto c’era un
tavolino, dove due uomini in doppio petto blu discutevano accoratamente di
lavoro. Erano eleganti e a Red piaceva il modo in cui erano impostati, così
belli diritti e stretti all’interno dei loro vestiti griffati, coi capelli
impomatati e tirati indietro. Le cravatte attorno al collo di quello di destra
era blu, pregiata già alla vista, con piccoli particolari argentati. L’uomo a
sinistra ne indossava una gialla e non gli piaceva, tuttavia portava con
fierezza un costoso Rolex. Mostrava all’altro, coi gemelli dorati attorno ai
polsi, dei dati su di un foglio. Annuiva, l’ultimo, sembrava comprendere ciò
che gli veniva detto. Si strinsero la mano poco dopo, s’alzarono e se ne
andarono, lasciando sul tavolino due bicchieri vuoti con del ghiaccio rimasto a
sciogliersi.
Red si
chiedeva cosa avessero bevuto. Poi si rese conto che non gliene importava poi così
tanto.
Sul
divanetto accanto al suo c’era un ragazzino di colore dai capelli corti. Aveva
il volto annoiato e immergeva l’attenzione all’interno del suo cellulare,
attaccato agli auricolari. Muoveva lentamente la testa, probabilmente ascoltava
rap. Pensò che da piccolo non ebbe il tempo per fossilizzarsi coi videogame o
la televisione; alla sua età era già in giro col suo team.
Poi arrivò
la cameriera, vestita elegantemente all’interno d’un tailleur beige.
Molto bella.
“Cosa le
porto?” domandò la bionda, in maniera educata.
“Qualcosa
che mi tenga sveglio per almeno i prossimi venti minuti”.
“Le preparo
un caffè?” sorrise.
“Mi prepari
un caffè…”.
Andò via
sculettando e Red si perse nel dondolio delle sue anche, almeno che qualcuno si
accomodasse nella poltrona accanto alla sua.
Era Blue. E
aveva qualcosa di strano nello sguardo, mentre fissava tutto e tutti,
guardinga, forse più del solito.
“Yellow
dov’è?” domandò poi, lentamente, trascinando ognuna di quelle parole.
Il ragazzo
fece spallucce. “È di sopra, con Sandra”.
Quella
cominciò a passare le dita fra i capelli, pettinando grossolanamente le ciocche
castane. I suoi occhi dicevano qualcosa ma il ragazzo avrebbe dovuto mantenere
il suo sguardo per qualche secondo per decifrarlo e lei non glielo consentiva, dato
che nascondeva il volto nel tentativo mal riuscito di guardare verso il basso.
“Green
invece è ancora...” chiese poi lui.
“Sì, sul
dirigibile” annuì Blue.
“Xavier
Solomon, eh?”.
Quella annuì
di nuovo.
Era strana,
e anche così stanco quello riuscì a capirlo.
“Ma che
hai?” chiese.
Fu quello il
momento in cui Blue alzò gli occhi, scontrando le onde del suo sguardo contro
il fuoco dell’interlocutore.
“Ho parlato
con Yellow”.
Red sbatté
tre, quattro volte le palpebre, quindi sospirò. Unì le parole della donna
all’espressione che aveva sul viso, rendendosi conto delle sensazioni negative
che in quel momento quella stesse provando.
“Che vi
siete dette?”.
“Che ha
paura di me, Red. Che non si fida e non vuole più vedermi”.
Il ragazzo
assunse un’espressione di circostanza, sospirando e inarcando le sopracciglia. Incrociò
poi le braccia e rimase in ascolto delle sue parole.
“Siamo stati
diversi anni senza vederci, tra di noi intendo, non necessariamente io e te.
Quel che è successo è successo, abbiamo ammesso i nostri errori e siamo andati
avanti. Io ho recuperato il mio rapporto, tu il tuo...”.
“In un certo
senso la capisco...” fece Red, lasciando che Blue spalancasse i propri occhi,
sorpresa. “Ti vede come una destabilizzazione per il mio rapporto con lei
e...”.
“Lei dice
che tu pensi a me”.
Il brusio di
sottofondo sembrò aggredirli non appena le loro bocche si chiusero.
“Dice
questo?”.
“Dice che mi
pensi sempre. E questo le fa male”.
“Non è così,
ovviamente” sorrise l’altro, quasi imbarazzato.
“Ma... ma
ora sono io che penso a te...” sussurrò lei, filtrando le parole tra i denti
stretti. Il suo volto fu rigato dalla coda d’una lunga lacrima. Lo stupore
passò dagli occhi di Blue a quelli di Red, in meno di un secondo. Il ragazzo
fece segno di no con la testa, per poi alzarsi e lasciarla lì, da sola.
