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TSR - 27 - Qualcuno si domanda perché qua c'è più sangue che in un racconto di Bram Stoker



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27. Qualcuno si domanda perché qua c'è più sangue che in un racconto di Bram Stoker
 
- Adamanta, Primaluce, Casa di Ryan e Marianne –
 

Fu quasi un sollievo sentire la serratura chiudersi alle sue spalle.
Marianne legò i capelli, ricci e voluminosi, con un codino che portava quasi sempre al polso, quindi lasciò che i Pokémon uscissero dalle sfere.
Il grande Seviper quasi riempiva del tutto il breve ballatoio che dava al piano inferiore.
Lì c’erano quegli uomini in divisa, che rovistavano in tutte le stanze in cerca di Allegra.
Lei non era lì, Marianne lo avrebbe urlato a gran voce se solo fosse servito a liberare i propri cari da quella situazione; invece sarebbe servito solo a farsi localizzare e la cosa la caricava di paura, dato che avrebbe potuto mettere a rischio la vita di suo figlio.
Avrebbe voluto che Ryan si trovasse lì, in quel momento.
Invece era costretta a fare tutto da sola.
“Scendi e attacca tutto ciò che si muove” ordinò, silenziosamente. Octillery era ancora nella sfera, stretta saldamente tra le sue mani. Tuttavia nella sua mente qualcosa era cambiato: s’era resa conto che, quando aveva ordinato al suo Seviper di muoversi, gli aveva volutamente dato l’ordine di ammazzare i suoi nemici.
Il grosso Pokémon Velenoserpescese al piano inferiore rapidamente, seguito dalla sua Allenatrice, che lo vide scattare come una molla contro il primo elemento che balzò ai suoi occhi; usciva dalla stanza di suo figlio Leonard e la cosa la riempì di rabbia.
Si sentiva quasi violentata, e vedere quella gente violare l’intimità della sua casa con l’arroganza e la prepotenza tipici dell’Omega Group la fece soltanto più arrabbiare.
Velenocoda!” urlò, prendendolo di sorpresa. Quello si voltò rapido, con lo sguardo nascosto dalla mascherina di protezione. Marianne guardò l’uomo nelle nuova divise bianche, portare invano la mano alla cintura nel tentativo di prendere una Pokéball, ma Seviper fu più veloce, sferrando l’attacco dritto sul suo petto, squarciandolo.
Stava sporcando il suo parquet di sangue.
L’urlo dell’uomo attirò gli altri sgherri e Marianne pensò che fosse meglio mettere in campo l’elemento migliore della sua squadra, lasciando che apparisse su di una parete.
Octillery infatti, tramite le sue ventose, aderì alle spalle degli avversari, ignari.
“Attaccate!” urlò Marianne, gettandosi nello scontro.
Spinse indietro uno di quelli mentre gli altri prendevano le Pokéball, col cuore che gli batteva forte e la gola che lentamente si seccava. Nonostante il caos che aveva attorno, l’addestramento Omega che aveva ricevuto quando era una recluta le era servito, e quindi riusciva a vedere i pericoli in maniera più lucida, più chiara, assumendo velocemente il controllo di una controffensiva.
Fece di più: lasciò che Octillery uscisse indisturbato alle spalle di quelli, mentre Seviper attaccava con veemenza il Bayleef di qualcuno.
“Non permettiamo loro di passare, Seviper!” aveva urlato Marianne, puntando il dito contro il Pokémon avversario. Il grosso serpente sferrò un attacco Velenocoda veemente ed efficace, colpendo il Pokémon alla zampa anteriore destra.
Seviper, tuttavia, non si limitò a iniettare il veleno, ma inferse un fendente alla gamba del Pokémon, con la coda tossica che si andò a piantare in profondità nella rotula del Pokémon. Il sangue schizzò ovunque e macchiò le tute mimetiche del suo Allenatore, che rimase sconvolto dall’aggressività di quella donna.
“Puttana!” aveva urlato lui, gettandosi a capofitto in uno scontro corpo a corpo. Quel mercenario, parecchio più alto e grosso della minutissima Marianne, continuava a caricarsi di meraviglia quando, non appena allungò le mani verso di lei, quella lo colpì con un calcio dritto sul collo.
