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Gaia Bessie - L'Orizzonte Degli Eventi





 
Note iniziali:
  • Sui nomi dei personaggi: esclusi Ruby e Sapphire, tutti gli altri personaggi portano la “traduzione” italiana dei loro nomi, per una mera questione di mia comodità.
  • Sull'ambientazione: con alcune variazioni dovute ad esigenze narrative, la storia segue la trama e l'ambientazione del videogioco Pokémon Rubino/Zaffiro e conseguenti remake Rubino Omega/Zaffiro Alpha. Vi sono, però, parecchie influenze dal Manga, segnalate da delle note che troverete a fine storia. L'anime non viene minimamente considerato, ovviamente.
  • Sulla caratterizzazione: è presente parecchio ooc sparso in tutta la storia, per diversi personaggi. Alcuni per mia interpretazione (Alice), altri per le solite e noiose esigenze di trama.
  • Sulle tematiche: la storia presenta un alto grado di situazioni parecchio angoscianti, conflittuali ecc. ecc. Aggiungo inoltre che è anche presente una coppia slash, benché sono come accenno, che non anticipo per non spoilerare alla grande metà trama.
  • Sulle esigenze di trama (aka funzione dei personaggi): Seguendo la linea del videogioco, ho deciso di usare come “personaggio giocante” Sapphire, quindi troverete lei come figlia di Norman, senza seguire qui la linea del Manga. Per quanto riguarda la variazione di Ruby è che qui non è destinato a diventare Cordinatore, ma vorrebbe seguire l'esempio del padre.




L'orizzonte degli eventi


Viviamo l'orizzonte degli eventi.
Oltrepassarlo ci spaventa e ci esalta insieme.
(L'orizzonte degli eventi - Baustelle)


Contraddizione


1: Stasi

Ruby non saprebbe dire se è stata la prima volta, o la seconda, o magari la terza e così via.
Sa che è successo, un giorno, e lui ci si è trovato immerso fino al collo con annessi e connessi, senza sconti.
Ruby non ha mai creduto nell'amore a prima vista, nel colpo di fulmine, escluso quello fisico e decisamente poco piacevole, e nelle favole della buonanotte dove ti promettono l'eternità quando poi, magari, potresti non ricevere nemmeno un secondo. Ma, in fin dai conti, è successo: un giorno si è svegliato, e forse non era la prima o la seconda o la terza volta, ma si era già insinuata sottopelle. Dolorosa quanto un colpo di fulmine, letteralmente.
E forse anche di più.

Ruby non ha idea di quand'è che ha cominciato a vivere dietro i vetri, dietro le tende, ma sa che è successo, un giorno, e da lì è stata la stasi: statico era il suo vagare da una finestra alla sua gemella, sui vetri sporchi di pioggia. E statici i discorsi, le promesse, statiche le persone.
E la sua attesa, perché le storie sono fatte di questo, di attese, e di supposizioni.
Mobile, invece, era la ragazzina nuova nella casa accanto. Roba che la si poteva sentire anche a una casa di distanza, mentre correva su e giù per la sua abitazione, mentre rideva e parlava di chissà che cosa.
E Ruby, forse, almeno una cosa la sa: non era premeditato.
Quando lei arrivò, ancora Ruby era una persona normale, moderatamente in movimento, moderatamente sognatrice e moderatamente e, in maniera quasi imbarazzante, adolescente. Eppure si dice che tutti tendano a qualcosa, come un'aspirazione o una brutta abitudine, e che quel qualcosa resti o per sempre o per una manciata di secondi. O qualcuno.
Prima che lei arrivasse, di allenatori nuovi non se ne vedevano poi così tanti: Albanova è una città piccola, ordinata, e statica. Eppure, e questa è certezza assoluta, nel momento esatto in cui Ruby la vide capì che presto l'avrebbe vista correr via da casa per poter esplorare Hoenn.
Decisamente, non fu una solta volta, la prima o la seconda, ma l'insieme di quei movimenti casuali che risaltavano nella sua staticità perenne.
Forse, fu quando se la vide arrivare davanti, percorso 103 e specchio d'acqua placidamente tranquillo a risplendere nella luce mattutina, con il ginocchio sbucciato e un sorriso sornione sul viso. O forse, ed è dubbio perenne, quella fu la vera prima volta.
E, per capirlo, servì una lotta improvvisata su due piedi, facile da vincere: sapeva, Ruby, che Sapphire avrebbe preso Torchic, anche soltanto per poterlo bruciare fino alle ossa e anche oltre, se avesse potuto.
Ruby, con sicurezza presa dai suoi studi, le aveva mostrato il suo Mudkip, pronto alla battaglia. Lei aveva sorriso, di una finta dolcezza devastante, e l'aveva steso, completamente senza energia, a forza di attacchi senza pause, senza respiri.
Ha sempre fatto così, Sapphire, così e in nessun altro modo: attaccare per non essere attaccati.
O, come quando avrebbe tirato fuori un Lombre, a tradimento, solo per dargli ancor più filo da torcere di quanto non avesse, o avrebbe, già fatto.
Ha sempre fatto così, Sapphire: trovare altre vie per vincere, sempre e comunque. È sempre stato Ruby, il suo avversario preferito: prendergli tutto, ogni cosa, fino a farlo arrendere. E costringerlo a implorare, quasi a piangere, soltanto per dimostrare che, fra i due, quella più forte è lei.
Lo è sempre stata.
Ruby non avrebbe mai voluto combattere, a dire il vero: studiare è la tendenza di chi ha un padre studioso, qualche volta, e a lui va bene così.
Ma chissà cosa succede poi, quando ti ritrovi a inseguire due delle tue tendenze che, irrimediabilmente, cozzano fra di loro in quello stridore metallico insopportabilmente acuto, inudibile. Ma che forse, un po', crea una dipendenza quasi dolorosa, imprescindibile.
Prima di Sapphire, Ruby ha sempre creduto che studiare sarebbe stata la sua vita perché così ha fatto suo padre, e il padre di suo padre prima di lui. E perché, se sai fare una cosa, devi farla fino alla fine. Finché non senti che non potrai dare niente di più al mondo e, allora, sarai davvero finito. Annullato, privato di ogni scopo, statico.
Poi è arrivata lei. E Ruby ha capito che, forse, era suo dovere rincorrerla, almeno finché ne avrebbe avuto la forza.
Se soltanto lei non fosse stata così, così, così.
Se soltanto Sapphire fosse stata più statica e meno meravigliosamente viva, forse Ruby l'avrebbe presa e, fino all'ultimo dei suoi giorni a venire, avrebbe una storia drammatica in meno da raccontare. Ma non è stato così.
E, come consolazione, bisogna ammettere che le storie tristi, senza lieto fine, sono quelle più amate. Anche perché, in qualche modo, riescono a parlare della verità, senza filtri. Ruby, le storie, non le sa raccontare. Ma ricorda, certo che lo fa, ogni infimo dettaglio impresso nel cervello come una bruciatura, come una serpentina rovente che si stagliava, tratteggiata appena, sulla sua pelle: un nome.
È stata un'allenatrice, semplicemente un'allenatrice ogni volta che riusciva a mettersi da parte per dar spazio alla sua tendenza, dritta nel suo metro e quarantasette e un ginocchio sbucciato. Era Sapphy per sua madre, e le sue amiche di un'altra città, che Ruby non ha mai visto. Era Sapphire sulla linea tratteggiata dei documenti1.
Atroce da confessare, ma Ruby non ha mai capito come prenderla e, in particolare come chiamarla.
Semplicemente, lei non ha mai avuto bisogno di un nome, quando è stata l'unica lei di Ruby, l'unica e la sola. L'unica storia triste, o soltanto la prima.
È stata contraddittoria, ferina, violenta, e l'ha spezzato in mille modi. Qualche volta si è chinata a raccoglierlo, qualche altra si è limitata a calpestarlo prima di andar via.
E Ruby non sa nemmeno come ha fatto a essere così dannatamente idiota per innamorarsi di lei, ma è successo, una volta che non sa contare, in un tempo che scorre in maniera strana, troppo lenta. L'ha sempre saputo, forse, che era un rincorrerla a vuoto: Sapphire è sempre stata quel che è, nelle sue contraddizioni, in quel modo unico che aveva di ferirlo.
Non ha mai smesso.


