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LEV - CEP - 8 - Caramelle e Sconosciuti

Capitolo 8: caramelle e sconosciuti


‒ Mi dispiace molto per Emerald ‒ commentò Margi. ‒ Dev’essere stato difficile per tutti voi...
La donna che sedeva al tavolo con Silver, Blue e Green era la sorella maggiore di quest’ultimo, la prima nipote del professor Oak. Differentemente da Green, lei aveva scelto il percorso dello studio della fauna Pokémon, ereditando il camice del nonno. Così, dopo aver fondato un proprio laboratorio a Sidera, aveva avviato la sua personale attività di ricerca. Ogni tanto, però, in assenza di Samuel, si occupava lei della sede centrale e dell’allevamento di Biancavilla. Alla fine, era sempre e comunque casa sua.
‒ Ma sì, se n’è andato da eroe ‒ sorrise Blue, cercando di sdrammatizzare.
‒ È bello rivedere tutti qui, sono contenta che stiano bene ‒ disse Margi, con voce più bassa, a suo fratello.
‒ Non sarà per molto, abbiamo ancora un lavoro da compiere ‒ rispose quello.
‒ Ma non sarebbe meglio che vi fermaste per un po’?
‒ Non adesso, non ad un passo dalla fine.
Margi si incupì e subito dopo tornò a sorridere, forse fingendo. Quello era suo fratello e quelli erano i suoi amici, prima o poi avrebbe digerito di vederlo sempre invischiato in faccende più grandi di lui.
‒ Non avere paura, ce la caveremo ‒ la rassicurò, in uno dei suoi rari momenti di tenerezza, Green.
In salotto, sdraiato sul divano, si trovava un assonnatissimo Gold. La poltrona era invece occupata da Sapphire. I due studiavano ciò che i telegiornali avevano deciso di trasmettere circa gli avvenimenti del giorno prima, in mezzo a tutti i titoli catastrofisti e agli interventi di varie personalità di spicco dell’ambiente, non figurava mai il nome di Zero. I Dexholder conoscevano bene la storia e pure Lance lo aveva visto con i propri occhi, ma non avevano prove, dimostrazioni o moventi. Qualche trasmissione meno altolocata aveva avuto l’intuito di connettere in qualche modo l’assassinio di tutti e quattro gli Allenatori d’élite di Holon con il disastro di Vivalet, ma nessuno era riuscito a cucirvi pure la colpevolezza di Zero, che invece era più votato come potenziale prossima vittima.
‒ Che palle, metti qualcosa di più interessante ‒ si lamentò Gold agitandosi.
Sapphire, di tutta risposta, gli gettò il telecomando e uscì dalla sala.
‒ Oh ma che ho detto? ‒ gli sentì borbottare.
Erano tutti nervosi, tutti incazzati, tutti con la tensione alle stelle.
Sapphire si sedette sulle scale che portavano al piano superiore e, tappando sullo schermo di uno dei tablet di casa Oak, digitò il nome di Ruby sulla barra di ricerca di Google. Si sentiva un idiota totale quando lo faceva, ma era solo curiosità, la sua. Trovò, tra le notizie più recenti, una breve intervista che il ragazzo aveva rilasciato a proposito dell’attacco all’Altopiano Blu. Aveva assicurato la sua piena solidarietà e vicinanza, il suo appoggio per la ricostruzione, il suo impegno per l’indagine sul colpevole e poi aveva sciorinato un discorso sulla resistenza a questi atti di terrorismo psicologico che, destabilizzando il sistema, ottengono esattamente l’effetto desiderato.
Le sembrava assurdo, i ricordi che aveva di Ruby in testa erano tanto vari da farlo sembrare quasi un’invenzione del suo cervello: prima erano rivali, poi innamorati, poi salvavano il mondo insieme, poi litigavano, poi lui diventava una pop-star, poi la cercava di nuovo, fermava Rayquaza rischiando la vita, diventava una sorta di creatura incandescente e invulnerabile, la scopava comparendo nella sua camera di notte e infine rilasciava interviste di convenzione realizzate da un qualche addetto al suo posto. Doveva essere bello vivere una vita da Ruby, di sicuro ci si annoiava molto poco.
Sapphire trovò particolarmente difficili da mandar giù le gallerie di foto scattate a tradimento al ragazzo in cui si intravedeva il suo nuovo tatuaggio sul collo. E quelle poche linee che erano riuscite a generare dozzine di articoli di gossip, erano in realtà molto più di questo. Lei conosceva gli effetti che quelle sfere potessero avere sugli umani e intuiva quindi che Ruby, in quel preciso istante, stava deteriorandosi sempre più in profondità. Anzi, non capiva ancora come mai il suo cervello non avesse già ceduto, magari tutto dipendeva dallo stato in cui si trovavano i Pokémon Leggendari connessi ai gioielli: Groudon e Kyogre riposavano entrambi, assopiti sotto terra ad Hoenn.
Stava sfogliando gli articoli più beceri e stomachevoli che parlavano del ragazzo dagli occhi brace quando Crystal le comparve accanto come uno spettro, intenta a scendere al piano di sotto dalla sua camera.
‒ Buongiorno ‒ le disse, svogliata.
‒ ‘Giorno ‒ rispose quella.
‒ Hai dormito bene, Crys? ‒ chiese, tentando di scacciare quell’aura gelida che ultimamente si portava dietro.
