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TSR - 17 - Tessere del Mosaico pt. 7

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17. Tessere del Mosaico pt. 7
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- Johto, Rovine D’Alfa, Sala 7 –

“Ora che quel Dratini è andato dovremmo proseguire verso est. Non sarà difficile” sorrideva Diana, stringendo la neonata dagli occhi del color del grano. Di tanto in tanto abbassava lo sguardo, la madre, per controllare che quel sorriso meraviglioso, seppur sdentato, fosse sempre fisso sul suo volto.
“Hai ragione” rispose la versione del futuro di Yellow, seguendola in quel pellegrinaggio.
“È ora di mangiare” fece, più gioviale, affidando sua figlia tra le braccia di se stessa. Yellow sorrise, carezzando la morbida pelle delle guance della neonata, che allungò con uno scatto le manine, afferrandole il polso. Emise poi uno strilletto gioviale che fece sorridere Diana.
Yellow la guardò mentre tirava fuori il seno destro. Dopodiché riprese nuovamente il fagotto tra le braccia.
“Le piaci. E Comunque sono contenta, Yellow. Sono contenta di non dover condannare questa bambina a crescere da sola, in un bosco. Sono contenta di poterle fare da madre e…”.
Non sentì più i suoi passi. Forse s’era fermata a raccogliere qualche bacca commestibile, e male non avrebbe fatto dato che non mangiava da un bel po’.
Un soffio di vento riempì quel momento e quando si sedimentò leggero sul sottobosco non rimase che il silenzio.
Si voltò, Diana, e Yellow non c’era più.
Morse il labbro inferiore e poi annuì.
“Grazie di tutto, figlia mia”.

“Blue! Blue, svegliati!” urlava Green, mentre il sangue colava dal suo naso e finiva per sporcare il parka della sua donna. I suoi occhi si riaprirono, mettendo lentamente a fuoco il volto di quello.
“Grazie al cielo!” urlò, con la voce che rimbombava nell’oscurità di quella notte quasi finita, all’interno delle mura spesse ed antiche della sala 7.
Sandra s’era sollevata in piedi da poco, Yellow aveva invece appena aperto gli occhi.
“Siamo… siamo tornate?” domandò quest’ultima, con voce compressa.
“Ho fatto un sogno stranissimo…” diceva Blue, stropicciandosi gli occhi.
“Dove sono?! Dov’è mia madre?!” ribatté impanicata la bionda. Aveva spalancato gli occhi ed era passata da stesa a seduta, guardandosi attorno e cercando di capire per quale motivo non si trovasse più nel Bosco Smeraldo ma fosse nelle Rovine D’Alfa.
“Calmati, Yellow… Ti sei svegliata, era solo un sogno” disse Green cercando di tranquillizzarla.
“No! Non era un sogno! Ho visto mia… mia madre e… e mio padre!” rispose, voltandosi rapidamente verso Sandra. “Io devo parlare con Lance…” sussurrò. S’alzò in piedi, mantenendosi sul muro, e quindi mosse passi stentati verso l’uscita.
“Sandra, per favore… va’ con lei…” le disse l’unico uomo nella stanza. Aiutò Blue a sollevarsi e l’abbracciò forte.
“Che ti è successo?” le chiese, sollevandola poi su Arcanine per farla sedere.
“Ho rivissuto il mio rapimento, Green. Maschera di Ghiaccio, il maniero, Karen. Ho-Oh… Ho parlato con me stessa da bambina…”.
“Forte” ribatté quello, ansimando vistosamente mentre il cuore gli batteva all’impazzata nel petto.
“Ho detto che doveva farsi forza e che doveva proteggere Silver. Le ho dato un Pokémon uccello per combattere la mia paura dei volatili. Poi sono andata via ed ho incontrato te e Red. Da bambini. Stavo per conoscere suo padre ma poi mi sono svegliata…”.
“Xavier Solomon ci ha attaccati” disse poi Green.
Blue fissò dritto negli occhi l’uomo e sbatté le palpebre per qualche secondo. “Era quello malvagio, allora?”.
“Lo scopriremo subito…” disse poi.

