Capitolo
5:
Turntablis
Sapphire
non
poté evitare di rendersi il pranzo tre volte più amaro. Crystal era
stata
cattivissima nei confronti di Ruby, e probabilmente la sua parte
razionale le
dava ragione. Tuttavia, il ragazzo che era la causa della situazione in
cui
Hoenn annaspava aveva fatto in tempo ad impiantare nella sua testa un
grosso
dubbio. Aveva detto di doverlo fare per forza, aveva detto che era
l’unico modo
per tenere vivi tutti loro. Quanto di ciò che le era stato riferito era
vero?
Non
poteva
saperlo, o comunque non lo avrebbe mai scoperto facilmente. Eppure,
aveva la fievole impressione che un colloquio con Rocco l’avrebbe
aiutata a
comprendere qualcosa in più anche a proposito di Ruby e di ciò che era
accaduto
a Hoenn negli ultimi due anni. Non parlava con Rocco da parecchi mesi,
vuoi per
il suo recente trasferimento a Holon e vuoi per il fatto che Sapphire,
negli
ultimi tempi, era stata in movimento perpetuo tra le regioni. Aveva
visto città
costruite nella roccia, grotte scintillanti, montagne giganti e
innevate,
foreste intricate e selvagge. Pochi avrebbero creduto al fatto che la
risposta
a ogni suo malessere potesse averla una persona che lei conosceva fin
dalla
tenera età.
Certo,
persino
il sole poteva essere un’incognita, a quel punto. Eppure Sapphire si
sentiva bene a sperare.
La
ragazza
infilò il vassoio del self service nel carrello delle stoviglie
sporche. Abbandonò in fretta la mensa e tornò nella sua camera
all’ultimo piano.
La sua valigia era stata ricomposta quella mattina stessa e vegliava su
quella
stanza dall’alto del letto sfatto su cui era stata lasciata. Sapphire
voleva
andarsene al più presto, lasciare quel luogo e rivedere qualche faccia
amica.
Tuttavia sapeva bene che non avrebbe trovato i vecchi sorrisi su quelle
facce,
non avrebbe trovato serenità o gioia. E la cosa la spaventava. Dentro.
Fuori
era invece decisa e determinata.
Cinque
minuti
dopo, era nell’atrio dell’hotel. Era una bella giornata, torrida come le
precedenti, anche se il fumo e la polvere offuscavano un po’ il sole.
Tutti i
membri della squadra di Dexholder si presentarono in orario. C’era
l’inseparabile coppia Red-Yellow, la delicata Platinum, Crystal che non
si fece
alcun problema a non salutarla e Silver, serio e ombratile come al
solito.
Tutti pagarono il conto dell’hotel e lasciarono le chiavi delle stanze
alla
reception.
‒
Ci siamo tutti? ‒ furono le prime parole del rosso.
‒
Possiamo andare ‒ gli rispose Sapphire.
La
comitiva
partì alla volta di Altelia, città poco lontana da Vivalet, anch’essa
affacciata sulla costa. Sarebbero giunti lì in pullman che era, in quel
momento, il mezzo di trasporto pubblico più sicuro e meno affollato.
Stazioni,
porti e aeroporti pullulavano infatti di turisti nervosi e viaggiatori
stralunati.
Avrebbero impiegato più o meno due ore.
Nel
silenzio
generale, il gruppo si raccolse in corrispondenza di una fermata,
attese alcuni minuti per poi salire sull’extraurbano indirizzato verso
la loro
meta. Stranamente nessuno aveva seguito i loro movimenti all’uscita
dall’hotel,
persino i reporter e i giornalisti avevano iniziato a demordere, spinti
dalla
voglia di fuggire o dal bisogno di raccogliere servizi a proposito di
altre
novità in giro per la metropoli. Invece, quasi tutto il bus sgranò gli
occhi al
loro cospetto. Non uno, non due ma ben sei Dexholder tutti insieme.
Gente famosa,
gente importante. Un ragazzino seduto dietro al sedile che Silver decise
di
occupare aveva una luce talmente intensa negli occhi da far spavento.
Chiese
timidamente un autografo all’Allenatore dai capelli rossi mentre il
fratello
adolescente bolliva dall’imbarazzo. Il Dexholder di Johto abbozzò
un’espressione felice e scrisse il suo nome sul cinturino del PokéNet,
proprio
come il suo fan aveva chiesto. Non era di certo il primo autografo che
Silver
avesse mai concesso. Ma sicuramente il più strano. Tutto sommato era
felice di
vedere che la gente aveva ancora voglia di sorridere per esser riuscita
a
parlare con i propri idoli, anche dopo tutto ciò che era successo, anche
dopo
tutto il dolore. Cercò comunque di non farsi vedere dai suoi amici
mentre
passava la mano tra i capelli del ragazzino. Per Yellow il viaggio
scorse
tranquillo, tutto all’infuori di lei sembrava essersi inclinato di
quarantacinque
gradi: come ogni ragazza, trovava che la spalla del suo uomo fosse il
posto più
comodo su cui poggiare la testa. Red fissava invece l’asfalto che
scompariva
metro dopo metro sotto il loro mezzo di trasporto. Era inerte,
silenzioso. Cosa
assolutamente insolita per un Red. Crystal tenne tutto il tempo le
pupille
puntate sull’orizzonte: il mare a est dell’isola di Holon. Chiaro,
illuminato
dal sole che da lui si allontanava progressivamente. I riflessi della
luce
sull’acqua danzavano con le onde: loro non avevano paura di Rayquaza,
loro non
sentivano alcuna molletta stretta alle coronarie che impedisse al flusso
sanguigno di portare via il ricordo di Emerald. Scoprì presto che
fissare il
mare era l’unico modo per non strangolare il sedile che aveva davanti.
Platinum
era invece seduta accanto a Sapphire. La signorina Berlitz stava
sommariamente
raccontando alla sua ultima amica la storia vissuta a Sinnoh con gli
altri due
Dexholder locali, suoi amici. Pearl e Diamond, si chiamavano.
‒
Ah, sì, ho letto qualcosa su di loro da uno degli schedari di mio padre…
‒
Sapphire sembrava alla ricerca di qualcosa all’interno della sua
memoria.
‒
Strano, da quello che mi ha detto il Professor Rowan, raramente
condivide i
suoi dati e le sue ricerche con gli altri esperti regionali ‒ commentò
Platinum.
