Capitolo
6: Il mondo
dei grandi
“…mentre tutti si chiedono: dov’è Zero in questo…”
“…la regione piange, ma
ogni
singolo civile che ha perso la vita in questa sventurata…”
“…la nomina di una nuova Capopalestra. Vivalet sarà rappresentata da una nuova medaglia che…”
“…la nomina di una nuova Capopalestra. Vivalet sarà rappresentata da una nuova medaglia che…”
“…Ruby è finalmente
tornato nella
sua terra natia, pare che ancora una volta il Campione di Hoenn abbia
in mente
il prossimo…”
Celia
vagava
tra un canale e l’altro, i TG notturni le davano la sterile sensazione
di non essere la sola persona sveglia a quell’ora. Non riusciva a
prendere
sonno, non riusciva a prendere sonno decentemente da più o meno un anno.
Le sue
occhiaie permanenti rendevano abbastanza l’idea. Il sesto giorno di
settembre
dell’anno precedente, quando lei aveva era ancora un’illusa sedicenne,
il suo
genitore adottivo era morto in ospedale per un’insufficienza polmonare.
Lei era
rimasta un’intera estate inguaiata in una vicenda molto più grande di
quanto si
sarebbe mai aspettata, era divenuta l’allieva di Antares e aveva perso i
contatti con il suo fratellastro. In poco più di una settimana, mezzo
mondo le
era crollato addosso. Per fortuna lei era sempre stata una donna molto
forte.
Una ragazza, sarebbe più corretto dire.
Affondò
la
sigaretta in quel nido di cicche che era il suo posacenere. Bevette due
sorsi d’acqua solo per far sfrigolare in gola il sapore del fumo, tossì
tre
volte.
Fissò
per
dieci minuti la sequenza degli spot pubblicitari in televisione prima di
alzarsi dal divano. Aveva indosso soltanto i suoi slip e si trovava
nella
camera dell’hotel più lussuosa che avesse mai visto. Succede così quando
diventi uno dei Capipalestra della regione di Holon e di punto in bianco
ti
trasformi da celebrità a divo. Le era permesso di fumare all’interno
della
camera, ma era più o meno certa che nessuno avrebbe avuto da ridire
nemmeno se
avesse voluto chiedere al servizio in camera un paio di strisce di coca.
Fissò
il
suo letto. Fissò l’essere umano che dormiva sopra il suo letto.
“Questo
ce
l’aveva più grosso di quello della volta scorsa” pensò. “Ma aveva un
corpo
meno muscoloso.” Non che per lei facesse poi molta differenza.
Afferrò
i
pantaloni che il tipo aveva lasciato sulla moquette e glieli gettò in
faccia
con la delicatezza di un carpentiere, svegliandolo. Quello cominciò
subito a
borbottare, stropicciandosi gli occhi.
‒
Fuori, va’ ‒ proferì solamente lei afferrandolo per un braccio e
spingendolo
giù dal letto.
Quello
faticava
a capire, mormorava qualcosa tipo “aspetta”, “oh, che fai?”,
“calmati”. Poi finalmente si convinse a non opporre resistenza.
‒
Levati dalle palle, dai ‒ proseguì Celia.
Quando
il
ragazzo, i suoi vestiti, gli involucri dei preservativi e una bottiglia
di
champagne di consolazione furono finalmente fuori dalla porta della
suite,
Celia decise di chiudere la porta.
‒
Aspetta, mi richiami? ‒ chiese quello ancora mezzo addormentato.
Celia
neanche
rispose e gli sbatté la porta in faccia. La TV era ancora accesa, era
andata in onda una fiction repellente su due famiglie rivali che si
contendono
il possedimento di un Magikarp dorato. Celia non la spense, ma si gettò
sul
letto. Le faceva ancora male il culo, per questo ficcò la testa sotto il
cuscino e fece finta di essere in una spa sotto le mani sapienti di un
massaggiatore
iberico.
Ovviamente
il
suo PokéNet cominciò a squillare. Lei lo artigliò malamente e rispose
maledicendo col tono di voce chiunque ci fosse dall’altra parte della
chiamata.
‒
Chi è? ‒ suonò tombale.
‒
Celia, è Antares ‒ rispose il Campione della Lega di Sidera.
‒
Vaffanculo, sono le tre e un quarto.
‒
So benissimo che non dormi.
‒
Che vuoi?
‒
Abbiamo trovato Latios.
Lei
si
bloccò. Erano in linea tramite PokéNet, il che significava che Antares
le
stesse parlando in codice. Abbiamo
trovato
Latios. Anche inteso come: abbiamo
trovato
tuo fratello, Xavier.
‒
È incredibile… ‒ commentò Silver.
‒
Spero vivamente che sia uno scherzo, tutto questo sta prendendo una
piega
comica ‒ proseguì Blue.
I
due, in compagnia di Platinum e Crystal, si trovavano nella mensa del
residence. Era mattina, attorno a loro i turisti circolavano nella
bolgia del
self service per accaparrarsi la fetta di bacon più croccante.
All’appello, oltre
a Green e Gold che si trovavano ancora a Hoenn, mancavano Red e Yellow.
Erano
scomparsi quella notte, dopo che ognuno dei Dexholder li aveva visti
andare a
dormire la sera prima nella stessa camera. E poi puff.
‒
Effettivamente Red era un po’ strano, ultimamente ‒ commentò Sapphire.
Gli
altri
la ammonirono con gli occhi. Erano tutti strani, dopo la morte di
Emerald
e la strage di Vivalet, nessuno di loro aveva potuto evitare di uscirne
destabilizzato.
Platinum
li
aveva raggiunti in mattinata e, in mezzo ai grandi, si faceva quasi
trasparente. Tratto non tipico del suo carattere che tendeva invece ad
adattarsi a qualsiasi contesto. Eppure, non riusciva ad amalgamarsi con
quel
gruppo. Aveva immaginato tante volte dei Dexholder provenienti dalle
altre
regioni. Gente forte, degna di fiducia, sicura. Aveva immaginato una
sorta di
armata perfetta, coesa e inarrestabile composta da guerrieri più che da
allenatori. Aveva immaginato degli uomini più che maturi abituati ad
affrontare
qualsiasi tipo di pericolo e temprati in ogni singolo aspetto della
propria
personalità. Aveva trovato un gruppo che ha mantenuto unità e sanità
mentale
per due giorni e non un secondo di più. Poi uno era morto, gli altri
avevano
litigato, uno sembrava aver tagliato tutti i ponti parecchio tempo
prima, e ora
cominciavano pure a sparire. Di questo passo, non sarebbe rimasto alcun
Dexholder sano di mente nel giro di pochissimo tempo.
‒
Dobbiamo cercarlo? ‒ domandò Platinum al gruppo.
Crystal
grugnì
lievemente seccata. Dovevano cercare tutto, tutto era nascosto: Kalut,
Zero, le informazioni di Rocco, Ruby e alla fine pure Red e Yellow.
‒
Non credo proprio… ‒ rispose Silver.
Tutti
notarono
che i suoi occhi erano fissi su uno degli schermi della hall.
Portarono lo sguardo alle immagini trasmesse. Come degli automi, tutti e
cinque
i Dexholder rimasti si appropinquarono meccanicamente al televisore.
Nessuno
notò qualcosa che avrebbe potuto stupire Silver a quel livello, fino a
quando,
tra i titoli in scorrimento delle notizie:
Il
Campione
di Kanto convoca una conferenza stampa all’Altopiano Blu per le 13:00
di oggi.
‒
Almeno sappiamo dov’è… ‒ mormorò Sapphire.
‒
Perché se n’è andato così di fretta e senza dirci niente? ‒ chiese
Silver.
‒
Ciò che tutti ci stavamo appunto chiedendo ‒ intervenne Blue.