 
- Johto, Amarantopoli, Casa di Xavier Solomon –

I numeri ormai vagavano nella sua mente senza più alcuno schema. Ogni funzione veniva ordinatamente disposta in una griglia d’appartenenza, ogni cosa funzionava per un motivo e lui lo sapeva.
Sembrava quasi che stesse mettendo a posto nella sua camera o stesse pulendo il desktop,
invece Xavier stava elaborando dei dati, proprio come avrebbe fatto un computer; nel mentre annuiva. Il grande schermo che aveva davanti mostrava uno schema unifilare davvero complesso, che aveva messo in piedi totalmente da solo.
La luce nel suo laboratorio era spenta e soltanto il monitor gli illuminava il volto stanco.
E continuava ad annuire, vedendo come l’elettricità sarebbe arrivata dai generatori ai cavi.
Inventava, Xavier.
Cercava di capire soltanto come innescare e catalizzare. L’ottanta percento del lavoro, in pratica.
Sbuffò; s’era ripromesso, ove mai fosse riuscito ad inventare la macchina del tempo, di non essere banale. Non l’avrebbe chiamata soltanto macchina del tempo.
No, si sarebbe appellato a lei con nomi come Mary Jane, o forse Megan.
I Transformers gli erano piaciuti più di Spider-Man.
Ma poi pensò che non avrebbe potuto presentare un’invenzione di una portata simile chiamandola in quel modo. No, i cervelloni non avrebbero gradito.
Macchina Trans-Universale, forse.
Ma nel privato sarebbe stata Megan. Sarebbe stato il loro piccolo segreto.
Ormai mordicchiava quella vecchia Staedler da più di venti minuti e aveva ridotto il tappo di plastica ad un colabrodo ma lui continuava ad annuire debolmente, spostando lo sguardo sui diversi numeri e sulle configurazioni elettriche che avrebbero reso Megan un gioiello della meccatronica quantistica.
Sorrise; pensò che fosse un concetto strano, la meccatronica quantistica.
“Un catalizzatore… solo un catalizzatore” sospirò.
Era la cosa che gli serviva, l’elemento che gli avrebbe permesso di mettere in moto il processo di viaggio nel tempo.
Aveva pensato ad una coppia combustibile-comburente in grado di sprigionare una quantità d’energia pressoché infinita.
In quel caso avrebbe dovuto capire come manipolarla. E beh, velocità della luce e così via, indietro nel tempo.
Fortunatamente non era debole di stomaco.
Pensò che, in quel caso, Megan sarebbe diventata un razzo o qualcosa con quella funzione.
Poi la porta dello studio cigolò.
“Xavier… Sei ancora sveglio?” sentì, voltandosi lentamente, con la penna che gli pendeva dalle labbra. Sua madre sospirò e s’avvicinò lentamente, prendendola tra le mani e poggiandola sul banco. Allungò poi la mano verso la sedia e si sedette accanto a lui.
“Non riuscirò mai a capire come fai a comprendere queste cose…” sorrise, mostrando la dentatura posticcia con estrema eleganza.  Xavier le carezzò i capelli, notando come fossero leggermente cresciuti dall’ultimo loro incontro: ormai argentata, la sua chioma era ordinatamente pettinata fino alla base del collo, dove terminava regolare in quello che era il carré che ormai il suo acconciatore Damon aveva imparato a riprodurre alla perfezione.