Sapphire
aveva
sprazzi e immagini di quelle poche righe che aveva appena avuto il tempo
di leggere molti mesi prima. Forse aveva fatto scorrere gli occhi su un
file
rimasto aperto sul monitor del genitore, forse aveva inavvertitamente
preso una
di quelle schede al posto di un foglio di suo personale interesse.
Ricordava
qualcosa a proposito di un idea, qualcosa come un progetto: “Arbor
Vitae”, le
pareva si chiamasse.
‒
Nah, tabula rasa ‒ si arrese. ‒ Che dicevi su di loro?
E
Platinum proseguì la narrazione della sua epopea. Le parlò della sua
regione,
depositaria delle più antiche leggende riguardanti Pokémon che
controllano
tempo, spazio, caos e ordine, le parlò dei laghi e di come questi
fossero la
dimora di spiriti puri che si narra avessero dato all’uomo la volontà,
la
sapienza e le emozioni. Sapphire aveva già sentito tutte queste cose,
durante
il suo rapido soggiorno a Sinnoh. Aveva impiegato quasi due mesi per
rastrellare ogni medaglia di quella regione. Ma lo aveva fatto col cuore
appesantito e la mente dispersa e impegnata a pensare ad altro. Scoprire
queste
cose da Platinum fu per lei agrodolce.
“Volontà,
conoscenza,
emozioni…” stava pensando qualche momento dopo il termine di questa
sua conversazione. Accanto a lei c’era ancora Platinum che, accompagnata
dalla
sua solita grazia, si era addormentata rannicchiata sul suo sedile.
“Volontà:
parlare
con lui, ora, subito… conoscenza: ben poco, ma abbastanza da dargli una
sola possibilità per spiegarmi tutto... emozioni: meglio lasciar
perdere…”
ormai non lo negava neanche più a se stessa. Non ne aveva più voglia.
La
corriera
corse traballando fino alle porte di Altelia. L’insegna che portava il
nome della città spuntava a lato della strada principale e sembrava
fatta di legno
perfettamente imbiancato. Sapphire ebbe appena il tempo di studiarla,
prima di
rendersi conto di esser stata catapultata in un altro periodo storico.
Strabuzzò gli occhi. Veniva da Vivalet, coi suoi edifici di vetro e le
sue
forme geometriche ma irregolari, ma si ritrovò immersa in una sorta di
paese
portuale mediterraneo appena uscito dal diciannovesimo secolo. Le strade
di
Altelia erano in mattoncini grigiastri e squadrati, le case sembravano
sorgervi
spontaneamente: il complesso urbano sembrava esser stato costruito tutto
nello
stesso momento, da alcune facciate dei palazzi che mai oltrepassavano i
tre
piani spuntavano morbidi reticoli di rampicanti e le viottole, tutte
poste ad
un’altezza differente a causa della natura irregolare del borgo, erano
striate
dalle ombre degli edifici che lentamente diventavano sempre più lunghe,
avvicinandosi sempre più alla riva del mare.
‒
Holon, signori… ‒ commentò qualcuno tra i Dexholder.
La
regione
non finiva mai di stupirli, per attirare il turismo di ogni tipologia,
era stata costruita da zero e mediava elementi provenienti da ogni dove,
nel
mondo. Tutto artificiale, tutto finto: boutique, negozi e luoghi di
ristoro,
era ciò che si trovava in quegli edifici, mai abitazioni familiari. E
forse era
proprio questo il suo fascino.
‒
Capisco perché Rocco abbia scelto di trasferirsi in questa città ‒
commentò
Sapphire, ammirando la piattissima distesa del mare che ricordava tanto
l’oceano a est di Hoenn del quale si aveva una vista mozzafiato dalla
sede
della Lega. “O necessita di questa vista per ricordarsi ogni giorno
della
sconfitta, o vuole solamente rimanere legato alla sua regione natale,
come se
temesse di dimenticarla” pensava la ragazza.
‒
Ragazzi ‒ Silver aveva con se una cartina, gentilmente dotata dal
simpatico
conducente.
In
un
quartiere poco più a sud, sorgeva un edificio costruito in pietra. La
targa
sulla statua alla sinistra della porta recava l’incisione:
“Palestra
di
Altelia
Capopalestra:
Rocco
Petri
Medaglia:
Tempra”
Accanto,
il
romboidale emblema della regione di Holon, la Poké Ball dalla forma
dell’isola. Nell’edificio, specificatamente nella sua stanza, il suo
ufficio
personale, sedeva un uomo dai capelli celesti e la carnagione pallida.
Aveva
una sottile camicia bianca di lino che si insinuava negli stretti
pantaloni
viola, un tempo parte di un vestito più elegante. Alle dita molteplici
anelli,
quasi tutti semplici cerchi metallici e neutri, senza pietre o
iscrizioni.
Rocco era solito giocare con quello dell’indice destro, quando era
nervoso. E
da qualche giorno, l’anello non conosceva pace. L’uomo afferrò il
bicchierino
di liquore che era sulla scrivania e lo mandò giù tutto d’un sorso. Un
calore
gli pervase le viscere, a partire dalla gola e dallo stomaco. Sbloccò il
cellulare e inviò due messaggi ad un contatto il cui avatar era una
bella donna
bionda in bikini che si faceva il bagno nelle acque di Spiraria, a
Unima. Si
alzò in piedi, sistemò il colletto della camicia e si avviò verso
l’atrio
ancora prima che un campanello squillasse, acre e robotico, nell’aria
silenziosa della palestra.
Dietro
la
porta trovò sei ragazzi, tutti diversi, tutti uguali. Riconobbe quella
che
avrebbe dovuto salutare per prima, quella che ricordava meno peggio.
Aveva gli
occhi celesti come lo zaffiro orientale e i capelli castani raccolti in
una
coda. Fece i convenevoli nei confronti degli altri e chiese educatamente
qual
buon vento portasse quella schiera di ragazzi.
‒
Non proprio “buon” vento ‒ rettificò Sapphire, che sembrava quella più
indicata
per parlare con un ex Campione di Hoenn.
‒
Già, ho visto tutto il caos degli ultimi avvenimenti ‒ Rocco fece loro
cenno di
entrare e sistemarsi, li fece sedere tutti nell’ufficio. La stanza era
spaziosa
e le veneziane permettevano un’illuminazione fresca ma diffusa, di sedie
ce
n’erano già abbastanza. ‒ Abbiamo raccolto quasi mille anime in preda al
terrore, la città ha conosciuto tanta gente nuova.