La Dexholder di Johto non rispose e raggiunse la cucina. Sapphire lasciò correre, cosciente della situazione che la ragazza stesse vivendo. La osservò sedersi a tavola e versarsi del caffè. Sola, taciturna, triste. Intanto, Silver aveva raggiunto Gold sul divano. I due cominciarono a parlare di qualcosa a bassa voce, e Sapphire non intendeva origliare. Posò invece il tablet e salì a rivestirsi, le era venuta voglia di uscire.
Qualche minuto dopo, camminava già sulla soffice erba dell’allevamento di Oak. Il professore aveva costruito quella sorta di safari molti anno prima, prendendo la decisione di cominciare a tenere le varie specie di Pokémon che possedeva libere in un posto simile al loro habitat. Certo, gestire quel giardino era col tempo divenuto anche l’hobby di un anziano signore, ma tra i ragazzini di Biancavilla ormai già c’era l’abitudine di giocare in mezzo ai Caterpie e ai Pidgey del professore. In quel momento però, ad entrare in quell’ordinato ecosistema, non era una bambina. Era una ragazza con qualche anno in più, un paio di pantaloncini di jeans e una maglietta nera, i capelli raccolti in una coda disordinata e i piedi scalzi a contatto con il terreno. Gli Spinarak si nascondevano sotto la propria roccia, mentre i Sentret la avvicinavano con cautela. Sapphire ne accarezzò un paio, poi cercò con lo sguardo la propria squadra di Pokémon, che aveva lasciato a riposare lì la sera prima. Erano tutti, nessuno gridava e attorno a lei nulla stava esplodendo. Quindi, si sentiva felice.
‒ No, non ho dormito bene ‒ mormorò Crystal comparendo dietro di lei.
Sapphire si voltò, senza sapere cosa ribattere.
‒ Non dormo bene da giorni, se vuoi saperlo ‒ continuò la Catcher.
La Dexholder di Hoenn prese una profonda boccata d’aria ‒ Mi dispiace, Crys. È per Emerald?
‒ È per come lo abbiamo trattato ‒ precisò.
‒ Che vuoi dire?
‒ Emerald ha scelto di sacrificarsi per salvare una persona che neanche si comporta più come un nostro amico ‒ nel suo tono c’era delusione e rassegnazione.
‒ Lo avrebbe fatto per chiunque, sai bene com’era.
‒ Non con Ruby.
‒ Sì invece,
‒ No, quel ragazzo ha nascosto a tutti noi ciò che sapeva e ha preferito agire da solo, come al solito.
‒ Lui è fatto così.
‒ Sì, Sapphire, ce lo hai raccontato molte volte ‒ ormai le stava praticamente parlando ad un palmo di distanza. ‒ Ci hai già raccontato di come fosse bravo a caricarsi di tutte le responsabilità, testardo ma altruista. O forse solo egocentrico.
‒ Adesso si parla di come abbia voluto sfruttare quel momento per gloriarsi di essere di nuovo un eroe?
‒ No, Sapphire ‒ singhiozzò Crystal. ‒ Si parla di come tu stia difendendo ancora così strenuamente un falso amico, un impostore, un bugiardo ‒ ogni parola era come una pugnalata per la Dexholder di Hoenn.
‒ Io non…
‒ Perché lo fai?
Calò il silenzio. Si udì solo il battito d’ali di un Butterfree che, infastidito dalla situazione, cercava un posto più tranquillo.
‒ Perché lo fai? Perché lo difendi? ‒ ripeté quella.
‒ Perché ho fiducia in lui… e così dovremmo averne tutti ‒ rispose, quasi sincera, Sapphire.
‒ Ok ‒ Crystal annuì debolmente, con lo sguardo vacuo.
‒ Che cosa vorresti? Che non credessi più in lui? Non è una scelta.
‒ Lo è sempre, è sempre una scelta. Se per te fidarti di quel ragazzo significa ignorare i tuoi amici, persino quando questi muoiono davanti ai tuoi occhi, io decido di tirarmi fuori da questa faccenda ‒ annunciò, riprendendo con sé i Pokémon che anche lei aveva lasciato nel giardino.
‒ Aspetta, che cosa vuoi dire?
‒ Che me ne vado a Vivalet, là potrò dare una mano a chi ne ha bisogno davvero ‒ spiegò, attaccando le Ball alla cintura.
‒ Crystal, non dire stronzate, dobbiamo rimanere uniti ‒ cercò di fermarla Sapphire.
‒ Non avete bisogno di me, potete occuparvi di Zero da soli ‒ e le voltò le spalle.
‒ Crystal, Crystal. Aspetta ‒ la prese per un braccio.
‒ Lasciami.
‒ Ascolta, io so che cosa stai provando, ma non lasciarci per questo.
‒ Tu non hai idea di come mi senta! ‒ e così la Dexholder di Johto le mollò un ceffone sulla guancia destra.
Sapphire si trasse indietro, ferita.
‒ Addio.
Sapphire la lasciò andare via, era troppo decisa e imperterrita. Crystal prese le sue cose, le infilò nella valigia e lasciò la casa. Gli altri Dexholder furono immediatamente messi in allerta dai suoi atteggiamenti, ma entrarono nel panico quando la videro oltrepassare la soglia con il trolley che trottava al suo seguito. Blue non ebbe il coraggio di fermarla, non dopo ciò che le aveva sentito dire in aereo. Silver, invece, le corse dietro. Cosa che avrebbe stupito una Crystal che non fosse stata accecata dalle lacrime di rabbia che quella vicenda le aveva scaturito.