“Stai tranquilla” tornò a guardare il monitor, Xavier. “Neppure io ci capisco nulla. Faccio solo finta”.
“Beh, facendo finta sei riuscito a metterti a posto in maniera assai discreta. Complimenti” sorrise nuovamente. Lui si voltò, guardando gli occhi appesantiti dal tempo di sua madre che si chiudevano e lentamente si riaprivano.
Lei carezzò i capelli biondi di suo figlio e sospirò. “Secondo me dovresti andare a dormire”.
“Già” ribatté l’altro. “Secondo me pure. Ma c’è da fare”.
“Lo farai domani, Xav... Quante ore al giorno dormi?”.
“Mah, otto ogni trentasei, credo”.
La donna spalancò lo sguardo, carico d’apprensione e di rimprovero, e sospirò quando il telefono del ragazzo cominciò a vibrare.
I suoi occhi azzurri anticiparono il movimento del capo.
“Green Oak?” domandò poi Neira, leggendo stupita chi cercasse a quell’ora della notte suo figlio. Vide Xavier mentre indossava l’espressione più seria che possedesse, prima che rispondesse.
“È molto tardi. Dovreste dormire, in questo momento. O almeno lasciar dormire me”.
Dove ti trovi, Solomon” domandò netto il capo dell’Osservatorio di Biancavilla.
“A casa mia, posso mostrarti le riprese live”.
“Delle tue telecamere di videosorveglianza me ne faccio ben poco”.
Il biondo quindi sospirò e guardò sua madre. Lasciò che il suo cuore si calmasse prima di passarle il telefono.
Quella lo avvicinò cautamente all’orecchio. “P-pronto? Chi è che chiama mio figlio a quest’ora della notte? Lei è davvero Green Oak?”.
Con chi sto parlando?”.
“Io sono Neira Solomon. Sono la madre di Xavier”.
Ottimo, signora. Dove vi trovate?”.
“A casa di mio figlio, ad Amarantopoli”.
Mi basta” concluse l’interlocutore. “Mi ripassi suo figlio, per cortesia”.
Quella annuì, come se Green avesse mai potuto vederla, e restituì il cellulare a Xavier.
“Allora?”.
“Allora nulla, la tua copia è spuntata nuovamente, ed ha portato con sé la copia di Jasmine”.
“Di Olivinopoli? Jasmine di Olivinopoli?”.
“Non ne conosco altre”.
“Io credo che tutto questo si possa ricollegare a qualche evento in particolare…”.
“Sono morti dei Capipalestra, stasera, Solomon. Cerca di essere più preciso”.
“Cap-capipalestra? Sono morti dei Capipalestra?!”. La voce di Xavier traballò per qualche istante, prima di scontrare lo sguardo ceruleo con quello di sua madre, della medesima tonalità.
E più conciso, per favore”.
“Non... non…”.
Neira vide il volto di suo figlio impallidire. Si preoccupò.
Lascia perdere. Non muoverti di lì per nessuna ragione al mondo”.
E Green attaccò, lasciando Xavier stupefatto e terrorizzato. Lasciò cadere la mano col telefono sulle gambe e, dopo aver deglutito un groppone di sabbia, chiuse la bocca ed espirò.
“Cindy…” sussurrò incredulo. Si alzò e corse verso la porta, lasciando sua madre davanti al monitor acceso.
 