‒
Siamo qui per farti alcune domande ‒ spiegò Sapphire.
‒
Tutte quelle che volete, e io che mi aspettavo che prima o poi qualcuno
sarebbe
entrato per la medaglia ‒ sorrise, ironico.
‒
Sì tratta di Ruby.
Rocco
era
stato avvertito da una sua collega che sei ragazzi particolarmente
telegenici erano diretti verso la sua città e che una di loro lo
conosceva
bene. L’uomo aveva ipotizzato cosa mai potesse chiedergli una ragazza
come
Sapphire, ma la soluzione non gli era piaciuta, per questo si mostrò
sorpreso
nel sentir nominare il nome del ragazzo, attuale Campione di Hoenn e suo
successore.
Tutti
aspettavano
con ansia una sua reazione che non fosse il silenzio. Lui valutava
se offrire da bere o no. Decise di sì.
E
mentre ognuno degli ospiti sorseggiava un liquame diverso dal proprio
bicchiere, Rocco pensava a cosa potessero cercare di tanto importante
oltre
quella piccola pallina che era nella sua testa e che rimbalzava da mesi
sulla
sua ghiandola del buon senso, causandogli un fastidio ossessivo e
costante.
‒
Ruby sapeva dell’attacco di Rayquaza, prima che questo si facesse vivo ‒
argomentò
Sapphire.
‒
E vi ha detto che la soffiata è arrivata da me ‒ continuò la frase
Rocco.
‒
L’ho dedotto.
Rocco
annuì,
comprendendo che Sapphire stava facendo riferimento a qualcosa di cui
avrebbe voluto parlare in privato. ‒ Insomma, mi è arrivata una voce e
ho
riferito a Ruby quello che avevo sentito…
‒
Rocco, per favore ‒ Sapphire lo guardò negli occhi. ‒ Ho bisogno di
informazioni precise, quello che è successo non può essere ignorato.
L’uomo
indugiò
per alcuni istanti. Dodici occhi puntati su di lui, ogni coppia
curiosamente colorata corrispondentemente al nome del suo possessore.
Sapeva
che di lì a poco avrebbe fatto la cosa giusta e avrebbe parlato. E si
stava
odiando per questo.
‒
Zero è folle, Campione responsabile e serio, grande genio del leading e
della
lotta Pokémon, ma ha una mente che sembra dover esplodere da un momento
all’altro. Sono stato allertato da una persona che è stata capace di
bloccare i
suoi progetti di distruzione fino ad un certo punto, ma non è stata in
grado di
fermarlo quando ha pensato di scatenare Rayquaza. A quel punto ha deciso
di dirlo
a me, perché io avvertissi Ruby ‒ spiegò sommariamente.
Ai
Dexholder
sembrava uno spiraglio di sipario aperto.
‒
Il nome di questa persona, Rocco ‒ non era una domanda, quella di
Sapphire.
‒
Kalut, una delle persone più vicine a Zero, forse una delle poche menti
che
riesca a comprendere la sua follia.
‒
Che strano nome ‒ osservò Platinum.
‒
Hai detto che ha impedito più volte a Zero di uccidere ‒ proseguì
Sapphire.
‒
Quella è la sua missione.
‒
Obbedisce agli ordini di qualcuno? ‒ Sapphire sembrava capire l’antifona
della
situazione.
Rocco
sorrise
nostalgicamente. ‒ Kalut non obbedisce agli ordini di nessuno, ma sta
prestando la sue capacità a servizio della giustizia.
Tutti
i
Dexholder si guardarono titubanti, avevano ricevuto parecchie
informazioni in
poco tempo, i loro cervelli continuavano a rielaborare. Solo Sapphire
teneva
gli occhi gelidamente puntati su Rocco: aspettava che il discorso
tornasse a
toccare Ruby. Ma Rocco lo aveva capito, e non voleva parlare davanti a
tutti.
‒
È tutto… ‒ scrollò le spalle il Capopalestra.
Centinaia
di
chilometri più a sud ovest, a Ciclamipoli batteva forte il sole. Sarebbe
stato possibile cuocere una bistecca sulla rovente pista di atterraggio
del
Boeing targato Hoenn Airways che aveva trasportato Green e Gold. I due
erano
stati sbalzati di un fuso orario, il che voleva dire che si trovavano
un’ora
indietro rispetto ai loro amici che ancora si trovavano a Holon. Due
volte
avevano letto sull’orologio “ora
di
pranzo” e due volte Gold aveva pranzato. La prima volta in aereo,
con uno
dei buonissimi e convenientissimi pasti di linea, la seconda
all’aeroporto, con
una focaccia gigante, altrettanto salata. Green si era chiesto quanti
dannati
stomaci avesse.
‒
Quindi direzione Torre dei Cieli?
‒
Esattamente.
I
due spiccarono il volo non appena furono fuori dall’aeroporto, Gold su
Togekiss
e Green su Charizard.
E
in poco tempo scorsero in lontananza un’ombra lunga e sottile che
sembrava
congiungere la terra con le nuvole. Di tutti i diversi popoli che
avevano
camminato sulle terre e navigato sulle acque di Hoenn, Braille, Alfa e
Draconidi, il monumento poteva esser stato eretto in qualsiasi momento
della
storia.
‒
Eccola là! ‒ esclamò Gold perché Green lo sentisse nonostante il
frastuono
causato dallo sferzare dell’aria sui loro corpi che volavano a velocità
elevatissime.
‒
Quanti piani sono?
Cinquanta,
sapeva
bene Gold, ma era anche informato circa il brutto avvenimento che ne
aveva mozzato la cima. Sta di fatto che non conosceva il numero preciso.
‒
Tanti ‒ rispose.
Il
Capopalestra
di Smeraldopoli e il Dexholder di Johto giunsero insieme
all’isolotto su cui la torre si erigeva. L’architettura era maestosa,
costruita
in una pietra calcarea di colore giallognolo, a pianta triangolare ed
elevata
oltre la linea visibile. Con i piedi sulla sabbia dell’isolotto, i due
Allenatori si sentivano estremamente piccoli.