‒ Aspetta ‒ le si pose davanti.
‒ Anche tu? Che cosa volete da me? ‒ mugolò lei.
‒ Non farlo ‒ disse soltanto Silver.
‒ Vuoi lasciarmi in pace?
‒ Spiegami perché vuoi andartene, calmati ‒ le intimò.
Crystal singhiozzò due o tre volte ‒ Non abbiamo fatto nulla per Emerald, noi…
Silver la lasciava parlare, apparentemente distaccato.
‒ L’abbiamo lasciato morire come un cane ‒ Crystal cercò di trattenersi, ma le parole le si strozzavano in gola.
‒ Non abbiamo potuto fare niente.
‒ È colpa nostra, Silver. Ruby sapeva tutto, lui… noi non siamo stati abbastanza attenti e così Rald…
E Crystal scoppiò a piangere sul petto dell’amico. Piangeva nervosamente e senza alcuna paura di sembrare debole. Tutto il dolore e lo stress fluivano fuori dal suo corpo sotto forma di lacrime. Silver, dal canto suo, sostenne il peso del suo corpo stringendola a sé. Crystal balbettava qualcosa, pronunciava il nome di Emerald e chiedeva scusa. Chiedeva scusa come se qualcuno oltre a Silver potesse sentirla.
‒ Passerà ‒ balbettò Silver, senza riuscire a dire altro.
E così rimasero per un tempo interminabile. Una valigia solitaria, con accanto due poveri ragazzi a cui la vita non aveva avuto paura di mostrare il suo lato peggiore. A pochi metri di distanza, il resto della compagnia che osservava impotente.
Qualche manciata di minuti più tardi, Silver aveva finito di comporre la propria valigia. Crystal sarebbe partita e lui la avrebbe accompagnata. Destinazione: Vivalet, obbiettivo: aiutare. Era la scelta migliore per la ragazza, che sapeva di non poter rimanere lì senza tornare preda di una crisi. Sapphire li salutò in lontananza mentre si avviavano verso l’aeroporto di Zafferanopoli in volo sui propri Pokémon. Certo, nessuno aveva preso bene quella decisione: perdere altri due membri della squadra avrebbe condizionato definitivamente la loro coesione, ma tutti riconoscevano l’importanza di quel distacco, per Crystal. E poi, fino alla prossima notizia di Kalut, nessuno di loro avrebbe avuto molto da fare. Ciò che era meglio fare, a quel punto, era distrarsi per poi tornare a riflettere.
E così, rimasti solo in quattro, i Dexholder si ritrovarono al tavolo della cucina insieme a Margi per riflettere sul da farsi. Convennero insieme che, con Zero scomparso e Kalut in avanscoperta sulle sue tracce, potevano solamente aspettare.
‒ Io voglio tornare, per il momento, a Smeraldopoli ‒ annunciò Green. ‒ Devo sistemare delle cose alla palestra.
‒ Io ho bisogno di un momento di calma, voglio rivedere i miei ‒ si aggregò Blue.
Gold e Sapphire si guardarono, desolati.
‒ A questo punto torno a Hoenn, troverò sicuramente qualcosa da fare… tu, Gold?
Per la prima volta nella storia della sua vita, il ragazzo dagli occhi d’oro si trovò senza una risposta pronta. Sapphire impiegò un po’ per dedurre la sua indecisione.
‒ Ho da fare anch’io ‒ mormorò, guardando altrove.
‒ Ok, allora è deciso ‒ riprese Green. ‒ Ci ritroveremo quando uno di noi sarà di nuovo contattato da Kalut.
Ogni Dexholder lasciò quel laboratorio. Sapphire in direzione dell’aeroporto, Blue verso la casa dei suoi genitori e Green verso la sua palestra. Gold rimase solo, davanti a quel piccolo casolare dimenticato nella natura, portava la sua valigia nella mano destra e la Ball di Togekiss nella sinistra.
‒ Uno per fare le cose bene deve farsele da solo ‒ borbottò, salendo in groppa al suo Pokémon volante.
Poco tempo dopo, Gold stava bussando alla porta di casa di Lance. Il Campione dell’Altopiano Blu la aprì nel giro di pochi secondi.
‒ Che ci fai qui? ‒ era diventato sospettoso dopo gli eventi della Lega. Si trovava con indosso una tuta fradicia di sudore, stava facendo allenamento.
‒ Vorrei farti qualche domanda, Lance.
Quello lo squadrò con diffidenza.
‒ Riguarda Red.
Qualche minuto dopo, si trovavano nella sua palestra. Sorseggiava un qualche integratore con l’asciugamano sulle spalle e Gold osservava i bilancieri.
‒ Ti ha detto qualcosa prima di mollare tutto? Nel senso, ti ha fatto capire che questa sarebbe stata la sua scelta o lo hai visto agire di punto in bianco?
‒ Red era con te fino al giorno precedente alle sue dimissioni.
‒ È sparito una mattina… così dal nulla.
‒ Senza dare nessuna impressione prima?
‒ Non so, era grigio, ma lo eravamo tutti, dopo Vivalet.
