New Hope
Kyle e Cole, una volta riusciti a liberarsi da Bryan che continuava a tempestare Cole di domande, tornarono all’aria aperta, lasciandosi le porte del locale alle spalle.
Il Sole aveva iniziato il suo declivio verso l’orizzonte, mezzogiorno era passato da un pezzo. Mentre loro due riprendevano a percorrere la strada che ancora li divideva dal settore tecnologico della cittadella, il resto delle persone iniziava a raggiungere ristoranti e locali vari, dove li aspettava un buon pasto dopo la prima parte della loro giornata di lavoro. I nuovi arrivati si muovevano già fra gli abitanti di New Hope, integrati quasi all’istante. I locali si erano dimostrati molto ospitali e fin dall’arrivo dei loro nuovi compagni, si erano dati da fare per aiutare tutti a sistemarsi, indipendentemente da religione, colore della pelle o qualsiasi altra finta differenza che incorre nel genere umano.
Pochi minuti dopo, i due erano fuori dal centro della cittadina, le case e le costruzioni diventavano mano a mano più rare, lasciando il posto a spazi erbosi, alberi da frutto, coltivazioni e allevamenti di Miltank. Attraversata una piccola radura, iniziarono a infiltrarsi sempre di più all’interno della foresta che delimitava il perimetro del lato est della città. Mano a mano che procedevano, gli alberi si facevano sempre più fitti e il Sole faceva sempre più difficoltà a penetrare fra il fogliame. Diversi Hoothoot li fissavano, con i loro enormi occhi ipnotizzanti. Uno di loro si alzò in volo e percorse la distanza che li separava, in breve tempo. Fece un paio di volteggi sopra le loro teste, prima di appollaiarsi sulla spalla di Kyle, il quale rimase immobile.
- Sono abituati all’uomo, qui viviamo in armonia con la natura – spiegò Cole, mentre frugava nelle tasche dello zaino che gli aveva consegnato Bryan, poco prima di ripartire dalla sua taverna.
Ne estrasse un pezzo di pane, a cui staccò varie parti utilizzando le mani. Una la diede all’Hoothoot poggiato sulla spalla di Kyle, mentre le restanti le lasciò cadere verso i restanti Pokémon, che discesero immediatamente dagli alberi.
Kyle accarezzò quell’Hoothoot, sentendone il calore emanato dal piumaggio.
- Sembra tu gli piaccia, di solito non restano appollaiati così a lungo.
- Tu dici, zio?
- Credo proprio di sì, magari ci diventi amico. Vediamo un po’ se acconsentono a darti delle Pokéball, ma ricordi ancora come la penso al riguardo, giusto?
- Sì, certo. “I Pokémon non si devono catturare mai e poi mai, se accettano di seguirci, la Pokéball è solo un mezzo di trasporto più efficiente, sempre che il Pokémon sia consenziente” – ripeté in maniera mnemonica Kyle, riprendendo le parole di Cole.
- Ah ottimo, vedo che addirittura ricordi a memoria quello che ti insegno.
- Beh… ho sempre cercato di trarre il meglio dai tuoi insegnamenti, mi piace il tuo modo di comportarti.
Cole rise, stropicciando i capelli del ragazzo.
- Mi sa che hai molto ancora da imparare, però. Ci penseremo dopo, adesso fa andare quel Hoothoot, dobbiamo andare ai laboratori.
Kyle fece salire sul braccio il Pokémon Gufo, per poi farlo scendere a terra, lasciandogli un altro pezzo di pane.
- Ci vediamo dopo, amico – salutò un’ultima volta, prima di seguire Cole fra gli alberi.
Non ci volle ancora molto per arrivare, e quasi subito la vegetazione lasciò il posto a cemento e acciaio. L’erba scompariva immediatamente, dietro l’enorme recinsione di protezione. Kyle individuò subito diversi padiglioni, non comunicanti fra loro, costruiti su di una base di solido cemento. Dall’ingresso, subito si notava il più grande, dalla forma rettangolare, al centro del campo. Ai suoi lati e tutt’intorno si distribuivano a distanze più o meno eguali, gli altri edifici dalle più diverse forme.