‒
Era la dimora di Rayquaza, e il Pokémon è stato svegliato qui ben due
volte,
dal team di ricercatori finanziato dai Berlitz, undici anni fa, e dal
Lino che
era accompagnato dal padre di Ruby, sei anni fa. In corrispondenza
dell’evento
del meteorite che rischiava di distruggere la terra, due anni fa,
Rayquaza si è
invece destato da solo, pare che abbia distrutto lui i piani più alti.
Se è
tornato a riposare prima dell’attacco a Vivalet, sicuramente lo ha fatto
qui e
quindi colui che lo ha svegliato con la Gemma Verde, deve averlo fatto
all’ultimo piano di questa torre.
Green
rimase
sorpreso. ‒ Hai studiato, Gold ‒ ironizzò.
‒
Ultimo piano, ti si tapperanno le orecchie e sarà difficile respirare ‒
concluse lui tornando in groppa al suo Pokémon volante.
Green
lo
imitò e dopo una vertiginosa salita i due tornarono a poggiare i piedi
sulla
diroccata cima della torre. Avevano patito un gelo infernale e più di
una volta
avevano rischiato di cadere, comprendendo la ragione per cui tutti la
scalavano
a piedi, quella costruzione, o alla peggio la attraversavano in volo
passando
per l’interno. Green non mancò di far notare a Gold la stupidità della
loro
ultima azione. Ma si interruppe quasi subito. I due tremavano ancora per
la
temperatura artica e per le sferzanti correnti che si sfogavano a
quell’altitudine, quando una bruttissima immagine attirò i loro sguardi.
Una
capanna
formata da alcuni pennuti bianchi e neri si agitava caoticamente in un
angolo. Erano dei Mandibuzz, Pokémon saprofagi.
‒
Stanno mangiando ‒ affermò Green con sicurezza.
‒
Ora c’è da capire che cosa ‒ proseguì Gold.
E
presto la risposta apparve chiara quanto prevedibile. I Dexholder
mossero
alcuni passi verso il banchetto e in un istante gli uccellacci
svolazzarono
via, come dinnanzi alla presenza di un predatore. Comparve quello che
fino a
due secondi prima era oggetto del loro beccare e strappare: un cadavere
indubbiamente umano sdraiato sulla pancia spolpato per la maggior parte.
Parecchie ossa erano scoperte e in determinate zone la necrosi era già
avanzata. Gold si prese un attimo, mentre Green ebbe un sussulto. I due
si
avvicinarono per studiare il corpo, osservarono la nuca scorticata su
cui forse
una volta erano spuntati dei capelli, la schiena piena di buchi dalla
quale
puntavano scapole e spina dorsale, le cosce che avevano offerto la
maggior
quantità di carne agli spazzini.
‒
Che cosa orribile… ‒ commentò Green.
Ma
il
peggio doveva ancora venire agli occhi di entrambi. Solo dopo alcuni
minuti
di contemplazione notarono che, strette attorno alle caviglie e ai polsi
del
cadavere, c’erano dei fitti nastri di ragnatela che lo ancoravano al
terreno.
‒
Significa… ‒ Gold digrignava i denti. ‒ che lui era ancora vivo quando
gli
uccelli hanno iniziato a cibarsi…
‒
Cominciando dalla schiena, la sua agonia è stata prolungata
all’inverosimile.
‒
Giriamolo ‒ suggerì ad un certo punto il ragazzo di Johto.
‒
Cosa?
‒
Giriamolo, voglio vederlo in volto ‒ ripeté.
Green
non
poteva immaginare di doverlo fare davvero. Ma si convinse. Charizard,
facendo attenzione a non dare fuoco al corpo, bruciò le ragnatele che lo
tenevano prono. Gold lo ribaltò e, nel farlo, il braccio destro del
corpo
rimase a terra, troncandosi all’altezza della spalla. Ai due apparve
l’altro
lato della medaglia. Un torace intatto, un bacino privo di qualsiasi
graffio,
un volto pallido e su cui il dolore aveva scavato un’espressione
orribile, ma
ancora perfettamente integro.
‒
Oh Cristo… ‒ esclamò Green.
‒
L’hai riconosciuto?
Silenzio.
E
un cenno di assenso.
Si
trattava
di Murdoch, il Superquattro di Holon che, su ordine di Zero, avrebbe
scatenato Rayquaza contro Vivalet.
‒
Parla Red ‒ rispose con voce seria il Campione di Kanto.
‒
Abbiamo un qualcosa che dovreste assolutamente vedere ‒ disse Green.
‒
Lì a Hoenn?
‒
Qui a Hoenn.
Tutti
i
Dexholder e Rocco fissavano Red, che aveva ricevuto una chiamata nel bel
mezzo della loro conversazione. Lo videro alzare le sopracciglia,
aggrottarle,
impallidire, appoggiarsi allo schienale della sedia come se potesse
avere un
mancamento da un momento all’altro.
‒
Va bene, grazie, riferisco anche agli altri, ottimo lavoro ‒ riagganciò
balbettando.
Tenne
gli
occhi fissi nel vuoto, Red, mentre riferiva a tutti i presenti ciò che
Green e Gold avessero trovato sulla cima della Torre Dei Cieli.
‒
Morto… ‒ mormorò Rocco. ‒ Non può essere una coincidenza, sono sicuro
che è
stato lui a controllare Rayquaza… perché mai qualcuno avrebbe dovuto
ucciderlo
in modo tanto brutale?
‒
Non ne ho idea, siamo sicuri che sia stato un delitto efferato e non una
sorta
di suicidio o sacrificio rituale? ‒ suggerì Platinum, stupendo tutti.
‒
Magari lo sforzo cui è stato costretto per tenere Rayquaza sotto la
propria
volontà lo ha ucciso ‒ tentò Silver.
‒
Ragazzi ‒ intervenne Green, che era ancora in linea, in vivavoce
dall’apparecchio
di Red. ‒ era legato al terreno e sul volto aveva ancora l’espressione
del
dolore, questa non può essere altro che un esecuzione.
Ognuno
tacque.
‒
Rimane solo… il motivo per cui questo Murdoch avrebbe meritato una morte
tanto
atroce ‒ riprese Sapphire.
‒
Forse proprio perché è stato lui a causare quel disastro? Non diamo per
scontato di avere dalla nostra parte solo gente per bene… ‒ intervenne
Crystal,
attirando ogni sguardo su di sé. ‒ Magari qualcuno ha ben pensato di
amministrare la propria giustizia e vendicare le centinaia di morti ‒
proseguì.