‒ No ‒ rispose alla fine Lance. ‒ Non mi ha fatto sapere nulla. Mi ha chiamato quella mattina stessa, stava per tornare con il suo jet. Ha detto “sono costretto a prendere questa decisione, tutti lo capiranno al momento opportuno”, lo ricordo bene. Non ho fatto resistenza, era deciso come non lo avevo mai visto. E ora pure Yellow è sparita con lui…
‒ Dev’essere successo qualcosa, non è il tipo che si fa sconvolgere da un evento come Vivalet. Ha visto morire tanta gente e ha rischiato la vita in modi più pericolosi.
‒ Gold, perché stai indagando su questo?
Il Dexholder si prese il proprio tempo. Lance gli aveva offerto un bicchiere di bourbon ma ancora la sua lingua non era abbastanza sciolta per poter parlare delle sue paure.
‒ Kalut, Red, Zero, la Faces… stanno succedendo troppe cose tutte insieme. Ho bisogno di qualche lume da seguire.
Lance era esterrefatto, non aveva mai visto Gold in quelle condizioni. Serio, preoccupato, indeciso.
‒ Ascoltami, Gold ‒ riprese allora il Campione di Kanto e Johto. ‒ forse ho qualche informazione che potrebbe servirti.
Quello gli fece cenno di star prestando.
‒ Da Campione, le condizioni necessarie che mi obbligherebbero di dimettermi all’istante sono essenzialmente due: ricatto e senso di colpa. Non ci sarebbero altre motivazioni capaci di spingermi a tanto.
‒ Quindi intendi dire che Red potrebbe essere stato convinto da qualcuno che lo ha minacciato oppure che abbia qualche scheletro nell’armadio che sta tornando allo scoperto?
‒ Conosciamo entrambi Red, non ci sarebbe motivo per cui dovrebbe provare un senso di colpa tanto forte. È la persona più onesta che io conosca.
‒ Capisco… ‒ mormorò Gold. ‒ Qualcuno lo sta costringendo, allora.
Qualche ora dopo e qualche centinaio di chilometri più a sud est, dopo uno squallido pranzo in aereo, Sapphire era ormai giunta a casa. Durante il check-in aveva avuto tempo di aggiornare Platinum su tutti gli ultimi eventi. La ragazzina di Sinnoh si era preoccupata tanto per loro. Purtroppo, non era ancora riuscita a trovare niente a Sinnoh, ma per gli altri Dexholder era meglio così: quell’impiego la teneva lontana dal pericolo.
“Terrore a Kanto e Johto, ma questo ultimo e misterioso atto di terrorismo perpetrato nei confronti della Lega dell’Altopiano Blu per fortuna non ha mietuto vittime…” diceva la presentatrice del notiziario, sul televisore della cucina di casa Birch.
Il professore era intento ad addentare il panino che avrebbe dovuto essere il suo parco e ritardatario pranzo, quando qualcuno suonò il campanello. L’uomo si alzò in piedi e raggiunse la porta, aprendola con sospetto.
‒ Ciao pa’ ‒ mormorò la sua bambina, sulla soglia di casa.
Padre e figlia si unirono in uno stretto abbraccio.
‒ Da quando entri dalla porta?
Sapphire rise.
Dieci minuti dopo, il tempo necessario per ristabilirsi a casa, Sapphire sorseggiava un infuso di erbe che il professor Birch le aveva preparato. L’arte della tisana era ormai una tradizione per loro.
‒ Allora, come sta la mia figlia spericolata? ‒ chiese teneramente l’uomo.
‒ So che siamo vicini alla soluzione… ‒ Sapphire sorseggiava dalla sua tazza sovrappensiero. ‒ Devo soltanto capire cosa sta succedendo realmente dietro tutto questo.
La ragazza spiegò a suo padre la intricata vicenda dei Superquattro che avevano tradito Zero per incastrarlo. L’uomo seguiva con attenzione le sue parole.
‒ Secondo me ‒ si intromise. ‒ Nessuno di loro stava agendo per proprio conto, insomma, che motivo avevano di mettere nei guai Zero?
‒ Dici che ci potrebbe essere qualcosa di più grande, dietro?
‒ Dico che quando si trama per spodestare un potente, c’è sempre un altro pronto a prendere il suo posto.
‒ Axel? No, lui non era adatto a quel ruolo.
‒ Chiunque fosse, non si sarebbe mai buttato nella mischia.
‒ Sì… solo… ‒ Sapphire ebbe un’illuminazione.
‒ Hai qualche idea? ‒ chiese il suo vecchio, vedendo la luce accendersi nei suoi occhi.
‒ Forse…
Sapphire finì la tisana in silenzio, poi salì al piano di sopra. Accese il pc, aprì Google Chrome. Digitò “Vivalet 24 giugno” e selezionò la categoria “notizie”.
Lesse dell’incidente, della morte di Emerald e della strage dei civili, del decesso di Rayquaza e della distruzione dello stadio. Lesse vari articoli e in ognuno di questi era più volte sottolineato quanto l’intervento di Ruby fosse stato provvidenziale e salvifico. Il Campione di Hoenn era acclamato dalla maggior parte dei siti di informazione e dei quotidiani online come il principale salvatore di Vivalet. Non era errato, Ruby era stato il perno su cui si era svolta la situazione. Tuttavia, il sentore di intuizione che Sapphire aveva avuto, si stava trasformando in un forte campanello d’allarme.

Cassandra cliccò sull’icona a forma di cornetta del telefono accanto al contatto. Portò il dispositivo all’orecchio. Attese per il tempo di due o tre suoni.
