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Lev - CEP - 6 - Il mondo dei grandi

Capitolo 6: Il mondo dei grandi


“…mentre tutti si chiedono: dov’è Zero in questo…”
“…la regione piange, ma ogni singolo civile che ha perso la vita in questa sventurata…”
“…la nomina di una nuova Capopalestra. Vivalet sarà rappresentata da una nuova medaglia che…”
“…Ruby è finalmente tornato nella sua terra natia, pare che ancora una volta il Campione di Hoenn abbia in mente il prossimo…”
Celia vagava tra un canale e l’altro, i TG notturni le davano la sterile sensazione di non essere la sola persona sveglia a quell’ora. Non riusciva a prendere sonno, non riusciva a prendere sonno decentemente da più o meno un anno. Le sue occhiaie permanenti rendevano abbastanza l’idea. Il sesto giorno di settembre dell’anno precedente, quando lei aveva era ancora un’illusa sedicenne, il suo genitore adottivo era morto in ospedale per un’insufficienza polmonare. Lei era rimasta un’intera estate inguaiata in una vicenda molto più grande di quanto si sarebbe mai aspettata, era divenuta l’allieva di Antares e aveva perso i contatti con il suo fratellastro. In poco più di una settimana, mezzo mondo le era crollato addosso. Per fortuna lei era sempre stata una donna molto forte. Una ragazza, sarebbe più corretto dire.
Affondò la sigaretta in quel nido di cicche che era il suo posacenere. Bevette due sorsi d’acqua solo per far sfrigolare in gola il sapore del fumo, tossì tre volte.
Fissò per dieci minuti la sequenza degli spot pubblicitari in televisione prima di alzarsi dal divano. Aveva indosso soltanto i suoi slip e si trovava nella camera dell’hotel più lussuosa che avesse mai visto. Succede così quando diventi uno dei Capipalestra della regione di Holon e di punto in bianco ti trasformi da celebrità a divo. Le era permesso di fumare all’interno della camera, ma era più o meno certa che nessuno avrebbe avuto da ridire nemmeno se avesse voluto chiedere al servizio in camera un paio di strisce di coca.
Fissò il suo letto. Fissò l’essere umano che dormiva sopra il suo letto.
“Questo ce l’aveva più grosso di quello della volta scorsa” pensò. “Ma aveva un corpo meno muscoloso.” Non che per lei facesse poi molta differenza.
Afferrò i pantaloni che il tipo aveva lasciato sulla moquette e glieli gettò in faccia con la delicatezza di un carpentiere, svegliandolo. Quello cominciò subito a borbottare, stropicciandosi gli occhi.
‒ Fuori, va’ ‒ proferì solamente lei afferrandolo per un braccio e spingendolo giù dal letto.
Quello faticava a capire, mormorava qualcosa tipo “aspetta”, “oh, che fai?”, “calmati”. Poi finalmente si convinse a non opporre resistenza.
‒ Levati dalle palle, dai ‒ proseguì Celia.
Quando il ragazzo, i suoi vestiti, gli involucri dei preservativi e una bottiglia di champagne di consolazione furono finalmente fuori dalla porta della suite, Celia decise di chiudere la porta.
‒ Aspetta, mi richiami? ‒ chiese quello ancora mezzo addormentato.
Celia neanche rispose e gli sbatté la porta in faccia. La TV era ancora accesa, era andata in onda una fiction repellente su due famiglie rivali che si contendono il possedimento di un Magikarp dorato. Celia non la spense, ma si gettò sul letto. Le faceva ancora male il culo, per questo ficcò la testa sotto il cuscino e fece finta di essere in una spa sotto le mani sapienti di un massaggiatore iberico.
Ovviamente il suo PokéNet cominciò a squillare. Lei lo artigliò malamente e rispose maledicendo col tono di voce chiunque ci fosse dall’altra parte della chiamata.
‒ Chi è? ‒ suonò tombale.
‒ Celia, è Antares ‒ rispose il Campione della Lega di Sidera.
‒ Vaffanculo, sono le tre e un quarto.
‒ So benissimo che non dormi.
‒ Che vuoi?
‒ Abbiamo trovato Latios.
Lei si bloccò. Erano in linea tramite PokéNet, il che significava che Antares le stesse parlando in codice. Abbiamo trovato Latios. Anche inteso come: abbiamo trovato tuo fratello, Xavier.
‒ È incredibile… ‒ commentò Silver.
‒ Spero vivamente che sia uno scherzo, tutto questo sta prendendo una piega comica ‒ proseguì Blue.
I due, in compagnia di Platinum e Crystal, si trovavano nella mensa del residence. Era mattina, attorno a loro i turisti circolavano nella bolgia del self service per accaparrarsi la fetta di bacon più croccante. All’appello, oltre a Green e Gold che si trovavano ancora a Hoenn, mancavano Red e Yellow. Erano scomparsi quella notte, dopo che ognuno dei Dexholder li aveva visti andare a dormire la sera prima nella stessa camera. E poi puff.
‒ Effettivamente Red era un po’ strano, ultimamente ‒ commentò Sapphire.
Gli altri la ammonirono con gli occhi. Erano tutti strani, dopo la morte di Emerald e la strage di Vivalet, nessuno di loro aveva potuto evitare di uscirne destabilizzato.
Platinum li aveva raggiunti in mattinata e, in mezzo ai grandi, si faceva quasi trasparente. Tratto non tipico del suo carattere che tendeva invece ad adattarsi a qualsiasi contesto. Eppure, non riusciva ad amalgamarsi con quel gruppo. Aveva immaginato tante volte dei Dexholder provenienti dalle altre regioni. Gente forte, degna di fiducia, sicura. Aveva immaginato una sorta di armata perfetta, coesa e inarrestabile composta da guerrieri più che da allenatori. Aveva immaginato degli uomini più che maturi abituati ad affrontare qualsiasi tipo di pericolo e temprati in ogni singolo aspetto della propria personalità. Aveva trovato un gruppo che ha mantenuto unità e sanità mentale per due giorni e non un secondo di più. Poi uno era morto, gli altri avevano litigato, uno sembrava aver tagliato tutti i ponti parecchio tempo prima, e ora cominciavano pure a sparire. Di questo passo, non sarebbe rimasto alcun Dexholder sano di mente nel giro di pochissimo tempo.
‒ Dobbiamo cercarlo? ‒ domandò Platinum al gruppo.
Crystal grugnì lievemente seccata. Dovevano cercare tutto, tutto era nascosto: Kalut, Zero, le informazioni di Rocco, Ruby e alla fine pure Red e Yellow.
‒ Non credo proprio… ‒ rispose Silver.
Tutti notarono che i suoi occhi erano fissi su uno degli schermi della hall. Portarono lo sguardo alle immagini trasmesse. Come degli automi, tutti e cinque i Dexholder rimasti si appropinquarono meccanicamente al televisore. Nessuno notò qualcosa che avrebbe potuto stupire Silver a quel livello, fino a quando, tra i titoli in scorrimento delle notizie:
Il Campione di Kanto convoca una conferenza stampa all’Altopiano Blu per le 13:00 di oggi.
‒ Almeno sappiamo dov’è… ‒ mormorò Sapphire.
‒ Perché se n’è andato così di fretta e senza dirci niente? ‒ chiese Silver.