La
sua
voce, che era diventata molto simile ad un sibilo dal momento della
morte
di Emerald, suonò tagliente e gelida.
‒
Dando per scontato che, su ordine di Zero, sia lui il vero colpevole del
risveglio
di Rayquaza ‒ ripartì Green. ‒ chi poteva essere a conoscenza di questo
fatto?
‒
Io, e vi posso assicurare che non farei mai una roba del genere ‒ disse
Rocco.
‒ E Zero stesso ‒ l’uomo riversò il peso del corpo all’indietro con
tutta
l’aria di volerli lasciar ragionare, senza intervenire per un po’.
‒
Aspetta, Kalut? ‒ tentò Sapphire. ‒ Hai detto di aver ricevuto da lui la
soffiata, è il tipo capace di perpetrare simili azioni? ‒ domandò.
‒
Non lo so, ma non penso…
‒
Inseriamolo in lista sospettati, per ora ‒ suggerì Red, cominciando poi
a
spiegare a Green chi fosse costui.
‒
Anche Ruby conosceva i piani di Murdoch ‒ sibilò Silver, tenendo gli
occhi
fissi su Crystal. ‒ E lui era l’unico ad essere già salito sulla Torre e
a
conoscerla a fondo.
Tutto
tacque,
il brusio che si era levato si dileguò nell’etere. Un brivido di
sospetto gelò la schiena di ognuno.
‒
Quindi è probabile che Ruby abbia ammazzato Murdoch in quel modo
orribile? ‒
fece Green.
‒
La Torre Dei Cieli è territorio suo e inoltre sappiamo che era a
conoscenza dei
piani di Murdoch ‒ elencò Silver.
‒
Green, da quanto tempo è lì il cadavere? ‒ chiese Sapphire volendo
portare
nuove informazioni al brainstorming che era in corso.
‒
A giudicare dallo stato di degradazione, meno di due giorni ‒ rispose
quello
attraverso il PokéGear.
‒
Ho parlato con Ruby ieri sera, dovrebbe essere partito nell’istante
appena
seguente con un volo privato per compiere l’omicidio in tempo ‒ suggerì
la
ragazza di Hoenn.
‒
Nei fatti, avrebbe potuto farlo... ha un jet privato ‒ chiarì Crystal,
velenosa.
‒
Mettiamo in conto che sia stato lui, allora ‒ parlò stavolta Rocco. ‒
perché
mai avrebbe deciso di togliere di mezzo Murdoch ora che il disastro è
ormai
stato causato?
La
sua
razionalità fece titubare tutti i presenti.
‒
Può non piacerci, ma Ruby non è uno stupido né un bambino, neanch’io
vedo un
motivo che lo avrebbe spinto a tanto ‒ disse Sapphire.
‒
Rocco, voglio sapere di più a proposito di Kalut ‒ proferì Red, facendo
scendere il silenzio.
Qualcuno
cominciò
ad annuire per mostrare consenso nei confronti del Campione di Kanto.
Ormai, quella di Kalut era l’unica pista seguibile nell’unanimità.
‒
Qualcuno qui ha bisogno di delucidazioni, a quanto pare… ‒ disse una
voce alle
loro spalle.
Camilla,
la
Campionessa di Sinnoh, comparve nella stanza. Platinum si illuminò,
conosceva quella donna fin troppo bene e la ammirava dal profondo del
suo
cuore. Le sorrise elegantemente e la Campionessa rispose.
‒
Ce ne hai messo di tempo ‒ la accolse Rocco alzandosi.
L’uomo
abbandonò
la sua posizione lasciando il posto a Camilla, che però preferì
poggiarsi alla scrivania più che alla sua poltrona. I presenti, passati
i
convenevoli, cominciarono a rivolgerle sguardi di riverenza e serietà.
Camilla
li squadrava tutti, da capo a piedi; conosceva abbastanza bene Red e
Sapphire,
il primo era un Campione come lei, la seconda era balzata sotto tutti i
riflettori del mondo con la sua presenza tra i rango S al torneo.
Eppure,
ognuno di loro aveva una faccia conosciuta. Loro avevano impedito a
Rayquaza di
radere al suolo Vivalet, e il background di ognuno era colmo di imprese
mitiche
compiute negli anni: erano degli eroi. Di fronte a quei sei ragazzi,
lei, fiera
Campionessa di Sinnoh che deteneva gloriosamente il titolo da anni, si
sentiva
piccola e debole. Ma di certo non lo lasciò intendere a nessuno dei
presenti.
‒
Vorrei congratularmi con ognuno di voi per quello che avete fatto a
Vivalet ‒
pronunciò con gli occhi fissi nel vuoto, la sua voce era matura e dolce
al
tempo stesso. ‒ Ci sono un paio di assenze, noto.
‒
Gold e Green a rapporto, siamo in diretta da Hoenn ‒ esclamò il ragazzo
di
Johto in vivavoce dal PokéGear mettendo ognuno in imbarazzo. Si avvertì
movimento, un brusio di fondo molto simile a quello creato da due
persone che
litigano a bassa voce. Qualcuno credette di sentire una roba contenente
le
parole “Camilla”, “bionda”
e “pezzo di”.
‒
Ruby è… impegnato ‒ spiegò
Rocco
capendo che l’allusione di Camilla superasse i due Allenatori che erano
in
collegamento PokéGear.
‒
Veramente, da più o meno due anni a questa parte, nessuno di noi è in
buoni
rapporti con Ruby ‒ puntualizzò Sapphire, paladina dell’onestà.
Camilla
intese,
accennò un sorriso, prese un respiro.
‒
Siete venuti qui per parlare con Rocco, state indagando a proposito
dell’attentato ‒ proferì la Campionessa di Sinnoh. ‒ E proprio Rocco mi
ha
chiesto di venire qui, quando ha saputo che eravate giunti ad Altelia.
Nessuno
dei
Dexholder riusciva a capire dove volesse andare a parare Camilla.
‒
Perché aveva intuito ‒ proseguì lei. ‒ che avreste fatto delle domande a
cui
avremmo avuto l’autorità di rispondere solo insieme.
‒
E così è stato ‒ concluse Rocco.