‒ Dimmi ‒ rispose una voce femminile dall’altra parte.
‒ Aurora, credo sia arrivato il momento di preoccuparci.
‒ Perché dici questo? ‒ c’era rassegnazione nella sua voce.
‒ Kalut è entrato in azione attivamente, sono certa che quelli che hanno lavorato con lui vorranno capire che cosa sta succedendo.
‒ Può eluderli come ha fatto sempre, è Kalut, per Dio…
‒ Sai bene che non può farlo, non con loro.
E Aurora lo sapeva, sapeva bene che era difficile e poco conveniente tenere dei Dexholder all’oscuro dei fatti.
‒ Qual è il piano, allora?
‒ Attualmente si sono sfaldati e attendono l’allerta di Kalut, raggiungi uno di loro, ti guiderò io.
‒ Siamo sicuri di ciò che sto per fare? Parlo per tutta l’organizzazione.
‒ Certi, al cento per cento. Non c’è altra strada ormai. Ti mando i file del ragazzo che devi agganciare.
‒ Va bene.
‒ Richiamami, ciao.
E la telefonata tra le due Capopalestra si interruppe. La prima: Cassandra, Capopalestra di Idresia, a Sidera. La seconda: Aurora, Capopalestra di Porto Stellaviola, a Holon. Complici da anni, amiche da molto di più. Aurora aprì la casella della posta, cliccò sulla prima mail.


“Luogo di origine: Borgo Foglianova
Abilità più sviluppate: combattimento, cattura
Segni particolari: è solito sfruttare una stecca da biliardo in molteplici occasioni…”

Green aveva lasciato Biancavilla quella mattina. Sedeva alla sua scrivania pensieroso, con un bicchiere di brandy in mano. Era in chat con Blue, che invece si trovava dai suoi.
“Riesci a rilassarti?” le chiese.
“Per niente, mi sono già pentita di essere venuta qui, avremmo potuto fare qualcosa in questo momento morto” rispose lei.
“Prova a bere qualcosa.”
“Sì, sicuramente. Adesso è proprio il momento adatto.”
Il ragazzo, ignorando la sua disapprovazione, prese la bottiglia e versò altro liquido ambrato nel suo bicchiere.
“Avremmo potuto cercare informazioni sulla sparizione di Red.”
Nessuno di loro sapeva che in realtà ci stesse già pensando Gold. Forse, se lo avessero saputo, si sarebbero sentiti degli amici ancora peggiori.
“Hai ragione…”
“Secondo te che cosa gli è successo?”
“Non possiamo saperlo, ma ho qualche idea.”
“Spiegami.”
“In realtà credo che anche tu abbia avuto questa impressione…”
Ad Albanova, il pomeriggio era scorso in fretta, anche per via del jet-leg. Sul far della sera, Sapphire stava spulciando tra i documenti di suo padre. L’ufficio di quell’uomo era diverso da tutti gli altri: un caos generale simile solo a quello che sua figlia creava nella propria camera, un pavimento perennemente sporco e spesso interrato, una quantità imponente di foto sviluppate appese al muro. Questo era il professor Birch.
La ragazza aveva libero accesso a tutte quelle documentazioni. Nonostante non avesse mai avuto una particolare affezione verso le cose da leggere, si ritrovava spesso a controllare lì, ultimamente. Ritrovò la foto dei tre Dexholder di Sinnoh: accanto alla sua amica Platinum c’erano due ragazzi dallo sguardo non particolarmente sveglio. Ricordò i nomi Pearl e Diamond. Avrebbe voluto conoscere i suoi colleghi lontani, ma in quel momento l’ultimo dei suoi obbiettivi era mettere nei guai anche dei ragazzini.
Spulciò ancora un po’, trovando i documenti riguardanti i Dexholder di Unima, Kalos e Alola. La storia si faceva interessante, quelli di Unima avevano la sua età, forse erano pure al torneo senza che lei potesse riconoscerli. Stranamente, in quella regione erano stati arruolati quattro possessori del Pokédex. Si avventurò tra i documenti che li riguardavano, rimase paralizzata a fissare le schede che parlavano di uno dei primi Dexholder di quella regione: un certo Black. Tra i dati, c’era una data di morte. Il ragazzo, stando a quei documenti, si era sacrificato per aiutare la sua compagna.
Quindi Emerald non era stato il primo Dexholder a perdere la vita.
Sospirando, passò avanti. Trovò i dati riguardanti lei e i suoi amici. Lesse anche quelli, fissando in mente i gruppi sanguigni di tutti, per ogni occasione. Poi, al termine della cartella, trovò una portaschede molto particolare. Il primo foglio, nel frontespizio, diceva:

Progetto ARBOR VITAE
 Creato dai sottoscritti professori Pokémon: Samuel Oak, Joshua Elm, Nicholas Birch…

‒ Quello è materiale riservato ‒ la distrasse suo padre, sulla porta della stanza. ‒ Anche per mia figlia.
‒ Che cos’è? ‒ chiese lei, riponendo il foglio.
‒ Se te lo dicessi non sarebbe più riservato ‒ l’uomo prese la cartella e quei fogli e li portò via con sé.
‒ Dai, non mi hai mai nascosto niente!
Birch rise: ‒ Lo so, sbagliando.
‒ Ti prego, papà ‒ piagnucolò lei.
Il professore rifletté per qualche attimo. ‒ Ma non devi dirlo a nessuno dei tuoi amici.