- Johto, Rovine D’Alfa, Cortile Esterno –

Blue era seduta sull’erba e respirava ad ampi polmoni mentre la pioggia le cadeva inesorabile sul capo. Cercava d’estraniarsi da quella situazione così atipica, in cui il cadavere di Raffaello giaceva a pochi metri dal corpo ferito di Chiara.
Jasmine piangeva, Valerio urlava e Green parlava al cellulare con qualcuno, non sapeva chi.
Tuttavia sentiva ancora nel naso l’odore della stanza assegnatale nel maniero, e sulla pelle il freddo di quell’inverno.
Aveva ringraziato il cielo, in quell’esatto istante, mentre le dita s’infilavano tra i capelli castani e le lacrime si mischiavano alla pioggia.
Aveva ringraziato il cielo per averle dato l’opportunità di crescere.
E poi alzò gli occhi verso la Sala 1: un grande Gyarados fronteggiava un MegaSteelix.
Yellow, inevitabilmente, guardò Jasmine. Lei abbassò lo sguardo, colpevole.
Come se in fin dei conti avesse realmente la responsabilità di qualcosa, in quella faccenda.

 
- Johto, Rovine D’Alfa, Sala 1 –

Red cercò di calmare i battiti del cuore, stringendo denti e pugni ed espirando il veleno che aveva in corpo. Non doveva lasciarsi prendere dal panico, nonostante il corpo di Corrado ormai giacesse sotto chissà quale lastrone di marmo.
Sapeva che non avrebbe fatto la sua stessa fine.
Il respiro del suo Pokémon più alto assomigliava ad un rantolio sinistro. Esprimeva una ferocia senza pari, capace di instillare paura anche nei più coraggiosi.
Ma non in Jasmine.
Non in quella, almeno; pareva essere abituata a quelle scene, a quegli esseri così iracondi, furiosi, tuttavia non s’era lasciata intimidire ma anzi, sorrideva a mo’ di sfida.
“Quel Pokémon è semplice burro tra le mie mani” fece, mentre la pioggia la battezzava. Sembrava non interessarle però, dal momento in cui l’enorme MegaSteelix che aveva davanti pareva avere fretta di gettarsi contro l’avversario.
“Non è uno scontro pari. Ed io so che tu puoi renderlo un po’ più interessante...” punse la castana dagli occhi color nocciola.
“Gyara, forza! Iper Raggio!” urlò Red, tirando indietro i capelli bagnati. Conosceva la difficoltà della partita che stava giocando. Il suo assetto era basso, piegato sulle ginocchia, dato che sapeva d’essere un bersaglio di quello Steelix tanto quanto Gyarados.
Mentre la notte stava per finire, mentre continuava a piovere, Gyarados stava sparando un forte raggio d’energia contro l’avversario e l’unico pensiero di Red andò a Yellow.
Al suo sorriso e al profumo dei suoi capelli.
Lui l’amava.
Ebbe un attimo, proprio una frazione di secondo, per girare il volto in corrispondenza della mano che usciva da sotto uno dei grossi detriti del tetto crollato, che apparteneva a Corrado.
Fu rapido il collegamento con Jasmine, che aspettava fuori sul corpo quasi senza vita di Chiara, e subito dopo arrivò nella sua mente l’altra Jasmine, quella che aveva di fronte.
Quella che aveva ammazzato Raffaello, quella che gli stava facendo rischiare la vita.
Si risvegliò dai suoi pensieri quando Gyarados colpì uno Steelix totalmente immobile, che incamerò il colpo indietreggiando di poco più di un metro, impassibile.
La cosa stupì Red.