Gli
occhi
grigi della Campionessa oscillavano tra i loro volti. Li studiava,
cercava di carpire anche la minima caratteristica del loro animo. Era
sempre
stata ottima nel decifrare le persone che aveva davanti, non avrebbe
sicuramente fallito con loro.
‒
Kalut, di cui Rocco vi ha parlato con approssimazione, era una delle
persone
più vicine al Campione Zero. Lui per molto tempo ha svolto perfettamente
il suo
lavoro, trattenendo la follia di Zero dal compiere azioni come quella a
cui
tutti abbiamo assistito. Purtroppo, da pochi giorni i due si sono persi
di
vista, Zero ha tagliato ogni legame con Kalut e i risultati di ciò li
abbiamo
potuti riscontrare in quello che è avvenuto a Vivalet ‒ ripeté la donna.
‒
Rocco ci ha già spiegato tutte queste cose ‒ puntualizzò Sapphire.
‒
Bene, innanzitutto, Zero vuole togliere di mezzo tutti gli Allenatori
più
potenti, e con potenti intendo capaci di influenzare la massa,
politicamente e
socialmente ‒ lo sguardo di Camilla era fisso su Red, eroe moderno,
modello per
la maggior parte degli aspiranti Allenatori, Campione di Kanto, una
leggenda
vivente. Ovviamente, quest’ultimo non poté non sentirsi a disagio.
‒
Perché vuole farlo? ‒ domandò giustamente Sapphire.
‒
Non siamo a conoscenza delle motivazioni che lo spingono a tanto ‒
mormorò
Camilla.
‒
È assurdo, l’Allenatore più forte della terra aveva intenzione di
uccidere
tutte quelle persone e nessuno fa niente ‒ intervenne Gold.
‒
Ti sei risposto da solo, è l’Allenatore più forte della terra ‒ lo
contrastò la
Campionessa.
‒
Ma come si può lasciare che questo giri ancora a piede libero dopo tutto
ciò
che è successo?
‒
Ovviamente, tutti i suoi piani sono segreti, noi siamo solo stati capaci
di
anticiparlo grazie a Kalut. Altrimenti avremmo già avuto le prove per
fermarlo
‒ spiegò la donna.
Per
un
momento ci fu il silenzio nella stanza.
‒
Perché ha attaccato uno stadio pieno di civili, se voleva uccidere solo
determinate persone? ‒ domandò Blue, razionalmente.
‒
È qui la stranezza, la risposta potrebbe trovarsi proprio nel cadavere
che i
vostri amici che sono a Hoenn hanno trovato
‒ Zero è spregiudicato, ucciderebbe i suoi
avversari
e le persone che reputa debbano morire senza onore e pietà, ma morirebbe
anziché far del male a coloro che lui reputa innocenti ‒ la donna stava
dimostrando di avere una profonda conoscenza del soggetto, persino Rocco
pendeva dalle sue labbra.
‒ La reazione di Rayquaza… ‒ tentò Red.
‒ Rayquaza ha perso il controllo, stiamo
parlando di
un Pokémon che ha miliardi di anni, l’unica cosa capace di ucciderlo si
è
dimostrata essere la sua stessa forza, non avrebbe mai permesso ad un
uomo solo
di indirizzare le sue azioni ‒ lo contrastò Camilla, severa. ‒ E
soprattutto,
Zero non avrebbe mai permesso a Murdoch di commettere una strage…
Sapphire non respirava più, ormai,
ascoltava ciò che
quella conversazione le proponeva con espressione vuota.
‒ Zero ha spiegato con precisione i suoi
intenti a
Murdoch, ma quest’ultimo ha fallito, portando Rayquaza ad uccidere
civili e
innocenti, cosa che gli è costata la vita ‒ riassunse.
‒ Quindi sarebbe stato Zero stesso l’autore
di
questo scempio? ‒ domandò Gold, in collegamento dalla Torre Dei Cieli.
‒ Sì, intenzionato a punire il suo
sottoposto che
centinaia di innocenti hanno pagato con la vita.
‒ Questo è ciò che fa Zero, è senza pietà,
se reputa
che le sue vittime meritino di morire.
Tutti gli ascoltatori rimasero
esterrefatti, ma un
minimo rincuorati. La colpa non gravava più sulle loro spalle, anche se
una
tremenda realtà era venuta fuori da ciò che Camilla aveva spiegato loro.
‒
Che cosa significa di preciso che Kalut è una delle persone più vicine a
Zero?
‒ proferì Silver nel silenzio generale. ‒ E come può un folle come Zero
essere
divenuto Campione?
Tutti
i
presenti si scambiarono degli sguardi come a domandarsi l’un l’altro se
seriamente nessuno se lo fosse chiesto.
Camilla
fece
lo slalom con le pupille tra tutti loro, scannerizzandoli fin dentro i
vestiti. Guardò Rocco, si scambiò con lui uno sguardo vacuo, ma che
pareva di
intesa. Tornò ai Dexholder. Tutto taceva, stranamente pure Gold era
zitto.
‒
Accadono molte cose alle nostre spalle ‒ mormorò.
Rocco
si
gettò in gola un altro bicchierino. Ne offrì uno pure a Camilla, che
rifiutò.
‒
Tante cose che neanche a noi sono state pienamente rivelate, dai nostri
informatori.
Un
brivido
gelido attraverso gli scheletri dei presenti.
‒
I vostri informatori?
Rocco
annuì
sconsolato: ‒ Sappiamo solo ciò che ci è stato riferito come chiarimento
per far quadrare la storia di Rayquaza… e farla giungere a Ruby.
‒
Perché informatori al plurale? ‒ domandò Green dal PokéGear.
‒
La loro identità, esclusa quella di Kalut, fa parte del segreto ‒
sorrise
Camilla.
Silenzio
di
riflessione, alcuni istanti si sprecarono.
‒
Scusatemi ‒ Red si alzò improvvisamente e fece per uscire. Yellow,
stupita, gli
stette dietro.
Tutti
lo
osservarono scomparire dietro la porta, nessuno parlò.
‒
C’è altro che sentite il bisogno di chiedermi? ‒ proseguì Camilla.
‒
Sono veramente poche le informazioni su cui fare qualche domanda ‒ fece
notare
Silver.
‒
Vogliamo sapere tutto ‒ Blue fu più diretta.
Camilla
la
guardò aggrottando le sopracciglia sopra i suoi grandi occhi celesti.