Sapphire esultò.
‒ Il progetto Arbor Vitae è un’idea ancora molto lontana dalla realizzazione nella quale dovremmo concentrarci tutti noi professori Pokémon delle varie regioni, come avrai già letto. Si prefigge come scopo quello di far smettere alla piccola Sapphire di farsi i fatti altrui ‒ la prese in giro, lasciando la stanza.
‒ Dai! ‒ si lamentò lei.
Distraendosi immediatamente, tornò a spulciare nei documenti. Dopo poco trovò le schede che le interessavano: i dati raccolti su Ruby durante la sua vita da Dexholder. In base alle stime psicologiche realizzate dal professore, Ruby era fondamentalmente una persona egocentrica, ma capace di operare per il bene degli altri. Probabilmente era spinto anche in quel campo dall’auto gratificazione. Tuttavia, questa sua attenzione nei confronti della propria persona sembrava scomparire quando Ruby si trovava a dover agire per il bene di determinate persone specifiche. Poi Sapphire studiò bene ciò che era stato scritto circa la sua ascesa al potere come Campione della Lega. Il ragazzo era divenuto più attento alla propria carriera e maniacale nel controllo dell’immagine mediatica. Questo suo comportamento era stato interpretato come una risposta dura al trauma della perdita dei suoi genitori. In altre parole, un atteggiamento puerile che tornava a galla dalla personalità matura e analitica del ragazzo.
E poi la Faces, informazioni che suo padre non possedeva ma che Sapphire sapeva stessero condizionando la vita di Ruby. Quale mistero si celasse dietro la sua storia, ancora era uno dei più grandi dubbi della ragazza. Tuttavia, voleva avere fiducia nel ragazzo e sperare che un giorno o l’altro lui sarebbe tornato indietro e le avrebbe dato qualche spiegazione.
Si rese conto di aver quasi dimenticato ciò che era venuta a cercare: le schede dei Pokémon posseduti.
Estrasse quella di Flygon, uno dei più potenti esemplari utilizzati dal ragazzo. Il Pokémon era stato donato da Norman a Lino molto tempo prima, poi quest’ultimo lo aveva riconsegnato a Ruby, dopo la morte del genitore. Scelta particolare, sicuramente motivata, ma che costituiva uno dei pochi elementi su cui Sapphire avrebbe potuto indagare. Purtroppo, per farlo, avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Yellow o Lance, il che risultava abbastanza complicato, al momento. Non vedeva altre piste, eccetto la ricerca di Ruby in prima persona, che non era il migliore dei piani.
Gold aveva raggiunto Secondisola. Il villaggio era piacevolmente affacciato sul mare e la brezza serale estiva creava il clima perfetto, un toccasana per le malattie. Nella parte più isolata, vicino alle scogliere, Red aveva fatto costruire la propria villa, qualche anno prima. Questa era una proprietà di medie dimensioni posizionata su un altopiano boschivo, vi si accedeva tramite un viale alberato e il panorama a cui dava l’occhio era tra i migliori di tutta la regione. Era stato più volte all’interno e ricordava abbastanza bene la planimetria.
Ciò lo aiutò a muoversi senza essere visto da eventuali custodi o abitanti. Si era già accertato che Red non fosse all’interno tramite il programma di localizzazione del Pokédex che aveva di nascosto scaricato dal dispositivo di Green, dopo la loro vicenda a Hoenn. Secondo il GPS, Red si trovava a Unima, il posto più lontano possibile da casa sua. Gold ignorava cosa ci stesse facendo, voleva solamente indagare all’interno della casa dell’amico. Era certo che prima di sparire, Red e Yellow fossero tornati in quella villa.
Non trovò guardie, ad occuparsi della sicurezza dei suoi membri era l’istituzione della Lega, ragion per cui l’abitazione di un Campione congedato non era più sorvegliata. Il ragazzo dagli occhi d’oro salì agilmente al piano superiore aggrappandosi al balcone. Con l’aiuto di Ambipom spalancò le porte di vetro senza lasciare impronte o rompere serrature. L’allarme non era installato, i pochi che avrebbero potuto degnamente irrompere a casa di Red erano di certo forniti di strumenti o Pokémon capaci di eludere ogni sistema di sicurezza. Gli altri, anche non conoscendo questa particolarità, non osavano fare irruzione nella villa di uno degli Allenatori più forti del mondo. Si ritrovò esattamente nello studio di Red: lo dimostravano le vetrine piene di trofei, i portamedaglie completati appesi al muro, le foto e i ritagli di giornale con personaggi famosi di ogni genere e sorta. Trovò carina la riproduzione in scala della statua in cui Red fu trasformato dal Darkrai di Sird anni prima. Il marmo, scolpito in poche copie da un famoso scultore di Johto secondo l’immagine del ragazzo, lo raffigurava a petto nudo con Yellow in braccio. Gold ricordava bene quella triste sorte che toccò, oltre che quei due, pure Blue, Green e Silver. Grazie all’aiuto suo e dei Dexholder di Hoenn, tutti loro furono liberati da quella trappola durante gli eventi che sconvolsero l’inaugurazione del Parco Lotta.
‒ Sentimentale… ‒ borbottò, ricordando la loro avventura.
E così, il giovane fece per avvicinarsi alla scrivania di Red. Accese il computer e aprì i cassetti, assicurandosi di rimettere tutto al proprio posto, una volta conclusa l’indagine. Controllò, durante l’avvio del Mac, pure il cestino dell’immondizia. Non riuscì a individuare nessun elemento di interesse.