Quello ricadde a terra, schiacciando la coda del grande Arbok che in quel momento fronteggiava Seviper. Intanto gli altri sgherri avevano mandato in campo i propri Pokémon, rispettivamente un Cacturne, un Infernape e tre Raticate.
Sei avversari e solo due Pokémon, pensò, vedendo i denti di Arbok affondare nel collo di Seviper.
“Dannazione!” esclamò poi, gettandosi in quello scontro tra rettili e saltando al collo di Arbok, allontanandolo di poco da Seviper, che ebbe il tempo di voltarsi.
Atterrò ai piedi di uno degli avversari, che non perse tempo e la colpì con un grosso calcio nello stomaco.
Dolore.
Si rannicchiò su se stessa, prima che un altro calcio le impattasse contro la spalla.
I capelli erano davanti agli occhi ma percepì perfettamente gli occhi di Arbok su di lei; era pronto ad attaccarlo con Velenodenti, e quando spalancò le fauci, poco prima di spingersi sul suo corpo inerme, un rumore sordo, come un’esplosione, riempì il corridoio del primo piano, e sugli occhi di Arbok si schiantò una bomba d’inchiostro nero.
Marianne si voltò, incredula, vedendo Octillery avviluppato attorno al collo di una di quelle reclute. Le ventose dei suoi tentacoli avevano totalmente strappato dal suo volto la maschera protettiva e la mascherina per la respirazione di uno di quei mercenari, mostrando a tutti il volto cianotico, destinato ormai a essere indossato da un corpo senza vita.
“Raticate!” urlò qualcuno. “Iperzanna sui suoi tentacoli!”.
La lotta si stava facendo sempre più aspra, con Seviper che aveva attaccato direttamente uno di quegli allenatori con Velenodenti, affondando le fauci sulla spalla e strattonando velocemente e con conseguente violenza.
Strappò un grosso pezzo di carne, e il sangue si riversò sul pavimento, caldo e rosso com’era, schizzando sul volto di Marianne.
Si rimise in piedi con difficoltà, con le spalle al muro. Ebbe la prontezza di voltarsi verso il suo Pokémon d’acqua, al quale fu tranciato di netto un tentacolo, consentendo all’uomo che aveva preso di mira.
No, non l’aveva ucciso, non ancora.
Raticate stava davanti a lui, col tentacolo che ancora si muoveva, come se fosse vittima di spasmi, e le ventose che si attaccavano sul corpo del grosso Pokémon ratto.
“Octillery, starai bene! Attacca con Idropompa!”.
Il polpo eseguì, sbalzando il grosso Pokémon contro la porta della camera da letto dei padroni di casa.
Marianne afferrò un quadretto appeso al muro e lo lanciò contro un altro di quei Raticate, intento ad attaccare Octillery, mentre il grosso Infernape lottava fisicamente contro il Seviper che lo aveva liberato dall’Allenatore.
Il grosso rettile s’avviluppò attorno al primate, che però aumentò il calore corporeo e fece in modo che la costrizione terminasse anzitempo.
Marianne tornò a guardare il Raticate che aveva colpito, e intanto due reclute s’avvicinarono a lei: una la spinse contro il muro, un’altra provò a colpirla con un grosso pugno al volto, non riuscendoci: Marianne s’abbassò di scatto, guardando con un occhio Raticate, che stava raggiungendo i due sgherri e con un altro quello sbilanciato per il colpo andato a vuoto, che poi colpì al petto. Quello indietreggiò, scivolando sul sangue vischioso che impiastricciava il pavimento. Ricadde sulla schiena, vittima infine d’un Seviper agguerrito, che affondò le zanne nel suo collo, abbassando il contatore d’un’unità.
Si svincolò dall’altro ma intanto il Cacturne, rimasto sempre sullo sfondo, cominciò ad attaccarla personalmente con Missilspillo, e gli aculei colpivano con così tanta velocità da non riuscire a darle l’opportunità di capire cosa succedesse prima di qualche secondo.
E bruciavano.
Lei urlava. Urlava forte, e quel Raticate s’avvicinava sempre di più.

“Marianne!” urlava Alma, mentre tre sgherri fronteggiavano Thomas. La donna era nascosta dietro il tavolo ribaltato, poggiando la testa su quella di suo figlio Manuel, che intanto piangeva a squarciagola, rendendo anche a suo padre difficile concentrarsi.