In
poche
parole, decisero unanimemente di non intervenire e di attendere la
conferenza, che avrebbero seguito in diretta dal tg. Tutto ciò, senza
evitare
di risparmiare del tempo e quindi avviandosi verso la sede della Lega di
Holon.
Sapphire, controllando il PokéNav, si accertò che ci fosse un Centro
Pokémon in
cui si sarebbero potuti fermare per l’ora di pranzo e per seguire la
conferenza. Ovviamente, ne trovò uno, era ad Holon, la terra del
servizio
turistico.
Ognuno
tornò
in stanza a ricomporre la propria valigia, Platinum lo aveva già fatto
prima di raggiungerli quella mattina, nessuno pagò uscendo dall’hotel,
era
tutto pagato dalla Lega. Optarono per fare la strada a piedi, cosa che
sembrava
passata di moda tra le nuove generazioni di Allenatori ma che non faceva
mai
male per ricordare i vecchi tempi. La passeggiata partì nel silenzio
generale,
sarebbero giunti al Centro per mezzogiorno e mezza, mantenendo un buon
passo.
Tutti
loro
faticavano a guardarsi in faccia. Gli eventi dell’ultimo periodo erano
piombati addosso alla loro psiche con assurda violenza. Chiunque avrebbe
trovato difficoltà a gestirli allo stesso modo. Ancora insopportabile
era la
presenza dei giornalisti-stalker che sembravano pedinarli fin dalla loro
uscita
da Vivalet. Erano fastidiosi ma, secondo i piani, fondamentali per
rendere
intoccabile la loro presenza.
‒
Il dispositivo di localizzazione Pokédex elaborato da Oak dovrebbe
funzionare ‒
fece Green tappando di qua e di là sulla sua enciclopedia digitale.
‒
Solo io penso che questa cosa faccia molto “moglie sospettosa”? ‒
commentò
Gold.
‒
Tecnicamente è violazione della privacy, preferirei non utilizzarlo, ma
purtroppo non abbiamo altro su cui basarci per trovare Ruby.
Gold
lo
fissava sorridente e malizioso. ‒ Sai che un oggetto come questo
potrebbe
essere veramente utile in certe occasioni?
‒
Per questo lo sto usando.
‒
E Oak invece sa che in altre potrebbe essere estremamente pericoloso?
‒
Per questo non si sogna nemmeno di dartelo.
‒
Simpatico, il giorno che tu e tuo nonno comprenderete le mie doti sarò
già lon…
‒
Zitto, l’ho trovato.
‒
Hai trovato il suo Pokédex, non credo che lo porti più con se da tempo,
ormai.
‒
Per ora abbiamo questo su cui basarci: Ciclamipoli, è nel quartiere
ovest.
I
due Dexholder spiccarono il volo sui loro Pokémon, avevano dormito in un
piccolo ostello di Porto Selcepoli, passando inosservati alla maggior
parte dei
reporter della zona. Non avevano saputo nulla della sparizione di Red,
tantomeno della conferenza stampa indetta per quel pomeriggio; o meglio,
Green
lo avrebbe scoperto se avesse dato un’occhiata al suo PokéGear. Inoltre
non
conoscevano i piani dei loro compagni che avevano deciso di condurre
l’indagine
per conto loro direttamente alla Lega di Holon. Erano in cerca di Ruby,
Sapphire
aveva chiesto la loro collaborazione per entrare in contatto col ragazzo
che
una volta era la persona per cui lei aveva provato l’affetto più grande
della
sua vita.
Raggiunsero
Ciclamipoli
in men che non si dica, sorvolando la pista ciclabile che riluceva
sotto la luce del sole. Scesero nella capitale e cominciarono a
camminare
discretamente per la strada, Green dava ogni tanto un’occhiata alla
mappa del
suo Pokédex per controllare che la direzione fosse quella giusta. Erano
scesi a
Ciclamipoli Ovest, che secondo molti abitanti della città stessa non fa
parte
di Ciclamipoli. La periferia, organo vitale ma non indispensabile di
un’urbe:
un po’ come uno dei reni di ogni essere umano.
Gold
camminava
fissando la gente, Green osservando i muri. Entrambi notarono
stranezze e si invitarono reciprocamente a partecipare alla scoperta.
Green
fece un cenno e Gold si trovò davanti un murales gigantesco ed epico:
raffigurava la regione di Hoenn riprodotta con minuzia geografica
circondata
dal lungo corpo di Rayquaza rampante. Una sola scritta:
RICORDATE
‒
Hanno percepito molto la loro perdita?
‒
Più di quanto immaginassi, Hoenn era evidentemente molto legata a quel
Pokémon…
Rimasero
ad
ammirare l’opera per alcuni minuti, prima di tornare alla realtà. La
curiosità
che, pochi minuti dopo, Gold invitò Green a vedere era invece molto meno
spettacolare. Una scena patetica che sembrava essere uscita da una
bacheca di
Facebook, per quanto improbabile: un signore tarchiato, dall’altra parte
della
strada, camminava tenendo sopra la testa un grosso cartello rettangolare
e
scritto. La scritta:
Salvatevi
dalla
furia della natura. Lasciate Hoenn.
Questo
soggetto
passava e le reazioni dei passanti erano di tre tipologie: chi lo
ignorava, chi si complimentava con lui, chi scoppiava a ridere
rotolandosi a
terra. Insomma, ai due ragazzi bastò camminare per altri quattro isolati
per
rendersi conto di una certa realtà grazie a biglietti appesi alle porte
dei
negozi chiusi, televisioni sintonizzate su trasmissioni locali accese
nelle
vetrine, signore petulanti che chiacchieravano a voce alta. Una certa
fetta di
popolazione, a Hoenn, era rimasta tanto sconvolta dalla morte di
Rayquaza da essersi
convinta di attendere un’imminente collasso gigantesco capace di radere
al
suolo la regione. La valvola che aveva permesso la diffusione iniziale
di
questa credenza era stata quella debole scossa manifestatasi proprio
dopo il
decesso del dragone. Gli apocalittici erano emersi dalla folla, una
discreta
fetta della popolazione era fuggita, i più rassegnati predicavano per
smuovere
le folle dallo scetticismo nei confronti di tale credenza.
Con
Rayquaza
morto, Hoenn sarebbe caduta presto, diceva il popolo. I due Dexholder
non poterono far altro che scuotere la testa pensando a ciò. Entrambi
trovavano
interessante la capacità che avesse la massa di essere manipolata e
agitata. In
ogni caso, continuarono la propria ricerca, fermandosi ogni tanto per
sorridere
amaramente di fronte a preghiere pubbliche di massa e fughe dell’ultimo
minuto
effettuate dai cittadini meno scettici.
Presto
giunsero
alla posizione indicata dal software di Green sulla localizzazione
Pokédex. Sembrava assurdo, ma probabilmente Ruby lo aveva ancora con sé.
E se
il GPS non mentiva, si trovava proprio alla sede del canale HC One, il
network primario
della TV di Hoenn. Il palazzo si stagliava nella sua gigantesca figura
vitrea e
svettante tra gli scrostati edifici della Ciclamipoli Ovest. L’alta
recinzione
impediva ai writer che avevano operato su tutto il resto del quartiere
anche
solo di avvicinarsi al sontuoso grattacielo. Due grosse statue di ottone
raffiguranti figure forse molto importanti nella fondazione della
compagnia
imponevano un certo senso di inferiorità a chiunque volesse entrare lì.
‒
Green ‒ esordì Gold senza staccare gli occhi dall’entrata.
‒
Dimmi.
‒
È il momento di farti capire perché ho chiesto a te di seguirmi e non a
qualcun
altro.
‒
Spiegami.
‒
La tua discreta ma non eccelsa fama è un passe-partout che non attira
assalti
mediatici.
L’occhiata
con
cui Green rispose fu ciò che di più gelido Gold vide mai nella sua vita.
Tuttavia, l’amico non si sottrasse al suo ignobile compito.