‒ Ciò che tutti ci stavamo appunto chiedendo ‒ intervenne Blue.
In poche parole, decisero unanimemente di non intervenire e di attendere la conferenza, che avrebbero seguito in diretta dal tg. Tutto ciò, senza evitare di risparmiare del tempo e quindi avviandosi verso la sede della Lega di Holon. Sapphire, controllando il PokéNav, si accertò che ci fosse un Centro Pokémon in cui si sarebbero potuti fermare per l’ora di pranzo e per seguire la conferenza. Ovviamente, ne trovò uno, era ad Holon, la terra del servizio turistico.
Ognuno tornò in stanza a ricomporre la propria valigia, Platinum lo aveva già fatto prima di raggiungerli quella mattina, nessuno pagò uscendo dall’hotel, era tutto pagato dalla Lega. Optarono per fare la strada a piedi, cosa che sembrava passata di moda tra le nuove generazioni di Allenatori ma che non faceva mai male per ricordare i vecchi tempi. La passeggiata partì nel silenzio generale, sarebbero giunti al Centro per mezzogiorno e mezza, mantenendo un buon passo.
Tutti loro faticavano a guardarsi in faccia. Gli eventi dell’ultimo periodo erano piombati addosso alla loro psiche con assurda violenza. Chiunque avrebbe trovato difficoltà a gestirli allo stesso modo. Ancora insopportabile era la presenza dei giornalisti-stalker che sembravano pedinarli fin dalla loro uscita da Vivalet. Erano fastidiosi ma, secondo i piani, fondamentali per rendere intoccabile la loro presenza.
‒ Il dispositivo di localizzazione Pokédex elaborato da Oak dovrebbe funzionare ‒ fece Green tappando di qua e di là sulla sua enciclopedia digitale.
‒ Solo io penso che questa cosa faccia molto “moglie sospettosa”? ‒ commentò Gold.
‒ Tecnicamente è violazione della privacy, preferirei non utilizzarlo, ma purtroppo non abbiamo altro su cui basarci per trovare Ruby.
Gold lo fissava sorridente e malizioso. ‒ Sai che un oggetto come questo potrebbe essere veramente utile in certe occasioni?
‒ Per questo lo sto usando.
‒ E Oak invece sa che in altre potrebbe essere estremamente pericoloso?
‒ Per questo non si sogna nemmeno di dartelo.
‒ Simpatico, il giorno che tu e tuo nonno comprenderete le mie doti sarò già lon…
‒ Zitto, l’ho trovato.
‒ Hai trovato il suo Pokédex, non credo che lo porti più con se da tempo, ormai.
‒ Per ora abbiamo questo su cui basarci: Ciclamipoli, è nel quartiere ovest.
I due Dexholder spiccarono il volo sui loro Pokémon, avevano dormito in un piccolo ostello di Porto Selcepoli, passando inosservati alla maggior parte dei reporter della zona. Non avevano saputo nulla della sparizione di Red, tantomeno della conferenza stampa indetta per quel pomeriggio; o meglio, Green lo avrebbe scoperto se avesse dato un’occhiata al suo PokéGear. Inoltre non conoscevano i piani dei loro compagni che avevano deciso di condurre l’indagine per conto loro direttamente alla Lega di Holon. Erano in cerca di Ruby, Sapphire aveva chiesto la loro collaborazione per entrare in contatto col ragazzo che una volta era la persona per cui lei aveva provato l’affetto più grande della sua vita.
Raggiunsero Ciclamipoli in men che non si dica, sorvolando la pista ciclabile che riluceva sotto la luce del sole. Scesero nella capitale e cominciarono a camminare discretamente per la strada, Green dava ogni tanto un’occhiata alla mappa del suo Pokédex per controllare che la direzione fosse quella giusta. Erano scesi a Ciclamipoli Ovest, che secondo molti abitanti della città stessa non fa parte di Ciclamipoli. La periferia, organo vitale ma non indispensabile di un’urbe: un po’ come uno dei reni di ogni essere umano.
Gold camminava fissando la gente, Green osservando i muri. Entrambi notarono stranezze e si invitarono reciprocamente a partecipare alla scoperta. Green fece un cenno e Gold si trovò davanti un murales gigantesco ed epico: raffigurava la regione di Hoenn riprodotta con minuzia geografica circondata dal lungo corpo di Rayquaza rampante. Una sola scritta:
RICORDATE
‒ Hanno percepito molto la loro perdita?
‒ Più di quanto immaginassi, Hoenn era evidentemente molto legata a quel Pokémon…
Rimasero ad ammirare l’opera per alcuni minuti, prima di tornare alla realtà. La curiosità che, pochi minuti dopo, Gold invitò Green a vedere era invece molto meno spettacolare. Una scena patetica che sembrava essere uscita da una bacheca di Facebook, per quanto improbabile: un signore tarchiato, dall’altra parte della strada, camminava tenendo sopra la testa un grosso cartello rettangolare e scritto. La scritta:
Salvatevi dalla furia della natura. Lasciate Hoenn.
Questo soggetto passava e le reazioni dei passanti erano di tre tipologie: chi lo ignorava, chi si complimentava con lui, chi scoppiava a ridere rotolandosi a terra. Insomma, ai due ragazzi bastò camminare per altri quattro isolati per rendersi conto di una certa realtà grazie a biglietti appesi alle porte dei negozi chiusi, televisioni sintonizzate su trasmissioni locali accese nelle vetrine, signore petulanti che chiacchieravano a voce alta. Una certa fetta di popolazione, a Hoenn, era rimasta tanto sconvolta dalla morte di Rayquaza da essersi convinta di attendere un’imminente collasso gigantesco capace di radere al suolo la regione. La valvola che aveva permesso la diffusione iniziale di questa credenza era stata quella debole scossa manifestatasi proprio dopo il decesso del dragone. Gli apocalittici erano emersi dalla folla, una discreta fetta della popolazione era fuggita, i più rassegnati predicavano per smuovere le folle dallo scetticismo nei confronti di tale credenza.
Con Rayquaza morto, Hoenn sarebbe caduta presto, diceva il popolo. I due Dexholder non poterono far altro che scuotere la testa pensando a ciò. Entrambi trovavano interessante la capacità che avesse la massa di essere manipolata e agitata. In ogni caso, continuarono la propria ricerca, fermandosi ogni tanto per sorridere amaramente di fronte a preghiere pubbliche di massa e fughe dell’ultimo minuto effettuate dai cittadini meno scettici.
Presto giunsero alla posizione indicata dal software di Green sulla localizzazione Pokédex. Sembrava assurdo, ma probabilmente Ruby lo aveva ancora con sé. E se il GPS non mentiva, si trovava proprio alla sede del canale HC One, il network primario della TV di Hoenn. Il palazzo si stagliava nella sua gigantesca figura vitrea e svettante tra gli scrostati edifici della Ciclamipoli Ovest. L’alta recinzione impediva ai writer che avevano operato su tutto il resto del quartiere anche solo di avvicinarsi al sontuoso grattacielo. Due grosse statue di ottone raffiguranti figure forse molto importanti nella fondazione della compagnia imponevano un certo senso di inferiorità a chiunque volesse entrare lì.