‒
Insomma, abbiamo fatto l’impossibile per le nostre regioni contro ogni
genere
di minaccia e pericolo e adesso che possiamo finalmente agire con
cognizione di
causa, e non allo sbando come abbiamo sempre fatto, nessuno viene a
dirci
nulla? ‒ fu chiarissima.
‒
Appunto per questo, in questo caso potrebbero non essere richieste le
vostre doti
‒ Camilla era molto formale. ‒ Mi dispiace, ma forse credono che ciò che
stia
accadendo ora sia ben più grande di voi…
‒
È tutto? ‒ sibilò Crystal delusissima.
‒
Per ciò che ci è concesso dirvi, sì ‒ ammise la bionda.
Tornò
la
calma nell’atmosfera cupa generale, ognuno era rimasto male nel profondo
del
suo animo per aver imboccato tale vicolo cieco. Per primo si interruppe
il
collegamento con Green e Gold che si congedarono con uno svogliato
saluto. Poi
alcuni dei Dexholder cominciarono ad alzarsi per uscire fuori dalla
palestra,
dopo aver ringraziato sia Rocco che Camilla.
Rimase
soltanto
Sapphire. Rocco non le staccava gli occhi di dosso, se la ragazza
fosse stata appena più insicura a proposito della ferrea morale
dell’uomo,
avrebbe sicuramente pensato a tutte le cattive intenzioni che il suo
sguardo
sembrava celare. Camilla, invece, sembrava non vederla. I loro occhi si
incrociarono solo dopo vari istanti.
‒
Ruby ‒ mugolò lei. ‒ Ruby c’entra qualcosa con questa vicenda?
Camilla
non
rispose, si limitò a fissarla nel modo penetrante della madre che fissa
il
figlio quando ha appena combinato un disastro. Dalle sue labbra strisciò
fuori
un qualcosa che parve suonare come “non
so
dirtelo” e tanto bastò a farle alzare i tacchi da quella stanza
soffocante. E anche Sapphire se ne andò.
‒
Continueranno a cercare, lo sai questo? ‒ disse la donna rivolgendosi a
Rocco,
quando era ormai sicura che gli ospiti si fossero levati di torno.
‒
Certo che lo so, sono i Dexholder, sono una stirpe di ficcanaso.
‒
In un certo senso, spero riescano a scoprire qualcosa che anche a noi è
sfuggito, ho fiducia in loro.
‒
Camilla, stiamo parlando della Faces, è un’organizzazione di stato.
‒
Andiamo, loro sono tra gli Allenatori più conosciuti della terra, loro sono lo stato.
‒
E in un certo senso questo rappresenta una grossa falla del nostro
sistema…
insomma, se qualsiasi uomo è capace di costruirsi un impero basato sui
propri
Pokémon, la ragione è in mano al potere.
‒
Ti ricordo che, da sempre, gli Allenatori più forti sono quelli che
riescono a
stabilire un legame interno e perfetto con i loro Pokémon. Cosa
impossibile se
si sfruttano i loro poteri per prevalere sugli altri.
‒
Non lo so, speriamo bene.
‒
Altrimenti, che cosa ci resta? ‒ fece, sorridendo.
‒
Chiamiamo Green ‒ ordinò Sapphire raggiungendo gli altri fuori dalla
palestra.
‒
Perché? Ha appena riagganciato ‒ ribatté Silver.
‒
Chiamalo.
Convincendosi,
il
fulvo ricompose il numero e passò il dispositivo a Sapphire.
‒
Oh, che c’è ancora?
‒
Ragazzi, ho bisogno di voi.
‒
Sapphire, che cosa ti serve?
‒
Riuscite mica a rintracciare Ruby da quelle parti? Sono sicura che sia
tornato
ad Hoenn. Devo urgentemente parlare con lui.
‒
Ehm… suppongo di sì…
‒
Grazie, riferitevi per prima cosa a Iridopoli o comunque andate a
parlare con
un Capopalestra, contattatemi appena lo avete raggiunto.
‒
Va bene, ti faremo sapere.
La
chiamata
terminò.
‒
A che cosa ti serve? ‒ domandò prontamente Silver riprendendo il suo
PokéGear.
‒
Mi servono alcune informazioni particolari.
Il
rosso
la guardò storto. Poi scrollò le spalle.
‒
Piani? ‒ domandò Platinum sviando il discorso.
Nessuno
si
fece avanti con prontezza.
‒
Intendiamo continuare con l’indagine?
‒
Su che cosa? Sappiamo il motivo di tutto il casino, non ci resta che
trovare
Zero ‒ intervenne Crystal, decisa.
‒
Io pensavo di cercare Kalut, più che Zero ‒ propose Silver. ‒ Zero è
forte,
innegabilmente forte, e instabile, da come abbiamo appreso da Rocco.
Inoltre
non avrebbe senso andare a trattare con uno che aveva intenzione di
ucciderti.
Kalut potrebbe invece rivelarsi un alleato e magari condurci agli
“informatori”
di cui parlava Camilla.
‒
Ok ‒ Red intervenne dal consenso generale, con la solita voce vuota che
aveva
nell’ultimo periodo. ‒ che cosa abbiamo su Kalut?
‒
Sappiamo che è legato a Zero…
‒
Nient’altro?
‒
Credo che la sua vicinanza al Campione basti… ‒ fece Silver. ‒
Cerchiamolo su
internet, di sicuro è un personaggio famoso se è vicino a Zero.
Red
accese
il PokéNet che i suoi privilegi da Campione gli avevano permesso di
ricevere in anteprima qualche mese addietro, si connesse a Google e
digitò il
nome di Kalut, scritto in tutti i modi che la sua pronuncia lasciassero
intuire: Caloot, Khalot, Calut,
Qalout,
Kalut. In ognuno dei casi: nulla, scoprì il significato di diversi
termini
appartenenti a lingue che mai aveva sentito nominare e conobbe il nome
di
località lontane e sconosciute. Niente lo collegò ad una persona reale,
tantomeno ad una che avesse a che fare con Zero.
‒
Non esiste, se internet non lo conosce, non esiste ‒ commentò
ironicamente Blue.
‒
Dev’essere un consigliere che agisce nel backstage più totale, magari il
suo è
anche un soprannome ‒ provò Silver.