Cole salutò la guardia al cancello ed entrò, seguito a ruota da Kyle, che non poteva fare a meno di osservare il tutto con occhi pieni di stupore. Non gli era mai capitato di vedere delle strutture in buono stato, reggersi ancora su tutti i suoi muri, intatti.
- La recinsione è per proteggere i Pokémon selvatici, non vogliamo che si possano far male – spiegò Cole, indirizzando Kyle verso il penultimo edificio sulla destra, dal colore verde chiaro e piuttosto piccolo rispetto agli altri.
- Quello, è l’ufficio del capo, vedrai, ti piacerà. Mi raccomando bussa prima di entrare.
- Perché, tu non vieni con me?
- No, piccolo. Ho altri impegni qui dentro, devo andare a vedere dei risultati di test importanti, ma appena finisco ti raggiungo. Puoi farcela.
- Certo che posso farcela – obiettò Kyle.
- Oh, sei diventato più sicuro di te, col tempo.
- No, certo che no.
- E allora cosa ti dà tutta questa sicurezza?
- Sono sopravvissuto tutto questo tempo con Daisy, è ovvio che possa farcela con qualunque altra donna.
Cole si fermò di scatto, voltandosi completamente verso di Kyle.
La sua risata proruppe con prepotenza dalla sua gola, riempiendo in poco tempo il silenzio zen che regnava in quel posto.
- Il senso dell’umorismo l’hai preso da me, non c’è dubbio. Tuo padre non l’ha mai avuto.
- Lo so, zia Daisy me ne ha parlato, quando tu eri via.
- E io te ne parlerò al nostro ritorno, adesso però devo andare.
- Ok, ti aspetto lì allora, non ci mettere troppo però.
Cole annuì, battendosi il pugno destro sul petto. La sua armatura cozzò, senza emettere alcun suono metallico. Poi si girò e si avviò verso l’esatto opposto del campo.
Kyle, invece, andò a passo svelto verso la piccola porta in legno che apriva l’ingresso della struttura verde. Inspirò a fondo, e soffiò via tutta l’aria con violenza, prima di bussare.
- Avanti – rispose una voce femminile, proveniente dall’interno.
Kyle aprì timorosamente la porta che si aprì da sola, dopo un breve rumore elettrico. Non fece la minima opposizione, scivolando sui cardini senza emettere un solo suono. Kyle venne inizialmente abbagliato dal bianco della luce artificiale dei neon, riflessa sul linoleum verde del pavimento.
- Chiudi la porta, per favore – la voce proveniva da un luogo ignoto dell’interno.
Kyle si volse immediatamente per chiudere la porta, notando in quel momento che il legno esterno era una semplice copertura estetica. L’interno delle pareti, così come la porta, era in spesso acciaio. Quest’ultima scivolò velocemente sul suo asse di rotazione, richiudendosi. Diversi pistoni idraulici andarono scivolando nelle fessure laterali delle pareti, incastonandone il corpo e isolando il mondo esterno. Dopo la chiusura ermetica delle giunture ci fu un minimo e silenzioso sibilo, attestante del completo isolamento dal mondo esterno.
Ancora sorpreso, Kyle si voltò verso l’interno della struttura, venendo a conoscenza che l’intera casa in legno era costituita da un singolo ambiente, in cui si trovavano diversi banconi da ricerca, postazioni per computer, tavoli in acciaio sterilizzato e varie bacheche in cui erano riposti miscugli e oggetti mai visti prima in vita sua.
- Resta un attimo fermo sulla soglia.
- Perché? – chiese Kyle.
In pochi istanti, venne colpito dal basso e dall’alto da violente raffiche di vento, abbastanza forti da fargli perdere l’equilibrio.
- Scusa, era per tenere l’ambiente sterile. Ho dovuto eliminare le impurità del mondo esterno.
Kyle riaprì poco a poco gli occhi, riuscendo finalmente a individuare la giovane donna di cui parlava Cole.