I
faccini di Gold e Green erano ben accetti in un’azienda in cui
l’obiettivo
primario era attirare l’attenzione della massa. Con la scusa di parlare
con un
certo produttore che aveva contattato nei giorni precedenti i due
Allenatori
per un servizio sul Torneo che persino la segretaria comprese essere
un’invenzione, i due riuscirono ad intrufolarsi nella sezione
programmazione.
Rivelarono solo in seguito di essere alla ricerca di Ruby, ma la cosa
non si
rivelò necessaria, lì dentro loro potevano sentirsi come bambini alla
propria
festa di compleanno. Qualcuno dice che il prezzo della fama non è
ripagato
dall’amore dei fan, quanto dal servilismo dei signori.
‒
Tredicesimo piano, quarta sala a destra, montaggio ‒ li indirizzò la
donna con
occhiali e chewing-gum.
I
due Dexholder si resero conto che persino l’ascensore sapeva di femmina,
dentro
quel palazzo. Inoltre, la musichetta che risuonava all’interno era stata
composta da una pop star lanciata da quella stessa azienda, ne erano
sicuri. Le
porte automatiche si aprirono sul tredicesimo piano, notarono subito le
piastrelle di colore più scuro e le finestre più strette. La poca luce
si
adattava perfettamente al poco rumore che vi era su quel piano. Tutto
sembrava
notturno e quieto, lì nessun foglio volava e nessun pubblicitario
gridava
perché gli fosse servito il secondo Manhattan. Quello era il reparto
montaggio.
‒
Devi scegliere qualcosa di forte e sereno, il film deve infondere
sicurezza,
quindi come colonna sonora serve qualcosa che ricordi un evento
gradevole,
l’ultima Gara Speciale di Verdeazzupoli, ad esempio ‒ sentirono
mormorare da
una voce ben conosciuta che era dietro l’angolo.
Subito
davanti
a loro comparve il faccino dai lineamenti sottili di Ruby, Campione di
Hoenn e direttore della pubblicità a tempo perso, in base a ciò che
avevano
appena visto. Accanto a lui, un uomo che mai avrebbero scoperto essere
uno dei
compositori della compagnia. L’ex Dexholder sbiancò vedendoli. L’omino
con cui
stava discutendo scomparve dalla situazione.
‒
Green, Gold ‒ si stupì lui. ‒ Non mi sarei mai aspettato di trovarvi
qui.
‒
Ne eravamo sicuri, dobbiamo parlarti ‒ tagliò corto quello dagli occhi
verdi.
Ruby
si
guardò attorno. ‒ Datemi un minuto ‒ e passò oltre. Non tradì
insicurezza,
era nel proprio mondo.
Lo
seguirono
mentre raggiungeva una stanza della quale nessuno si era preoccupato
di chiudere la porta. Al suo interno trovarono due operatori che
lavoravano
davanti ad un computer con dei programmi che sicuramente costavano più
dei pc.
Ruby sussurrò qualcosa all’orecchio del primo e posò sul tavolo un
foglio con
delle scritte frettolose e caotiche.
‒
E sì, lo sharing di venerdì era soddisfacente, quindi lavoriamo su quel
progetto, programmalo allo stesso orario ‒ puntualizzò a quello,
abbandonando
lo studio.
Green
e
Gold cominciavano a capire. Ruby era uno dei Campioni più apprezzati e
famosi
di sempre, almeno tra il popolo, perché era un genio nel marketing. Era
sempre
stato bravo a “piacere”. E, come nelle gare Pokémon, aveva capito come
proporre
il proprio personaggio alle masse. La sua Lega era una delle più
fiorenti che
Hoenn avesse avuto da anni, ormai, il segreto era proprio nel suo
Campione che
aveva capito come farla amare dalla gente e farla piacere a tutti. Per
questo
gli Allenatori importanti di Hoenn erano anche star nazionali e divi
famosissimi.
‒
Sono vostro per un po’ di tempo ‒ disse quindi a loro, prendendoli in
disparte.
Erano
in
una delle sale ricreative, dove erano state piazzate delle piante
esotiche,
delle macchinette che erogavano snack e bevande e dei divanetti.
‒
Sapphire voleva entrare in contatto con te.
‒
Ah. E perché ha delegato voi?
‒
Ci trovavamo a Hoenn per altri motivi.
‒
Capisco, per voi è tutto a posto? intendo, dopo ciò che è successo a
Vivalet.
Green
e
Gold si guardarono strano. Entrambi si domandarono se Emerald fosse
effettivamente suo amico o no. Ruby sembrava incredibilmente calmo e
sereno e
aveva chiesto loro di quel disastro incredibile come se si fosse
trattato di
una barzelletta.
‒
No, non è per niente a posto ‒ lo fronteggiò Green. ‒ Ma non siamo qui
per
parlare di questo.
‒
Aspetta ‒ si intromise Gold, stranamente serissimo, con un’espressione
che
lasciava intuire che il suo pugno avrebbe piacevolmente voluto
raggiungere i
denti di Ruby. ‒ Ruby, ti rendi conto che tu hai la libertà di andare
dove ti
pare e piace senza delle telecamere di sicurezza puntate addosso
solamente
perché noi siamo gli unici a sapere che tu, per un certo qual motivo,
sapevi in
anticipo che Rayquaza avrebbe attaccato Vivalet?
Ruby
non
rispose, ma scambiò la faccia da ebete che aveva tenuto fino a quel
momento
con un’espressione più corrucciata e attenta.
‒
Ci sono stati dei morti, a noi non frega niente di te o di Sapphire, non
stiamo
parlando in veste di suoi amici o di tuoi ex compagni. Qui c’è molto di
più in
ballo.
Nel
pronunciare
tali gelide parole, Gold era balzato in piedi e aveva assunto una
posizione inarcata su Ruby. Voleva saltargli addosso. Green, se non
fosse
rimasto stupito dalla sua insolita reazione, si sarebbe preparato ad
intercettarlo.
‒
Sì, lo capisco, Gold ‒ mormorò il Campione di Hoenn a bassa voce.
‒
Allora non fare il finto tonto con noi e tantomeno con lei, se hai
ancora un
briciolo di umanità da qualche parte.
Nel
gelo
che si era creato, chiamarono Sapphire con il dispositivo di Ruby, il
quale lo mise subito all’orecchio. Green gli intimò di attivare la
videochiamata, ma lui rifiutò candidamente con una scusa che nessuno
ascoltò.
Il
sole
batteva forte, il silenzio era imperfetto, l’aria era innaturale. La
cadenzata orchestra di passi che il gruppo
Blue-Crystal-Silver-Platinum-Sapphire creava avanzava lentamente nella
artificiale vegetazione di Holon. La direzione era quella della Lega.
Tutti
loro si guardavano attorno dall’inizio del viaggio. Posavano gli occhi
sulle
cortecce perfette e lucide, sulle rocce coperte di morbidissimo muschio,
sulla
stomachevole serenità dei Pokémon selvatici che spuntavano dalla
vegetazione,
sui sentieri di erba pettinata lastricati ciottoli regolarmente
circolari.
Lo
squillo
di una chiamata suonò quasi rassicurante, in quella messinscena.
‒
È Ruby… ‒ mormorò Sapphire, intuendo. Il contatto era infatti diverso da
quello
che lei possedeva, ragion per cui aveva mandato Green e Gold a fare da
intermediari.
‒
Sapphire.
‒
Ruby, ti hanno convinto a farti sentire, vedo.
‒
Non è stato difficile per loro.
‒
Poche storie, piuttosto, parliamo di cose importanti.
La
ragazza
stava mantenendo la massima naturalezza. Sembrava addirittura
distaccata.