‒ Green ‒ esordì Gold senza staccare gli occhi dall’entrata.
‒ Dimmi.
‒ È il momento di farti capire perché ho chiesto a te di seguirmi e non a qualcun altro.
‒ Spiegami.
‒ La tua discreta ma non eccelsa fama è un passe-partout che non attira assalti mediatici.
L’occhiata con cui Green rispose fu ciò che di più gelido Gold vide mai nella sua vita. Tuttavia, l’amico non si sottrasse al suo ignobile compito.
I faccini di Gold e Green erano ben accetti in un’azienda in cui l’obiettivo primario era attirare l’attenzione della massa. Con la scusa di parlare con un certo produttore che aveva contattato nei giorni precedenti i due Allenatori per un servizio sul Torneo che persino la segretaria comprese essere un’invenzione, i due riuscirono ad intrufolarsi nella sezione programmazione. Rivelarono solo in seguito di essere alla ricerca di Ruby, ma la cosa non si rivelò necessaria, lì dentro loro potevano sentirsi come bambini alla propria festa di compleanno. Qualcuno dice che il prezzo della fama non è ripagato dall’amore dei fan, quanto dal servilismo dei signori.
‒ Tredicesimo piano, quarta sala a destra, montaggio ‒ li indirizzò la donna con occhiali e chewing-gum.
I due Dexholder si resero conto che persino l’ascensore sapeva di femmina, dentro quel palazzo. Inoltre, la musichetta che risuonava all’interno era stata composta da una pop star lanciata da quella stessa azienda, ne erano sicuri. Le porte automatiche si aprirono sul tredicesimo piano, notarono subito le piastrelle di colore più scuro e le finestre più strette. La poca luce si adattava perfettamente al poco rumore che vi era su quel piano. Tutto sembrava notturno e quieto, lì nessun foglio volava e nessun pubblicitario gridava perché gli fosse servito il secondo Manhattan. Quello era il reparto montaggio.
‒ Devi scegliere qualcosa di forte e sereno, il film deve infondere sicurezza, quindi come colonna sonora serve qualcosa che ricordi un evento gradevole, l’ultima Gara Speciale di Verdeazzupoli, ad esempio ‒ sentirono mormorare da una voce ben conosciuta che era dietro l’angolo.
Subito davanti a loro comparve il faccino dai lineamenti sottili di Ruby, Campione di Hoenn e direttore della pubblicità a tempo perso, in base a ciò che avevano appena visto. Accanto a lui, un uomo che mai avrebbero scoperto essere uno dei compositori della compagnia. L’ex Dexholder sbiancò vedendoli. L’omino con cui stava discutendo scomparve dalla situazione.
‒ Green, Gold ‒ si stupì lui. ‒ Non mi sarei mai aspettato di trovarvi qui.
‒ Ne eravamo sicuri, dobbiamo parlarti ‒ tagliò corto quello dagli occhi verdi.
Ruby si guardò attorno. ‒ Datemi un minuto ‒ e passò oltre. Non tradì insicurezza, era nel proprio mondo.
Lo seguirono mentre raggiungeva una stanza della quale nessuno si era preoccupato di chiudere la porta. Al suo interno trovarono due operatori che lavoravano davanti ad un computer con dei programmi che sicuramente costavano più dei pc. Ruby sussurrò qualcosa all’orecchio del primo e posò sul tavolo un foglio con delle scritte frettolose e caotiche.
‒ E sì, lo sharing di venerdì era soddisfacente, quindi lavoriamo su quel progetto, programmalo allo stesso orario ‒ puntualizzò a quello, abbandonando lo studio.
Green e Gold cominciavano a capire. Ruby era uno dei Campioni più apprezzati e famosi di sempre, almeno tra il popolo, perché era un genio nel marketing. Era sempre stato bravo a “piacere”. E, come nelle gare Pokémon, aveva capito come proporre il proprio personaggio alle masse. La sua Lega era una delle più fiorenti che Hoenn avesse avuto da anni, ormai, il segreto era proprio nel suo Campione che aveva capito come farla amare dalla gente e farla piacere a tutti. Per questo gli Allenatori importanti di Hoenn erano anche star nazionali e divi famosissimi.
‒ Sono vostro per un po’ di tempo ‒ disse quindi a loro, prendendoli in disparte.
Erano in una delle sale ricreative, dove erano state piazzate delle piante esotiche, delle macchinette che erogavano snack e bevande e dei divanetti.
‒ Sapphire voleva entrare in contatto con te.
‒ Ah. E perché ha delegato voi?
‒ Ci trovavamo a Hoenn per altri motivi.
‒ Capisco, per voi è tutto a posto? intendo, dopo ciò che è successo a Vivalet.
Green e Gold si guardarono strano. Entrambi si domandarono se Emerald fosse effettivamente suo amico o no. Ruby sembrava incredibilmente calmo e sereno e aveva chiesto loro di quel disastro incredibile come se si fosse trattato di una barzelletta.
‒ No, non è per niente a posto ‒ lo fronteggiò Green. ‒ Ma non siamo qui per parlare di questo.
‒ Aspetta ‒ si intromise Gold, stranamente serissimo, con un’espressione che lasciava intuire che il suo pugno avrebbe piacevolmente voluto raggiungere i denti di Ruby. ‒ Ruby, ti rendi conto che tu hai la libertà di andare dove ti pare e piace senza delle telecamere di sicurezza puntate addosso solamente perché noi siamo gli unici a sapere che tu, per un certo qual motivo, sapevi in anticipo che Rayquaza avrebbe attaccato Vivalet?
Ruby non rispose, ma scambiò la faccia da ebete che aveva tenuto fino a quel momento con un’espressione più corrucciata e attenta.
‒ Ci sono stati dei morti, a noi non frega niente di te o di Sapphire, non stiamo parlando in veste di suoi amici o di tuoi ex compagni. Qui c’è molto di più in ballo.
Nel pronunciare tali gelide parole, Gold era balzato in piedi e aveva assunto una posizione inarcata su Ruby. Voleva saltargli addosso. Green, se non fosse rimasto stupito dalla sua insolita reazione, si sarebbe preparato ad intercettarlo.
‒ Sì, lo capisco, Gold ‒ mormorò il Campione di Hoenn a bassa voce.
‒ Allora non fare il finto tonto con noi e tantomeno con lei, se hai ancora un briciolo di umanità da qualche parte.
Nel gelo che si era creato, chiamarono Sapphire con il dispositivo di Ruby, il quale lo mise subito all’orecchio. Green gli intimò di attivare la videochiamata, ma lui rifiutò candidamente con una scusa che nessuno ascoltò.
Il sole batteva forte, il silenzio era imperfetto, l’aria era innaturale. La cadenzata orchestra di passi che il gruppo Blue-Crystal-Silver-Platinum-Sapphire creava avanzava lentamente nella artificiale vegetazione di Holon. La direzione era quella della Lega. Tutti loro si guardavano attorno dall’inizio del viaggio. Posavano gli occhi sulle cortecce perfette e lucide, sulle rocce coperte di morbidissimo muschio, sulla stomachevole serenità dei Pokémon selvatici che spuntavano dalla vegetazione, sui sentieri di erba pettinata lastricati ciottoli regolarmente circolari.
Lo squillo di una chiamata suonò quasi rassicurante, in quella messinscena.