Era china su di un microscopio, i suoi lunghi capelli castani erano legati in una semplice coda lasciata scivolare al di là delle spalle, per poi percorrere la sua schiena a cavallo del bianco camice da laboratorio.
- Posso? – chiese Kyle. Le mani gli sudavano e lui stava cercando di sminuire la tensione continuando a stropicciare gli angoli della sua vecchissima t-shirt degli Artic Monkey.
- Certamente, ti stavo aspettando. Sei il nipote di Cole, giusto? – gli occhi ancora puntati nel visore del microscopio.
Pareva molto indaffarata al momento e Kyle odiava interrompere qualcuno che stesse facendo qualcosa che sembrava importante.
Nonostante ciò, si decise ad avanzare, seppur con passo lento e incerto.
Si avvicinò a lei, restando in attesa alla sua destra, cercando di essere il meno invadente possibile.
- Scusami ancora, stavo cercando di capirci qualcosa in questi strani campioni, qui il genio è Green, mica io – lei si voltò, mostrandosi in quel momento in tutta la sua bellezza.
La prima cosa che colpì Kyle, furono gli occhi di lei: erano d’un blu intenso, più luminosi del limpido cielo sopra le vette del Monte Corona, dopo mesi e mesi di isolamento dalla luce, giù nelle cavità della nuda Madre Terra. Erano vispi e giovani, così come il resto del suo viso.
Le sue labbra sottili erano in posizione di sorriso, rendendo più visibili le rughe d’espressione sul suo viso. Si vedeva che rideva spesso. I lineamenti delicati del volto erano sormontati da un piccolo naso, leggermente all’insù. Nel momento in cui si voltò, la coda di cavallo le cascò sulla spalla destra, lasciando i capelli liberi di sparpagliarsi sul petto di lei. Kyle non aveva mai visto una ragazza bianca così bella, nonostante avesse assistito a diverse parate, ad Astoria, dove sfilavano le ragazze più belle del regno, con vestiti stupendi e piene di vari trucchi, per esaltare le loro bellezze femminili.
Lei invece era bella così, al naturale. Non aveva un filo di trucco in viso e i capelli erano leggermente spettinati. Ma nonostante tutto, era stupenda.
Kyle rimase senza parole.
Lei notò la sua difficoltà nell’esprimersi, e quindi decise di andare in suo soccorso. Non senza prima aver riso, nascosta dalla sua mano portata per l’occasione all’altezza del naso.
- Comunque io sono Blue, piacere di conoscerti Kyle.
Kyle si riprese dalla pietrificazione e si affannò per rispondere con prontezza.
- C-ciao, io sono Kyle, Cole ti ha già detto il mio nome?
- Ah, ha fatto molto più che dirmi solo il tuo nome. So praticamente quasi tutto di te, Cole è meglio di Wikipedia, quando ci si mette.
- Che cos’è questo Wikipedia?
- Ah giusto, dimentico che tu sei troppo piccolo per ricordartelo. Era un sito Internet in cui era pubblicato molto del sapere umano. Seppur in modo molto superficiale, argomento per argomento.
- Ah, Sur ogni tanto mi ha raccontato delle cose riguardanti Internet. Però non credo di aver mai sentito quel nome.
- Nessun problema, per quanto possibile, ti aiuto io a imparare cose nuove. È un po’ il mio lavoro qui. Da quando è scoppiata la guerra e abbiamo perso, ci siamo dovuti arrangiare. Green è il vero genio e scienziato, io mi sono dovuta improvvisare per aiutarlo, assieme agli altri.
- Chi è Green? – chiese Kyle, ingenuamente.
- Credevo Cole avesse parlato un po’ di questo posto… Vabbè, è uno di quelli che dirige questo posto ed è il nostro migliore scienziato. Le nostre armi di difesa, metodi per generare energia, quando e dove coltivare per avere il massimo rendimento e tutte queste cose così. Lui è quello che ne sa di più di tutti.