2: Macigno

Qualche volta, Ruby fa fatica a respirare.
Non è un problema fisico, perché altrimenti l'avrebbe già risolto e tante grazie, ma è semplicemente la pressione che qualcosa esercita sul petto, da troppi anni a questa parte. Quando prova a capire quand'è che ha cominciato a premere, quel macigno, schiacciando la cassa toracica, Ruby ripensa a Ferrugipoli.
È stato lì che Sapphire ha preso la sua prima medaglia, strappandola a Petra con il suo Lombre fresco di allenamento, con così poca fatica che già li attirò a frotte, i primi curiosi, l'inizio della sua leggenda. Anche Ruby era lì, sebbene nessuno possa ricordarlo, nella cerchia sfumata che già cingeva Sapphire come una corona di spine che non riusciva a ferirla, però, quando lei si muoveva inconsapevolmente nel suo viaggio senza meta, senza fine. Vai e prendi la tua medaglia, Sapph, sappiamo tutti che è quel che desideri: povero Ruby ad attenderti lì fuori, nel freddo che rimbalza sulle rocce di Ferrugipoli come una palla fra due muri, imbacuccato al punto tale che non riesce a sentire i suoi stessi arti.
Ad attenderti come un cane, Sapph, mentre tu sconfiggevi Petra senza quasi batter ciglio. Campionesse si nasce, si dice, e quella cosa l'hai sempre avuta nel sangue.
E lui aspettava, Ruby, fuori dalla palestra, aspettava di poterle chiedere di continuare il suo viaggio con lui.
Insieme.
Se soltanto avesse fatto in tempo a chiederglielo: schizzò via, Sapphire, come sempre avrebbe fatto nei tempi a venire.
Un lampo, una fiammata, una bandana colorata nel vento della sua corsa. Da un lato all'altro della città, fuori, nel bosco, nel tunnel che porta a Mentania, avanti e indietro a combattere con chiunque fosse abbastanza stolto per sfidarla o abbastanza presuntuoso da pensare di poterla battere.
E avanti, indietro, con Ruby sempre dietro.
Ai tempi, la sfidò anche lui, Petra: fece molta più fatica di Sapphire, ovviamente. Ma la cosa peggiore fu che, a lotta terminata, sipario calato, quando uscì dalla palestra lei non era lì.
O, meglio, fu lì due giorni dopo, tutta trafelata, che aveva riportato Peeko al Signor Marino e cercava un posto dove riposarsi per un paio d'ore: non era ancora indistruttibile, e quasi cozzava con le sue espressioni, con il suo modo di fare.
Cominciò così, se fu un prologo, un preambolo o semplicemente l'inizio della fine. Cominciò con Sapphire che lo aspettava, per una volta, appena sveglia, e non era lui ad aspettare lei, come sempre sarebbe stato.
E poi diventa confuso, il ricordo, lattiginoso e sfocato come se provasse a vedere nel fango, Ruby, ripensando a come sia potuto essere.
A dire il vero, se proprio volesse tornare a essere sincero con sé stesso – e forse non vuole nemmeno questo – dovrebbe specificare che fu lei, fece tutto lei.
È sempre stata così, Sapphire: un giorno che le passa in mente qualcosa, lei prende e la fa senza troppi ripensamenti. Non è bello da pensare in questi termini ma perfino Ruby lo sa, dietro la sua coltre di menzogne raccontate a sé stesso, che accadde per questo: perché Sapphire, quella mattina, si era svegliata con uno dei suoi grilli per la testa. Ed aveva deciso che, quella mattina, voleva un bacio. Così, senza premesse, senza conseguenze.
O, per meglio specificare, premesse e conseguenze c'erano state soltanto per Ruby. Che era stato assalito da uno strano pokémon multiforme, tutto meno che statico, in grado di metterlo al muro.
Un macigno, un tipo roccia pronto a schiacciarlo senza alcuna pietà. Un pokémon con mille braccia per tenerlo stretto, e mille bocche piene di lingue di fuoco pronte a ustionarlo a morte.
Sapphire era questo e molto altro, indescrivibili: tutta incoerenza e scelte dell'ultimo secondo. A quanto pare, aveva deciso di spezzargli il cuore, o di stordirlo abbastanza da fargli credere, in un'impulso momentaneamente ingenuo e infantile, che lei l'amasse.
Sciocco, Ruby, e stupito nel momento in cui la vide correre via – e aveva ancora il suo sapore in bocca, il suo odore sui vestiti e le sue mani insinuate sotto il cappello – verso la prossima sfida, il prossimo grillo per la testa.
Sarebbe bello, e infinitamente drammatico, poter dire che in quel momento capì di averla persa per sempre.
Tutte le storie tristi hanno frasi del genere, perché le perdite sono i drammi più strazianti, e più veritieri. E Ruby, raccontando la sua storia, vorrebbe poter dire così, rendendola una tragedia migliore di quanto non sia stata. Vorrebbe.
Perché non è andata così.
Perché Sapphire, dopo avergli regalato il primo bacio, ha deciso di girare la frittata – cosa in cui è sempre stata bravissima – e di correre via, verso cose probabilmente ben più importanti di lui. E fin qui si prospetta un proemio pieno di pathos, di dramma, perché l'abbandono è il sale di ogni tragedia che si rispetti.
Potrebbe raccontare, Ruby, di delusioni, di attese, nel momento in cui Sapphire l'ha piantato in asso e lui ha cominciato a dimenticare com'è che si respira, esattamente, in quei movimenti delicati ed essenziali che sono intuitivi, ovvi.
Eppure, la verità è che disimpari a respirare nel momento esatto in cui cominci a capire che, forse, non vuoi davvero farlo. E che provino anche a fermarti: non ci riusciranno.
Sono cose che non capisce nessuno.
E potrebbe anche dire, Ruby, che è stato straziante capire che l'amava nel momento esatto in cui lei è corsa via: ma si può parlare d'amore, a quindici, sedici anni?
Nel corpicino di Sapphire, poca altezza e tutto sporgenze e rientranze, forse sì. Nei dentini affilati, nelle sue fughe, forse a quindici anni potresti innamorarti. Ma non puoi aspettarti che duri per sempre.
E, in una tragedia ben orchestrata, Ruby potrebbe dire che è stato così dannatamente straziante, perderla, perdersi. No. In realtà non potrebbe mai dire niente del genere. Non puoi parlare se non respiri, è fisicamente impossibile, non puoi parlare con qualcosa che ti comprime la cassa toracica.
E, cosa ben più importante, non puoi rimpiangere la perdita di una persona che non hai mai avuto.