‒ È Ruby… ‒ mormorò Sapphire, intuendo. Il contatto era infatti diverso da quello che lei possedeva, ragion per cui aveva mandato Green e Gold a fare da intermediari.
‒ Sapphire.
‒ Ruby, ti hanno convinto a farti sentire, vedo.
‒ Non è stato difficile per loro.
‒ Poche storie, piuttosto, parliamo di cose importanti.
La ragazza stava mantenendo la massima naturalezza. Sembrava addirittura distaccata.
‒ Abbiamo parlato con Rocco, te lo ricordi? Quello che ti ha detto che Vivalet sarebbe stata rasa al suolo. Beh, dopo qualche indagine e un po’ di discussione siamo arrivati alla conclusione che nessuno a parte Zero può aver lasciato il cadavere di Murdoch, che si sarebbe occupato di inviare il dragone allo stadio, sulla cima della Torre Dei Cieli. Adesso…
‒ Non ho tempo ora, Sapphire, ti ho chiamato solo per dirti che non ho tempo di parlare con te ‒ la interruppe Ruby, trasudando il proprio disagio da ogni bugia.
Sapphire si sforzò di non spezzare il PokéGear nella propria mano.
‒ Tu sei veramente impressionante, come osi dirmi che non hai tempo per…
‒ Perdonami, ma adesso sono veramente occupato.
Ruby, sotto lo sguardo attonito e furente di Green e Gold, ebbe il fegato di chiudere la chiamata in faccia ad una Sapphire che imprecò acidità inaudite contro di lui e scagliando il dispositivo a terra. Il Campione si alzò, fece per lasciare la stanza e fu sbrigativo nel far intendere con un gesto ai due Dexholder che era il momento, per loro, di andarsene.
‒ Ruby, Cristo santo, io ti rompo quel faccino da rivista che hai! ‒ sbottò Gold facendo voltare tutto il corridoio del piano tredici.
Il ragazzo gli teneva le spalle, camminava svelto, sembrava andare in una direzione precisa. Alle calcagna, un duo di rabbiosi Allenatori che non si lanciavano contro il suo corpo solo per dignità personale.
‒ Stai fermo, non provare a…
Ruby svoltò un angolo. Il trio si trovò davanti ad una porta di vetro dal grosso maniglione antipanico sulla quale brillava il simbolo dell’uscita di sicurezza. Dava su una scalinata di metallo, una semplice scala antincendio. Stupendo ma aumentando la rabbia dei due al suo seguito, la aprì premendo con forza sulla barra verde.
Un fortissimo allarme scattò in tutto il palazzo, il silenzio tombale del reparto montaggio che era stato spezzato dalle invettive di Gold fu di nuovo ucciso brutalmente. In conclusione, tutti e tre i ragazzi si ritrovarono a guardarsi negli occhi sulla rampa di una scala antincendio con in sottofondo il gracchiante, continuo e fortissimo suono dell’allarme del palazzo.
Ruby si fermò e si lasciò circondare. Non si concesse un attimo. Le sue parole furono forti e scandite, tanto da giungere alle orecchie dei suoi amici nonostante il baccano.
‒ Le linee sono intercettate, io non posso mettermi in contatto con nessuno, la FACES mi sorveglia, non parlate con me di Zero o di altri membri dell’opposizione, ho le mani legate, dovete sbrigarvela da soli.
L’allarme tacque, qualche impiegato aveva persino imboccato le vie di sicurezza, ma si intuì subito che c’era stato un errore. Ruby si scusò scherzando sulla propria disattenzione, fulminando con gli occhi chiunque avesse il coraggio di guardarlo con un minimo bagliore di curiosità.
‒ Mi dispiace, grazie per avermi riferito, comunque ‒ salutò Ruby, falso e formale, indirizzando i Dexholder verso l’ascensore. Sia Green che Gold avevano taciuto per interi minuti. Ciò che Ruby aveva fatto li aveva lasciati interdetti e insoddisfatti, non sapevano come inquadrare un comportamento del genere. Uscirono dal palazzo nel silenzio più freddo. Solo quando i loro piedi toccarono di nuovo il marciapiede ebbero il coraggio di guardarsi per cercare nell’altro un’opinione riguardo agli eventi appena accaduti.
Green non parlò, Gold nemmeno.
Poi, mentre gli occhi di Green tornavano lentamente ad assottigliarsi e a perdere il loro stupore, il cuore di Gold cominciava a pompare sangue sempre più caldo ad un ritmo in costante crescendo.
‒ Green, fai uscire Charizard e Pidgeot ‒ ordinò, deciso.
‒ Che cosa hai intenzione di fare? ‒ scosse la testa. ‒ In ogni caso, no.
‒ Fai come vuoi, se vuoi evitare i poliziotti, però, dai retta a me ‒ il ragazzo di Johto aveva già entrambe le mani sulle sue Poké Ball.
‒ Gold, non provarci neanche ‒ Green era quasi minaccioso.
Il Dexholder di Fiordoropoli sembrò calmare per qualche istante il suo spirito indomito.
‒ Sai benissimo che possiamo cavarcela… ‒ cercò di spiegare.
Si rese conto che per la prima volta cercava di giustificare razionalmente e in maniera pacata una delle sue bravate. Green gli aveva imposto il suo rifiuto troppo fermamente, comprese che niente lo avrebbe mosso.
‒ Tu non estrai quel Pokémon e non porti via Ruby con la forza in nessun modo, ok?
‒ Ok… ‒ acconsentì debolmente Gold.
I due cercarono di mantenere un profilo basso, tornando a passeggiare per le vie di Ciclamipoli, con il peso della sconfitta gravoso sulle spalle e indecisi sul da farsi.

Sapphire fissava la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non era riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare di nuovo con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la Lega Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si trovavano seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui non avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi chilometri più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio. Avevano ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon. Stentando a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare per capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un ladro. Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con Green si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua “buona azione” quella mattina.
‒ Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver si mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non comunicava da giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒ È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒ Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒ Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒ Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra noi. Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire, Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate potesse sentirlo.
Blue si sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio amico. Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri. Tacque immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente l’annuncio televisivo entrò in suo soccorso.
“…in diretta dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura mostrò il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore sedeva un contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate maligne a destra e sinistra.
Tutti i Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in live all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le altre autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una stanca Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per posizionarsi davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici riconobbero bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva dormito due ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e che si era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato capace di farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto i riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo che solo alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red aveva qualcosa di importante da dire.
‒ Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo sguardo del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti coloro che si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒ Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi rendo conto che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del surreale. Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti, fin quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si prese una pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati ben calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già tutto questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di farlo, ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella voce. ‒ Le indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda. Tuttavia, mi rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per annunciare le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi cuori si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha bisogno di me.
Un esplosione di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo, presto ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi erano stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di Vivalet e le sue dimissioni.
Ci fu qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi, qualche azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande Red di Biancavilla.
Blue stringeva la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso. Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva puntando lo sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata perse di senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati sottoposti li aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red, ormai, nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒ Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒ Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak sapevano niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒ Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒ Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue, nel frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli occhi di Sapphire.
‒ Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno, evidentemente avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒ Capisco…
‒ Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima, il segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire pensò immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la rude scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del Centro Pokémon per potersi riaccendere.