Pochi
secondi dopo una cameriera bionda, bella, dal tailleur beige, le poggiò davanti
un caffè.
Caffè che
non avrebbe preso.
Johto,
Amarantopoli
Il freddo
aggrediva coi denti acuminati quella sera.
Xavier era
accanto all’avvocato Jackson, entrambi stretti nei propri cappotti, mentre
raggiungevano lo stazionamento centrale che avrebbe fornito a Oliver la navetta
che l’avrebbe accompagnato a Olivinopoli. Si sarebbe imbarcato da lì, per
arrivare nuovamente ad Adamanta, e raggiungere sua figlia.
“Oliver...
Grazie. Davvero, non so cosa sarebbe potuto succedere fare se non fossi venuto
tu a darmi una mano”.
Oliver fece
spallucce, senza sorridere. I suoi occhi, come sempre, erano pieni di qualcosa
d’indefinito. Nel complesso però era tranquillo. I suoi respiri diventavano
fumo e salivano verso l’alto, prima di disperdersi nel gelo, in quello che
s’apprestava a essere una delle notti più fredde di sempre, a Johto.
“Purtroppo i
poliziotti sono i primi che oltrepassano la legge pur di far del bene. E spesso
prendono mira persone innocenti. Il mio lavoro è difendere questa gente”.
“Sì, lo so”.
“Però è
paradossale. Ora...” s’avvicinò di più a Xavier, guardandosi attorno. “... Ora
siamo da soli: puoi dirmi come sei riuscito ad essere in due posti
contemporaneamente?”.
Xavier
sorrise amaramente, facendo segno di no con la testa.
“Oliver...
non mentivo quando dicevo di non conoscere quell’uomo”.
Quello
spalancò gli occhi, grattandosi la nuca. “Ho imparato a prenderti sul serio,
Xavier… ma a certe cose proprio non riesco a crederci...”.
“Dovresti:
Cindy non mentiva”.
I loro occhi
si scontrarono. Poi l’avvocato sorrise, inclinando la testa verso destra.
Voltarono l’angolo verso la zona sud di Amarantopoli, molto ben illuminata.
Sulla destra, un artista di strada stava suonando una versione di Hey Jude col violino
Passarono i
secondi, e il silenzio li avvolse totalmente, prima che Oliver sospirasse.
“Chi diamine
è, allora, quell’uomo?”.
“Non lo so
ma ho intenzione di scoprirlo. L’unica cosa che so è che, essendo a piede
libero, quest’uomo mi metterà nuovamente nei guai e quindi dovrò tutelarmi”.
“Ovvero?”.
“Chiederò a
mia madre di venire a stare da me… Ormai vive da sola e finché questa faccenda
non si sistemerà mi farà comodo che qualcuno sappia dove sono”.
“Mmh... già.
Meglio così. Comunque...” sorrise, abbracciandolo. In quel momento erano
proprio davanti all’ Harold’s. “... Cindy Harper nutre qualcosa nei tuoi
confronti. Questo tu lo sai, no?”.
Xavier lo
fissò per qualche secondo, assunse una smorfia strana sul volto e sbuffò.
“Motivo per
cui è sposata con Angelo... Smettila, Oliver”.
Quello
sorrise. “Hanno litigato prima che lei rilasciasse la dichiarazione in tuo
favore. Il marito non è il tuo più grande fan ma lei... beh, sono abbastanza
sicuro di poter affermare che ti abbia difeso con tutte le sue forze”.
Xavier non
disse nulla. Si limitò soltanto a portare lo sguardo oltre le vetrine del
locale, fino all’ultimo tavolo, scavalcando le gonnelline a balze un po’ troppo
corte delle cameriere e le teste dei clienti seduti a consumare pollo e torta,
non necessariamente in quest’ordine. Lì, poté vedere, davanti al muro, di
fronte alla vetrina dei dolci più elaborati, Angelo, seduto accanto a sua
moglie.
Lei aveva lo
sguardo basso e non s’era accorta degli occhi di Xavier, atte a scrutarle il
viso.
Bella e
irraggiungibile, la stella che voleva e che si limitava a osservare solo da
lontano.
“Certe cose
non sono fatte per essere ottenute. È una costante, Oliver…”.
Johto,
Rovine D’Alfa
Il pavimento
della Sala 1 era splendente.
John Morgan
lavorava come inserviente in quel luogo magnifico da trentasette anni; aveva
cominciato quando ne compì diciannove. Generalmente, lavorava fischiettando le
canzoni di Randy Crawford, immaginando le note avvolgerlo mentre la ramazza
baciava il pavimento. Il suo lavoro non lo faceva impazzire, lo riconosceva, ma
gli consentiva di portare il pane a casa in maniera onesta. E comunque era
troppo anziano per cercare qualcos’altro.