3. Tradito

Quando hai talento e le altre persone lo notano, finisci sempre per fare il giro degli schermi.
Per Sapphire fu più o meno così: qualche volta la menzionavano in servizi tv, parlando della sua abilità, dando a Ruby notizie sui suoi spostamenti. Almeno finché non partì per Bluruvia.
Perché allora, per due mesi o poco più, di lei non si sentì parlare.
Forse perché, per quei mesi, Bluruvia non la lasciò mai. Non ha mai avuto il coraggio di chiederle, e molto probabilmente proprio perché non sa che risposta vorrebbe ricevere, cosa sia successo in quei due mesi.
A dire il vero, un po' lo potrebbe intuire: lo sanno tutti. Se c'è stato un completo silenzio stampa su quei due mesi, appena Sapphire ha messo un piede fuori da Bluruvia, si è scatenato l'inferno. Non possono volerci due mesi per consegnare una lettera e battere un Capopalestra, non per Sapphire che ha già dimostrato di essere una forza della natura.
Invece, per come si svolse la vicenda, lei sparì per due mesi e qualche manciata di giorni. E non si seppe più nulla, perché non la si vedeva ad allenarsi o alla ricerca di altri pokémon selvatici, né pronta per dirigersi verso la prossima palestra. Sparita dagli schermi, Sapphire, respirava l'aria salmastra di Bluruvia e non si muoveva da lì.
Chissà che cosa avesse trovato per restare. O, più semplicemente, chi.
Perché, finché Sapphire non riuscì ad andarsene, non ci pensò nessuno. Poi, qualche genio del gossip televisivo si ricordò che Rudi, il capopalestra di Bluruvia, era generalmente considerato un tipo piuttosto attraente, per parafrasarla in questi termini. E che nemmeno lui si faceva vedere in giro, solitamente, preferendo rintanarsi in casa sua o, occasionalmente, in palestra quando c'era qualcuno pronto a sfidarlo.
Anni dopo, lo sanno tutti com'è andata in verità, Sapphire è sempre stata parca di parole.
Ma Rudi si lascia continuamente sfuggire una parola di troppo, e sono state così tante che hanno formato un racconto, in qualche modo. Eppure, la versione di Sapphire, quella nessuno ha avuto il coraggio di chiederla: Ruby non l'ha avuto. Sarebbe significato portare alla luce troppi segreti che, alla fine, non aveva nemmeno senso chiedere di svelare.
Le favole sono belle finché rimangono velate di irrealtà. Se la controparte si mette a confermare ogni dettaglio, rendendola un incubo reale tinto di rosa, allora le riserve perdono il loro potere.
E le supposizioni.
Senza, Ruby non avrebbe come convincersi che potrebbe essere soltanto una di quelle storie inventate di sana pianta.
Anche se non è così.
Anche se Rudi l'ha più o meno raccontato tutto, il loro colpo di fulmine, come una favola infarcita di sentimentalismi che fanno quasi venire la nausea. È l'ossimorico e contraddittorio racconto dell'allenatrice ancora da addomesticare, di una monella con i capelli scarmigliati sotto la bandana e che, forse, piace per questo. Non perché è bella, ma ha quella grazia selvatica che la fa piacere a tutti2.
Dell'allenatrice che, in fieri, sbarca nell'isolotto di Bluruvia e, dopo aver consegnato una lettera a Rocco Petri, si dirige in palestra. E lì incontra il fascinoso Capopalestra, Rudi di Bluruvia, tutto sorrisi smaglianti e risate continue.
Per come gliel'hanno raccontata, quella storia è di una romanticheria disgustosa, e Ruby non ci crederà mai: Sapphire non è mai stata il tipo per un colpo di fulmine, se non letterale, e non è mai stata la donna per un bamboccio tutto muscoli e fascino da palestrato. Eppure, qualcosa è successo.
E Rudi ha raccontato di strane storie d'amore, dove l'allenatrice e il capopalestra, avvinti dalla passione, in una versione rivista delle migliori commedie romantiche – almeno con le tragedie Ruby si sarebbe tolto un peso, di nome Rudi, dal cuore – dove non era lei a prendere una mostruosa sbandata per lui, ma al contrario. Rudi si prese davvero una cotta di proporzioni megagalattiche per Sapphire: com'era ovvio che succedesse.
Quando sei un montato cronico che crede nella sua infinita superiorità e trovi una ragazzina, appena sedicenne o poco più giovane, che ti sconfigge con nemmeno due attacchi, cosa fai? O la ami o l'ammazzi.
Se poi la consideri pure attraente e conturbante come potrebbe essere solo una piccola selvaggia con i canini sguainati, allora scegli. La ami.
Per forza, non hai altre scelte.
Di questo, purtroppo, Ruby è certo: Rudi l'ha davvero amata. Il problema, quello reale e tangibile che lo sfiora ogni giorno passato nella sua Bluruvia di sale e alghe, è che lei se n'è andata. Ruby, che ci ha fatto il callo, ha passato mesi a riderci sopra. Sapphire scappa sempre, è nella sua natura.
E, se lui lo sapeva ancora, Rudi ne era rimasto scottato.
Rudi era rimasto a pensare a quei due mesi e poco più in cui si erano rinchiusi in casa sua, in camera sua, e Sapphire gli aveva mostrato che non era selvatica solo esteriormente. Sapphire è una di quelle persone che riesce a ferirti comunque, anche se, in quel modo che non comprende, può anche provare ad amarti.
In qualche modo.
E non si fecero vedere per due mesi, quei due, Ruby lo sa perché è anche stato tentato di correre a Bluruvia per andare a cercarla. Non l'ha fatto.
Se l'è evitato, almeno quel dolore.
Perché, probabilmente, se fosse piombato a Bluruvia, li avrebbe visti. Avrebbe avuto questa immensa e colossale fortuna, li avrebbe visti e avrebbe completamente smesso di respirare, in via definitiva. Se li immagina ancora, non ha mai smesso di farlo.
S'immagina di arrivare a Bluruvia, di corsa, e trovarli sulla spiaggia, appena appartati dietro la scogliera. Con un costume azzurro marina, lei, che lascia intravedere mappe di cicatrici su tutte le gambe e le braccia, perché Sapphire non è mai stata delicata, in niente. E Rudi che sorride di quel sorriso maledettamente bianco e irritante, sopra di lei, a fare l'amore in spiaggia, dietro l'ombra degli scogli.
Se l'avesse visto davvero, e non solo sognato, Ruby ne sarebbe morto. Si sarebbe spezzato a metà.
Anche se, in fondo, sa benissimo che la verità non è una versione così diversa dai suoi incubi. Per quanto tempo si è sentito tradito, non è enumerabile. La cosa peggiore, è che Ruby sa di non essere nemmeno stato il primo.


4. Spezzata

Dopo la pausa di Bluruvia, ricominciò quella corsa senza fine.
Era un tornado, Sapphire, un vero tornado: non si fermava finché non faceva tutto ciò che era in suo potere per avvicinarsi di più al suo obbiettivo. Marce infinite, prima di corsa e poi in bici, per raggiungere la prossima città, la prossima palestra, la prossima medaglia.
E Ruby dietro, come un cane, per assicurarsi che non ci fosse un secondo Rudi, un allenatore casuale pronto a innamorarsi perdutamente di quella diavoletta selvatica.
Non che Sapphire si sarebbe fermata, in caso, non di nuovo: con Rudi ancora archiviato fra i ricordi e una missione da compiere, no, Sapphire non si sarebbe mai fermata. Avrebbe continuato a correre, sempre, per arrivare tanto in alto quanto la sua ambizione aspirava.
Già l'aspettavano, i giornalisti di Ciclamipoli, e i curiosi, e i fan delle lotte pokémon.
Sapphire, il principio di una leggenda e se lo sentivano tutti sulla pelle che era proprio così, era tornata in gara. Ruby l'aveva perfino vista, aspettandola come sempre di fronte alla palestra, con i capelli carichi di elettricità statica. Aveva vinto, ovviamente.
Ma sembrava stanca, provata, se non dalla lotta, dalle occhiaie che le marcavano la pelle scottata dal sole. Sembrava che non dormisse da un po', da un po' troppo. Ed era così, a dire il vero: un esperto, se chiamato a giudicare il caso, avrebbe decretato che era malinconia.
Ruby si rifiutava di vederla, invece, per trovarsi a scrutare una Sapphire più calma, più silenziosa, che marcia anche di notte pur di proseguire.
A dire il vero, andava avanti quasi per inerzia: se si fosse fermata, sarebbe crollata. Se per un attimo avesse smesso di combattere per fermare le guerre fra i Team Idro e Magma, di esplorare ogni singolo percorso, di tirare le sue Pokèball per completare il Pokèdex, se l'avesse fatto si sarebbe spezzata a metà, sbriciolata in quell'assenza che si faceva sempre più pesante. Se avesse smesso, semplicemente, se avesse mollato Ruby sarebbe stato lì per ricomporre i pezzi.
Come sempre, Ruby l'avrebbe presa e si sarebbe messo lì a capire come ricostruire Sapphire, la sua Sapphire che poi, sua, non lo era mai stata. Ma Sapphire è sempre stata determinata, e testarda: non si sarebbe mai fermata. Piuttosto si sarebbe gettata in mare, possibilmente a Bluruvia per essere tristemente banale, e sarebbe annegata fra i pokémon d'acqua.
Ma fermarsi era fuori discussione – chi si ferma è perduto3 – per lei.
Preferiva violentarsi, autolesionarsi e proseguire a ogni costo. Poteva scorticarsi ogni muscolo, tagliarsi fino alle ossa, dipingersi del viola dei lividi: non le sarebbe importato. Avrebbe comunque continuato la sua corsa folle per Hoenn, senza rendere conto a nessuno.
E, soprattutto, il dolore non l'avrebbe nemmeno sentito. Sarebbe sempre rimasta ferma a un altro tipo di dolore, antico come l'essere stesso o anche di più, sepolto fra le alghe messe a macerare al sole. A quello Ruby non avrebbe mai potuto porre rimedio, in nessun modo.
Che corra in giro, dunque, Sapphire e la sua squadra pokémon. Che si graffi le ginocchia, con le foglie nei capelli, con il naso ustionato dal sole. Ci sono disastri che non si possono sistemare. Le chiamano cause perse e, forse, Sapphire era sempre stata così.
E questo era metà della sua bellezza conturbante, segreta e inusuale, la cosa che maggiormente attirava di lei: non sarebbe mai cambiata, per nessuno. E non importava quanto tu, quanto Ruby, l'amassi, alla fine sarebbe sempre rimasta Sapphire.
Agli antipodi, Ruby e Sapphire, si sarebbero sempre osservati da lontano: lei, capelli spettinati e determinazione cieca, lui che le vede le crepe di cui lei non sospetta nemmeno l'esistenza, almeno finché non finirà spezzata a metà.