‒ Ossia?
‒ Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire cominciava già a bollire.
‒ Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒ pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non può parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒ Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒ È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che ci ha fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire aveva iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso, all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre sue azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva dei segreti, dei segreti importanti.
‒ Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒ Mh, ossia?
‒ Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒ Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒ Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒ Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo bene i privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒ Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒ Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due spalle che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒ Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori dalla porta di vetro del Centro Pokémon.
In effetti, due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto caso, ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒ Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒ Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua sorveglianza. Non posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa vogliono questi due…
‒ Va… bene.
‒ Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒ Buona fortuna…
‒ Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire riagganciò.
‒ Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire incrociò il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
Il caos generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui camminavano svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro gate. Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di idee regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava il terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata sulla folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato essere tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più totale. I turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici raddoppiavano le dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒ Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse Sapphire, accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva fatto venire a prenderla.
‒ Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei suoi accompagnatori.
‒ Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le due Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra meno preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel cuore.
‒ Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva non sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒ Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒ Lo spero, veramente.
Le due si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone di potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla relativamente alla vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di informatori, di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più proiettato sulla vicenda.
Platinum, dal canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe stata meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche informazione importante.
Sapphire osservò il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue, Silver e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta alla sua valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei nel discorso.
‒ Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di un’organizzazione come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il Campione di una delle Leghe più solide.
‒ Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒ Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una scusa per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per questi due anni ‒ fece Sapphire.
‒ Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto che Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei troppo diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò. Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco e ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di cosa lei provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia, nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del ragazzo, aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata troppo ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok, facciamo una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto che si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li riconoscevano talmente tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano abbastanza educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto, ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le tracce che avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒ Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori più “importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo, finché non riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la Faces, che è legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby abbia evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce l’unica pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒ La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut sarebbe stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒ Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a Sapphire ‒ dovessi avere torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il loro aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola: prima di agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso loro. Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla carica di Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il suo “cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran combattente, ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il volo scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il pilota pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana. Crystal tacque dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente conto del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald e mai conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una delle persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili. Loro non avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per piangere i morti.
‒ Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒ Dimmi.
‒ Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒ Tutto ok.
Sembrava non voler comunicare.
‒ Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒ Lo so, anche a me.
‒ Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo bisogno anche di te.
‒ Io ci sono.
‒ Fisicamente, sì.
‒ Non capisco cosa intendi.
‒ Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒ Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che rincuorò Blue circa la sua emozionalità.
‒ Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come te per Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒ Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre nella sua testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto crescere nell’orfanotrofio, che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe altissime per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli occhi di tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura al Parco Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo su una brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che sarebbero divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒ Non tenerci rancore.
‒ Non lo farò.
Crystal sorrise. E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito la corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto fosse ancora ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒ Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒ tentò in un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal non rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒ Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di voce.

Ritrovarsi con Gold e Green fu semplice. Tutti chiesero ai due come fossero sfuggiti ai due figuri che li avevano seguiti fino al Centro Pokémon.
‒ Erano agenti Faces, abbiamo fatto finta di niente e ci hanno pedinato per un paio d’ore. Poi sono scomparsi ‒ stava raccontando Gold durante la cena.
‒ Potrebbe essere stata solo una tecnica intimidatoria, tipo strategia del terrore ‒ ipotizzò Sapphire.
‒ Sicuramente, non tentavano nemmeno di tenere un basso profilo, era un avvertimento, sgarra una seconda volta e ti facciamo fuori.
‒ Abbiamo una possibilità con Lino ‒ ripeté in presenza del Capopalestra di Smeraldopoli. ‒ Ma prima preferirei capire se quegli agenti Faces che vi hanno seguito sono ancora in ascolto o no.
‒ Quelli erano solo delle pedine, non servivano ad intercettare informazioni importanti, solo a dirci di rimanere fuori dalla vicenda.
‒ Ciò significa che hanno capito che Ruby vi ha informati.
‒ No, non credo lo abbiano compreso appieno. Solo che gli eventi avvenuti all’HC One erano molto sospetti.
‒ La Faces sorveglia Ruby… ‒ mormorò Sapphire tra sé e sé pensando a ciò che il ragazzo aveva detto l’ultima sera a Vivalet. Era stato costretto ad allontanarsi da lei e da tutti gli altri… poiché costretto da qualcuno che non poteva essere sconfitto. Che si fosse trattato proprio della Faces? Ma a quale scopo? Perché questa avrebbe dovuto desiderare che Ruby si separasse dai suoi amici? Inutile continuare a bucherellarsi il cervello, servivano le informazioni che sicuramente Lino avrebbe potuto dare loro.
Nella tavola calda in cui si erano fermati, la televisione era sintonizzata su un telegiornale. Nessuno di loro ci aveva fatto caso, quando ad un certo punto una notizia attirò l’attenzione dei Dexholder.
‒ State a sentire ‒ li esortò Silver.
“…ieri, una seconda terribile tragedia si è abbattuta sulla Lega di Holon, dopo gli avvenimenti del ventiquattro giurno: ha perso la vita in un incidente stradale Fenix, anche lui Superquattro della regione…”
‒ Ancora non sanno di ciò che è accaduto a Murdoch ‒ mormorò Blue.
‒ Non potevamo attirare l’attenzione di tutto il mondo ritrovando “accidentalmente” il cadavere ‒ ribatté Green.
“L’uomo sembra aver perso il controllo dell’automobile che è andata fuori strada, cadendo poi in una scarpata. Fenix sembra essere morto sul colpo, in ogni caso, stanno procedendo gli accertamenti della polizia” e intanto, sullo schermo, passavano le immagini dell’asfalto strisciato dalle gomme proprio in corrispondenza di un tratto di strada mancante di guard-rail. I cespugli e le fronde sembravano esser stati schiacciati violentemente e si intravedeva il catorcio che una volta forse era stato una bella BMW nera nuova di zecca.
“…nessuno degli altri Superquattro ha voluto lasciare dichiarazioni, tantomeno ci sono stati interventi da parte del Campione, Zero…”
‒ Un altro morto tra i Superquattro di Holon ‒ sospirò Sapphire.
‒ Quante possibilità c’erano? ‒ disse, con voce cupa, Green.
Tempo un quarto d’ora e l’intera squadra era sulla rotta per Petalipoli. Avevano dormito nella capitale perché lì erano scesi dall’aereo. La cittadina che ospitava la palestra di cui Lino era leader distava poco se raggiunta in volo sulla groppa dei loro Pokémon. E scorse altro tempo vuoto, il fischio dell’aria e le condizioni generali non permisero a nessuno di loro di spiccicare parola durante tutta la traversata.
All’atterraggio, apparve a loro l’immagine di una pittoresca città dell’entroterra. Era composta principalmente di prati costellati da migliaia di fiori di differenti specie e colore, qualità da cui prendeva il nome. Tempo addietro, era stata firmato un decreto che impedì la costruzione di strade all’interno del centro vitale di Petalipoli, lasciando l’asfalto alle vie di comunicazione esterne e alla periferia. Si resero immediatamente conto che per questa ragione la città vantava una morbidezza unica e un silenzio che era impossibile da trovare in un qualsiasi agglomerato urbano che fosse tagliato da una e una sola strada. Si mossero tra le casette di legno alle quali faceva da sfondo un piccolo stagno o il fitto bosco che circondava tutta la città. Sapphire sapeva bene come guidarli, la palestra era vicina. La raggiunsero dopo poco, l’edificio in vetro e metallo si accostava poco allo stile del resto dell’architettura urbana, ma era stata costruita in un periodo in cui si teneva più al rendere simili tutte le palestre tra loro, invece che ad uniformarle allo stile della cittadina in cui sorgevano.
