23. Il Punto Di Non Ritorno
Adamanta, Primaluce, Parco Giochi Comunale
Era
affascinante come Zack riuscisse a divertirsi semplicemente guardando sua
figlia giocare. Era una cosa che lo riempiva letteralmente di gioia. Il parco
giochi di Primaluce quel pomeriggio era gremito di bambini, in fila per salire
sullo scivolo e sull’altalena.
Stranamente,
Allegra e Leonard sorridevano l’uno all’altra, all’interno di un grande castello
di plastica, dal tappeto in gomma dura. Lui era il re, lei la regina.
“Oggi non
litigano” osservò Ryan, ormai abituato agli sguardi della gente. Sì, era il
Campione di Adamanta, e accanto a lui c’era il vecchio reggente del titolo.
“Strano,
infatti...”.
“Come stai?”
gli domandò poi il biondo. Due ragazzini si rincorrevano sorridenti mentre il
chiacchiericcio delle madri si univa al sottofondo fatto di grida fanciullesche
e risate e pianti di ginocchia sbucciate.
“Sono
stanco, Ryan”.
“Ti sta
crescendo la pancia” sorrise il Campione, e Zack lo emulò, divertito.
“Sto
abbassando il ritmo degli allenamenti, a dire il vero. Sono un padre di
famiglia, ora”.
“Sbagli a
pensarla così” rispose l’altro, incrociando le braccia.
“Lo so. È
che non ne ho voglia”.
Sorrisero
entrambi e si rimisero a camminare.
“In Lega,
invece? Le cose come vanno?” domandò Zack.
“Non so come
tu abbia fatto a far andare d’accordo per anni con quei quattro… Sono
tremendi…”.
“Lo so”
ridacchiò l’altro, abbassando gli occhi verdi in direzione del prato. Calciò un
ciottolo e sospirò. “Si conoscono da anni. Sono amici da tanto tempo”.
“Litigano in
continuazione…” si lamentò l’altro. “Non riesco a stare dietro a tutte le loro
richieste… Ginger, poi, guarda!” esclamò, trovando un complice immediato nel
sorriso affettuoso di Zack.
“La rossa…
Quanto mi manca…”.
“Ma perché
non ci vieni a trovare, qualche volta? Magari ci alleniamo un po’ assieme, che
ne so… anche con Kendrick, che tanto non dà fastidio…”.
“Ovviamente!
È muto!”.
“Una pace
tremenda, quando sono con lui. Fred e Ginger litigano in continuazione e
ultimamente Isabella è sempre a terra…”.
“Si avvicina
quel periodo dell’anno, Ryan” rispose prontamente l’ex Campione. Il biondo si
voltò, spostando lo sguardo ceruleo sull’interlocutore.
“Che
intendi? Non me ne ha mai parlato”.
“Sono
orfani. Lo sai, no?”.
L’altro fece
lentamente cenno di no.
“Io mi
fermavo spesso a parlare con loro, a dirti il vero” continuava Zack, sedendosi
su di una panchina e guardando sua figlia giocare. “Mangiavamo spesso assieme.
Loro non hanno nessuno, possiedono soltanto loro stessi, e una grande dignità.
I Superquattro di Adamanta sono eroi già per il fatto di essere arrivati così
in alto”.
Ryan si
accomodò accanto a lui, sospirando nuovamente. “Beh… Avrei voluto mi parlassi
prima di loro. Solo ora mi rendo effettivamente conto del fatto che conosco
davvero poco la gente con cui lavoro”.
“Complice il
fatto che superare le sfide con loro è davvero complicato, e tu vieni chiamato
soltanto quando qualcuno riesce a batterli…”.
“Il resto è
lavoro di rappresentanza e scartoffie. Tante scartoffie… Ma continua a raccontarmi
di loro”.
Zack annuì.
“Sì. Fred ha
veramente un grande cuore… Un uomo d’altri tempi, direi, con quella flemma nei
discorsi e…”.
“Papà!”
urlava Allegra, sorridente. Il vestito era macchiato di fango sull’orlo
inferiore e il frontino, abbinato alle scarpette, sporche a loro volta, faceva
fatica a restare sulla testa. “Papà, guardami come sono in alto!” urlava.
“Sì, brava!
Più in alto!”.
“No, niente
più in alto!” ribatté subito Ryan. “Ascolta le parole dello zio! Scendi di
qualche gradino e giocate sul prato!”.
Zack rise.