Walter, a Ciclamipoli, dichiarò di non aver mai visto un talento come il suo, sebbene non l'avesse trovata al massimo della forma.
E come avrebbe potuto?

Era rimasta a Bluruvia, Sapphire, a macerare fra le alghe. L'unica cosa che la spingeva avanti era la sua ambizione che era, con tutta probabilità, più forte di lei.
A sapere che era sul Monte Camino, Ruby tremava di paura. Non che dubitasse di lei, ma i suoi incubi erano di Sapphire che crollava nella lava incandescente.
Eppure, con lei avrebbe sempre vissuto così: ci sono persone che non sono fatte per essere protette. E lei era fatta per spezzarsi in mille modi e poi capire che, dopo ogni ricostruzione, riusciva solo a diventare ancora più forte. Si impose anche sul Team Idro e sul Team Magma, Sapphire, senza troppi complimenti, la ragazzina di Albanova che parte alla scoperta del mondo.
Stava di nuovo facendo il giro di Hoenn, la sua avventura, la piccola Sapphire alta un metro e quarantasette – non li dimostrava, i suoi sedici anni appena compiuti. Era una furia incarnata in meno di un metro e cinquanta – con il ginocchio sempre sbucciato.
A cuocersi di caldo sul Monte Camino, Sapphire si era resa nota anche ai due Team di Hoenn, e già arrivava il suo nome ai prossimi Capopalestra.
Si diceva che Rocco, l'attuale campione della Lega di Hoenn, morisse dalla voglia di sfidarla. Ma di Rocco si dicevano così tante cose – dalla presenza di una madre scomoda a un'ambigua relazione con il Capopalestra di Ceneride – che, alla fine, poteva anche non essere vero.
E, comunque, Sapphire non venne mai a saperlo.
Era troppo impegnata a migliorare, a migliorarsi. A battere chiunque fosse ancora così sciocco da sfidarla. Campionessa si nasce, e lo si è a qualunque età. Poco importa tutto il resto, se nasci come lei. Anche quando era stata appena spezzata era di una potenza devastante. Ruby la temeva quasi.
Era terribile, quando ti si parava davanti con le sue occhiaie e gli occhi arrossati, ma così tremendamente asciutti che sembravano urlare della sua incapacità di piangere. Ma la cosa peggiore era che non guardava nessuno in faccia.
Guardava il terreno sotto i suoi piedi come se si sarebbe potuto aprire per inghiottirla. Cosa che non succedeva mai.
Se eri bravo ad osservare, ti rendevi conto che era completamente spezzata a metà. E capivi anche che non riusciva a ricomporsi, questa volta.
E se eri Ruby, e follemente e perdutamente innamorato di lei, ti sentivi altrettanto spezzato.


5. Casa

A Cuordilava non ci fu verso di convincerla a fermarsi a riposare, alle sorgenti termali, anche soltanto un quarto d'ora per recuperare le forze.
Testarda, la prima cosa che fece fu dirigersi alla Palestra per sfidare Fiammetta. Non che fosse strano: ormai la si prendeva per quel che era, Sapphire, e lei era esattamente come si mostrava, o quasi. Aveva senso, per lei, correre a sfidare la Capopalestra con la pokéball del suo Lombre fra le braccia, pronta a diventare ancora più nota di quanto già non fosse.
A Cuordilava, Fiammetta prese la sua sconfitta con filosofia, come era giusto che fosse. L'avevano già informata e, come Walter prima di lei, era piuttosto curiosa di sperimentare sulla sua pelle quanto fosse realmente brava quella ragazzina appena uscita dalla bambagia materna.
Non che ci si potesse aspettare un altro talento dalla figlia di un Capopalestra.
Sperimentò anche Fiammetta che Sapphire sembrava davvero affranta per qualcosa, ma continuava a lottare come se nulla fosse, come se da quella lotta dipendesse la sua stessa vita. E i suoi Pokèmon l'amavano.
C'era il suo Combusken fuori dalla pokéball che, mentre Sapphire orchestrava le mosse di Lombre, rimaneva dietro di lei.
Inizialmente, a Fiammetta sembrò solo un pokémon immensamente timido. Poi capì che, invece, lui stava sorreggendo la sua allenatrice.
Come una seconda spina dorsale, come un secondo cuore che avrebbe sempre battuto nel suo petto4, Combusken la sorreggeva per non farla piegare in avanti, ricurva sul suo stesso petto, quasi avesse ricevuto una pugnalata proprio lì, fra i polmoni. E capì anche perché: era la sorpresa, il regalo, che teneva nascosto nella stessa stanza delle medaglie. Anche lui ricurvo, insolitamente ricurvo, e senza sorriso smagliante.
Per queste cose si soffre in due, a quanto pare.
Ma Sapphire, anche in questo, sembrava intenzionata ad avere il primato. La migliore perfino nelle cose peggiori, sempre e comunque.
Si fece trainare, non oppose resistenza, non ne aveva la forza, da Fiammetta fino a casa sua.
Le medaglie, opache di un velo di polvere, illuminate dalla luce filtrata dei vetri. E Rudi lì, appoggiato al muro, rannicchiato su sé stesso. Dormiva. Forse anche lui aveva smesso di farlo, senza di lei.
«Se vuoi puoi aspettare qui che si svegli. È venuto qui una settimana fa. Aspettava te». Fiammetta dai capelli come il cuore di un focolare sorrideva, conciliante.
Sapphire, invece, sembrava quasi una statua di sale e vetro piantata lì, sul pavimento.
Senza che si riuscisse a spostare di un millimetro, solo Arceus nella sua magnificenza avrebbe potuto immaginare quanto in quel momento Sapphire desiderò poter restare: Rudi dormiva come un bambino, nelle sue occhiaia infinite, nei capelli scarmigliati e un maglione che a Bluruvia non avrebbe mai messo. Forse, per un momento, per un momento soltanto, Sapphire fu tentata di rimanere.
Di stendersi anche lei contro il muro e nascondere il capo nell'incavo del collo di lui e dormire, dormire insieme per tutte quelle ore in cui, di notte, si era limitata a proseguire il suo cammino. Fu anche tentata di svegliarlo con un bacio e di stringerlo e non lasciarlo più andare.
Non fece nessuna delle due cose. Mosse un passo indietro, lo sguardo basso.
«Digli che mi dispiace» sussurrò a Fiammetta, senza alcuna intonazione. Lo disse come si comunica che fuori piove, senza emozione tangibile dal tono, dall'espressione.
Fiammetta rimase come pietrificata, nel vederla voltare le spalle – e forse tratteneva le lacrime o era soltanto uno strano gioco di luci e di riflessi – e correre via.
Dove trovasse la forza per correre, poi, non lo comprese mai nessuno. Nel suo corpo efebico, esile come un tratto di matita, c'era qualcosa che non tornava. Una fiamma che sembrava non estinguersi mai e la costringeva ad andare avanti, a proseguire verso la prossima tappa, senza arrendersi mai. Ruby la trovò appena fuori dal Centro Pokèmon, senza fiato, che si teneva il petto come se stesse sanguinando lacrime.
Continuava a guardarsi indietro, come se temesse – o sperasse – che lui si fosse svegliato per seguirla.
Ma non c'era nessuno, se non Ruby che tremava nel vederla in quello stato, Ruby che le prendeva le mani per vedersela precipitare – e mai, nemmeno sei suoi sogni più rosei, avrebbe potuto pensare nulla del genere – fra le braccia. Non pianse nemmeno per un secondo.
Disse solo poche parole.

