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TSR - Quarto Interludio




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Quarto Interludio

- Adamanta, Piedi del Monte Trave, Accampamento degli Ingiusti
 1000 anni prima -


Quando il bagliore del teletrasporto si dissolse i loro occhi soffrivano ancora per via della grossa luminosità azzurra.
Timoteo non adorava quelle situazioni: aveva come l’impressione che ogni molecola del suo corpo si disgregasse e si riaccorpasse alle altre sul luogo d’arrivo.
Forse Prima era abituata; del resto Abra era di sua proprietà.
Arrivarono poco fuori la porta dell’accampamento dei Templari, impauriti e stanchi ma tuttavia pieni d’adrenalina in corpo.
Due vedette s’allarmarono nel vedere l’avvento di quelle due nuove figure ancora avvolte dalla luce azzurra, motivo per cui una di quelle scagliò rapida una freccia, che s’incastrò nello scudo dell’uomo.
Dal canto suo, Timoteo sapeva benissimo che quegli uomini erano addestrati a reagire al minimo movimento, motivo per cui aveva tirato a sé Prima e l’aveva protetta col grosso scudo.
“È il Capo!” aveva urlato qualcuno. “È Timoteo! Non scoccate!”.
Non appena sentite quelle parole, il Templare alzò la mostrò la testa, rivelando la figura dell’Oracolo stretta al suo petto.
“Non scoccate!” urlò, trascinandola lontana dal centro dell’accampamento. “E preparatevi a combattere! Adamo sta per disporre le guarnigioni!”.
La tensione era palpabile.
“Questa sarà una lunga notte...” sospirò lui.
Videro decine di soldati accorrere al centro dell’accampamento, mentre le trombe suonavano per svegliare gli uomini che ancora dormivano.
Marcello s’affrettò verso di lui, trapelato.
“Timoteo! Che succede?!” esclamò.
“Dobbiamo prepararci alla battaglia, Marcello. Tra poco comincerà la battaglia. La disposizione delle truppe sarà quella che gli strateghi Elmo e Callisto hanno preparato durante la notte scorsa: voglio degli arcieri sulla cima della montagna e della postazioni contrasta-draghi in volo sul tempio”.
“Dobbiamo quindi dividere l’esercito in due guarnigioni”.
“Io e te gestiremo l’assalto della fanteria avversaria” aveva detto Timoteo, camminando al riparo nella tenda dove il capo dei Templari studiava i piani. “Mentre dovremmo liberare i nostri Pokémon addestrati nei boschi, per eventuali attacchi laterali”.
“Ma come fronteggeremo i Pokémon degli avversari, se i nostri sono nei boschi?”.
Timoteo abbassò il volto.
“Moriranno delle persone, stanotte. Voglio che tu sia sicuro di te stesso. Voglio che tu stia accanto”.
Marcello puntò i grandi occhi azzurri in quelli dell’amico di sempre, per poi annuire.
“Sempre con te. Sei mio fratello”.
“Anche tu” sorrise l’altro. Si voltarono poi verso Prima. “E tu devi tornare al tempio”.
La donna spalancò gli occhi. Sapeva più di quel che avrebbe dovuto.
“Timo... io... io vorrei che tu mi seguissi...”.
L’uomo afferrò la mano dell’Oracolo e sospirò.
“Prima... Ho una battaglia da combattere...”
La donna spalancò i grossi occhi azzurri, sentendo una grossa carica d’angoscia serpeggiare nel proprio animo.
“No, Timoteo! Ti prego, devi venire con me! Per un attimo, solo un attimo... ma vieni con me...”.
E quella disperazione fece preoccupare il Templare. Non aveva mai visto la donna in quel modo.
“Io...” abbassò il volto. “Io non posso lasciare i miei uomini da soli, senza una guida”.
E fu solo istinto.
“Abra!” urlò Prima, e il Pokémon li teletrasportò sul Monte Trave, nel tempio. Erano all’interno delle camere private dell’Oracolo.
Timoteo si guardò rapidamente intorno, impanicato, mentre due fiaccole accese coloravano d’arancione il suo viso.
“Cazzo, Prima! Avevo detto che non potevo lasciare l’accampamento!”.
E fu allora che Prima si lasciò andare al pianto. Timoteo non sapeva come reagire, a quella scena; le lacrime cadevano veloci dai suoi grandi occhi e scivolavano sulle guance diafane della bella. I lunghi capelli neri venivano spostati dal vento, che entrava dalla finestra spalancata. Il freddo era pungente ma nel cielo i colori dell’alba erano ancora lontani
Le si avvicinò, prendendole le mani e pensando che fosse un fiore troppo delicato per stare in quel campo minato.
“Scusami. Calmati...” disse, meno ruvido.
“Morirai, se stanotte scenderai in battaglia...”.
Quelle parole furono un fulmine a ciel sereno. Timoteo capì che la sua posizione le consentiva anche di vedere brandelli di futuro.
“Hai... hai visto la mia morte?”.
“Morirai bruciato vivo” replicò quella, abbassando il volto.
Il cuore di Timoteo batteva proprio come quello di Prima, in quel momento; entrambi avevano paura.
“Fuoco?” sorrise poi l’altro, con una genuinità che aveva dimenticato in un vecchio baule.