- Oh capito – disse Kyle, con lo sguardo perso nel vuoto.
Non si era mai trovato in un posto come quello e, per lui, era tutto completamente nuovo.
Blue si accorse del suo momento di stand by, mentre la fissava dritto negli occhi, e cercò di richiamare la sua attenzione.
- Ehi, tutto bene piccolo? – schioccò un paio di volte le dita davanti il viso di Kyle, facendolo quasi sobbalzare.
Lui sbatté la testa a destra e sinistra, come per rimettere insieme le idee.
- Scusa, mi ero perso a guardare… tutte le cose che ci sono qui. Non ho mai visto circa il novantotto per cento di ciò che c’è in questa stanza – Kyle cercò di sviare l’attenzione dal viso di lei, in cui si era perso per qualche istante, rapito dalla bellezza e purezza del blu dei suoi occhi.
Lei parve accorgersene e smascherò immediatamente il falso nelle sue parole ma, sempre col sorriso sulle labbra, decise di lasciar scorrere e lo assecondò.
- Dimmi un po’, cos’è che suscita più interesse in te, in questa stanza? Volevo farti un paio di domande per capire che tipo sei, Cole era rimasto un po’ indietro con gli anni. Ma, sai, si scopre molto di una persona anche in base a ciò che attira la sua attenzione – accompagnò l’ultima frase con un occhiolino, leggermente piegata in avanti per raggiungere l’altezza del viso di Kyle.
Più o meno, al suo occhio, Blue pareva di poco più alta di Daisy: un metro e settantotto circa, contro uno e settanta scarsi.
- Beh… - Kyle diede una rapida occhiata alla stanza, passando in rassegna elemento per elemento – Direi… quello che c’è in quel contenitore trasparente.
Dopodiché il ragazzo indicò una grossa cassa di materiale simile a plastica rinforzata, o qualsiasi cosa fosse. Non si intendeva affatto di materiali o di qualunque altra cosa ci fosse in quella struttura, quindi era costretto a tirare a indovinare.
- Quel contenitore, o quello che c’è dentro? - chiese lei, con un’alba di sorriso di orgoglio stampato sul viso.
- La pietra, ovviamente. È la cosa più familiare. Sai, vivendo sotto terra ne ho viste molte, ma quella non la conosco. Non fraintendermi, non so praticamente niente di rocce, semplicemente quella è strana.
Ci pensò su un paio di secondi, guardando la pietra. Poi, spostò lo sguardo su Blue, la quale ricambiava con visibile voglia di conoscerne il motivo.
-… E per questo mi piace – concluse Kyle.
Sei uguale a tuo zio, più o meno. Certo, si dovrebbe parafrasare per bene quello che disse la prima volta che venne qui, ma la vostra curiosità è uguale.
Kyle divenne visivamente più allegro, venendo paragonato a Cole, l’uomo a cui si era sempre ispirato e il suo idolo.
Poi arrossì, capendo solo in quel momento di essere in presenza di Blue.
- Comunque, ci sono un paio di cose che vorrei chiederti, se non ti dispiace. Facciamo così, tu mi racconti un po’ di come vivevate e di quello che hai fatto che ti sembra degno di nota e io ti offro una cioccolata calda, ho il microonde qui dentro.
- Non ne ho mai assaggiata una… - ammise Kyle.
- Oh, allora bisogna assolutamente rimediare, i dolci sono essenziali. Avanti, abbiamo un patto? – Blue allungò la mano verso di Kyle.
- Affare fatto – Kyle allungò la sua e strinse quella della ragazza.
Il tempo trascorse veloce, mentre Kyle raccontava tutto ciò che gli veniva in mente, cercando di tenere un ordine cronologico dei vari avvenimenti importanti della sua vita nel vecchio rifugio sotto terra. Non tralasciò il suo incontro col Cubone selvatico e parlò in modo molto fiero mentre raccontò di quando trovò Arcanine e di come, durante il tragitto, avesse individuato e messo fuori combattimento il Mismagius selvatico. Ricevette anche alcune domande personali, come caratteristiche del proprio carattere, punti di forza e di debolezza, eventuali fidanzamenti e altre cose che Blue rivelò essere pertinenti per un profilo psicologico.