“Ti stai rammollendo, Livingstone…”.
“Se Lenny
tornasse a casa coi vestiti conciati in quel modo, Marianne mi farebbe dormire in
auto…”.
“Ah, no…
Rachel si è rassegnata al fatto che Allegra sia come me”.
“Selvaggia”
rise l’altro.
“Terribilmente”.
Lasciarono
entrambi sedimentare quel momento d’ilarità, poi tornarono entrambi seri.
“Che
dicevi?” continuò Ryan.
“Fred. Beh,
educato e riflessivo. Intelligente. Tremendamente innamorato di Ginger…”.
“E non so
come faccia, sinceramente…”.
Zack dondolò
leggermente la testa. “Lo capisco…”.
“Sì, è una
donna sensuale e tutto ma…lunatica e… troppo sveglia per i miei gusti…”.
“Hai
ragione. Ricorda tanto Blue, come tipo…”.
“Conosci
Blue?” chiese Ryan, sorpreso.
“Non
divaghiamo… Kendrick è quello che vedi. Uno che sta per i fatti suoi”.
“E lo adoro.
Il prossimo?”.
“Isabella.
Con lei avevo un rapporto particolare… Se dovessi darle un aggettivo credo che
sarebbe… polemica”.
“Si lamenta
in continuazione!” esplose Ryan, stringendo i pugni e guardando in alto.
“E non
dovrebbe?” sorrise quello.
Il silenzio scese
poi rapido, prima che le urla dei bambini riprendessero il proprio posto.
“Sono
cresciuti difendendosi dal mondo, con nessuno che li proteggesse. Solo loro
quattro, schiena contro schiena. In questo periodo dell’anno è morto il nonno
di Isabella. Subito dopo fu mandata all’orfanotrofio…”.
“Già... Mi
rendo conto che non li conosco come dovrei. Mi spiace molto”.
Ryan portò
la mano nei lunghi e fluenti capelli biondi e spostò il ciuffo dalla fronte.
Guardava suo figlio con attenzione, lasciava fluire dentro se tutti quei suoni,
quei rumori.
Ogni cosa. Aveva
imparato ad abbeverarsi di sensazioni uniche e spontanee, coltivate dalle altre
persone e lanciate in aria con leggerezza.
“Avrai modo
di rimediare, mi auguro. E dovrai fare altrettanto anche per i
Capipalestra...”.
Il biondo
sorrise e annuì.
“Odio il mio
lavoro”.
“Io invece
lo amavo. Anche perché avevo un assistente per le mie scartoffie”.
“Non mi fido
tanto degli altri, Zack. Finirei per rileggere le carte migliaia e migliaia di
volte... a quel punto, tanto vale che le compili da me...”.
Zack fece
spallucce, quando poi il cercapersone di suo cognato squillò. Lo staccò dalla
cintura e guardò il nome. “Kendrick...” sospirò, abbassando la testa.
Zack inarcò
le sopracciglia, poi incontrò lo sguardo ceruleo dell’uomo a metà strada.
“Non mi ha
mai chiamato, lui”.
L’altro fece
un cenno con la testa. “Anche perché non vedo cosa possa dirmi”.
E poi a Ryan
squillò anche il cellulare.
“Ed ecco Isabella...
Pronto?”.
Si alzò per
un attimo, allontanandosi dal vociare smodato di quei posti e lasciando da solo
Zack, coi suoi pensieri.
Guardava
Allegra che si divertiva, socializzava con gli altri bambini in maniera del
tutto naturale. E un po’ ringraziò il cielo che non somigliasse a sua madre, in
quello. La mente di Zack vagava per i cieli dei ricordi più felici della sua
intera esistenza, culminati in quella bambina esplosiva, col carattere del papà
e l’aspetto della madre.
Poi Ryan si
avvicinò velocemente a Zack.
“Non ho il
tempo di spiegarti nulla, la banca di Timea è sotto attacco! Riporta Lenny da
Marianne e dille di non preoccuparsi!”.
“Cosa?!”
fece poi l’ex Campione. “Poso loro e ti raggiungo immediatamente!”.
“Sei un
civile, Zack. E nonostante tu sia stato l’Allenatore più forte che mi sia mai trovato
davanti non posso rischiare che tu venga coinvolto in storie del genere. I
Superquattro stanno volando già verso la capitale”.
Il cognato
comprese e annuì. “Okay. Okay, va bene Ryan. Stai attento”.
“Anche voi”
fece.