Prima strinse le mani dell’uomo, affondandogli il viso nel collo.
“Ti prego...” piangeva, cingendogli poi le braccia attorno al collo. Lo strinse con vigore, e anche lui fece lo stesso, carezzandole la nuca. Il suo corpo, esile e sottile, aderiva all’armatura candida dell’uomo.
Prima riconobbe a se stessa che le mancava il contatto con la pelle di quell’uomo, come quand’erano ragazzini, ma senza la malizia che c’era tra un uomo e una donna maturi.
“Prima...” sospirò lui, baciandole la fronte. “Devo andare. Non posso lasciare da soli i miei uomini”.
“Se scenderai giù da questa montagna lascerai me, da sola”.
Timoteo si staccò e la guardò negli occhi. Lei era bellissima, nonostante le lacrime che le imperlavano il volto.
“Tu non sei sola. Io sarò sempre con te”.
“Non è vero!” esclamò l’altra. “Morirai! E non troverò ma più un uomo con l’animo limpido come il tuo! Scappiamo via, andiamo lontano e scrolliamoci da dosso tutti i nostri pesi! Io ti amo!” fece poi, guardandolo negli occhi.
Era la prima volta che lei gli parlava in quel modo. Timoteo chiuse gli occhi lentamente, e nello stesso modo li riaprì.
“Anche io ti amo, Prima” sospirò lui. E lei capì le sue intenzioni dall’espressione smunta che aveva sul volto, ormai rassegnatosi a perdere la vita.
“Andrai a combattere, vero?” chiedeva quella, senza riuscire a smettere di piangere.
“Ma ti garantirò che, se davvero la tua visione è giusta... se davvero morirò bruciato vivo... Beh, sarai il mio ultimo pensiero” sorrise stoico quello. Le carezzò il viso, le guance avvamparono violentemente. Anche lei lo imitò, e le sue dita piccole e affusolate carezzarono la barba castana sulle gote solide.
Ormai piangevano entrambi, lei disperata e lui rassegnato e col sorriso sulle labbra.
“Timo... Ti prego...”.
Le lacrime le laceravano il viso, calde, bollenti.
Per una volta nella sua pesantissima vita, Prima aveva desiderato la felicità; avrebbe voluto vedersi madre, donna. Desiderava vedere il mare, dato che non c’era mai riuscita, e desiderava farlo con quell’uomo bellissimo che amava.
Desiderava fare l’amore con lui.
Ma ormai era tutto inutile.
Timoteo fece un passo indietro, e la mano di Prima scivolò lontana dal suo viso. Tuttavia afferrò il polso del guerriero, fermandolo.
Gli occhi dell’uomo diventarono seri, all’improvviso. Vedeva per la prima volta quella donna che segretamente aveva amato per tutta la vita dichiarare il proprio amore per lei.
Ma per proteggerla avrebbe tranquillamente rischiato la propria vita.
Aveva ormai deciso il proprio futuro.
E nel suo futuro Prima non c’era.
“Devo andare” fece, e la sua voce rimbombò nelle camere dell’Oracolo.
Prima lo tirò di nuovo a sé, e sospirò. Passò poi la mano tra i suoi  capelli e tirò la testa in basso, incontrandolo a metà strada per un bacio colmo di passione e dolore.
Il loro primo bacio era stato un ultimo bacio.
E Timoteo sentì gli angeli cantare il suo nome, benedirlo per un’ultima volta, dopo mille battaglie passate a pregare Arceus. Prima slacciò poi le cinghie dell’armatura di Timoteo, smontandogliela dalle spalle. Timoteo la vide inginocchiarsi davanti a lui, liberando le protezioni alle gambe e scivolando poi alle spalle del cavaliere, aprendogli la cotta.
Lui ne scivolò fuori, nudo e sudato.
Prima non aveva mai visto un uomo senza vesti. Meno ancora si sarebbe sognata di vedere l’uomo che amava nudo, davanti a lei.
Lei era la vergine sacra.
Lei non poteva pensare agli uomini.
Si avvicinò al suo corpo, carezzando quel torace muscoloso e pieno di vecchie ferite. Lo guardava incuriosita, carezzava quelle cicatrici profonde e nerastre, analizzandole con interesse.
Il corpo di Prima non aveva alcuna cicatrice.
S’allungò sulle punte, poggiando il corpo sul suo e sentendo il suo sesso contro il fianco. Lo baciò nuovamente.
“Prima...” sussurrò lui.
“Zitto” ribatté quella. Lo baciò ancora, poi lo prese per mano e scese nella grossa vasca, con ancora indosso la veste candida.
“È fredda...” fece lui, affondando una gamba alla volta all’interno di quell’impluvio.
“Tranquillo” rispose quella, sorridente nonostante le lacrime ancora vive sul volto.
Sfilò prima il braccio destro e poi il sinistro, lasciando che la veste scivolasse in basso, gonfiandosi prima di affondare. Timoteo fisso le carni candide della donna, sorridendo per quella bellezza.
“Ti amo” ripeté lei, facendolo sedere. Quello ascoltava le parole della donna e veniva rapito dai suoi baci, rabbrividendo quando toccò il fondale e l’acqua gli baciò la schiena.
“È fredda” ripeté lui, vedendola avvicinarsi a lui e sovrastarlo. Lentamente entrò in lei.
“Tranquillo” gli sussurrò all’orecchio Prima.
E fecero l’amore.