Dopo essersi divertito per qualche minuto ad indovinare la password di accesso al computer dell’amico, non essendoci riuscito, lo spense. A quel punto, ormai sconsolato, individuò una cartella giallo ocra depositata su uno degli scaffali. Red non era caotico. O meglio, quella stanza era il suo tempio quindi si trovava in perfetto ordine nonostante fosse gestita da un uomo. Proprio per questo, quella cartella che si trovava lievemente dislocata rispetto agli altri elementi nella stanza sembrava parecchio sospetta.
Improvvisamente ricordò dove lo aveva già visto: quella era una delle cartelle cliniche dell’ospedale di Vivalet, ognuno di loro ne aveva ricevuto una con i responsi della propria visita dopo gli eventi di Rayquaza.  Allungò la mano per afferrarla.
Poi un rumore.
Ambipom era già pronto al combattimento, piazzato sulle zampe, e Gold si guardava attorno guardingo per individuare l’intruso.
‒ Non si ruba a casa degli amici ‒ disse una voce femminile.
‒ Non ci si introduce nelle case degli sconosciuti ‒ ribatté Gold a tono.
‒ Dai, davvero mi troveresti minacciosa?
Una ragazza apparve davanti a Gold, come uscendo da dietro un pannello trasparente. Non dimostrava più di vent’anni, aveva dei lunghi capelli celesti e vestiva un top a righe bianche e nere e una minigonna. Era bellissima.
‒ Dolcezza, non puoi avere queste sembianze e comparire a casa delle persone, potresti essere fraintesa ‒ scherzò Gold.
‒ Oh, ma io voglio essere fraintesa.
Gold cercò di distrarsi, scacciando i cattivi pensieri. ‒ Scusa, ma questa è casa di un mio amico, quindi devo fermarti e farti qualche domanda.
‒ Sì, ti stavo seguendo, se è questo ciò che ti interessa.
‒ E?
‒ E ho bisogno di parlarti, tanto sono sicura che tu abbia già capito chi sono, Sherlock ‒ insinuò lei, avvicinandosi alla luce.
Gold effettuò qualche rapido collegamento, poi la riconobbe: Aurora, una Capopalestra di Holon.
‒ Arrivo subito, Gabriel ‒ e faceva due salti a destra, per sistemare la fasciatura di un ragazzino. ‒ Attenta con quel coso, Colette ‒ e compariva provvidenzialmente per salvare una bambina che minacciava di estrarre l’ago della propria flebo. ‒ Sono subito da te, Martin ‒ e si avvicinava ad un terzo marmocchio, cui doveva essere somministrato un analgesico particolare.
Crystal si muoveva lesta come una gazzella tra quei pazienti in miniatura. Silver, che pure cercava di dare una mano a modo suo, la osservava incredulo. La ragazza non aveva parlato con i suoi amici per giorni, poi, di punto in bianco, era tornata ad essere pimpante ed energica.
Segretamente, il rosso la ammirava. Vedeva la speranza e la serenità nei bambini che lei aiutava. Crystal non permetteva che questi avessero paura, conosceva tutte le loro abitudini e i loro gusti, manteneva la promessa di portare le caramelle a chi avesse mangiato tutti i broccoli. Silver si rivedeva in quei bambini: feriti, orfani, soli. Ma lui non aveva mai avuto la fortuna di conoscere una Crystal, al suo tempo. Lui era cresciuto con una maschera che non poteva togliere, in gabbia nel suo freddo stanzino, abbandonato da tutti.
Per questo cercava di sorridere a quei ragazzini. Avrebbe gridato in faccia ad ognuno di quei mocciosi che la vita sarebbe andata avanti, che le loro cicatrici non sarebbero scomparse ma che loro avrebbero potuto vivere di nuovo, che i loro genitori non sarebbero resuscitati ma che ci sarebbero state tante altre persone pronte a dargli l’affetto di cui avevano bisogno. Ma era Crystal quella che brava in queste cose.
Lui, purtroppo, ci credeva poco. E così, si limitava a distribuire il cibo, sistemare le loro cose, lavare i panni.
Nel frattempo, la sua amica prendeva in braccio Jimmy che piangeva perché sua madre non era stata tirata fuori dalle macerie dell’hotel in cui alloggiavano e cercava di farlo sorridere, parlandogli di come sarebbe divenuto un Allenatore fortissimo, che avrebbe salvato tanti altri bambini come lui.
Tutto questo, mentendo spudoratamente: Jimmy era rimasto paralizzato dalla vita in giù, e avrebbe passato la vita su una sedia a rotelle.
‒ Silver, puoi prendere altre garze? ‒ le chiese l’infermiera Crystal.
E il fulvo la fissava con sguardo vacuo. Lei aveva i capelli raccolti e un grambiule decorato da un motivo floreale. Sorrideva. Per la prima volta, dopo la morte di Emerald, sorrideva.
‒ Silver, le garze! ‒ e schioccava le dita.
‒ Subito ‒ si scusava lui, correndo al lavoro.