*
Zack aveva
preso quasi immediatamente Allegra e Leonard per mano e si erano diretti verso
la casa del Campione, poco lontano dal parco. Lasciò le mani dei bambini
soltanto quando si trovò all’interno del cortile. Una strana aria
d’inquietudine stava cominciando a montargli dall’interno. Era preoccupato per
quello che stava succedendo ma non capiva per quale motivo tutta quella
situazione lo stesse turbando tanto. Appena si rese conto che fosse cominciato
nuovamente a nevicare alzò gli occhi verso l’abitazione, guardando le tende
celesti nascoste dalle finestre. La sagoma di Marianne appariva come un’ombra,
proprio dietro i vetri.
Lenny corse
a bussare il campanello, seguito subito da una più lenta Allegra, che intanto
canticchiava una canzoncina che aveva imparato a scuola.
Zack li
raggiunse poco prima che la donna aprisse la porta; la vide sorridergli
gioviale, riconoscendo in suo cognato un volto conosciuto. Fu poi la presenza
di suo figlio Leonard a mutare il suo volto, estirpando quel sorriso come fosse
erbaccia e sostituendolo con ansia e preoccupazione.
“Zack...”
sussultò. “Dov’è Ryan?”.
Zack abbassò
brevemente lo sguardo per poi rincontrare le iride chiare della donna, un
secondo più tardi. “C’è stata un’emergenza a Timea, sono coinvolti anche i
Superquattro. Eravamo al parco e mi ha chiesto di riportare Lenny qui”.
Il bambino
corse dentro casa, urlando e scherzando, totalmente ignaro della paura di sua
madre.
“È... è
successo qualcosa di grave?” chiese. Allungò poi le dita verso i capelli neri e
riccissimi e li tirò indietro, legandoli in una coda scomposta.
“Ha parlato
della banca di Timea, credo sia in atto qualche rapina, nulla di
pericolosissimo. Inoltre non è solo...”.
“Forse al
telegiornale stanno dicendo qualcosa di più” fece, prendendolo per mano e
tirandolo all’interno. Allegra lo seguì educatamente, muovendosi poi in
direzione di suo cugino.
Zack e
Marianne, invece, si accomodarono sul divano, aspettando che la televisione si
accendesse.
“Stai
tranquilla, andrà tutto bene”.
“Lo so, lui
è forte” rispose la donna, sintonizzandosi sul telegiornale.
“... sono appena arrivata sul posto,
qui è Tea di HChannel e posso confermare che è in atto una rapina alla Regional
Reserve di Adamanta, la banca centrale della regione! Il Campione e
Superquattro sono arrivati già da diversi minuti e tutte le forze dell’ordine
della città sono dispiegate sulle strade, coi fucili puntati. Nell’edificio
erano presenti numerosi civili, ora tenuti come ostaggi. I colpevoli sono stati
visti dai testimoni mentre indossavano delle divise bianche e dei passamontagna
grigi. Sulla fronte vi era stilizzata una omega. Speriamo vivamente che il
corpo della Lega Pokémon riesca a sbaragliarli”.
“Omega…”
sussurrò Zack. Il sangue nelle vene dell’uomo si congelò, poi il suo sguardo si
poggiò in quello di Marianne. “Rachel...” sospirò, alzandosi velocemente.
Guardò rapidamente a destra e a sinistra, non sapendo cosa stesse cercando.
“Zack,
calmati” fece la donna dalla pelle scura, brandendogli il braccio e vedendo le
pulsazioni sulle tempie aumentare il ritmo. “Stai iperventilando… cerca di
calmarti”.
“No!”
esclamò quello, col cuore che, impazzito, pareva volesse uscirgli dal petto.
“Devo andare da Rachel!”.
“Potrebbe...
potrebbe essere pericoloso, Zack. Aspetta Ryan”.
“Non c’è
tempo da perdere!” esclamò infine quello, alzandosi in piedi e lasciando la
casa di sua cognata. Allegra apparve dall’altra camera non appena sentì le urla
di suo padre e guardò la donna.
“Che è
successo, zia Marianne?” domandò, con la voce limpida e cristallina. “Dov’è
papà?”.
“È andato a
fare un servizio, Allegra. Ma ha detto che tornerà subito... quindi non
preoccuparti”.
Adamanta,
Primaluce, Casa Recket
Solo il
battito del cuore.
Rimbombava
nelle orecchie, lo sentiva nella testa e copriva ogni pensiero.