‒
Abbiamo parlato con Rocco, te lo ricordi? Quello che ti ha detto che
Vivalet
sarebbe stata rasa al suolo. Beh, dopo qualche indagine e un po’ di
discussione
siamo arrivati alla conclusione che nessuno a parte Zero può aver
lasciato il
cadavere di Murdoch, che si sarebbe occupato di inviare il dragone allo
stadio,
sulla cima della Torre Dei Cieli. Adesso…
‒
Non ho tempo ora, Sapphire, ti ho chiamato solo per dirti che non ho
tempo di
parlare con te ‒ la interruppe Ruby, trasudando il proprio disagio da
ogni
bugia.
Sapphire
si
sforzò di non spezzare il PokéGear nella propria mano.
‒
Tu sei veramente impressionante, come osi dirmi che non hai tempo per…
‒
Perdonami, ma adesso sono veramente occupato.
Ruby,
sotto
lo sguardo attonito e furente di Green e Gold, ebbe il fegato di
chiudere
la chiamata in faccia ad una Sapphire che imprecò acidità inaudite
contro di
lui e scagliando il dispositivo a terra. Il Campione si alzò, fece per
lasciare
la stanza e fu sbrigativo nel far intendere con un gesto ai due
Dexholder che
era il momento, per loro, di andarsene.
‒
Ruby, Cristo santo, io ti rompo quel faccino da rivista che hai! ‒
sbottò Gold
facendo voltare tutto il corridoio del piano tredici.
Il
ragazzo
gli teneva le spalle, camminava svelto, sembrava andare in una
direzione precisa. Alle calcagna, un duo di rabbiosi Allenatori che non
si
lanciavano contro il suo corpo solo per dignità personale.
‒
Stai fermo, non provare a…
Ruby
svoltò
un angolo. Il trio si trovò davanti ad una porta di vetro dal grosso
maniglione antipanico sulla quale brillava il simbolo dell’uscita di
sicurezza.
Dava su una scalinata di metallo, una semplice scala antincendio.
Stupendo ma
aumentando la rabbia dei due al suo seguito, la aprì premendo con forza
sulla
barra verde.
Un
fortissimo
allarme scattò in tutto il palazzo, il silenzio tombale del reparto
montaggio che era stato spezzato dalle invettive di Gold fu di nuovo
ucciso
brutalmente. In conclusione, tutti e tre i ragazzi si ritrovarono a
guardarsi
negli occhi sulla rampa di una scala antincendio con in sottofondo il
gracchiante, continuo e fortissimo suono dell’allarme del palazzo.
Ruby
si
fermò e si lasciò circondare. Non si concesse un attimo. Le sue parole
furono forti e scandite, tanto da giungere alle orecchie dei suoi amici
nonostante il baccano.
‒
Le linee sono intercettate, io non posso mettermi in contatto con
nessuno, la
FACES mi sorveglia, non parlate con me di Zero o di altri membri
dell’opposizione, ho le mani legate, dovete sbrigarvela da soli.
L’allarme
tacque,
qualche impiegato aveva persino imboccato le vie di sicurezza, ma si
intuì subito che c’era stato un errore. Ruby si scusò scherzando sulla
propria
disattenzione, fulminando con gli occhi chiunque avesse il coraggio di
guardarlo con un minimo bagliore di curiosità.
‒
Mi dispiace, grazie per avermi riferito, comunque ‒ salutò Ruby, falso e
formale, indirizzando i Dexholder verso l’ascensore. Sia Green che Gold
avevano
taciuto per interi minuti. Ciò che Ruby aveva fatto li aveva lasciati
interdetti e insoddisfatti, non sapevano come inquadrare un
comportamento del
genere. Uscirono dal palazzo nel silenzio più freddo. Solo quando i loro
piedi
toccarono di nuovo il marciapiede ebbero il coraggio di guardarsi per
cercare
nell’altro un’opinione riguardo agli eventi appena accaduti.
Green
non
parlò, Gold nemmeno.
Poi,
mentre
gli occhi di Green tornavano lentamente ad assottigliarsi e a perdere il
loro stupore, il cuore di Gold cominciava a pompare sangue sempre più
caldo ad
un ritmo in costante crescendo.
‒
Green, fai uscire Charizard e Pidgeot ‒ ordinò, deciso.
‒
Che cosa hai intenzione di fare? ‒ scosse la testa. ‒ In ogni caso, no.
‒
Fai come vuoi, se vuoi evitare i poliziotti, però, dai retta a me ‒ il
ragazzo
di Johto aveva già entrambe le mani sulle sue Poké Ball.
‒
Gold, non provarci neanche ‒ Green era quasi minaccioso.
Il
Dexholder
di Fiordoropoli sembrò calmare per qualche istante il suo spirito
indomito.
‒
Sai benissimo che possiamo cavarcela… ‒ cercò di spiegare.
Si
rese
conto che per la prima volta cercava di giustificare razionalmente e in
maniera pacata una delle sue bravate. Green gli aveva imposto il suo
rifiuto
troppo fermamente, comprese che niente lo avrebbe mosso.
‒
Tu non estrai quel Pokémon e non porti via Ruby con la forza in nessun
modo,
ok?
‒
Ok… ‒ acconsentì debolmente Gold.
I
due cercarono di mantenere un profilo basso, tornando a passeggiare per
le vie
di Ciclamipoli, con il peso della sconfitta gravoso sulle spalle e
indecisi sul
da farsi.
Sapphire
fissava
la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di
riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non
era
riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare
di nuovo
con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la
Lega
Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si
trovavano
seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui
non
avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della
conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi
chilometri
più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che
lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio.
Avevano
ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon.
Stentando
a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare
per
capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da
monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un
ladro.
Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con
Green
si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua
“buona
azione” quella mattina.
‒
Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver
si
mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non
comunicava da
giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒
È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒
Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒
Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒
Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra
noi.
Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire,
Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate
potesse
sentirlo.
Blue
si
sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio
amico.
Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista
dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri.
Tacque
immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente
l’annuncio
televisivo entrò in suo soccorso.
“…in
diretta
dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale
Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura
mostrò
il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti
frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore
sedeva un
contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate
maligne a
destra e sinistra.
Tutti
i
Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in
live
all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro
potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le
altre
autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una
stanca
Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del
Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per
posizionarsi
davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici
riconobbero
bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva
dormito due
ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e
che si
era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato
capace di
farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto
i
riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo
che solo
alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red
aveva
qualcosa di importante da dire.
‒
Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo
sguardo
del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di
sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti
coloro che
si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒
Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi
rendo conto
che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del
surreale.
Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito
duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei
provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti,
fin
quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si
prese una
pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati
ben
calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già
tutto
questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura
dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di
farlo,
ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella
voce. ‒ Le
indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda.
Tuttavia, mi
rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per
annunciare
le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance
prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi
cuori
si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più
onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha
bisogno di
me.
Un
esplosione
di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I
giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima
informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo,
presto
ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi
erano
stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di
Vivalet e le sue dimissioni.
Ci
fu
qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi,
qualche
azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche
giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione
sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande
Red di
Biancavilla.
Blue
stringeva
la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso.
Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva
puntando lo
sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata
perse di
senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati
sottoposti li
aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red,
ormai,
nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒
Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒
Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak
sapevano
niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒
Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒
Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue,
nel
frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava
altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli
occhi di
Sapphire.
‒
Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno,
evidentemente
avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒
Capisco…
‒
Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima,
il
segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire
pensò
immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la
rude
scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del
Centro
Pokémon per potersi riaccendere.
‒
Ossia?
‒
Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire
cominciava
già a bollire.
‒
Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒
pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non
può
parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒
Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒
È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che
ci ha
fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire
aveva
iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete
neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso,
all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli
impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre
sue
azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva
dei
segreti, dei segreti importanti.
‒
Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒
Mh, ossia?
‒
Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒
Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒
Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒
Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo
bene i
privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒
Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒
Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono
attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due
spalle
che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒
Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori
dalla
porta di vetro del Centro Pokémon.