In quel momento, l’adrenalina nel suo corpo aveva raggiunto un livello incredibile.
Un Raticate era stato velocemente messo al tappeto e Pangoro stava prendendo a pugni uno degli Allenatori, col sangue che schizzava ovunque.
“Serperior, sono due ma tu sei più forte!” aveva urlato Thomas, vedendo di fronte a sé un Blastoise e un Feraligatr.
“Pangoro” continuò. “Occupati di loro che ai Pokémon ci pensiamo io e Serperior” disse, abbassandosi sulle ginocchia.
Vide entrambi gli avversari attaccare con mosse di tipo ghiaccio ma Serperior era veloce e strisciò contro la parete, facendo cadere il grosso televisore per terra. Il Blastoise puntò i grossi cannoni sulla Serperior dell’uomo e sparò con forza, riuscendo a colpirlo, facendolo ruzzolare per terra.
Ebbe difficoltà a capire quanto sarebbe successo dopo, Thomas, guardando poi Feraligatr gettarsi a perdifiato con le fauci già congelate.
“No! Gelodenti!”.
Serperior non ebbe neppure il tempo di vederlo arrivare che fu azzannato sul lungo corpo; emise un urlo sinistrissimo, ricco di dolore, così reale che la stessa Alma, virtualmente nascosta dietro quel tavolo, riusciva a provare la stessa pena.
“Serperior!”.
“Tom! Stai bene?!”.
“Dov’è la bambina?!” chiese uno di quei due, che fronteggiava corpo a corpo il grosso Pangoro.
“Non è qui! Lasciateci in pace!” aveva urlato Alma, coi capelli spettinati sulla fronte. Manuel però piangeva e i mercenari, che non conoscevano il volto né l’età di Allegra, sentivano un bambino urlare.
“E chi starebbe piangendo?!” chiese poi l’altro, prima che Pangoro desse un grosso pugno e mettesse fuori combattimento l’altro sgherro.
“È mio figlio, non quello di Zack! Andate via!”.
“Feraligatr, usa Bora!” urlò quello.
Thomas spalancò gli occhi. Quella mossa avrebbe congelato totalmente il salotto di Ryan e colpito con ogni probabilità Serperior.
Doveva limitare i danni per il suo Pokémon e annullarli totalmente per sua moglie e sua figlio.
Sapeva che avrebbe rischiato ma doveva fermarlo, ed era in minoranza.
“Pangoro, Megapugno su Feraligatr!”.
E così il grosso Pokémon si voltò e colpì il grosso alligatore azzurro con un forte pugno alla schiena, schiantandolo immediatamente.
Tuttavia dette il fianco a Blastoise, che a sua volta utilizzò la mossa Breccia su Pangoro, colpendolo con particolare violenza. Il sorriso dello sgherro s’allargò sul suo viso.
“Alma! Stai giù!” urlò ancora Tom. Si voltò, guardò che la testa della sua donna non fosse allo scoperto. Serperior, Verdebufera!” urlò poi, voltandosi di spalle e aspettando che il suo Pokémon facesse la magia.
Vento e foglie, terreno, liane, tutto fu prodotto dal mantello di verde natura che avvolgeva le spire del grosso rettile di tipo erba, si gettarono taglienti contro Blastoise e Feraligatr, tuttavia solo il secondo ne fu colpito in maniera massiccia, accasciandosi per terra fuori combattimento; difatti, Blastoise ritrasse arti e capo all’interno del grosso guscio.
Thomas guardò impanicato la scena. La porta era alle spalle del grosso Pokémon e non sarebbe potuto fuggire da nessun’altra parte. Doveva portare la sua “Dannazione! Alma, come stai?!”.
Manuel piangeva forte ma la donna non rispondeva.
“Alma!” ripeté, sentendo soltanto suo figlio.
“Tom... Tom, sto bene...” disse quella.
“Che succede?!” si voltò quello, perdendo la concezione di dove fosse in quel momento; il mercenario colse la palla al balzo e sorrise, avanzando e colpendo Thomas al collo.
Quello ricadde per terra, tramortito.