- Profilo psicologico, per che cosa? – chiese Kyle.
- Come forse saprai, noi siamo tutto ciò che resta della Resistenza contro il Sacro Ordine. E dato che sei entrato a farne parte, penso sia opportuno tu sappia che abbiamo intenzione di attaccare. Non abbiamo ancora nessun dettaglio al riguardo, ma l’intenzione c’è.
- Volete… volete fare una guerra? – chiese Kyle, sbigottito.
- No, vogliamo semplicemente sradicare quel pazzoide che si fa chiamare Sua Santità.
- È per questo che Cole ci ha condotti qui?
- No, vi ho condotti qui per potervi proteggere – rispose Cole, palesatosi solo in quel momento.
- Cole, è un piacere rivederti. Viaggio tranquillo?
- Abbastanza, abbiamo avuto solo qualche problema con un Mismagius. Ma ora credo che, una volta liberato, vorrà sicuramente fare la sua parte.
- Ci vuoi proteggere portandoci in guerra, zio? – chiese Kyle, visibilmente scosso e impaurito.
- No, non vi porterei mai nell’occhio del ciclone. Ero in contatto con Earl, molto in segreto. Neanche Sur o Daisy potevano sapere della mia esistenza.
- Però volete organizzare una guerra.
- Siamo in guerra da quando hanno distrutto Hoenn. E ucciso milioni di persone, tra cui Sapphire e Ruby – si intromise Blue, con le lacrime agli occhi – Siamo in guerra da quando quel pazzoide ha iniziato un genocidio dopo l’altro, comandando con il potere della paura e della morte.
- Se non facciamo qualcosa tu e Daisy vivrete per sempre così; con la paura di venir uccisi senza nessun motivo. Solo perché il nostro colore della pelle è diverso da quello di Sua Santità o perché non gli lecchiamo il culo come tutti i suoi seguaci. Non c’è altra soluzione.
- Ma è impossibile vincere! Avete visto che tecnologie hanno, il numero di soldati e di Pokémon. Voi cosa avete? – obiettò Kyle, cercando di farli ragionare.
- Una nuova speranza – Blue sorrise, e immediatamente il cuore di Kyle divenne più leggero.
- E hanno la mia forza – aggiunse Cole, indicando il suo cuore.
- Come pensi di fare, zio? Non puoi fermarli tutti.
- Beh, da solo non potrei ma ho un asso nella manica. Sono sicuro che ti piacerà – Cole batté il pugno sul petto, per poi alzarlo a mezz’aria, in attesa di Kyle.
Il ragazzo si sentì rasserenato dal gesto di suo zio. Era ciò che faceva ogni volta che partiva in missione, una specie di buon augurio. E fino ad allora, non aveva mai deluso le sue aspettative. Anche quando lo credevano morto, Kyle sapeva che ce l’avrebbe fatta. Suo zio era una specie di supereroe per lui. E Kyle aveva fede.
Batté il pugno sul petto a sua volta, per poi incontrare quello di suo zio.
- Quindi, volete dirmi il vostro piano? Ho letto abbastanza fumetti, rubati un po’ in giro, so che in queste situazioni c’è la spiegazione del piano, sennò perché mi troverei qui?
Qualcuno bussò alla porta.
- Oh, faremo di meglio. Devono essere Sur e Daisy, la scorta deve essere arrivata. Ora che ci sono anche loro, è arrivato finalmente il momento di togliermi un peso dallo stomaco e spiegarvi come e dove ho trovato questa armatura grandiosa – Cole ammiccò verso di Kyle, mentre si dirigeva verso la porta, per aprirla.
Aspettarono la disinfezione di Sur e Daisy, dopodiché Cole fece le dovute presentazioni e iniziò a rimuovere, pezzo dopo pezzo, la sua armatura, lasciando intravedere ciò che era diventato il suo corpo.
- Hancock
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