In
effetti,
due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di
fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto
caso,
ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano
lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒
Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒
Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua
sorveglianza. Non
posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa
vogliono
questi due…
‒
Va… bene.
‒
Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒
Buona fortuna…
‒
Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire
riagganciò.
‒
Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire
incrociò
il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
Il
caos
generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era
internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui
camminavano
svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro
gate.
Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a
percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di
idee
regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava
il
terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata
sulla
folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato
essere
tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più
totale. I
turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici
raddoppiavano le
dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒
Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse
Sapphire,
accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva
fatto
venire a prenderla.
‒
Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei
suoi
accompagnatori.
‒
Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le
due
Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più
grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra
meno
preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel
cuore.
‒
Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva
non
sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒
Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒
Lo spero, veramente.
Le
due
si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva
chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone
di
potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla
relativamente alla
vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di
informatori,
di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più
proiettato sulla vicenda.
Platinum,
dal
canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per
allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe
stata
meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche
informazione
importante.
Sapphire
osservò
il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo
serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue,
Silver
e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due
sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta
alla sua
valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei
nel
discorso.
‒
Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di
un’organizzazione
come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il
Campione di
una delle Leghe più solide.
‒
Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒
Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una
scusa
per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per
questi due
anni ‒ fece Sapphire.
‒
Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto
che
Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei
troppo
diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò.
Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco
e
ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di
cosa lei
provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia,
nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del
ragazzo,
aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata
troppo
ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok,
facciamo
una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto
che
si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e
accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li
riconoscevano talmente
tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano
abbastanza
educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto,
ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le
tracce che
avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒
Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori
più
“importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo,
finché non
riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la
Faces, che è
legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby
abbia
evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce
l’unica
pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒
La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut
sarebbe
stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒
Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a
Sapphire ‒
dovessi
avere
torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il
loro
aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani
d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola:
prima di
agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso
loro.
Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla
carica di
Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il
suo
“cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe
sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran
combattente,
ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il
volo
scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess
sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il
pilota
pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana.
Crystal tacque
dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente
conto
del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald
e mai
conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una
delle
persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili.
Loro non
avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per
piangere i
morti.
‒
Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒
Dimmi.
‒
Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒
Tutto ok.
Sembrava
non
voler comunicare.
‒
Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒
Lo so, anche a me.
‒
Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo
bisogno
anche di te.
‒
Io ci sono.
‒
Fisicamente, sì.
‒
Non capisco cosa intendi.
‒
Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒
Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che
rincuorò Blue
circa la sua emozionalità.
‒
Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come
te per
Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒
Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre
nella sua
testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto
crescere nell’orfanotrofio,
che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe
altissime
per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli
occhi di
tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura
al Parco
Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo
su una
brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che
sarebbero
divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒
Non tenerci rancore.
‒
Non lo farò.
Crystal
sorrise.
E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra
formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito
la
corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto
fosse ancora
ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒
Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒
tentò in
un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal
non
rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒
Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di
voce.
Ritrovarsi
con
Gold e Green fu semplice. Tutti chiesero ai due come fossero sfuggiti ai
due figuri che li avevano seguiti fino al Centro Pokémon.
‒
Erano agenti Faces, abbiamo fatto finta di niente e ci hanno pedinato
per un
paio d’ore. Poi sono scomparsi ‒ stava raccontando Gold durante la cena.
‒
Potrebbe essere stata solo una tecnica intimidatoria, tipo strategia del
terrore ‒ ipotizzò Sapphire.
‒
Sicuramente, non tentavano nemmeno di tenere un basso profilo, era un
avvertimento, sgarra una seconda volta e ti facciamo fuori.
‒
Abbiamo una possibilità con Lino ‒ ripeté in presenza del Capopalestra
di
Smeraldopoli. ‒ Ma prima preferirei capire se quegli agenti Faces che vi
hanno
seguito sono ancora in ascolto o no.
‒
Quelli erano solo delle pedine, non servivano ad intercettare
informazioni
importanti, solo a dirci di rimanere fuori dalla vicenda.
‒
Ciò significa che hanno capito che Ruby vi ha informati.
‒
No, non credo lo abbiano compreso appieno. Solo che gli eventi avvenuti
all’HC
One erano molto sospetti.
‒
La Faces sorveglia Ruby… ‒ mormorò Sapphire tra sé e sé pensando a ciò
che il
ragazzo aveva detto l’ultima sera a Vivalet. Era stato costretto ad
allontanarsi da lei e da tutti gli altri… poiché costretto da qualcuno
che non
poteva essere sconfitto. Che si fosse trattato proprio della Faces? Ma a
quale
scopo? Perché questa avrebbe dovuto desiderare che Ruby si separasse dai
suoi
amici? Inutile continuare a bucherellarsi il cervello, servivano le
informazioni
che sicuramente Lino avrebbe potuto dare loro.
Nella
tavola
calda in cui si erano fermati, la televisione era sintonizzata su un
telegiornale. Nessuno di loro ci aveva fatto caso, quando ad un certo
punto una
notizia attirò l’attenzione dei Dexholder.
‒
State a sentire ‒ li esortò Silver.
“…ieri,
una
seconda terribile tragedia si è abbattuta sulla Lega di Holon, dopo gli
avvenimenti del ventiquattro giurno: ha perso la vita in un incidente
stradale
Fenix, anche lui Superquattro della regione…”
‒
Ancora non sanno di ciò che è accaduto a Murdoch ‒ mormorò Blue.
‒
Non potevamo attirare l’attenzione di tutto il mondo ritrovando
“accidentalmente” il cadavere ‒ ribatté Green.
“L’uomo
sembra
aver perso il controllo dell’automobile che è andata fuori strada,
cadendo
poi in una scarpata. Fenix sembra essere morto sul colpo, in ogni caso,
stanno
procedendo gli accertamenti della polizia” e intanto, sullo schermo,
passavano
le immagini dell’asfalto strisciato dalle gomme proprio in
corrispondenza di un
tratto di strada mancante di guard-rail. I cespugli e le fronde
sembravano
esser stati schiacciati violentemente e si intravedeva il catorcio che
una
volta forse era stato una bella BMW nera nuova di zecca.
“…nessuno
degli
altri Superquattro ha voluto lasciare dichiarazioni, tantomeno ci sono
stati interventi da parte del Campione, Zero…”
‒
Un altro morto tra i Superquattro di Holon ‒ sospirò Sapphire.
‒
Quante possibilità c’erano? ‒ disse, con voce cupa, Green.
Tempo
un
quarto d’ora e l’intera squadra era sulla rotta per Petalipoli. Avevano
dormito
nella capitale perché lì erano scesi dall’aereo. La cittadina che
ospitava la
palestra di cui Lino era leader distava poco se raggiunta in volo sulla
groppa
dei loro Pokémon. E scorse altro tempo vuoto, il fischio dell’aria e le
condizioni generali non permisero a nessuno di loro di spiccicare parola
durante tutta la traversata.
All’atterraggio,
apparve
a loro l’immagine di una pittoresca città dell’entroterra. Era composta
principalmente di prati costellati da migliaia di fiori di differenti
specie e
colore, qualità da cui prendeva il nome. Tempo addietro, era stata
firmato un
decreto che impedì la costruzione di strade all’interno del centro
vitale di
Petalipoli, lasciando l’asfalto alle vie di comunicazione esterne e alla
periferia.
Si resero immediatamente conto che per questa ragione la città vantava
una
morbidezza unica e un silenzio che era impossibile da trovare in un
qualsiasi
agglomerato urbano che fosse tagliato da una e una sola strada. Si
mossero tra
le casette di legno alle quali faceva da sfondo un piccolo stagno o il
fitto
bosco che circondava tutta la città. Sapphire sapeva bene come guidarli,
la
palestra era vicina. La raggiunsero dopo poco, l’edificio in vetro e
metallo si
accostava poco allo stile del resto dell’architettura urbana, ma era
stata
costruita in un periodo in cui si teneva più al rendere simili tutte le
palestre tra loro, invece che ad uniformarle allo stile della cittadina
in cui
sorgevano.