«Portami via. Non voglio restare. Non posso restare».
Ruby rimase sconvolto, a guardarla, senza sapere bene cosa dirle. Perché, ne era certo, qualunque scusa fosse riuscito a trovare per farla rimanere, non sarebbe stata comunque abbastanza.
E, forse, la verità era che non l'avrebbe mai più lasciata nelle braccia di Rudi.

«Dove vuoi andare?» fu l'unica cosa che riuscì a cavarsi dalla bocca, a forza, mentre ogni nervo sottopelle urlava del solo piacere di stringerla fra le braccia. Stava tremando, non smise nemmeno per un attimo.
Probabilmente moriva dalla voglia di piangere, ma non l'avrebbe mai fatto. Avrebbe aspettato di essere sola, in un luogo senza suoni e senza tempo, per cavarsi dagli occhi una singola lacrima.
Non ce ne sarebbero state altre.

«Portami a casa, Ruby» mormorò lei, senza fiato. Si stava soffocando con quei singhiozzi che rifiutava di far venire alla luce. «Ti va?»
In verità, non stava aspettando altro. Aspettava lei.
L'avrebbe anche portata in braccio sulla vetta del Monte Camino, se Sapphire gliel'avesse chiesto. La prese per mano, come una bambina, adeguando il suo passo a quello di lei. Un paio di volte, quando già erano persi nelle volute del Monte, alla ricerca della funivia, sentì qualcuno gridare il nome di Sapphire.
Lei non si voltò nemmeno per un secondo, nemmeno una volta: sapeva che era Rudi. E, per niente al mondo, sarebbe tornata indietro.
Si rilassò solo quando uscirono dalla funivia. Un sorriso tiratissimo increspava le labbra livide di freddo.

«Grazie» mormorò, così piano che Ruby quasi dubitò di averla sentita. «Non mi dovevi nulla, ma mi hai portata via comunque».
Ruby sorrise, mentre si avviavano verso casa: Sapphire non si sarebbe fermata mai, lo sapeva bene, lui, che già moriva di stanchezza. «Ti avrei portata ovunque, lo sai» riuscì a rispondere. «Tu... tu sei la mia migliore amica5».

6. Promesso

A Petalipoli, Sapphire cominciò a farsi inquieta.
Aveva dormito qualche ora, la notte precedente, e sembrava talmente iperattiva da poter quasi squarciare le pareti. Stavano davvero tornando a casa, ad Albanova, Ruby quasi non riusciva a crederci. Sapphire, la divinizzata e bravissima Sapphire, stava tornando ad Albanova. Con lui.
Fu più o meno quello che pensò fino al momento in cui lei non si fermò, puntando i piedi, davanti alla Palestra di Norman.
Suo padre.
Spalancò gli occhi, Sapphire, come di fronte a un fantasma.
Fu anche l'esatta frazione di secondo in cui Ruby capì che no, non sarebbe mai stato così facile. Con lei sarebbe stato tutto, meno che facile.
Sarebbe stata guerra aperta, continua, bollente di ferite e graffi. La calma, mai, quella mai con Sapphire che piuttosto si sarebbe spezzata le ossa a mani nude.
A Petalipoli, in un attimo, in un guizzo spontaneo e irrefrenabile, Sapphire cominciò a rifiorire. Non tutto insieme, ma lentamente, come se si stesse scongelando.
Non lo guardò nemmeno per un secondo.
«Devo fare una cosa» bisbigliò, torcendosi le mani. Indicò la palestra con un cenno del capo.
Ruby annuì, di rimando: non si sarebbe mai aspettato nulla di meno, da lei.
Ma, almeno, ebbe il coraggio di chinarsi e lasciarle un bacio sulla guancia, pericolosamente vicino all'angolo della bocca.
Lei sorrise, un po' meno tirata di parecchie città prima, e gli cinse il collo con le braccia.
«Farò presto. Promesso».

Lui ricambiò il sorriso. «Mi trovi qui».
Ma Sapphire era già sparita nelle viscere della Palestra. È così che nasce una leggenda, dunque: quando si ricompone di fronte a una sfida, soltanto per affrontarla.
Ruby si ritirò al Centro Pokèmon, per rimettere in sesto i suoi compagni. Mi trovi qui.
Nella sua sciocca convinzione che Sapphire sarebbe rimasta con lui, perché era stato in grado di vederla spogliata della sua divinità, sul punto di piangere.
L'aveva vista quando nessuno poteva, e doveva, farlo. Sapphire doveva tornare. L'avrebbe sconfitto, Norman, suo padre, il suo più grande rivale. Qualcuno sostiene che, i bambini, crescono così: quando prendono il loro modello, il loro esempio, e lo spogliano delle convinzioni con cui, infantilmente, l'hanno avvolto e lo prendono per quello che è. Per una persona come tutte le altre che, forse, crescendo potrebbe anche non piacere più. Quando sei un'allenatrice e tuo padre un Capopalestra, parti sempre con la certezza che non sarai mai brava quanto lui.
Quando poi lo batti, con una fatica minima, allora ti rivoluzioni. Capisci che non esistono confini così netti, o certezze, ma soltanto supposizioni.
E allora non sai cosa fare perché, forse, il tuo obbiettivo non è abbastanza ambizioso.
Ruby non ha idea di cosa circolasse nella testa di Sapphire, ma sa piuttosto bene che era ambiziosa. E competitiva.
E lui era soltanto uno sciocco innamorato perso della sua vicina di casa – cliché – che avrebbe potuto avere chiunque. Che aveva avuto Rudi, un Capopalestra, quando ancora era poco più di una signorina nessuno.
Norman consegnò la Medaglia Armonia a sua figlia.
Sapphire non provò quasi nulla nel riceverla: allora capì che, forse, il suo scopo era puntare ancora più in alto, dove in pochi arrivano. Se poi avesse sfondato ogni limite, sarebbe arrivata dove nessuno aspira mai.
E forse, soltanto allora, quando avrebbe tirato giù tutti i campioni di Hoenn dal loro piedistallo, sarebbe stata contenta. O magari sarebbe anche stata capace di puntare ancora più in alto.

Quando Ruby ebbe il coraggio di entrare in Palestra per chiedere di lei, Norman lo gettò in pasto alla crudele verità. Mi trovi qui.
Sapphire se n'era già andata.
Anni dopo, Ruby non si sarebbe più meravigliato: è Sapphire. È sempre stata così.
Mentre lui l'aspettava, ricordandola fragile come una lastra di vetro soffiato, lei era corsa via, verso la sua prossima sfida.
Non aveva speranze, Ruby, era lei a condurre il gioco: poteva avvicinarsi quanto voleva, lui, Sapphire avrebbe sempre trovato un modo per fuggire. Ma, la cosa che più lo lasciò annichilito, era che Sapphire aveva promesso. Aveva promesso che avrebbe fatto presto.
Non che sarebbe tornata. Almeno, tecnicamente, non aveva mentito.
«Mi dispiace, ragazzo» commentò Norman, impietosito. «Sapphy è fatta così».