Sapphire si fermò a meditare prima di entrarvi. Molti anni prima, precisamente sei, in quella palestra aveva sconfitto il padre di Ruby. Purtroppo, un ricordo carino e nostalgico come quello le era stato rievocato nella mente dalla grossa statua di Norman realizzata in suo onore poco dopo la morte. Il bronzo che ricalcava perfettamente l’immagine dell’uomo era posto accanto nello spiazzo di fronte alla palestra, sopra un piedistallo. Brillava alla fioca luce della sera, ma sembrava allo stesso tempo impolverato e dimenticato. Due anni erano passati dalla morte di Norman, due anni dal giorno in cui Ruby aveva tagliato i contatti con loro.
Insieme, per rispetto, si avvicinarono a leggere la targa memoriale.
“Quando la più grande eredità di un padre è l’esempio del vero coraggio”
Sapphire sapeva bene che a consigliare quella frase fosse stato Lino, diffondendo poi la voce che era stata tutta un’idea di Ruby. La verità era che il ragazzo che ora portava il mantello del Campione della Lega non aveva desiderato neanche piangere la morte dei genitori. Forse aveva creduto di apparire debole, in ogni caso per un periodo rifiutò tutto e tutti, concentrandosi solo sull’Allenamento e sull’auto-miglioramento. I suoi genitori non erano mai morti, erano solo usciti dalla sua vita per permettergli di fare un passo avanti.
‒ Che uomo era Norman? ‒ chiese Blue.
Sapphire aveva ben vividi in mente i ricordi del vecchio di Ruby. Ricordava il loro rapporto complicato, il loro singolare modo di risolvere una questione familiare, il loro legame più profondo di quanto chiunque potesse immaginare.
‒ Era un uomo d’acciaio, non l’ho mai visto sorridere né gratificare nessuno in alcun modo. Eppure, ha scalato le montagne per e fatto l’impossibile per le persone che amava.
‒ Se n’è andato assieme alla moglie a causa di un incendio, giusto?
‒ Sì…
‒ Strana la vita, a volte.
‒ Già.
Il gruppo dei Dexholder entrò nell’edificio. Il look in stile dojo era rimasto, nonostante quella palestra si fosse notoriamente spenta. La leggenda de “l’inseguitore della forza” si era conclusa. Lino era un buon Capopalestra e si era meritato il titolo a pieni voti, ma non avrebbe mai raggiunto la fama del grande Norman. Fatto sta che, a quanto sembrasse, era stato proprio Ruby a raccomandare Lino per quel ruolo. Per questa ragione i Dexholder avevano motivo di credere che lui sapesse qualcosa che li avrebbe aiutati a portare avanti le indagini.
‒ Mi hanno detto che probabilmente sareste venuti qui ‒ li salutò il ragazzo dai capelli verdi vedendoli entrare dalla porta di vetro.
Sapphire ammirò l’interno della palestra che era rimasto invariato a com’era l’ultima volta che lei vi aveva messo piede. Il dojo creato da Norman era rimasto tale e quale, gli stessi tatami, le stesse placche in legno di bambù. Il Capopalestra li aveva aspettati al centro della prima stanza, con indosso un kimono leggero da allenamento.
‒ Ciao, Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒ Come stai? ‒ chiese dolcemente lui, che comunque aveva ancora un rapporto decente con la ragazza.
‒ Abbiamo bisogno di alcune informazioni ‒ esordì Green, cancellando il tentato approccio morbido dei due.
‒ Tu sei il Capopalestra di Smeraldopoli, giusto? ‒ chiese Lino, conoscendo già la risposta. ‒ Mi fa piacere di vedere che almeno voi abbiate deciso di collaborare, da quello che ho visto i Dexholder non se la stanno passando proprio bene, negli ultimi tempi ‒ nella sua voce era percepibile una lieve ostilità.
‒ Non è un momento facile ‒ intervenne Sapphire, per impedire agli altri di rispondere a tono. ‒ per questo abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
‒ Preferisco parlarne a quattr’occhi, se per te non è un problema ‒ ribatté Lino, seccato.
‒ Va bene ‒ rispose lei, frenando l’impeto di rispondere dei suoi amici. ‒ Andiamo nel tuo ufficio?
La stanza del Capopalestra era un ibrido tra uno sgabuzzino e una sala d’onore. Sui mobili erano accatastati centinaia di trofei e altri riconoscimenti placcati, appese al muro c’erano i ritagli di giornale e le foto che ricordavano i periodi di gloria di quella palestra. Eppure, non mancavano simpatiche scope appoggiate al muro, cartacce e scartoffie rovesciate a terra e su tutto il ripiano della scrivania e persino qualche attrezzo da allenamento rotto abbandonato in un angolo. Sapphire si sedette su una delle due sedie semplici, dall’altro lato della scrivania, Lino sprofondava nella grossa poltrona girevole.
‒ Dimmi tutto, Sapphire ‒ fece Lino accennando ad un amaro sorriso.
‒ Mi spieghi cosa ti è preso di là? Perché sei stato tanto acido? ‒ domandò lei.
‒ Lo so, lo so, scusami…
Sapphire non capiva.
‒ Ti giuro che era tutto involontario.
La ragazza annuì debolmente ‒ Ok, non soffermiamoci su questo, perché preferisci parlarne in privato?
Lino non accennò risposta. Ma i suoi occhi fissi su Sapphire parlavano al suo posto.
‒ Ok, come facevi a sapere che saremmo venuti da te a chiedere informazioni?
‒ Ruby è il Campione, ricordi?
‒ Sì, ma…
‒ Lui riesce a sapere tutto ciò che vuole, quando vuole.
Sapphire era stupita. Ma era lì per ottenere delle informazioni e Lino era suo amico, quindi le avrebbe ottenute nel modo più indolore possibile.
‒ Puoi dirmi che cosa ti aspetti che io ti chieda?
‒ Più o meno, ma preferisco che tu mi faccia le tue domande…
‒ Va bene ‒ comprese la ragazza.
‒ Perché Ruby ti ha chiesto di prendere il posto di Capopalestra?
‒ Perché credeva che fossi quello che lo meritava di più, il migliore allievo di suo padre ‒ rispose non senza un velo di orgoglio.
Purtroppo a Sapphire non interessava ciò, quindi passò avanti.
‒ Hai avuto più contatti con Rocco?
‒ No, non dopo la sua partenza per Holon.
‒ Sai qualcosa di Kalut?
‒ Mai sentito questo nome…
Rocco, Kalut. Sapphire aveva terminato gli spunti con cui estrarre qualche informazione importante da Lino. Sembrava dovesse rinunciare.
‒ Che cosa ti ha detto Ruby allo stadio, proprio dopo la tua sconfitta al torneo? ‒ domandò ricordando la discussione che lei aveva udito tra i due per le scale, il giorno prima della venuta di Rayquaza. Lino si era scusato con Ruby per qualcosa, ma lui lo aveva rassicurato affermando di poter riparare al suo errore.