Sapphire
si
fermò a meditare prima di entrarvi. Molti anni prima, precisamente sei,
in
quella palestra aveva sconfitto il padre di Ruby. Purtroppo, un ricordo
carino
e nostalgico come quello le era stato rievocato nella mente dalla grossa
statua
di Norman realizzata in suo onore poco dopo la morte. Il bronzo che
ricalcava
perfettamente l’immagine dell’uomo era posto accanto nello spiazzo di
fronte
alla palestra, sopra un piedistallo. Brillava alla fioca luce della
sera, ma
sembrava allo stesso tempo impolverato e dimenticato. Due anni erano
passati
dalla morte di Norman, due anni dal giorno in cui Ruby aveva tagliato i
contatti con loro.
Insieme,
per
rispetto, si avvicinarono a leggere la targa memoriale.
“Quando
la
più grande eredità di un padre è l’esempio del vero coraggio”
Sapphire
sapeva
bene che a consigliare quella frase fosse stato Lino, diffondendo poi la
voce che era stata tutta un’idea di Ruby. La verità era che il ragazzo
che ora
portava il mantello del Campione della Lega non aveva desiderato neanche
piangere
la morte dei genitori. Forse aveva creduto di apparire debole, in ogni
caso per
un periodo rifiutò tutto e tutti, concentrandosi solo sull’Allenamento e
sull’auto-miglioramento. I suoi genitori non erano mai morti, erano solo
usciti
dalla sua vita per permettergli di fare un passo avanti.
‒
Che uomo era Norman? ‒ chiese Blue.
Sapphire
aveva
ben vividi in mente i ricordi del vecchio di Ruby. Ricordava il loro
rapporto complicato, il loro singolare modo di risolvere una questione
familiare, il loro legame più profondo di quanto chiunque potesse
immaginare.
‒
Era un uomo d’acciaio, non l’ho mai visto sorridere né gratificare
nessuno in
alcun modo. Eppure, ha scalato le montagne per e fatto l’impossibile per
le
persone che amava.
‒
Se n’è andato assieme alla moglie a causa di un incendio, giusto?
‒
Sì…
‒
Strana la vita, a volte.
‒
Già.
Il
gruppo
dei Dexholder entrò nell’edificio. Il look in stile dojo era rimasto,
nonostante quella palestra si fosse notoriamente spenta. La leggenda de
“l’inseguitore della forza” si era conclusa. Lino era un buon
Capopalestra e si
era meritato il titolo a pieni voti, ma non avrebbe mai raggiunto la
fama del
grande Norman. Fatto sta che, a quanto sembrasse, era stato proprio Ruby
a
raccomandare Lino per quel ruolo. Per questa ragione i Dexholder avevano
motivo
di credere che lui sapesse qualcosa che li avrebbe aiutati a portare
avanti le
indagini.
‒
Mi hanno detto che probabilmente sareste venuti qui ‒ li salutò il
ragazzo dai
capelli verdi vedendoli entrare dalla porta di vetro.
Sapphire
ammirò
l’interno della palestra che era rimasto invariato a com’era l’ultima
volta che lei vi aveva messo piede. Il dojo creato da Norman era rimasto
tale e
quale, gli stessi tatami, le stesse placche in legno di bambù. Il
Capopalestra
li aveva aspettati al centro della prima stanza, con indosso un kimono
leggero
da allenamento.
‒
Ciao, Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
Come stai? ‒ chiese dolcemente lui, che comunque aveva ancora un
rapporto
decente con la ragazza.
‒
Abbiamo bisogno di alcune informazioni ‒ esordì Green, cancellando il
tentato
approccio morbido dei due.
‒
Tu sei il Capopalestra di Smeraldopoli, giusto? ‒ chiese Lino,
conoscendo già
la risposta. ‒ Mi fa piacere di vedere che almeno voi abbiate deciso di
collaborare, da quello che ho visto i Dexholder non se la stanno
passando
proprio bene, negli ultimi tempi ‒ nella sua voce era percepibile una
lieve
ostilità.
‒
Non è un momento facile ‒ intervenne Sapphire, per impedire agli altri
di
rispondere a tono. ‒ per questo abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
‒
Preferisco parlarne a quattr’occhi, se per te non è un problema ‒
ribatté Lino,
seccato.
‒
Va bene ‒ rispose lei, frenando l’impeto di rispondere dei suoi amici. ‒
Andiamo nel tuo ufficio?
La
stanza
del Capopalestra era un ibrido tra uno sgabuzzino e una sala d’onore.
Sui mobili erano accatastati centinaia di trofei e altri riconoscimenti
placcati, appese al muro c’erano i ritagli di giornale e le foto che
ricordavano i periodi di gloria di quella palestra. Eppure, non
mancavano
simpatiche scope appoggiate al muro, cartacce e scartoffie rovesciate a
terra e
su tutto il ripiano della scrivania e persino qualche attrezzo da
allenamento
rotto abbandonato in un angolo. Sapphire si sedette su una delle due
sedie
semplici, dall’altro lato della scrivania, Lino sprofondava nella grossa
poltrona girevole.
‒
Dimmi tutto, Sapphire ‒ fece Lino accennando ad un amaro sorriso.
‒
Mi spieghi cosa ti è preso di là? Perché sei stato tanto acido? ‒
domandò lei.
‒
Lo so, lo so, scusami…
Sapphire
non
capiva.
‒
Ti giuro che era tutto involontario.
La
ragazza
annuì debolmente ‒ Ok, non soffermiamoci su questo, perché preferisci
parlarne in privato?
Lino
non
accennò risposta. Ma i suoi occhi fissi su Sapphire parlavano al suo
posto.
‒
Ok, come facevi a sapere che saremmo venuti da te a chiedere
informazioni?
‒
Ruby è il Campione, ricordi?
‒
Sì, ma…
‒
Lui riesce a sapere tutto ciò che vuole, quando vuole.
Sapphire
era
stupita. Ma era lì per ottenere delle informazioni e Lino era suo amico,
quindi le avrebbe ottenute nel modo più indolore possibile.
‒
Puoi dirmi che cosa ti aspetti che io ti chieda?
‒
Più o meno, ma preferisco che tu mi faccia le tue domande…
‒
Va bene ‒ comprese la ragazza.
‒
Perché Ruby ti ha chiesto di prendere il posto di Capopalestra?
‒
Perché credeva che fossi quello che lo meritava di più, il migliore
allievo di
suo padre ‒ rispose non senza un velo di orgoglio.
Purtroppo
a
Sapphire non interessava ciò, quindi passò avanti.
‒
Hai avuto più contatti con Rocco?
‒
No, non dopo la sua partenza per Holon.
‒
Sai qualcosa di Kalut?
‒
Mai sentito questo nome…
Rocco,
Kalut.
Sapphire aveva terminato gli spunti con cui estrarre qualche
informazione importante da Lino. Sembrava dovesse rinunciare.
‒
Che cosa ti ha detto Ruby allo stadio, proprio dopo la tua sconfitta al
torneo?
‒ domandò ricordando la discussione che lei aveva udito tra i due per le
scale,
il giorno prima della venuta di Rayquaza. Lino si era scusato con Ruby
per
qualcosa, ma lui lo aveva rassicurato affermando di poter riparare al
suo
errore.
Il
volto
del ragazzo allora riprese vita. Quella era una domanda alla quale
poteva
rispondere. ‒ Ruby aveva ricevuto l’avviso circa l’attacco che sarebbe
avvenuto
‒ disse sapendo bene che Sapphire ne era già a conoscenza. ‒ Fatto sta
che Ruby
mi aveva comunque chiesto di arrivare molto in alto in classifica, non
avrei
dovuto perdere contro Silver.