Lo sapeva, Ruby, lo sapeva già. Eccome se lo sapeva.
L'aveva inciso nelle ossa, che Sapphire era così: incoerente, bugiarda, ossimorica. Bella da morire e lui l'amava.
È il dramma di quando t'innamori di una ragazza che ama scappare, coinvolgendoti in un'inevitabile partita a nascondino dove lei, le regole, le infrange tutte senza esclusione di colpi. Ruby ha sempre sospettato che, in fondo, le piacesse essere inseguita.

«Ha detto che sarebbe andata a Forestopoli, a sfidare Alice» aggiunse Norman. «Nel caso t'interessasse saperlo».
E gli interessava.
Gli interessava maledettamente, esattamente come gli interessava respirare o bere o vivere.
Ringraziò velocemente e uscì, di corsa. Non ci pensò nemmeno per un secondo, a tornare a casa senza di lei.
Semplicemente, si diresse fuori da Petalipoli, cercando di raggiungerla nella sua corsa verso Forestopoli. Ma, forse, in fondo, la verità era che non avrebbe mai potuto raggiungerla. Che ogni passo che riusciva a muovere, in quel tempo, Sapphire era già avanzata di kilometri.
O, forse, era ancora rimasta nella spiaggia di Bluruvia, con lui che le arrancava dietro.
A voltarsi, ogni cinque passi, per guardare le impronte divorate dal mare, senza tregua: l'avrebbe trovato sempre lì, a calpestare le sue orme. Ruby, con il sorriso triste di chi viene perennemente abbandonato. Ma sempre pronto a ricambiare il suo, di sorriso, e a perdonarla. Mi trovi qui.
E l'avrebbe davvero sempre trovato lì, dietro di lei, a seguire i suoi passi nella speranza che lei si accorgesse che lui era davvero lì, che l'aspettava ancora. Non avrebbe mai smesso.
Finché Sapphire avrebbe continuato a camminare a piedi nudi sulla sabbia, ritta nel suo metro e quarantasette con un ginocchio sbucciato, lui sarebbe stato lì. A correre dietro, a prenderla fra le braccia. Senza certezze.
Senza sapere se chiamarla Sapphire, o Sapphy, o non chiamarla affatto. Ma non l'avrebbe mai lasciata proseguire da sola.
In silenzio, gliel'aveva promesso, di non lasciarla mai andare.


7. Rimpianti

A Forestopoli, Sapphire conobbe il rimpianto, e i segreti.
Alice, ammantata di bianco e azzurro, a metà fra un volatile e una sposa, sembrava portare una versione strana del lutto. Aveva una tale grazia melanconica che faceva male guardarla. Anche le sue mosse erano ammorbate di melanconia e grazia languida, così che diventava difficile interpretarle.
Fu difficile, vincere, ma Sapphire era determinata come sempre. E Alice la metteva a disagio, palesemente, con quello sguardo perennemente umido di lacrime non versate.
Anche lei, palesemente, sembrava spezzata a metà. Aveva scritta addosso, a caratteri cubitali, una storia di delusioni. E di rimpianti.

«Da cosa stai scappando?» mormorò Alice, nel darle la medaglia. «Da chi stai scappando?».
Sapphire non rispose.
Si limitò a guardarla negli occhi, un riflesso abbastanza somigliante al suo, come due sorelle davanti allo specchio. Siamo anche alte quasi uguali, pensò Sapphire in quel momento.
Era un po' più del suo metro e quarantasette, allungata nelle notti di pianto che non erano mai arrivate. Allungata e diluita nei giorni che passavano. Slargata nell'attesa, nelle illusioni.
«Non sto scappando» rispose. Ma nemmeno lei ne sembrava poi così sicura. «Non ho nessuno da cui scappare».

«Non mentire a te stessa, Sapphire» rispose la Capopalestra, atona. «Sii sincera: ci sono storie che conoscono tutti e storie di cui, invece, non si parla mai. Puoi scappare da una delle due, solitamente. Ma tu, tu stai scappando da entrambe» le rivolse il fantasma di un sorriso, il cui bagliore doloroso rifletteva quello del suo stesso sguardo. «Da chi stai scappando? Dalla storia che conosciamo tutti, da Rudi, da Bluruvia?» non le diede il tempo di replicare. «O da quella che non conosce nessuno? C'è un ragazzino che ti aspetta, qui fuori. Ha un capello bianco che gli copre tutti i capelli ma, a quanto pare, non basta a ripararlo dalla pioggia».
«E tu da chi sei scappata?» domandò Sapphire, di rimando. Si impose di non voltarsi verso la finestra per verificare che Ruby fosse davvero lì, ad aspettarla. Non ce l'avrebbe fatta a reggere, sarebbe crollata di nuovo.
Alice rise appena, coprendo la bocca pallida con la mano. «Dalla storia che non conosce nessuno» bisbigliò. «Non ho mai creduto che valesse la pena di fuggire da qualcosa che tutti conoscono. Mi perdonerai se ti dico che, al posto tuo, non l'avrei mai lasciato».
«Ci sono cose che non possiamo cambiare» rispose Sapphire, di rimando, tagliente come sempre. «Non posso cambiare quello che sono destinata a fare. Dovevo andare».
«Adesso andrai alla palestra di Ceneride» osservò Alice, sovrappensiero. «Da chi credi che sia scappata?» rise leggermente. «Adriano. Forse ancora non lo conosci, ma presto ti accorgerai che è il tipo di persona che riesce a logorarti, con la sua mancanza6» la guardò, dritta negli occhi.
Per un momento, Sapphire pensò che sarebbe bruciata sotto il suo sguardo. «
Ma è anche il tipo di persona che, se riesci a prenderlo, non ti lascerà mai. Avrebbe dovuto essere il Campione di Hoenn, lo sapevi? Ha rinunciato a tutto, a ogni singola cosa per rimanere a Ceneride. Per lasciare il suo posto a Rocco Petri».
Il suo sorriso era una linea sbiancata e dritta sul volto. Un'indimenticabile ferita.
«E io credevo che fosse rimasto per me» scosse il capo, facendo oscillare i capelli. «Quanto è facile credere nelle nostre fantasie, non trovi? Prendono il volo e noi a inseguirle, finché non ci portano all'altro mondo. Non ha ceduto il posto per me. Aveva altri motivi, ben più importanti» sorrise appena. «E poi, quale donna vorrebbe vivere con un qualcuno che, in silenzio, la fa costantemente sentire inferiore? Non lo faceva di proposito, è chiaro. Ma era un perenne sentirsi inadeguata, con lui. E, a quanto pare, davvero non ero abbastanza».

«Da chi è scappato?» domandò Sapphire, incapace di trattenersi. «Con chi è scappato?».
«Vai da lui» rispose Alice, senza mezzi termini. «Prendi la medaglia, dai il meglio di te. Poi guardalo negli occhi e chiedigli chi è, per lui, Rocco Petri» scoppiò in una delle sue risate senza tono, come se l'aria avesse portato via ogni sua emozione. «Ti dirà che non fa altro che assecondare i suoi capricci7».
Sapphire non replicò, non ci provò nemmeno. Annuì soltanto, incapace di promettere che l'avrebbe fatto.
«Il tuo ragazzo ti sta ancora aspettando» osservò Alice. «Devi solo decidere se continuare a scappare o fermarti, ogni tanto».
Uscì dalla Palestra, Sapphire. E quando se la vide davanti, Ruby, si sorprese di non vederla correr via. Perché di correre, stava correndo. Si tuffò fra le sue braccia, Sapphire, senza nemmeno un briciolo di spiegazione, senza un saluto. Se avesse avuto un minimo di buon senso, Ruby l'avrebbe fermata. Non lo fece.
Non ci pensò nemmeno o, semplicemente, non ne ebbe la forza. In una stanzetta oscillante, nella piovosa Forestopoli, fecero l'amore per la prima volta. Sapphire graffiava e mordeva come un animale inselvatichito, graffiava e mordeva per spezzargli ogni osso nel corpo, per graffiare ogni lembo di pelle che lui le avesse permesso di raggiungerla.
E, d'altro canto, lui le avrebbe permesso di tutto. Si sarebbe dichiarato disposto a regalarle il suo cuore, se gliel'avesse chiesto. Prendilo, coraggio.
Le avrebbe detto così. E sarebbe morto solo per darle un secondo, inutile, cuore.
Averla fra le braccia era qualcosa che era della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni8. Non riusciva nemmeno a crederci, Ruby, quando la vide prender sonno accanto a lui, i capelli di lei che gli solleticavano il braccio.