“Non funziona!” esclamò divertita la donna, alzando rapidamente il dito della mano sinistra verso il Pokémon Atroce. La pioggia rimbalzava sull’indice e cadeva più giù, dove s’erano create vaste pozze di sangue.
Red fremeva mentre aspettava di sentire la contromossa dell’avversaria, con paura e curiosità che gli si rimestavano nel fegato.
“MegaSteelix! Schianto!”.
E ancora, il grande Pokémon si gettò con forza contro Gyarados, colpendolo in pieno.
Gyarados, alto come una villetta di due piani, rovinò duramente lungo le mura di recinzione a nord di ciò che ormai rimaneva della sala più grande.
Tuttavia si rimise di nuovo in piedi.
“Grande, campione! Continua così!” esclamò Red. “Mettiamolo in difficoltà con un attacco Cascata!”.
Una grande quantità d’acqua fu sparata in alto dalle fauci del Pokémon del Campione di Kanto, fuoriuscendo dal perimetro delle mura, arrivando quasi a dieci metri.
E ciò che sale, prima o poi, finisce per scendere.
Forza di gravità, prima regola.
Una tonnellata d’acqua compattata in una sola, unica e lunga colonna, terminò dritta sulla testa del Pokémon avversario, che finì schiacciato sul pavimento. Quel liquido, un tempo trasparente, assorbì il rosso del sangue ed il grigio della polvere, turbinò lungo i marmi crollati e portò a galla i corpi senza vita di Corrado e dei Pokémon dei Capipalestra, distruggendo persino la parete alle spalle dell’altare, già indebolita dalle lotte precedenti.
Mentre Red ebbe l’accortezza di saltare sul proprio Pokémon, Jasmine era rimasta immobile, nonostante sapesse che una grande onda l’avrebbe travolta con forza, sbattendola al muro.
Quando si rimise in piedi anche il grande MegaSteelix lo fece, come sorgendo dal mare.
“Gyara, bravissimo! Ora che è distratto dobbiamo utilizzare un Dragospiro!”.
E detto fatto: il leviatano finì per soffiare sull’avversario una fortissima fiammata blu, costringendolo ad indietreggiare ulteriormente.
“Mi complimento con te, Red di quest’universo” diceva la donna, applaudendo col sorriso sulle labbra. “Nessuno era riuscito a resistere ai miei colpi in questo modo. E nonostante il tuo Gyarados sia così grande è parecchio rapido”.
“Il mio Pokémon è un campione. Ci siamo allenati a lungo”.
“Anche io ed il mio Steelix. Se non altro sappiamo cambiare strategia. Usa Sganciapesi!”.
E fu così che il corpo del Pokémon Ferroserpe perse parecchi pesanti blocchi che gli gravitavano attorno, come alcune parti finali della coda, eliminando dal bilancio complessivo quasi sei quintali.
“Attento, Gyara! Adesso sarà molto più veloce!” urlò Red, saltando giù dal grosso Pokémon d’acqua, e finendo su di un lastrone di marmo.
“Forza! Usa Frana!” ordinò Jasmine, perentoria.
“Un altro Dragospiro!”.
“Schivalo e attacca!”
Ma la tattica della donna fu azzeccata ed il minor peso fu ripagato con una maggior velocità, che lasciò attaccare a vuoto Gyarados, vedendo l’avversario spostarsi lateralmente con la velocità di una biscia. Gyarados era impreparato ed il lungo corpo affusolato era riconosciuto universalmente da tutti come suo punto debole.
“Ora!” continuò Jasmine, che vide il Pokémon produrre una grande quantità di rocce crollate velocemente su Gyarados.