Zack era in
balia delle sue emozioni, strattonato dalla paura di poter perdere una delle
due cose più preziose che possedesse.
Omega. Bastò quella parola. Omega, come
l’Omega Team, che anni addietro aveva sgominato assieme a Rachel, prima che
diventasse sua moglie.
Prima che
diventasse la gioia della sua vita.
Prima che
gli donasse l’altra delle due cose più preziose che possedeva.
Volava a
tutta velocità sulle ali di Braviary, con l’aria che gli fendeva il viso e la
neve che scendeva lemme a congelarlo. Non sentiva più le mani ma non ci faceva
caso.
Contava i
secondi, vedeva la sua casa e pensava a quanto tutto quel casino sembrasse fin
troppo strano: Lionell era rimasto bloccato nel passato, con Timoteo, il
leggendario eroe della Battaglia del
Plenilunio. Lui stesso si era assicurato che le guardie del tempio lo
tenessero sempre a vista. Volava rapido, pensò alle torture che quell’uomo
aveva dovuto subire, e non ne sembrava dispiaciuto. Un individuo capace di
uccidere sua figlia si meritava ben altro.
Rifletteva,
tra un battito del cuore e l’altro, col sangue che correva veloce nelle arterie
e il cuore che a stento riusciva a farlo defluire abbastanza rapidamente. Nella
mente viaggiavano come missili i ricordi, e tutti i momenti più felici della
loro esistenza si fissarono dritti davanti ai suoi occhi.
Non aveva
dimenticato quanto Rachel fosse speciale per quel mondo.
Si sentiva
il suo guardiano, e aveva paura di aver fallito nel suo ruolo.
Intanto
ragionava. Il volto di sua moglie veniva sostituito da quello di sua figlia; la
prima era l’oracolo, non doveva dimenticarlo, e la seconda era possedeva il
cristallo.
Doveva
proteggerle entrambe, ma le piume di Braviary si stavano riempiendo di neve,
quel mattino, e la paura non gli faceva più battere le palpebre.
“PORCA
PUTTANA!” urlò, mentre la sua voce si perdeva tra le nuvole. Pensò al fatto che
però nessuno sapesse che Allegra fosse il cristallo; ove mai Lionell fosse in
qualche modo riuscito a tornare indietro al suo tempo, sarebbe andato ancora
alla ricerca di Rachel.
Era un
piccolo vantaggio strategico. La cosa però non lo calmava.
Quando
Braviary atterrò, Zack non aspettò neppure che quello poggiasse le zampe
sull’erba bruciata del giardino; si lanciò, ruzzolò sulla neve fresca, si
rialzò e prese a correre, inciampando e finendo nuovamente per terra.
Riprese
forza e coraggio, si risollevò e guardò la porta di casa sua.
Era
spalancata.
“NO!” urlò,
con le lacrime agli occhi.
Corse in avanti,
calciò la porta e la spalancò, venendo assalito da quell’insolita quiete.
Tutt’intorno nulla si muoveva. Le luci erano spente.
L’odore di
quel luogo era sempre lo stesso. Il silenzio gli stava bucando il cervello.
“Rachel!”
fece, allungando gli occhi verso la cucina, vuota. Corse poi verso il bagno,
dove la luce era accesa. Sua moglie, però, non era neppure lì.
“Il piano di
sopra! Rachel!” continuò, voltandosi e salendo i gradini a due a due,
spalancando velocemente la camera che utilizzava dove dipingeva e rimanendo
scioccato: la tela che stava dipingendo era stata completata solo a metà,
mentre sui pavimenti e sulle pareti vi erano manate di vernice e sangue, segno
che quella avesse lottato per non essere presa dai banditi.
La tavolozza
era rotta, le vernici tutte riverse sul pavimento.
E il
pennello, quello che stava usando, era caduto sotto il piccolo sgabello che di
solito utilizzava.
Zack si era
appena reso conto del fatto che Rachel, moglie, donna e oracolo di Arceus, non
fosse più a casa sua. Si era reso conto di averla lasciata sola in casa,
esponendola a quel rischio che alla fine si era rivelata una certezza: l’Omega
Group non era morto e aveva rapito la sua donna.
Il cuore
batteva all’impazzata.
Le lacrime
non riuscivano più a fermarsi.
Il volto di
sua moglie risaltò ai suoi occhi ma per un istante, per un piccolo attimo, fu
quello di un’altra donna a sostituirlo: quello di Emily White.
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