Alma spalancò i grossi occhi verdi non appena sentì l’urlo di suo marito. Alzò di poco la testa e vide quel grosso omaccione che si avvicinava. Il cuore prese a battere ancora più forte.
Non avrebbe permesso a nessuno di prendere suo figlio.
Guardò poi Gardevoir, alla sua destra, in attesa di un ordino, quindi rialzò gli occhi verso la minaccia.
“Alma... ti chiami così...” disse quello con la mimetica bianca, con la grossa voce gutturale. “Che bel nome. E lui è Manuel? Sicuro che non si chiami Allegra?”.
Il volto di quell’uomo era coperto da una grossa maschera antigas. Il suo sguardo era celato da grossi occhialoni da snowboard, ottimi per la rifrazione della luce. I suoi occhi non si vedevano e il suo respiro era pesante.
“Vai via...” disse quella, inginocchiandosi e indietreggiando lentamente. Ai piedi dell’uomo vi era Thomas, totalmente tramortito dal colpo. Lo vide avanzare ancora, portandosi a pochi metri da lei.
Alma s’alzò in piedi, con le gambe che tremavano e Manuel stretto forte al petto. L’odore dei suoi capelli era dolce. Si morse le labbra, continuando a indietreggiare; sentiva il cuore battere forte nel petto.
“Ti... ti prego... mio figlio è ancora piccolo e non è lui... non è lui che cercate...” fece. Le lacrime scesero qualche secondo dopo, automaticamente.
Lo sgherro alzò il grosso tavolo e lo sbatté contro il muro, con violenza. Manuel aumentò ancor di più il volume delle sue urla.
“Voglio quel bambino” disse lui.
“Mai” pianse Alma. Spostò la treccia dalla spalla e strinse ancor più forte il bimbo al seno. “Non ti darò mai mio figlio”.
“Evitiamo inutili spargimenti di sangue” sorrise quello. “O vuoi che tuo marito finisca adesso di preoccuparsi per te...”.
La rabbia salì così velocemente alla testa della donna che cacciò velocemente gli artigli, urlando più forte di suo figlio. “Tu non farai nulla!”.
Fu allora che il mercenario smontò la maschera e gli occhiali, mostrando il volto sorridente e sornione. Aveva occhi azzurri piccoli e sottili, come fessure, naso aquilino e una folta barba rossa.
Prese parola: “Potrei davvero ucciderti ora, Alma”.
“Non ucciderai nessuno! Devi andartene via!”.
“Oppure, prima di ucciderti potrei legare tuo marito e costringerlo a guardarti mentre faccio sesso con la sua mogliettina. Che ne pensi?” sorrise ancora.
Alma rabbrividì.
“Hai un bel culetto. E ho il cazzo duro al sol pensiero...” sorrise ancora.
“Mi fai schifo!”.
La voce della donna rimbombò all’interno della stanza. Serperior alzò sfatta il capo, prima di ricadere stremata per terra, accanto al corpo di Thomas.
Solo quello sgherro, il suo Blastoise e quella coppia di madre e figlio in lacrime animavano il salotto del Campione di Adamanta.
“Oppure vuoi guardarmi fottere tuo marito?” sorrise ancora, lui. “Potrei spogliarlo e infilargli tutto il mio bastone su per il culo” fece, allargando la smorfia in volto e cominciando a ridere di gusto. Guardava il viso sconvolto di Alma, sentiva l’odore della distruzione e del sangue, e il suo istinto gli gridava di continuare a distruggere.
Voleva quel bambino e se lo sarebbe preso.
Mosse un rapido passo in avanti e fu quello il momento in cui Alma si ricordò d’avere accanto un Pokémon potentissimo.
Distortozona!” urlò poi, vedendo Gardevoir muovere gli arti superiori ed emettere quel canto melodioso e armonico, prima che una luce azzurra avvolgesse tutto e cambiasse totalmente la gravità della stanza.
Tutto il peso venne spostato verso la parete di destra.
Essendone a conoscenza, Alma strinse forte suo figlio e incastrò il proprio corpo davanti al bancone da cucina, mentre l’avversario, non conoscendo gli effetti della mossa, si schiantò contro la parete, schiacciato poi dal suo guscio del suo stesso Blastoise.
La Pokéball del Pokémon rotolò lentamente di lato, accanto ai quadri, dove il sangue scorreva rubino in rivoli lucidi.