Fu qualcosa di unico e trascendentale, la giusta unione di desideri reconditi e famelici condivisi da entrambi. Infanzia assieme, bocconi poveri di felicità, l’uno fu costretto a correre dietro le alte aspirazioni che all’altra vennero caricate addosso.
Prima lo sapeva che tutte quelle cicatrici sul corpo di Timoteo erano state ferite sanguinolente, precedentemente. E sapeva pure che quelle ferite avevano fatto male.
Lui l’amava, lo sentiva nel cuore, e il fatto che avesse imbracciato il gladio assai giovane fu la diretta conseguenza del viaggio di Prima verso Timea, sulla cima del Monte Trave.
Timoteo l’aveva seguita e aveva imparato a lottare come un leone. Quelle ferite, quelle cicatrici, il Templare le aveva subite soltanto per poter stare più vicino a lei.
E quella notte, quella notte con la luna piena, entrambi avevano rivalutato il proprio passato per trasformarlo in un presente che non sarebbe mai sfociato in un futuro concreto.
La parola d’ordine era diventata “ORA”, e nonostante il peso del gladio sulla coscienza dell’eroe, nonostante l’onta del Cristallo della Luce a gravare sulla testa corvina di Prima, entrambi avevano deciso di ritornare per un attimo loro stessi.
Per un attimo d’infinito, che entrambi avrebbero condiviso fino alla morte, in qualunque momento essa fosse arrivata.

Quando la magia svanì rimasero due corpi nudi e febbricitanti, stretti in un abbraccio stanco ma ostinato.
“Potremmo fuggire e andare via, ma non lo faresti mai” sussurrò lei, con la testa poggiata sulla spalla di Timoteo. “Hai un orgoglio, sei un Templare. Sei un esempio da seguire per quei giovani soldati... Non rimarresti mai”.
Le mani dell’uomo erano strette attorno alla schiena nuda della bella. Si limitò soltanto ad annuire.
“Ci conosciamo da tanto... e durante tutto questo tempo mi hai regalato delle emozioni bellissime. Ma mi conosci e sai molto bene che quegli uomini, quei miei fratelli, combattono per te e per Arceus”.
“Lo so. Mi hai protetta, per tutti questi anni. E oggi mi hai donato l’amore”.
“Anche tu” sorrise lui. “Ma ora devo andare”.
Prima lo vide sollevarsi in piedi, con l’acqua che grondava dal corpo che l’aveva amata in quell’ora così flebile. Uscì dall’impluvio e s’asciugò.
Poi indossò la cotta e strinse le cinghie dell’armatura, prima sulle braccia e poi sulle gambe.
Infine vide Prima avvolgersi in un telo lungo e bianco. Le si avvicinò e si scambiarono un altro paio di caldi baci.
“Ciao” le disse.
“Ti amo”.
“Ti amo”.
Prima abbassò lo sguardo e sospirò, poggiando la mano sulla grossa croce bianca stampata sull’armatura, proprio sul petto dell’uomo.
“Non dimenticarti mai di me” le disse il Templare.
Non lo farò mai” cominciò nuovamente a piangere Prima.
Altro bacio e poi via, si voltò e impugnò il gladio. Quando uscì dalla stanza incrociò lo sguardo di Olimpia, che subito dopo si stagliò contro la figura di Prima, nuda, avvolta soltanto in un asciugamano.

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