Il volto del ragazzo allora riprese vita. Quella era una domanda alla quale poteva rispondere. ‒ Ruby aveva ricevuto l’avviso circa l’attacco che sarebbe avvenuto ‒ disse sapendo bene che Sapphire ne era già a conoscenza. ‒ Fatto sta che Ruby mi aveva comunque chiesto di arrivare molto in alto in classifica, non avrei dovuto perdere contro Silver.
Sapphire aveva aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle. Ruby aveva chiesto a Lino di arrivare in una posizione alta nella classifica del torneo, nonostante sapesse che tutto sarebbe stato interrotto.
‒ Sembravi distrutto, Lino…
‒ Lui l’aveva presa come una questione di vita o di morte…
‒ Dimmi di più.
Lino prese un profondo respiro. ‒ Non posso ‒ sussurrò poi.
Sapphire tacque. ‒ Che cosa sai dirmi della Faces? ‒ riprese poi.
La reazione del Capopalestra fu esattamente quella che Sapphire si aspettava: Lino aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione insicura.
‒ Non… non so. Si occupano di sicurezza e quella roba lì ‒ rispose Lino con falsa ignoranza.
‒ Ah ‒ Sapphire era sicura che stesse mentendo.
‒ Ok, procediamo ‒ ordinò quindi la ragazza.
Lino vide comparire dalla porta il Capopaletra di Smeraldopoli seguito dal suo Porygon-Z. Sapphire fece un cenno per intimargli di tacere. Porygon si alzò in volo e osservò attentamente la stanza, individuò un bersaglio e si gettò a capofitto su di esso. Scomparve smaterializzandosi proprio in prossimità della scrivania di Lino.
‒ Ok, è il momento ‒ pronunciò Green dopo alcuni secondi.
‒ Perfetto ‒ Sapphire fece la propria parte. ‒ Lino, abbiamo trenta secondi e poi si accorgeranno che il sistema di cimici è stato hackerato, spiegami tutto, velocemente, la Faces non può sentirti.
Quello sembrò perdere il fiato. Arrancava, ma sembrava essere dentro alla situazione.
‒ Ti prego! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
‒ Loro controllano le nostre azioni, Sapphire. La Faces sta sfruttando la Lega di Hoenn, indirizzano ogni movimento, danno indicazioni su quale azione deve essere compiuta e in che modo.
‒ Perché lo fanno?
‒ Non lo sappiamo, Ruby non ha mai potuto condividere certi segreti con noi, lo tengono per la gola.
‒ Lo hanno fatto diventare Campione?
‒ Sì, hanno bisogno di lui.
‒ Che cosa hanno cercato di fare?
‒ Tutto questo ‒ fece, agitando le braccia. ‒ Costruire un impero più ricco e più radicato, non so per quale motivo.
‒ Qualcuno che si è opposto dev’esserci.
‒ Sì, ma a fronteggiarli veramente è stato soltanto…
‒ Il tempo è finito ‒ proferì Green, interrompendoli.
‒ Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒ …soltanto chi se n’è andato ‒ concluse quello, con un’innocente allusione.
‒ Grazie ‒ scandì Sapphire un pochino delusa.
I due Dexholder lasciarono frettolosamente la stanza del Capopalestra.
La ragazza di Hoenn salutò Lino in maniera sommaria e uscì prima di tutti dalla palestra. Quello non capì il motivo di tale reazione. Green si limitò a promettere agli altri una sintesi circa l’accaduto e a congedarsi insieme al resto del gruppo. In pochi secondi erano di nuovo in aperta città intenti ad inseguire Sapphire.
Lei non voleva altro che sparire di lì. Aveva fatto un altro buco nell’acqua. Tutto era tornato a dati che già conosceva o che avrebbe potuto dedurre e il cerchio si era chiuso con un indirizzamento verso Rocco. “Chi se n’è andato”, Rocco era l’unica persona che si era ribellata alla politica della Faces. E casualmente anche l’unica persona che avevano già interpellato e che aveva già rivelato essersi una fonte di informazioni praticamente nulla. Non possedevano altre piste, non possedevano altre idee. Quando ciò fu chiarito pure con i suoi compagni, Sapphire non poté sopportare di leggere ulteriore delusione nei loro occhi.
Era ormai ora di trovare un posto in cui dormire. Ormai la luna era alta nel cielo e le stelle trasformavano il chiarore in una vera e propria luce. Ciclamipoli aveva acceso i bracieri che delimitavano le strade, le uniche luci che non sfigurassero in mezzo a quell’ambiente floreale e fiabesco. Privi di speranza e di energia, i Dexholder decisero di raggiungere il letto. Green poté prendere una stanza per tutti in un hotel situato poco lontano. Si salutarono tutti, si dissero senza crederci che il giorno dopo sarebbe andata diversamente, e già avevano la coscienza abbastanza leggera.
Due ore dopo, Sapphire era in piena fase di dormiveglia. Non riusciva a trovare il sonno, non sapeva come dimenticare quell’ennesimo fallimento. Si sentiva sola.
‒ Sei inquieta ‒ disse qualcuno dalla penombra.
Lei si prese uno spavento clamoroso.
‒ Che cosa ci fai nella mia stanza?! ‒ gridò nei confronti del Ruby che si era piazzato davanti alla porta della camera. Le aveva fatto prendere un colpo.
‒ Ho qualcosa da dirti.
‒ E per farlo entri nella mia stanza di soppiatto a notte fonda come un ladro?
‒ Veramente questo hotel è mio ‒ ribatté lui, arrogante.
‒ Sei ancora più odioso le poche volte che ti fai vivo.
‒ E tu sei ancora più stupida le poche volte che decidi di fare di testa tua.
Sapphire si alzò dal letto. Aveva una maglia di tre taglie più grossa a mo’ di vestito e gli slip, ma tanto quel ragazzo aveva avuto modo di vederla in una mise ben più intima. Camminò verso di lui con fare minaccioso, puntò i piedi a pochi centimetri dalla sua faccia.
‒ Tu non hai il diritto di giudicarmi, sei l’ultima persona che si merita di parlare di me così a questo mondo ‒ gli sibilò.
‒ Non sono qui per parlare di questo, comunque ‒ la evitò lui, spostandosi da quella posizione scomoda.
‒ E che cosa vuoi dirmi?
‒ Rimani fuori dalla vicenda ‒ le ordinò Ruby.
‒ Scordatelo ‒ rise Sapphire.
La scena era tragicomica. Lei aveva in volto i segni di giorni affrontati con poche ore di sonno. Lui sembrava uscito ora dal set per le riprese di uno spot televisivo. E forse era così. Nella stanza buia filtrava la luce della luna tagliata a fettine dalle serrande a pannelli. Il silenzio era la quiete urbana, con suoni di clacson in lontananza, cantilene di ubriachi e guaiti di cani randagi che provenivano dall’esterno.
‒ Se fossi entrato qui dentro per ucciderti, come la prenderesti? ‒ domandò Ruby senza paura alcuna.
‒ Ti farei uscire a calci nel culo ‒ rispose pronta lei.
‒ Invece sto cercando di aiutarti, Sapphire.