Sapphire
aveva
aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle. Ruby aveva chiesto a Lino di
arrivare in una posizione alta nella classifica del torneo, nonostante
sapesse che
tutto sarebbe stato interrotto.
‒
Sembravi distrutto, Lino…
‒
Lui l’aveva presa come una questione di vita o di morte…
‒
Dimmi di più.
Lino
prese
un profondo respiro. ‒ Non posso ‒ sussurrò poi.
Sapphire
tacque.
‒ Che cosa sai dirmi della Faces? ‒ riprese poi.
La
reazione
del Capopalestra fu esattamente quella che Sapphire si aspettava: Lino
aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione insicura.
‒
Non… non so. Si occupano di sicurezza e quella roba lì ‒ rispose Lino
con falsa
ignoranza.
‒
Ah ‒ Sapphire era sicura che stesse mentendo.
‒
Ok, procediamo ‒ ordinò quindi la ragazza.
Lino
vide
comparire dalla porta il Capopaletra di Smeraldopoli seguito dal suo
Porygon-Z. Sapphire fece un cenno per intimargli di tacere. Porygon si
alzò in
volo e osservò attentamente la stanza, individuò un bersaglio e si gettò
a
capofitto su di esso. Scomparve smaterializzandosi proprio in prossimità
della
scrivania di Lino.
‒
Ok, è il momento ‒ pronunciò Green dopo alcuni secondi.
‒
Perfetto ‒ Sapphire fece la propria parte. ‒ Lino, abbiamo trenta
secondi e poi
si accorgeranno che il sistema di cimici è stato hackerato, spiegami
tutto,
velocemente, la Faces non può sentirti.
Quello
sembrò
perdere il fiato. Arrancava, ma sembrava essere dentro alla situazione.
‒
Ti prego! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
‒
Loro controllano le nostre azioni, Sapphire. La Faces sta sfruttando la
Lega di
Hoenn, indirizzano ogni movimento, danno indicazioni su quale azione
deve
essere compiuta e in che modo.
‒
Perché lo fanno?
‒
Non lo sappiamo, Ruby non ha mai potuto condividere certi segreti con
noi, lo
tengono per la gola.
‒
Lo hanno fatto diventare Campione?
‒
Sì, hanno bisogno di lui.
‒
Che cosa hanno cercato di fare?
‒
Tutto questo ‒ fece, agitando le braccia. ‒ Costruire un impero più
ricco e più
radicato, non so per quale motivo.
‒
Qualcuno che si è opposto dev’esserci.
‒
Sì, ma a fronteggiarli veramente è stato soltanto…
‒
Il tempo è finito ‒ proferì Green, interrompendoli.
‒
Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
…soltanto chi se n’è andato ‒ concluse quello, con un’innocente
allusione.
‒
Grazie ‒ scandì Sapphire un pochino delusa.
I
due Dexholder lasciarono frettolosamente la stanza del Capopalestra.
La
ragazza
di Hoenn salutò Lino in maniera sommaria e uscì prima di tutti dalla
palestra. Quello non capì il motivo di tale reazione. Green si limitò a
promettere agli altri una sintesi circa l’accaduto e a congedarsi
insieme al
resto del gruppo. In pochi secondi erano di nuovo in aperta città
intenti ad
inseguire Sapphire.
Lei
non
voleva altro che sparire di lì. Aveva fatto un altro buco nell’acqua.
Tutto
era tornato a dati che già conosceva o che avrebbe potuto dedurre e il
cerchio
si era chiuso con un indirizzamento verso Rocco. “Chi se n’è andato”,
Rocco era
l’unica persona che si era ribellata alla politica della Faces. E
casualmente
anche l’unica persona che avevano già interpellato e che aveva già
rivelato
essersi una fonte di informazioni praticamente nulla. Non possedevano
altre
piste, non possedevano altre idee. Quando ciò fu chiarito pure con i
suoi
compagni, Sapphire non poté sopportare di leggere ulteriore delusione
nei loro
occhi.
Era
ormai
ora di trovare un posto in cui dormire. Ormai la luna era alta nel cielo
e le stelle trasformavano il chiarore in una vera e propria luce.
Ciclamipoli aveva
acceso i bracieri che delimitavano le strade, le uniche luci che non
sfigurassero in mezzo a quell’ambiente floreale e fiabesco. Privi di
speranza e
di energia, i Dexholder decisero di raggiungere il letto. Green poté
prendere
una stanza per tutti in un hotel situato poco lontano. Si salutarono
tutti, si
dissero senza crederci che il giorno dopo sarebbe andata diversamente, e
già
avevano la coscienza abbastanza leggera.
Due
ore
dopo, Sapphire era in piena fase di dormiveglia. Non riusciva a trovare
il
sonno, non sapeva come dimenticare quell’ennesimo fallimento. Si sentiva
sola.
‒
Sei inquieta ‒ disse qualcuno dalla penombra.
Lei
si
prese uno spavento clamoroso.
‒
Che cosa ci fai nella mia stanza?! ‒ gridò nei confronti del Ruby che si
era
piazzato davanti alla porta della camera. Le aveva fatto prendere un
colpo.
‒
Ho qualcosa da dirti.
‒
E per farlo entri nella mia stanza di soppiatto a notte fonda come un
ladro?
‒
Veramente questo hotel è mio ‒ ribatté lui, arrogante.
‒
Sei ancora più odioso le poche volte che ti fai vivo.
‒
E tu sei ancora più stupida le poche volte che decidi di fare di testa
tua.
Sapphire
si
alzò dal letto. Aveva una maglia di tre taglie più grossa a mo’ di
vestito e
gli slip, ma tanto quel ragazzo aveva avuto modo di vederla in una mise
ben più
intima. Camminò verso di lui con fare minaccioso, puntò i piedi a pochi
centimetri dalla sua faccia.
‒
Tu non hai il diritto di giudicarmi, sei l’ultima persona che si merita
di
parlare di me così a questo mondo ‒ gli sibilò.
‒
Non sono qui per parlare di questo, comunque ‒ la evitò lui, spostandosi
da
quella posizione scomoda.
‒
E che cosa vuoi dirmi?
‒
Rimani fuori dalla vicenda ‒ le ordinò Ruby.
‒
Scordatelo ‒ rise Sapphire.
La
scena
era tragicomica. Lei aveva in volto i segni di giorni affrontati con
poche ore di sonno. Lui sembrava uscito ora dal set per le riprese di
uno spot
televisivo. E forse era così. Nella stanza buia filtrava la luce della
luna
tagliata a fettine dalle serrande a pannelli. Il silenzio era la quiete
urbana,
con suoni di clacson in lontananza, cantilene di ubriachi e guaiti di
cani
randagi che provenivano dall’esterno.
‒
Se fossi entrato qui dentro per ucciderti, come la prenderesti? ‒
domandò Ruby
senza paura alcuna.
‒
Ti farei uscire a calci nel culo ‒ rispose pronta lei.
‒
Invece sto cercando di aiutarti, Sapphire.
‒
Io sto cercando di aiutare gli altri.
‒
Non capisci.
‒
Allora fammi capire.
Ruby
aveva
notato il repentino cambio di tono nella voce della ragazza. La rabbia
era scomparsa, lasciando il posto all’esasperazione.
‒
Cerchi di salvare la situazione a Vivalet, sei criptico e non lasci
capire a
nessuno cosa ti succede, scompari all’improvviso e poi riappari due anni
dopo
nella mia stanza. Racconti che ti hanno costretto, che sai che avverrà
una
catastrofe, ma non riveli nient’altro.
‒
È complicato.
‒
Abbiamo mai affrontato insieme qualcosa di semplice?
Ruby
tacque.
‒
Dimmi soltanto una cosa ‒ riprese Sapphire ormai al limite della sua
sopportazione. ‒ se mai deciderai di svelarmi i tuoi segreti, di farmi
capire
che cosa è successo in questi due anni, riuscirei mai a perdonarti?