Il colpo fu terribile e potente.

“No!” urlò Red, impanicato. Ed il suo urlo s’espanse tutt’intorno, viaggiando sulle gocce di pioggia che cadevano ancora sulle loro teste.
“Non ci è voluto molto, per batterti. Hai un altro Pokémon da mandare in campo?” rideva giuliva Jasmine, profondamente divertita dalla scena.
“Non vincerai!” urlò Red. “Le persone come te non possono vincere! Rappresentate il male, l’incarnazione di ciò che è sbagliato! Se tutti evitassero d’agire come fai tu il mondo sarebbe un posto migliore!”.
“Anche i falsi eroi sono piaghe da eliminare” rispose prontamente quella.
“Io non sono un falso eroe. Non sono neppure un eroe... Ho semplicemente a cuore le sorti della brava gente”. Red si abbassò nuovamente sulle gambe, grintoso e carico. Infilò la mano tra il collo ed il maglione e tirò fuori una strana collana, col ciondolo che riluceva dei colori dell’arcobaleno.
“Tu non vincerai, Jasmine! Tu non vincerai mai!” urlò infine, con la voce che salì in alto, fino a raggiungere il cielo.

 
- Johto, Rovine D’Alfa, Cortile Esterno –

“Dove... dov’è Gyara?!” urlò Blue, fissando impaurita la scena dall’esterno della sala dove Red stava lottando. Green aveva fatto in modo che le operazioni d’intervento fossero effettuate tutte nel modo più corretto possibile, con il recupero della salma di Furio, aiutato da un Angelo ferito ma ancora capace di camminare sulle proprie gambe.
A nulla era servito il sacrificio del Capopalestra di Fiorlisopoli: le tessere del mosaico erano state rubate.
Oak camminava come un dannato, assicurandosi che tutti fossero in salute e che chi non lo fosse ricevesse un adeguato trattamento di pronto soccorso.
Jasmine piangeva, cercando di mantenere un contatto con le pupille di Chiara, che però stentavano a rimanere scoperte.
“Le palpebre... si chiudono... Jasmine... le palpebre si... chiudono...” ripeteva la donna dai capelli rosati, con una grossa ferita sotto la pancia.
“Green!” urlava quella di Olivinopoli. “Dove sono i soccorsi?! Chiara non ce la fa più!”.
“Hanno appena lasciato Violapoli, Jasmine” rispose rapido quello. Guardava Valerio fasciare il busto di Angelo e, più in fondo, le salme di Raffaello e Furio.
La voce di Blue però lo distrasse dai suoi pensieri.
“Gyarados... Yellow! Dov’è Gyarados?!” urlava la donna. L’altra, quella con cui stava interloquendo, guardava il muro che divideva la lotta dal cortile e vedeva svettarvi oltre soltanto MegaSteelix.
“Non lo so...” sussurrò, preoccupata. Nella sua mente turbinavano un miliardo di pensieri, per la maggior parte negativi. Vedeva Red disteso in una pozza di sangue, vedeva Gyarados dilaniato dalla lotta.
Sentiva la puzza della morte nelle narici e pensava al fatto che il suo uomo, l’uomo buono che aveva perdonato e che si stava impegnando per farla sentire speciale, stesse rischiando la propria vita.
“Dobbiamo andare!” urlava Blue, iperattiva. Parlava con Yellow ma quella sembrava trapassarla con lo sguardo. La ragazza di Biancavilla la tirò per il polso, facendola trasalire, ed insieme cominciarono a correre verso l’ingresso della Sala 1.
“Hey!” urlò Green, vedendole spedite. “Dove credete di andare?!”. Scattò verso di loro e le bloccò, a pochi metri dalla porta tagliafuoco.
“Red è in difficoltà, Green!” ribatté la sua donna. “Dobbiamo correre in suo aiuto!”.
“Non... non voglio che faccia la stessa fine di Valerio e Furio...” sussurrò Yellow.
Green la guardò e sospirò.
“Non morirà. Red ha la pellaccia dura. Lasciate che sia io ad entrare lì. Voi rimanete qui e date una mano fino a quando non arrivano i soccorsi”.
“Non se ne parla proprio!” esclamò Blue.
Green, impietrito, fissò la sua donna. Perché tutto quell’attaccamento per Red?
Non aveva tempo per quelle sciocchezze; rimosse dalla testa i dubbi  e le domande senza risposta immediata e quando accettò il pensiero di farsi accompagnare dalle due all’interno di quello scannatoio un grosso ruggito lo recuperò dai suoi pensieri.
Alzarono gli occhi e tanto gli bastò  per vedere un MegaGyarados fronteggiare il MegaSteelix autore di quella distruzione.
“Ecco perché non poteva tirar fuori la sua Megaevoluzione, prima...” disse a se stesso, Green.
Da lontano gli elicotteri si avvicinavano.
 