Gli occhi di Alma si spalancarono: aveva appena ucciso un uomo.
“B-basta! Basta, Gardevoir!” urlò, e vide il suo Pokémon ripristinare la normale gravità. Thomas rotolò sul lato, accanto a Serperior.
Corse verso la sfera del Blastoise e lo fece rientrare nella sfera, rompendo poi il dispositivo d’apertura, sbattendola contro il marmo del bancone.
Piangeva e stringeva Manuel, Alma, gettandosi su suo marito, ancora per terra.
Respirava.

Fu Seviper a mettersi di mezzo, quasi immediatamente, colpendo con la coda velenosa quel Raticate selvaggio pronto a colpire con forza Marianne.
Lei, dal canto suo, era rannicchiata, dolorante per le spine urticanti lanciate dal Cacturne avversario.
Raticate ruzzolò indietro di un paio di metri e Octillery gli si avvinghiò attorno, spezzandogli poco dopo la colonna vertebrale.
“Quel maledetto Cacturne, Seviper! Distruggilo! E Octillery, rimani qui accanto a me!”.
Al grande rettile non servì molto tempo per sputare una grande dose di acido corrosivo sul suo avversario, ma il vero problema venne quando l’Infernape che aveva davanti alimentò la grossa fiamma che aveva sul capo.
“Attaccalo, Octilllery! Usa Idrondata!”.
Erano rimasti tre avversari e un solo Pokémon da fronteggiare.
“Che diamine pensi di fare?! Ti ucciderai con le tue stesse mani!” urlava uno di quelli.
“Dovete lasciare stare me e la mia famiglia!” urlava Marianne, piangendo lacrime disperate. “Abbandonate la mia casa!”.
Octillery Emise un forte getto d’acqua, e una recluta, una giovane recluta dell’Omega Team, riuscì a evitare l’attacco, ruzzolando indietro e poi salendo inosservato la scala che portava alla mansarda.
In basso la lotta infuriava ancora, mentre lui, mosso dalla curiosità e dal senso del dovere, decise di continuare a salire la scalinata.
E si ritrovò davanti a una porta chiusa a chiave.
Respirava, all’interno della grossa maschera antigas, pensando al fatto che dietro quella porta si sarebbe potuta nascondere Allegra Recket, il loro obiettivo.
La mano, infilata nel guanto dal grip gommato, si poggiò sulla maniglia e l’abbassò, cercando di entrare.
Ma era chiusa a chiave.
Spalancò gli occhi. Cercò di levarsi ogni dubbio, abbassandosi e vedendo che, all’interno della toppa, dall’altra parte della stanza, la chiave fosse nella serratura.
E questo significava che la porta fosse chiusa dall’interno.
Cacciò uno strumento dal proprio cinturone, una sorta di coltellino svizzero ergonomico, molto pratico, dato in dotazione a tutti gli agenti dell’Omega Group.
“Mamma?” chiese poi qualcuno dall’altra parte della porta. Gli occhi dell’uomo si aprirono ancor di più, sentendo vicina la gloria dell’esser riuscito a portare a termine l’incarico usando la propria intelligenza.
Non rispose, inserì la punta a cacciavite piatto nel tool che aveva estratto dalla cintura e cominciò a scardinare la porta: infilò lo strumento nel primo cardine e ne colpì con un pugno il manico, divellendo il perno dall’anima in legno dello stante della porta.
“Mamma!” urlò poi il ragazzino, ma l’uomo fu più veloce, rompendo anche l’altro cardine e lasciando che la porta cadesse per terra.
La luce inondò il piccolo pianerottolo, prima che la recluta potesse entrare lentamente, ma col sorriso sulle labbra.
Quella mansarda era ben arredata, molto calda, con l’odore di vernice che aleggiava unito a quello dei mobili di legno.
“Vai via!” urlava poi qualcuno, accanto a una credenza. Manteneva tra le mani una grossa ceneriera di marmo.
La Recluta vide davanti a sé un bambino di colore dai grossi occhi azzurri e si rese conto di non avere davanti ciò che cercava. Allegra era sicuramente una femminuccia.
“Dov’è Allegra?” domandò poi.