«Dimmi che resterai» mormorò Ruby, mentre Sapphire cominciava a scivolar via, addormentata dopo chissà quanto tempo. «Promettimi che resterai».
«Perché dovrei restare?» domandò lei, assonnata. «Dammi un motivo».
Lui sorrise appena. «Perché mi piace il modo in cui sorridi, e i tuoi occhi e la forma del tuo collo. E amo il tuo odore, il modo in cui pieghi la bocca quando sorridi e io...» lei sorrise e biascicò qualcosa che Ruby, nella mente ottenebrata dal sonno, scambiò per un “prometto”. «Ti amo, Sapph, ti amo da sempre» bisbigliò.
Ma lei si era già addormentata, come una bambina, rannicchiata contro il braccio di lui. Promesso.
Sempre ammesso che l'avesse detto davvero e non fosse l'ennesimo scherzo degli specchi nella sua testa. Dimmi che resterai.
Le promesse sono sacre, pensò Ruby, prima di scivolare nel sonno.

La mattina dopo, Sapphire se n'era già andata.

8. Dovere

Dopo qualche giorno, Sapphire era già a Verdeazzuopoli, a sconfiggere Tel e Pat. Era fuori casa di Rocco, senza sapere se bussare oppure no.
Alla fine, ovviamente, lo fece. Scivolò dentro quella casa resa piccola dalla quantità di vetrinette piene di rocce, tutte rigorosamente catalogate.

«Ho saputo che stavi andando a Ceneride» osservò Sapphire, senza preamboli. «E anche io sono diretta lì. Mi chiedevo se non potessi venire con te».
Lui sorrise, accomodante. «Mi farebbe infinitamente piacere. Sebbene io debba informarti che il mio non è un viaggio di lavoro, ma di piacere...».
Lei rise. «Credo di aver capito» rispose, con un sorrisetto storto e affilato. «Mi hanno detto che il capopalestra di Ceneride è davvero un uomo molto attraente».
«Il fascino di Adriano fa il giro di Hoenn» replicò Rocco, scrollando appena le spalle. «E vedo che hai anche parlato con Alice. Probabilmente non mi ha reso giustizia». Rocco sospirò, passando una mano fra i capelli. «Vedi, Sapphire, sei ancora giovane, ma certe cose potresti capirle. Io... non si tratta di scelte. Si tratta di obblighi. Quando ha deciso di rimanere a Ceneride, non è stato perché il suo dovere era verso di Alice. Il suo dovere è sempre stato verso di me, prima di tutti gli altri. Non so quanto sia possibile amare una persona ma so che, fino a quest'istante, non ho mai trovato nessuno come lui. Potresti paragonarlo alla devozione quasi infantile che il tuo amico Ruby ha per te» rise leggermente. «Lo prendi, lo illudi e lo lasci solo. Ma lui continua a tornare. E sai perché? Perché ha un dovere. Ed è verso di te».
«Ruby non ha nessun dovere verso di me» osservò lei, corrucciata. «Siamo soltanto amici, l'ha detto lui, sono la sua migliore amica».
«Eppure continua ad aspettarti. Se non è amore, allora cos'è?» domandò Rocco, mentre gettava, alla rinfusa, vestiti e Pokèball all'interno della sua sacca. «Non puoi giudicare le persone per le loro azioni, Sapphire. Giudicali per le loro motivazioni, se puoi».
«Lei lo amava, Alice, intendo, lo ama ancora» osservò Sapphire, sorridendo di finta dolcezza. «Continua a ripensarci. Come posso non giudicarti, dopo aver visto lei?».
«Anche io lo amo. Ma questo, a quanto pare, non importa assolutamente a nessuno» osservò Rocco, mettendo lo zaino in spalla. «A quanto pare non importa quanto ami una persona, ma quanto riesci a far soffrire tutti gli altri. Tu sei riuscita a far soffrire due persone che ti amano e che, spero, ami anche tu. Chi è che deve essere giudicato, dunque?» alzò la mano, come per fermarla ancor prima che cominciasse a replicare. «Lo so già. Sei destinata a fare grandi cose. Ma per quanto riuscirai a non pensarci? Perché, credimi, verrà un giorno in cui capirai che andare avanti non è il tuo unico dovere. E forse allora capirai i rimpianti di Alice, e i tuoi».
«Un giorno ti sbatterò fuori dalla Lega di Hoenn e prenderò il tuo posto» rispose Sapphire, scrollando le spalle. «È questo il mio dovere».
Rocco sorrise e, nella luce nuvolosa di quel giorno, sembrò più vecchio di anni e anni. «Sì, quel giorno è abbastanza vicino, credo. Ma dopo, dopo cosa farai?».
«Andrò avanti» rispose Sapphire, sicura. «È quel che faccio sempre».
«Un giorno tornerai a casa, Sapphire, e troverai Ruby ad aspettarti. E cosa farai, allora?» domandò Rocco, aprendo la porta e facendole segno di seguirlo. «Ti aspetterà per sempre, lo sai, non è vero?».
Il percorso fino a Ceneride fu insolitamente breve e silenzioso.
Almeno finché Rocco non alzò il capo per scrutare il cielo, con aria angustiata: nuvole grigiastre s'addensavano all'orizzonte e appena dietro.
«Non prevedo nulla di buono» mormorò, mentre finalmente arrivavano a Ceneride. «Questa tempesta non ha nulla di naturale».

Non fecero nemmeno in tempo ad arrivare che trovarono Adriano ad attenderli, con le mani che torturavano un lembo del suo abito.
«Ti stavo aspettando» osservò, sorridendo appena. «Abbiamo bisogno di aiuto, prima che Hoenn sprofondi nel caos».
Prese un profondo respiro, quasi si sentisse soffocare. «Kyogre è stato risvegliato».

E poi fu tutta una corsa senza tempo verso la Grotta dei Tempi, per fermare il Team Idro, per evitare la distruzione del mondo.
Adriano teneva spasmodicamente il braccio di Rocco, come per farsi coraggio, mentre continuava a mormorare che ce l'avrebbero fatta. Dovevano. Non c'era un'altra scelta.
«Andrò io» mormorò Rocco, per cercare di tranquillizzare Adriano.
Il quale sbiancò, ma non disse nulla, anche se era ben chiaro che desiderasse che Rocco rimanesse fuori dalla Grotta. Al sicuro.

«No» lo interruppe Sapphire, quando furono davanti all'entrata della Grotta, con il Team Idro che fuggiva terrorizzato, in cerca di una salvezza che non potevano trovare da nessuna parte. «Devo andare io. È il mio dovere, ricordi?».
Rocco annuì, senza parole.
La lasciò entrare nella Grotta, senza riuscire a fermarla. Poco dopo, uscirono i vari membri del Team Idro, seguiti da quelli del Team Magma, urlando scoordinati fra di loro, senza criterio.
«Si è risvegliato, si sono risvegliati».
In quel momento, la terra tremò. Nessuno, nemmeno per un secondo, mise in conto che Sapphire sarebbe potuta uscirne viva. Non con la terra che tremava continuamente e la pioggia scrosciante che minacciava di spazzare via ogni cosa.
Rimasero in attesa, in un silenzio tombale, che tutto si placasse. Sapphire poteva, doveva, farcela: come aveva dichiarato lei, era il suo dovere. In quel momento, un grido squarciò il silenzio.