Ore dopo, si stavano rilassando in uno degli ostelli messi a disposizione dei corpi di soccorso. Tra i soccorritori volontari si respirava la responsabilità e la soddisfazione, ma anche l’opprimente senso di angoscia. Vedere quelle scene, quelle facce, quegli occhi avrebbe devastato la psiche di chiunque. Le zone turistiche di Vivalet erano diventate dei formicai di infermieri, medici, soccorritori. Chi poteva aiutare, lo faceva senza remore. Chi aveva bisogno di soccorso, veniva subito accolto. Era questo ciò che permetteva a Crystal di rimuovere ogni cattivo pensiero dalla sua mente, anche solo per una giornata.
Nel frattempo, gli operai avevano cominciato a lavorare con le macerie, nel quartiere limitrofo. C’era da ripulire il gigantesco disastro di un intero stadio e varie decine di edifici ridotti in pezzi da Rayquaza. Per fortuna, non si udiva più alcun lamento provenire da quella landa sterile. Tacevano gli ultimi corpi che venivano ritrovati in mezzo alla polvere e alle lamiere: pallidi, grigi, spenti.
‒ Vado a farmi una doccia ‒ annunciava Crystal. ‒ Puoi ordinare la cena? Vorrei riattaccare subito.
‒ Sì… certo ‒ annuiva Silver, docile come non mai.
E la guardava con la coda dell’occhio mentre si sfilava la canotta ed entrava nel bagno abbassandosi le bretelle del reggiseno. Si sentiva sciocco, si sentiva Gold. Ma era così strano ciò che provava in quel momento, che gli rimaneva difficile persino concepirlo. Si distrasse chiamando la pizzeria più vicina e ordinando una margherita e una capricciosa.
Crystal uscì dal bagno poco dopo, proprio mentre Silver chiudeva la porta con i cartoni delle pizze in mano.
‒ Capricciosa, come piace a te ‒ le disse lui, prima che potesse chiedere.
‒ Grazie, Sil.
Il rosso notò immediatamente una nota bassa nella sua voce, ma ci fece poco caso. Crystal era uscita dal bagno con indosso solamente un asciugamano a mo’ di vestito, il che aveva attratto la gran parte della sua attenzione. La ragazza prese dei vestiti leggeri e tornò in bagno per cambiarsi, aggiunse però un secondo asciugamano in testa, avvolto attorno ai capelli.
‒ Buon appetito ‒ augurò all’amico, sedendosi.
A quel punto Silver se ne rese conto. Aveva la carnagione arrossata tipica del post doccia, ma quegli occhi gonfi erano inconfondibili. Crystal aveva pianto. E anche parecchio. lo aveva fatto da sola, in bagno, quando nessuno poteva vederla. Decise di non farle notare l’evidenza della cosa, la avrebbe messa a disagio.
‒ Sei fantastica ‒ le disse invece, pensando fosse la cosa più giusta.
Lei lo guardò titubante, era insolito ricevere un complimento da lui.
‒ Là fuori, con i ragazzini, sei eccezionale…
‒ Grazie ‒ rispose lei sorridendo teatralmente.
Silver si sentì scaricato.
‒ Crystal, non fingere, capisco quello che stai provando ora… voglio cercare di starti vicino.
‒ Perché mi parli come se dovessi rassicurarmi? ‒ domandò allora lei, aprendosi un pochino di più.
‒ Perché credo che non ci sia niente di male nell’accettare l’aiuto di qualcuno ‒ spiegò il fulvo, andando contro ad ogni sua tipica abitudine.
Crystal lo guardava come si guarda la propria casa dopo esser stati via per anni.
Poggiò la testa sulla sua spalla. Silver si fermò. La guardò. Crystal sollevò il capo per incrociare i suoi occhi argentei. Lo baciò sulle labbra.
Non scoprì mai il motivo di quel gesto. Forse lo aveva fatto per sentirsi più sicura, forse per ringraziarlo, forse perché ne aveva semplicemente bisogno.
In ogni caso, quella sera non tornarono a lavoro, né finirono di cenare.
Kalut spense ogni pensiero negativo. Il suo Arcanine gli si era accoccolato attorno, tenendolo al caldo. A poca distanza, c’era invece Xatu. Si trovavano sulla cima di una montagna. La temperatura era rigida e il silenzio profondo.  Kalut meditava seduto a gambe incrociate, modellando i flussi di pensiero della propria mente come fluidi in assenza di gravità.
Cercava di inserirsi nella mente di Zachary, che aveva avuto modo di studiare e ispezionare da cima a fondo per molti mesi.
“Rabbia, tradimento, vendetta…” pensava. “Dolore, amici, bugie.”
“Ci sei quasi” lo aiuto Xatu, Pokémon millenario, in collegamento mentale con lui.
“Kanto… Hoenn… Unima…”
“Continua così” fece Xatu.
“Ultima. Chance. Distruzione, Nemici.” realizzò.
“Le tue sinapsi sono più potenti di quanto qualsiasi uomo possa immaginare, Kalut…” commentò Xatu.
“Non c’è bisogno di dirlo, ma di dimostrarlo” ribatté lui.
“Allora, avviserai i Dexholder?”
“Zero vuole colpire una delle sedi centrali FACES, ce ne sono tre: a Zafferanopoli, a Porto Alghepoli e ad Austropoli. Non posso essere in tre posti contemporaneamente, devo allertarli per forza.”
“Va bene, e quanto tempo hai?” il Pokémon eterno sembrava quasi un professore che interrogava il proprio alunno. E in un certo senso era così.
“Poco tempo: agirà domani sera” rispose Kalut, alzandosi e preparandosi a tornare a valle.

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