Era
buio,
per cui Ruby dubitò persino delle sue lenti a contatto, ma gli parve di
vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Sapphire. Passarono
secondi
eterni. Lei credette quasi di vederlo sparire senza ricevere una
risposta. La
verità era che Ruby stava pensando a cosa rispondere. E mai una domanda
lo
aveva colto tanto alla sprovvista.
‒
Sei ancora la ragazza che conoscevo e di cui ero innamorato, quindi sì.
Saresti
capace di perdonarmi.
Sapphire
sospirò,
allungò le mani verso il ragazzo e si lasciò avvolgere dal suo tenero
abbraccio. Non percepiva il suo odore, la sua pelle e il suo corpo da
così
tanto tempo da temere di averlo ormai dimenticato.
‒
Mi manchi… ‒ mormorò lei.
Era
una
ragazza, aveva imparato a percepire certe cose: nella sua stretta, il
ritmo
delle pulsazioni di Ruby si era moltiplicato. Il suo cuore aveva preso a
battere più forte. Senza volerlo e senza rendersene conto, si
ritrovarono a
letto insieme. Fecero di nuovo l’amore dopo due lunghi anni, tornarono a
ad
assaporarsi reciprocamente come due ragazzini, godettero di ogni odore,
di ogni
bacio, di ogni punto di contatto dei loro corpi. Ruby sapeva come farla
impazzire, lei sapeva cosa concedergli. Entrambi erano consci che ciò
non
avrebbe rimesso a posto niente, tantomeno ricostruito qualcosa. Lei
sapeva bene
di dover tornare a detestarlo, lui di dover riprendere a nasconderle la
verità,
non appena entrambi avrebbero raggiunto l’orgasmo. Si stavano sfogando e
allo
stesso tempo stavano impedendo ai propri conflitti di generare altro
dolore. Si
unirono al di fuori di Hoenn, al di fuori di Zero e della Faces, al di
fuori di
Vivalet e al di fuori di tutto ciò che stava succedendo al mondo.
L’universo
sarebbe potuto esplodere, loro non se ne sarebbero accorti.
Erano
tornati
bambini, insieme. Fuori dal mondo, fuori dal mondo dei grandi.
Sapphire
fissava
la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di
riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non
era
riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare
di nuovo
con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la
Lega
Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si
trovavano
seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui
non
avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della
conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi
chilometri
più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che
lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio.
Avevano
ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon.
Stentando
a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare
per
capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da
monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un
ladro.
Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con
Green
si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua
“buona
azione” quella mattina.
‒
Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver
si
mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non
comunicava da
giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒
È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒
Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒
Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒
Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra
noi.
Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire,
Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate
potesse
sentirlo.
Blue
si
sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio
amico.
Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista
dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri.
Tacque
immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente
l’annuncio
televisivo entrò in suo soccorso.
“…in
diretta
dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale
Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura
mostrò
il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti
frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore
sedeva un
contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate
maligne a
destra e sinistra.
Tutti
i
Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in
live
all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro
potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le
altre
autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una
stanca
Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del
Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per
posizionarsi
davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici
riconobbero
bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva
dormito due
ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e
che si
era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato
capace di
farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto
i
riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo
che solo
alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red
aveva
qualcosa di importante da dire.
‒
Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo
sguardo
del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di
sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti
coloro che
si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒
Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi
rendo conto
che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del
surreale.
Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito
duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei
provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti,
fin
quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si
prese una
pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati
ben
calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già
tutto
questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura
dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di
farlo,
ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella
voce. ‒ Le
indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda.
Tuttavia, mi
rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per
annunciare
le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance
prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi
cuori
si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più
onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha
bisogno di
me.
Un
esplosione
di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I
giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima
informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo,
presto
ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi
erano
stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di
Vivalet e le sue dimissioni.
Ci
fu
qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi,
qualche
azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche
giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione
sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande
Red di
Biancavilla.
Blue
stringeva
la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso.
Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva
puntando lo
sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata
perse di
senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati
sottoposti li
aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red,
ormai,
nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒
Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒
Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak
sapevano
niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒
Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒
Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue,
nel
frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava
altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli
occhi di
Sapphire.
‒
Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno,
evidentemente
avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒
Capisco…
‒
Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima,
il
segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire
pensò
immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la
rude
scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del
Centro
Pokémon per potersi riaccendere.
‒
Ossia?
‒
Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire
cominciava
già a bollire.
‒
Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒
pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non
può
parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒
Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒
È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che
ci ha
fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire
aveva
iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete
neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso,
all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli
impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre
sue
azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva
dei
segreti, dei segreti importanti.
‒
Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒
Mh, ossia?
‒
Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒
Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒
Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒
Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo
bene i
privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒
Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒
Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono
attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due
spalle
che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒
Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori
dalla
porta di vetro del Centro Pokémon.
In
effetti,
due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di
fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto
caso,
ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano
lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒
Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒
Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua
sorveglianza. Non
posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa
vogliono
questi due…
‒
Va… bene.
‒
Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒
Buona fortuna…
‒
Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire
riagganciò.
‒
Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire
incrociò
il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
Il
caos
generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era
internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui
camminavano
svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro
gate.
Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a
percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di
idee
regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava
il
terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata
sulla
folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato
essere
tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più
totale. I
turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici
raddoppiavano le
dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒
Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse
Sapphire,
accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva
fatto
venire a prenderla.
‒
Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei
suoi
accompagnatori.
‒
Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le
due
Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più
grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra
meno
preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel
cuore.
‒
Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva
non
sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒
Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒
Lo spero, veramente.
Le
due
si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva
chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone
di
potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla
relativamente alla
vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di
informatori,
di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più
proiettato sulla vicenda.
Platinum,
dal
canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per
allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe
stata
meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche
informazione
importante.
Sapphire
osservò
il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo
serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue,
Silver
e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due
sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta
alla sua
valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei
nel
discorso.
‒
Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di
un’organizzazione
come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il
Campione di
una delle Leghe più solide.
‒
Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒
Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una
scusa
per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per
questi due
anni ‒ fece Sapphire.
‒
Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto
che
Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei
troppo
diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò.
Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco
e
ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di
cosa lei
provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia,
nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del
ragazzo,
aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata
troppo
ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok,
facciamo
una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto
che
si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e
accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li
riconoscevano talmente
tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano
abbastanza
educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto,
ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le
tracce che
avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒
Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori
più
“importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo,
finché non
riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la
Faces, che è
legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby
abbia
evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce
l’unica
pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒
La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut
sarebbe
stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒
Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a
Sapphire ‒
dovessi
avere
torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il
loro
aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani
d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola:
prima di
agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso
loro.
Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla
carica di
Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il
suo
“cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe
sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran
combattente,
ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il
volo
scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess
sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il
pilota
pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana.
Crystal tacque
dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente
conto
del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald
e mai
conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una
delle
persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili.
Loro non
avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per
piangere i
morti.
‒
Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒
Dimmi.
‒
Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒
Tutto ok.
Sembrava
non
voler comunicare.
‒
Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒
Lo so, anche a me.
‒
Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo
bisogno
anche di te.
‒
Io ci sono.
‒
Fisicamente, sì.
‒
Non capisco cosa intendi.
‒
Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒
Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che
rincuorò Blue
circa la sua emozionalità.
‒
Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come
te per
Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒
Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre
nella sua
testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto
crescere nell’orfanotrofio,
che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe
altissime
per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli
occhi di
tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura
al Parco
Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo
su una
brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che
sarebbero
divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒
Non tenerci rancore.
‒
Non lo farò.
Crystal
sorrise.
E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra
formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito
la
corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto
fosse ancora
ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒
Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒
tentò in
un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal
non
rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒
Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di
voce.
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