Sì, insomma,
poi se ne stava tranquillo, lavorava qualche ora di notte, chiudeva tutto e
andava a dormire accanto a sua moglie.
Tanti anni
di matrimonio e non sentirli.
John
sorrideva quando pensava a sua moglie. L’amore della sua vita.
Anche quella
notte lo straccio lavava i pavimenti di marmo. Gli occhi dell’inserviente si
poggiavano a intermittenza sugli antichi mosaici nascosti dietro le teche di
cristallo. In quel momento vedeva quello con Kabuto, anche se il suo preferito
era senz’ombra di dubbio quello con l’enorme drago di cui non ricordava mai il
nome.
Randy
Crawford continuava a cantare nella sua mente quando l’uomo sentì un rumore, un
piccolo crepitio, come qualcosa di metallico che aveva toccato sbattuto su qualcos’altro
del medesimo materiale. Si voltò, fissando una a una le piccole finestrelle che
accerchiavano il perimetro, ma erano tutte chiuse. Non c’erano altri ingressi
in quella sala, se non la porta d’entrata e la grande e pesante botola di marmo
davanti al mosaico. Attese qualche secondo, poi fece spallucce e tornò a
lavorare.
“One day
I’ll fly away...” riprese a cantare, e intanto il crepitio si ripeté. In quel
momento un brivido lo attraversò da parte a parte, fuoriuscendo tra le scapole,
penetrando proprio al centro del petto canuto.
Si bloccò,
stringendo la ramazza con la mano destra.
“C’è nessuno?!”
chiese, con la voce roca e graffiante.
Tossì e
ripeté.
“C’è
nessuno?!”.
Forti e
limpide, le sue parole rimbombarono sulle pareti di pietra della sala. Poi un
leggero cigolio lo costrinse a voltarsi, rapidamente.
La porta era
leggermente aperta, quel tanto che bastava da farci entrare un Raticate o un
Quagsire. E non era neppure la prima volta che una cosa del genere succedeva. S’avvicinò
lentamente e la chiuse quando d’improvviso tutto diventò nero, dopo un forte
colpo alla testa.
E la
telecamera di videosorveglianza riprendeva silenziosa, dall’angolo destro della
sala.
Johto, Amarantopoli, Rainbow Hotel
Sospirava,
Green, decisamente stanco.
Provato.
Era stata
un’altra giornata inconcludente. Entrò nella hall dell’albergo pensando alle
parole dell’avvocato di Xavier Solomon, che lo aveva scagionato da ogni accusa.
“In sostanza il mio cliente era qui
ad Amarantopoli, mentre la Ranger che ha scattato quella fotografia era a largo
di Olivinopoli, nelle Isole Vorticose. La Signora Harper ha confermato tutto,
pertanto Xavier Solomon deve poter tornare in libertà, le accuse sono
infondate”.
Quella scena
gli turbinava con forza in testa, cercando di sfondare la convinzione razionale
che una persona potesse riuscire a ottenere il dono dell’ubiquità.
No, Green
era troppo razionale, alla fine credette ai fatti dimostrati dall’avvocato. Ma
la Lacrima di Giratina era ancora tra
le mani di qualche criminale e i fatti di quel giorno non facevano altro che
confermare le sue paure: che ci fosse dietro un team criminale, come il Team
Rocket, a organizzare quelle rapine? Tutti quegli uomini avevano le stesse
divise e con ogni probabilità doveva esserci una testa fin troppo audace dietro
di loro.
Scrollò quel
pensiero dalla sua mente e fece un cenno col capo al concierge. Passò davanti
al bar, dove una vecchia donna sorseggiava un drink indefinito di colore rosso,
annoiata.
Quando passò
davanti ai divanetti sospirò e voltò lo sguardo, accorgendosi di Red che
spazzolava Pikachu. Lo superò, quello neppure non s’accorse di lui.
Entrò
nell’ascensore, premette il tasto del piano e rimase ad ascoltare la versione
jazzata di White Knuckle Ride mentre
smontava l’angoscia dalla sua mente e si preparava per un misero, effimero riposo.
Le porte si aprirono,
presentandogli il corridoio del piano: sette porte sul muro di destra, sette su
quello di sinistra, tutte chiuse. La moquette violacea si stendeva fino in
fondo, dove una grande finestra presentava la piazza d’Amarantopoli ben illuminata.
Percorse
silenziosamente la strada che lo divideva dalla sua stanza, con le mani nelle
tasche dei pantaloni e la testa bassa. Tirò fuori la chiave magnetica e sbloccò
la serratura.
Entrò e vide
Blue, di spalle, affacciata alla finestra.
“Aveva un
alibi”.