‒
Se andassimo direttamente alla sede della Lega di Holon? ‒ propose
Sapphire.
‒
Nella tana del lupo?
‒
No, sentite, siamo ragionevoli, cosa possono farci?
Qualcuno
la
guardò titubante.
‒
Abbiamo reporter che ci seguono ovunque andiamo, siamo delle star in
questa
regione, sui giornali c’era la nostra faccia dopo la prima pagina che
parlava
di Rayquaza.
‒
Non ha tutti i torti ‒ la appoggiò Silver.
‒
Che ne dite?
Due
minuti
dopo erano già in viaggio per tornare a Vivalet, riprendere le loro
cose. Si sarebbero indirizzati verso la sede della Lega il mattino
seguente. Il
viaggio sarebbe stato molto più lungo. Il rientro fu silente e privo di
avvenimenti interessanti, Platinum li lasciò non appena mise piede in
città, i
restanti sei ragazzi raggiunsero l’hotel in cui avevano alloggiato per
tutto il
periodo del Torneo. Il sole stava ormai per tramontare e una lieve
brezzolina
cominciava a sfiorare la pelle di tutti. La giornata era gradevolissima,
Vivalet si era ormai purificata dalle polveri alzate dal gigantesco
disastro e
il lutto cittadino si era ormai smorzato con la ripresa dei lavori che
avrebbero dovuto risollevare la città. Tutto sembrava tornare lentamente
in
vita e, mentre i vertici dell’informazione e della sicurezza nazionale
erano
intenti a giocare la più grande partita di scaricabarile della storia,
il
popolo tornava a respirare le madri e le vedove si asciugavano le
lacrime, gli
uomini attraversavano quel dolce periodo in cui si illudono di amarsi
gli uni
con gli altri. Sapphire ci pensava profondamente, quando si rese conto
che
avrebbe trovato una simpatica sorpresa ad attendere lei e i suoi amici
davanti
all’entrata del residence.
‒
Giornalisti ‒ evidenziò Silver notando la capanna di ometti distinti in
mezzo
alla folla che aspettavano pronti all’azione. ‒ Oggi non hanno ancora
avuto
tempo di portare a casa del materiale da noi.
Coraggiosi,
i
Dexholder affrontarono il problema di petto. E i cacciatori di scoop
targati
“press” non si lasciarono scappare l’opulento boccone: sguainarono
reflex,
microfoni e taccuini.
‒
Sapphire, è vero che Ruby è il suo ex? Come si è conclusa la vicenda?
‒
Dove si trovano Green e Gold, il gruppo ha avuto delle rotture?
‒
Red, perché non si trova a Kanto in questo momento critico?
‒
Platinum, che cosa pensa la sua famiglia di questa sua vocazione alla
vita
spericolata?
‒
Silver, che balsamo utilizza?
La
pioggia
di domande cadde su di loro copiosa e devastante, alcuni di loro fecero
di tutto per rispondere in maniera esaustiva, sincera ed educata (le tre
cose
non sempre coincidevano, anzi, quasi mai) e dopo un discreta mezz’ora
riuscirono a percorrere quei pochi passi di marciapiede che li avevano
separati
dall’entrata sicura del loro residence. Si resero conto che, nel
frattempo, una
piccola cortina di gente si era radunata attorno a loro, gridando,
esultando e
applaudendo ad ogni risposta involontariamente epica che uno di loro
tirava
fuori. Ovviamente, un coro di sostegno lì accompagnò mentre scomparivano
all’interno dell’hotel. Avrebbero potuto chiedere dei soldi al
proprietario di
quel posto per tutte le foto che ritraevano loro con l’albergo sullo
sfondo,
eppure, avevano la sottile sensazione che era stato proprio il direttore
a
convocare i giornalisti. In che altro modo avrebbero potuto scoprire il
luogo
in cui alloggiavano, altrimenti?
Ogni
Dexholder
tornò in camera sua, Sapphire si chiuse la porta alle spalle e cercò
di non pensare allo sguardo gelido di Crystal che l’aveva accompagnata
per
tutto il giorno, Blue scomparve stranamente silenziosa, Crystal si
vanificò
allo stesso modo di Silver, Red e Yellow si chiusero in camera e
sembravano i
più sereni della compagnia.
‒
Cosa ne pensi, amore?
Yellow
era
intenta a spazzolare la sua lunga chioma bionda mentre lo specchio
imitava
tutti i suoi movimenti. Red era sul letto, guardava il biancore
dell’intonaco
di fronte a sé e il suo guardo vacuo non pareva accennare ad emozione
alcuna.
‒
Red, che cosa succede? ‒ la ragazza si girò verso di lui. ‒ Sei strano
da un
bel po’.
Quello
agitò
una mano: ‒ non siamo proprio nel periodo più bello che io ricordi.
‒
Che cos’hai, Red? ‒ insistette.
Un
sospiro.
‒
Che succede?
Red
scattò
in piedi. Yellow non poté che seguirlo con gli occhi.
‒
Dovrei essere a Kanto, in questo momento, ho dei lavori da portare a
termine.
‒
Che cosa significa?
‒
Che devo ricostruire, voglio lasciare qualcosa alla Lega… cazzo… non
avevo mai
pensato a un’eventualità simile.
‒
Red, che vuoi dire?
‒
Dovrò pur avere qualche idea, voglio dare tutto a Kanto, voglio… voglio…
Red
tremò.
‒
Che ti succede…? ‒ chiese la ragazza, terrorizzata.
‒
Lasciami solo.
Yellow
raggelò.
‒
Lasciami solo, per favore… vattene.
E
in quel momento, nel terrore che quella situazione aveva infuso nel suo
animo,
Yellow credette di vedere una lacrima rigare la guancia del suo ragazzo.
‒
Red…
Il
Campione
di Kanto, con gli occhi fissi nel vuoto, inclinò la testa verso la sua
borsa, come ad indicargliela. Yellow comprese con qualche istante di
ritardo.
Raggiunse la tracolla, ispezionò il contenuto e notò una cartella di
colore
giallo acceso, di carta liscia e plastificata. La aprì. E un sospetto le
morse
lo stomaco con le sue fauci. Non guardò neanche la RM, passò
direttamente al
foglio scritto. Lesse ghiacciando sempre più ad ogni sillaba.
Red
aveva
un glioblastoma multiforme. Un tumore al cervello. Incurabile.
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