- Johto, Rovine D’Alfa, Sala 1 –

“Ora giochiamo alla pari!” esclamò Red. Aveva visto Gyarados uscire dall’acqua, con l’ira che trasudava dalle squame. I suoi polmoni non riuscivano a trattenere il respiro per più di un secondo; il Pokémon Atroce esprimeva aggressività dal profondo dei suoi occhi rossi. Sulla fronte tre grossi corni neri spiccavano, assieme alle squame, rosse e artigliate, che gli spuntavano su tutto il corpo. I baffi s’erano allungati, aiutandolo a percepire le vibrazioni circostanti.
“Carino” sorrise Jasmine. “Ma a poco servirà, se rompiamo la membrana che ha sulla schiena! Vai MegaSteelix! Usa Pietrataglio!”.
“Creiamoci una bella barriera, Gyara! Con la coda alziamo un muro d’acqua e poi congeliamolo!”.
“Sta pronto, MegaSteelix, abbiamo quasi vinto!” esclamò l’altra, ridendo di gusto. Ma poi si accorse che l’attacco del suo Pokémon era stato totalmente bloccato da una parete fredda composta di ghiaccio sporco di sangue.
“Ora abbiamo il tempo per fare in modo che tu ti prepari a chiudere questa battaglia! Usa Dragodanza, Gyara!”.
“Abbatti quella lastra di ghiaccio!” ribatteva dall’altra parte del muro la donna.
Il grande Pokémon Acqua - Buio eseguì l’ordine, fluttuando in aria e volteggiando elegantemente, temprandosi nello spirito e risvegliando qualcosa d’insito nel suo spirito.
Quando MegaSteelix riuscì a perforare il muro gelato l’ordine di Red fu perentorio.
Ira!”.
E Jasmine si fermò a ragionare. Era una mossa che non avrebbe dovuto avere tanto effetto sul suo Steelix, Pokémon d’acciaio vivo.
Non aveva molto senso.
“Stai cercando di fare la stessa fine di questa sala?” domandò divertita Jasmine, vedendo Gyara attraversare la breccia creata dal suo Steelix nel ghiaccio e gettarsi con l’intero corpo sul suo Pokémon. MegaGyarados ruggì dolorante, e dopo qualche secondo urlò di nuovo, con maggiore intensità.
Si gettò a capofitto su MegaSteelix, che fu sopraffatto dal suo peso, cadendo alle sue spalle, rompendo ciò che rimaneva del muro sulla destra.
Il sangue sul volto del Pokémon di Red ormai scorreva forte ed un altro ruggito riempì l’aria.
“Si sta uccidendo da solo? Sta dando delle testate sul ferro” chiese ancora, la donna.
“Non proprio”.
Fu il terzo colpo quello veramente forte.
Steelix stava provando a sollevarsi di nuovo quando MegaGyarados scaricò un ultimo attacco, più potente, dritto sul volto dell’avversario.
Si rialzò con un ruggito fortissimo, il Pokémon di Red, con il cranio fratturato ed il sangue che gli copriva gli occhi.
Urlò ancora, puntando una Jasmine stupita: aveva perso.
“Ma come...”.
“Per la tua incolumità è meglio se lo faccio rientrare” fece, eseguendo automaticamente.
Fu quando la donna si guardò attorno, rapida, che Red capì che stesse cercando di fuggire.
Quella scattò verso destra, saltando su di un lastrone di marmo e poi sul successivo, con l’uomo che solo un secondo più tardi capì le sue reali intenzioni.
“Non provarci nemmeno!” esclamò, inseguendola. Era diretta verso la porta tagliafuoco che conduceva sul cortile esterno.
Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato che Green, assieme a Blue e Yellow, apparisse all’improvviso, spalancando la porta.
“Prendila!” urlò quello dagli occhi rossi, vedendo Blue scattare repentina e colpire la donna al volto con uno schiaffo. Quella, sbilanciata per la corsa, ricadde nell’acqua sporca di sangue.
“Puttana!” urlò la Dexholder, dandole un calcio nel fianco. Yellow la tirò via e Green raggiunse quella copia di Jasmine, sollevandola ed ammanettandola con un paio di fascette.
Red aveva il volto sporco di sangue; ansimava e i suoi occhi erano stanchi.
Doveva essere appena finita la scarica d’adrenalina dato che cominciava a sentire il sonno che gli mancava.
“Non lasciartela scappare” disse a Green. Poi completò: ”Corrado è morto”.
L’altro sospirò, sentendo ancora Blue che sbraitava, allontanata da Yellow. Guardò la donna, identica a Jasmine, la loro Jasmine, in tutto e per tutto.
Attirò la sua attenzione e la sbatté contro ciò che rimaneva di una delle quattro pareti.
“Tu adesso parlerai. Dirai tutto. Per chi lavori?”.
Jasmine guardò negli occhi Green, carezzò la stanchezza che provava e capì che aveva ancora un modo per scampare all’interrogatorio.
Dal muro, a qualche metro da lei, spuntava un vecchio ferro che faceva parte del rivestimento interno. Con uno scatto scampò alla presa di Green e fece l’impensabile: Yellow rimase sbigottita ed impaurita quando la vide gettarsi col volto verso lo spuntone arrugginito, che trapassò l’orbita e si ficcò dritto nel cervello.
Jasmine morì quasi subito, appesa per la testa a poco più di un metro da terra, con le mani legate dietro la schiena.
Il suo sangue s’aggiunse denso a quello dei caduti di quel giorno.
“Io non resisto più...” tuonò Red, avvicinandosi a Yellow e stringendola. Ne aveva bisogno, lei, in preda ad una crisi isterica di pianto.

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