Blue si
voltò, scura in viso. Capì subito che fosse turbata, si limitò a guardarlo e a
tornare a fissare dritto. Lui rimase fermo per un attimo, poi chiuse la porta e
sospirò. Smontò le scomode scarpe e levò il cappotto, gettandolo sul letto. Si
avvicinò poi a lei, aderendo alle sue natiche e piegandosi in avanti. Le baciò
il capo, in un timido tentativo di decifrarla.
“Che
succede?”.
Non rispose,
quella, continuando a specchiare nei suoi occhi le luci della città. Di certo
non poteva dirgli di Red, della sua reazione, delle sue parole nella hall, e
ancora prima del volto di Yellow mentre le diceva che non la voleva nella sua
vita.
“Nulla…”
rispose, schiudendo leggermente le labbra. Si avvitò su se stessa.
Green
sentiva il profumo dolce dei capelli della donna, e si sporse in avanti, per
darle un bacio. Quella lo accolse, avvitandosi leggermente su se stessa, mentre
sentiva le braccia dell’uomo avvinghiarsi contro il suo corpo. Sentiva la
virilità dell’uomo premerle contro le gambe e la cosa la infastidiva.
Ripensò
ancora a Red, poi a Green, infine volò lontana, indietro nel tempo, in quella
tenda sotto la tempesta. Il cuore batteva forte, poi la mano di Green le
strinse un seno e lei tornò lucida.
Fece per
voltarsi, dando le spalle alla città. Il freddo le baciava la pelle.
L’uomo
indietreggiò di un passo e sospirò.
“Tu hai
qualcosa. Non rispondermi con quel nulla,
non mi prendi in giro…”.
La ragazza
ridacchiò, pensando al fatto che fosse sempre stata abile a truffare le persone
tranne quella volta, in cui ne aveva più bisogno.
“Perché
ridi?”.
“Ma nulla…”
gli rispose, guardandolo negli occhi verdi. “Ho solo bisogno di riposarmi…”.
“Perché non
vai a farti una doccia calda? Ordiniamo qualcosa in camera e guardiamo un porno
o qualcos’altro…”.
Blue lo vedeva
tranquillo e naturale nei suoi movimenti che sicuramente non si sarebbe mai
aspettato d’avere accanto una donna che avrebbe potuto distruggerlo, se lui fosse
stato in grado di leggerle i pensieri.
“Hai
ragione…” sbuffò, sfilando lentamente i pantaloni e sculettando stanca verso il
bagno, prima di sparire oltre la porta. Si lavò, e quando tornò in camera con
ancora i capelli bagnati vide Green che manteneva il cellulare tra la spalla e
l’orecchio, nello sgraziato tentativo d’indossare la camicia.
“Che
succede?” domandò quella, strofinando i lunghi capelli all’interno d’un
asciugamani bianco.
Quello si
voltò, come per ignorarla volutamente. Lei allora aguzzò l’udito.
“Rovine
d’Alfa?!” diceva Green. Camminava freneticamente da una parte all’altra per la
stanza, senza riuscire a trovare un attimo per infilare la manica destra della
camicia. Si fermò poi davanti alla finestra, immobile.
“Ma dovranno
pur esserci delle riprese di videosorveglianza che… sì, e che si vede?”.
Torse la
spalla con una verso di sforzo e infilò il braccio destro, poi prese a
sistemare il colletto. Blue lo vide spalancare gli occhi.
“Cosa
succede?” domandò, mentre quello si sfuggì alla domanda, andando verso la porta
d’ingresso.
“Jasmine?!
La… Jasmine, di Olivinopoli?!”.
“Cosa?!”
urlò Blue, spazientita.
“Stiamo
arrivando!” fece, senza neppure attaccare, chiudendo solo il bottone centrale
della camicia e saltando nelle scarpe.
“Allora?!”.
“Era
Valerio. Stanno saccheggiando le Rovine d’Alfa”.
“E cosa c’entra
Jasmine?!” chiese, gettando via l’asciugamano e lasciando cadere l’accappatoio.
Rimase nuda per pochi secondi, infilando rapidamente slip e reggiseno..
“Lo sta
facendo lei”.
Blue rimase
sgomenta. Infilò una sottile maglietta intima sotto a un maglioncino di filo
azzurro, poi leggins e boots ai piedi, uscirono praticamente subito, lei aveva ancora
i capelli bagnati. Lui aprì la porta e fece per uscire, quando si fermò.
“Devo
chiamare Jasmine e assicurarmi che Xavier Solomon se ne stia per fatti suoi. Tu
chiama Red e Yellow e correte a Violapoli, ci vediamo lì”.
“No” ribatté
quella, facendo cenno di no con la testa. Green parve stopparsi subito,
guardandola con un grosso punto interrogativo sul viso.
“Cosa?”.
“Telefonerò
io a Jasmine... Avverti tu gli altri”.
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