‒ Io sto cercando di aiutare gli altri.
‒ Non capisci.
‒ Allora fammi capire.
Ruby aveva notato il repentino cambio di tono nella voce della ragazza. La rabbia era scomparsa, lasciando il posto all’esasperazione.
‒ Cerchi di salvare la situazione a Vivalet, sei criptico e non lasci capire a nessuno cosa ti succede, scompari all’improvviso e poi riappari due anni dopo nella mia stanza. Racconti che ti hanno costretto, che sai che avverrà una catastrofe, ma non riveli nient’altro.
‒ È complicato.
‒ Abbiamo mai affrontato insieme qualcosa di semplice?
Ruby tacque.
‒ Dimmi soltanto una cosa ‒ riprese Sapphire ormai al limite della sua sopportazione. ‒ se mai deciderai di svelarmi i tuoi segreti, di farmi capire che cosa è successo in questi due anni, riuscirei mai a perdonarti?
Era buio, per cui Ruby dubitò persino delle sue lenti a contatto, ma gli parve di vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Sapphire. Passarono secondi eterni. Lei credette quasi di vederlo sparire senza ricevere una risposta. La verità era che Ruby stava pensando a cosa rispondere. E mai una domanda lo aveva colto tanto alla sprovvista.
‒ Sei ancora la ragazza che conoscevo e di cui ero innamorato, quindi sì. Saresti capace di perdonarmi.
Sapphire sospirò, allungò le mani verso il ragazzo e si lasciò avvolgere dal suo tenero abbraccio. Non percepiva il suo odore, la sua pelle e il suo corpo da così tanto tempo da temere di averlo ormai dimenticato.
‒ Mi manchi… ‒ mormorò lei.
Era una ragazza, aveva imparato a percepire certe cose: nella sua stretta, il ritmo delle pulsazioni di Ruby si era moltiplicato. Il suo cuore aveva preso a battere più forte. Senza volerlo e senza rendersene conto, si ritrovarono a letto insieme. Fecero di nuovo l’amore dopo due lunghi anni, tornarono a ad assaporarsi reciprocamente come due ragazzini, godettero di ogni odore, di ogni bacio, di ogni punto di contatto dei loro corpi. Ruby sapeva come farla impazzire, lei sapeva cosa concedergli. Entrambi erano consci che ciò non avrebbe rimesso a posto niente, tantomeno ricostruito qualcosa. Lei sapeva bene di dover tornare a detestarlo, lui di dover riprendere a nasconderle la verità, non appena entrambi avrebbero raggiunto l’orgasmo. Si stavano sfogando e allo stesso tempo stavano impedendo ai propri conflitti di generare altro dolore. Si unirono al di fuori di Hoenn, al di fuori di Zero e della Faces, al di fuori di Vivalet e al di fuori di tutto ciò che stava succedendo al mondo. L’universo sarebbe potuto esplodere, loro non se ne sarebbero accorti.
Erano tornati bambini, insieme. Fuori dal mondo, fuori dal mondo dei grandi. 

Sapphire fissava la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non era riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare di nuovo con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la Lega Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si trovavano seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui non avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi chilometri più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio. Avevano ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon. Stentando a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare per capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un ladro. Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con Green si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua “buona azione” quella mattina.
‒ Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver si mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non comunicava da giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒ È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒ Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒ Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒ Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra noi. Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire, Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate potesse sentirlo.
Blue si sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio amico. Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri. Tacque immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente l’annuncio televisivo entrò in suo soccorso.
“…in diretta dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura mostrò il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore sedeva un contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate maligne a destra e sinistra.
Tutti i Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in live all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le altre autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una stanca Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per posizionarsi davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici riconobbero bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva dormito due ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e che si era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato capace di farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto i riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo che solo alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red aveva qualcosa di importante da dire.
‒ Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo sguardo del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti coloro che si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒ Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi rendo conto che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del surreale. Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti, fin quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si prese una pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati ben calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già tutto questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di farlo, ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella voce. ‒ Le indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda. Tuttavia, mi rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per annunciare le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi cuori si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha bisogno di me.
Un esplosione di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo, presto ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi erano stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di Vivalet e le sue dimissioni.
Ci fu qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi, qualche azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande Red di Biancavilla.
Blue stringeva la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso. Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva puntando lo sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata perse di senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati sottoposti li aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red, ormai, nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒ Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒ Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak sapevano niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒ Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒ Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue, nel frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli occhi di Sapphire.
‒ Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno, evidentemente avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒ Capisco…
‒ Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima, il segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire pensò immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la rude scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del Centro Pokémon per potersi riaccendere.
‒ Ossia?
‒ Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire cominciava già a bollire.
‒ Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒ pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non può parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒ Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒ È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che ci ha fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire aveva iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso, all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre sue azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva dei segreti, dei segreti importanti.
‒ Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒ Mh, ossia?
‒ Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒ Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒ Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒ Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo bene i privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒ Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒ Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due spalle che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒ Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori dalla porta di vetro del Centro Pokémon.
In effetti, due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto caso, ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒ Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒ Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua sorveglianza. Non posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa vogliono questi due…
‒ Va… bene.
‒ Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒ Buona fortuna…
‒ Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire riagganciò.
‒ Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire incrociò il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
Il caos generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui camminavano svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro gate. Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di idee regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava il terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata sulla folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato essere tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più totale. I turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici raddoppiavano le dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒ Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse Sapphire, accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva fatto venire a prenderla.
‒ Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei suoi accompagnatori.
‒ Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le due Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra meno preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel cuore.
‒ Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva non sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒ Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒ Lo spero, veramente.
Le due si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone di potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla relativamente alla vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di informatori, di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più proiettato sulla vicenda.
Platinum, dal canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe stata meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche informazione importante.
Sapphire osservò il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue, Silver e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta alla sua valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei nel discorso.
‒ Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di un’organizzazione come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il Campione di una delle Leghe più solide.
‒ Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒ Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una scusa per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per questi due anni ‒ fece Sapphire.
‒ Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto che Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei troppo diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò. Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco e ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di cosa lei provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia, nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del ragazzo, aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata troppo ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok, facciamo una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto che si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li riconoscevano talmente tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano abbastanza educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto, ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le tracce che avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒ Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori più “importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo, finché non riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la Faces, che è legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby abbia evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce l’unica pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒ La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut sarebbe stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒ Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a Sapphire ‒ dovessi avere torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il loro aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola: prima di agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso loro. Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla carica di Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il suo “cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran combattente, ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il volo scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il pilota pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana. Crystal tacque dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente conto del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald e mai conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una delle persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili. Loro non avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per piangere i morti.
‒ Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒ Dimmi.
‒ Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒ Tutto ok.
Sembrava non voler comunicare.
‒ Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒ Lo so, anche a me.
‒ Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo bisogno anche di te.
‒ Io ci sono.
‒ Fisicamente, sì.
‒ Non capisco cosa intendi.
‒ Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒ Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che rincuorò Blue circa la sua emozionalità.
‒ Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come te per Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒ Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre nella sua testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto crescere nell’orfanotrofio, che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe altissime per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli occhi di tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura al Parco Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo su una brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che sarebbero divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒ Non tenerci rancore.
‒ Non lo farò.
Crystal sorrise. E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito la corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto fosse ancora ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒ Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒ tentò in un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal non rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒ Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di voce.

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