Il piccolo Lenny rabbrividì, vedendo quel nemico dalla voce profonda nascosto da quella maschera così sinistra. Strinse le mani attorno alla ceneriera e schiuse le grosse labbra.
Aveva paura ma non poteva dire loro dove si trovasse Allegra. Anche se litigavano spesso, lei era sua cugina e quegli uomini sicuramente le avrebbero fatto del male.
Prese quindi coraggio e lanciò la pesante ceneriera sul volto dell’uomo, centrandolo sugli occhialoni, che si spaccarono immediatamente.
“Vai via! Non te lo dirò mai!”.
Il malvagio levò immediatamente gli occhiali spaccati, mostrando al bambino un anonimo sguardo castano e subito dopo smontò anche la maschera. Possedeva un ossuto naso aquilino, dalle grandi narici, barba rada sotto al mento e labbra sottili che facevano della sua bocca una larga fessura sul suo volto pallido.
“Adesso t’insegnerò una lezione che non dimenticherai più!” urlò, con le schegge del vetro sul viso e qualche piccolo graffio sulle guance.
S’avvicinò lentamente a Leonard, imbracciando lo stesso cacciavite con cui aveva scardinato la porta, e si rese conto che non si sarebbe posto alcun problema nell’uccidere un bimbo così piccolo. Lo guardava negli occhi, lui, con le spalle al muro e gli occhi pieno di pianto, caricò indietro il corpo e tirò il braccio sulla testa, pronto a infliggere il colpo.
“Piccolo stronzetto!” urlò lo sgherro.
Gli occhi del piccolo bambino dapprima si riempirono di lacrime, con l’espressione del volto di chi sapeva di non avere alcuna speranza di sopravvivere. Non aveva ancora capito quanto bene avrebbe potuto donargli la vita che stava già per perderla.
Videro la rabbia, la frustrazione di quell’omuncolo e poi il suo braccio pronto a ucciderlo, quando successe quello che non si sarebbe mai aspettato ma che in cuor suo aspettava da quando quella brutta faccenda era iniziata: lo sgherro si sentì letteralmente sollevare in aria, prima che qualcuno lo sbattesse per terra.
Davanti ai suoi occhi apparve il suo papà, Ryan.
Il Campione, con i capelli biondi sporchi di fuliggine e il volto pallido. I suoi vestiti erano bruciacchiati ma, tranne qualche livido, stava bene.
“Piccolo mio!” urlò, gettandosi su di lui. Lo raccolse, lo tirò a sé e lo strinse in un forte abbraccio. “Lenny, amore!” fece, con la voce colma di paura. Il bambino cominciò a piangere e affondò il volto nell’incavo del collo del padre.
“La mamma è giù! E pure la zia Alma!”.
“Tu stai bene?!”.
“Sì! Ma la mamma è giù!”.
“Stai tranquillo, adesso siamo arrivati noi!”.
Ryan si voltò, e l’intero corpo di Superquattro era alle sue spalle. Isabella, Fred, Ginger e Kendrick aspettavano in silenzio direttive. Con le divise ufficiali nere, i Superquattro d’Adamanta erano un gruppo compatto di Allenatori, che da quasi dieci anni precedevano il Campione nella Sala d’Onore.
“Avete sentito?!” urlò Ryan. Isabella, la più piccola dei quattro, che portava sempre un’ordinatissima coda bionda alta sulla testa, annuì e scese rapidamente le scale, seguita Kendrick. Ginger, che invece i capelli rossi li portava sciolti, rimase a guardare Ryan per qualche secondo, assieme a Fred.
“Era una trappola, Ryan…” disse, mordendosi poi il bellissimo labbro inferiore.
Il Campione si limitò ad annuire, con la paura che lo stava consumando dall’interno. Assieme agli altri due scese al piano inferiore, stringendo tra le braccia suo figlio, e si ritrovò davanti una Marianne devastate, col volto bagnato e sporco di trucco e sangue.
I suoi vestiti erano interamente impregnati e guardava sconvolta il marito che stringeva Leonard, sano e salvo.
“Io…” sussurrò, con le labbra tremule e pallide. Era inginocchiata tra i cadaveri di uomini e Pokémon, anche i suoi. “Ho provato a chiamarti, Ryan…”.
Poi pianse, crollando col volto tra le mani rosso sangue.

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