Ruby si avvicinò, correndo sotto la pioggia.
«Tu!» urlò, in direzione di Rocco. Crollò sulle sue stesse ginocchia, proprio davanti l'entrata della Grotta, senza fiato. «Come hai potuto permetterle di andare a salvare il mondo? Toccava a te andarci, sei tu il Campione! Perché l'avete lasciata andare? Perché, perché, perché...».
I suoi singhiozzi risuonarono nel silenzio. Rocco non ebbe la forza di contraddirlo. Aveva ragione, maledettamente ragione. Eppure, il suo dovere era un altro.
Stava esattamente al suo fianco, il Capopalestra di Ceneride. In quel momento, sia le scosse di terremoto che la pioggia torrenziale, cessò ogni cosa. Perfino Ruby alzò lo sguardo, disorientato.
Pochi secondi dopo, Sapphire uscì dalla grotta, con il ginocchio sbucciato e altri graffi su gambe e braccia. Viva.
Trionfante, stringeva una Pokèball in ogni mano.


9. Scelte

Ovviamente, con Adriano non ci fu storia. Ormai era diventata una tale potenza che, davvero, non c'era gara.
Rise, quando Adriano scosse il capo, in segno di immane resa. Lo sapeva già, lei, che avrebbe vinto senza la minima difficoltà. Sorrise come una bambina, quando le consegnò la medaglia.
L'ultima.

«Dovresti ringraziarmi» disse, prendendo la Medaglia Pioggia dalle mani di Adriano. «Presto Rocco avrà tutto il tempo del mondo, dopo che l'avrò gettato giù dal suo trono». Rise leggermente, prima di scuotere la testa. «A proposito, potresti andare a trovare Alice, qualche volta. Le farebbe bene».
Anche lui rise.
«L'ultima volta che ci ho provato il suo Altaria mi ha strappato la camicia e, se ci fosse riuscito, anche qualche etto di carne» sorrise ancora. «Ma terrò a mente il tuo consiglio, se tu ascolterai il mio: esistono anche altre regioni, altre medaglie. Se non vuoi rimanere con lui, se sai che non è la cosa giusta da fare, allora lasciagli un'altra scelta. Anche se sospetto che rimarrebbe comunque ad aspettarti: ci sono legami da cui non puoi prescindere».

Sapphire sorrise. «Ci penserò» concesse, conciliante. «Ah, prima che vada. Alice mi ha detto di chiederti di Rocco».
Lui rise, gettando indietro la testa. Dal petto spuntava una cicatrice frastagliata, come frutto dell'incontro fra un artiglio e la sua pelle troppo delicata. «Non faccio che assecondare i suoi capricci» ammiccò, con fare complice. «Scommetto che è questo che volevi sentirti dire, no?».
Lei annuì. «Esattamente questo» disse, ridendo appena. «Spero che tu voglia risparmiarmi la spiegazione, non sono sicura di voler sapere proprio tutto».
Adriano scosse il capo. «Vai» disse, con fare melodrammatico. «La fama ti aspetta, lì fuori! E, credo, non solo quella».
Sapphire non pose nemmeno la domanda. Si limitò a uscire, per trovarsi davanti a Ruby, con le braccia incrociate sul petto e il volto ancora stravolto. Quando era uscita dalla Grotta dei Tempi, lui non l'aveva nemmeno guardata.
Si era semplicemente asciugato il volto ed era corso via, senza dire nulla, lasciandola lì, impalata dai residui di pioggia che crollavano da una nube solitaria.
«Pensavo te ne fossi andato» osservò Sapphire, atona. Lui si limitò a stringere i pugni, con le nocche sbiancate in contrasto con la pelle abbronzata. «Pensavo fossi tornato a casa, Ruby. Cosa ci fai qui?».

Lui rise. Forte, una risata che squarciò il silenzio. «Voglio lottare, Sapph. So che non rifiuti mai, una lotta, quella no. Quindi, avanti: lotta con me».
«Perché?» chiese lei, sorpresa. Lui non la degnò di uno sguardo o, meglio, non ne ebbe la forza. Sentiva che, se l'avesse davvero guardata, sarebbe crollato di nuovo.
«Perché non te le ho mai perdonate, certe cose» sussurrò, girando fra le mani una Pokèball. «Ti ho perdonato tutte le volte in cui mi ha lasciato da solo, ad aspettarti. E anche quando sei sparita per due mesi e mezzo, due mesi e mezzo a Bluruvia senza che nessuno sapesse cosa stessi facendo. E anche quando hai infranto tutte le promesse che mi hai fatto. Non una, non due, non tre. Ogni. Singola. Promessa. Non hai nulla di sacro, nulla per cui valga la pena di continuare ad aspettare» a quel punto, ebbe l'ardire di guardarla in viso.
Non crollò, inaspettatamente. Nemmeno per un secondo. S'incrinò solamente, un'incrinatura minuscola, infinitesimale.
«Ma ti ho perdonato ogni cosa. Anche quando te ne sei andato dopo che... tutte le volte, in cui te ne sei andata. Ma una cosa, Sapph, quella non riesco a dimenticarla» sospirò. «Potevi morire, Sapphire, potevi morire per la tua stupida ossessione! Cosa volevi dimostrare, entrando in quella grotta? Che sei la migliore? L'abbiamo visto, Sapph, l'abbiamo visto. Hai catturato Kyogre e Groudon, ci hai salvati. Ma a che prezzo?» aveva di nuovo gli occhi umidi di lacrime.
«Saresti potuta morire, Sapph! E io... cosa avrei fatto io, dopo? Posso perdonarti tutto quello che hai fatto fino ad adesso e anche tutto quello che farai, posso prenderti per quella che sei e capire che non cambierai mai e che non cambierai mai per me. Ma se cominci a rischiare la vita, Sapph, io non posso farcela» si passò una mano sugli occhi per impedirle di vedere che già una lacrima era riuscita a sfuggire al suo controllo.
«Non posso vivere nell'angoscia di sentirmi dire, un giorno, che sei morta. Non posso, capisci?».

«Non hai risposto alla mia domanda» osservò Sapphire, glaciale. «Perché vorresti lottare?». Aveva già la mano sulla Pokèball.
«Perché non so come fosse con Rudi, ma so che con me non riesci ad accenderti come quando lotti» rispose, atono. «Voglio vedere se, almeno lottando, riuscirei a farti provare qualcosa» fece uscire Swampert dalla Pokèball. «Lottiamo. Per piacere, Sapph. Non negarmelo».
Lei non se lo fece ripetere due volte. Fu elementare, quasi patetico.
Ma la cosa peggiore fu che, a ogni colpo che la squadra di Ruby subiva, lei si sentiva sempre peggio.
Quando fu finita, Ruby si avvicinò, il capo chino. «A quanto pare, non riesco ad accenderti nemmeno in questa maniera. Mi dispiace, Sapph, ho fallito».

«Non avrei dovuto lottare con te, Ruby» rispose lei, arretrando. «Non dovevo, davvero. E io... devo andare... scusami».
Fece per correre via quando, inaspettatamente, lui la prese per un braccio. «Da cosa stai fuggendo?» mormorò lui, sottovoce. «Sapphire, per una volta, fermati. Non ne vale la pena. Resta con me. Il mondo sa cosa sei in grado di fare, ma dovrebbe finire qui. Non esistono storie infinite. Torna a casa. Con me».
Lei sorrise, forse sinceramente, in una delle rare volte in cui il sorriso si rifletteva nello sguardo. «Non posso fermarmi, Ruby, non adesso. Ho talmente tante cose da fare...» cercò di staccare la mano di lui dal suo braccio «Per piacere, Ruby. Fammi andare via...».
«D'altronde è quello che sai fare meglio» completò Ruby, al suo posto. «Prendi, mi salti addosso perché ti senti sola e poi scappi, dopo aver promesso che saresti rimasta. Va bene, Sapph, vai pure. Lasciami altre mille volte, se davvero è questa la tua massima aspirazione».
Lei si voltò immediatamente. «Ho fatto la mia scelta, Ruby. Mi dispiace». Lui non ebbe nemmeno il tempo di chiederle il significato di quella sua affermazione.

10. Fantasmi

Fosco: Sapphire lo conosceva piuttosto bene, il buio.
È la paura di ogni bambino che si rispetti, di quando gli tocca guardare sotto il letto per vedere se davvero un Gengar si nasconde lì sotto. Sapphire, il buio, l'ha temuto in maniera irrazionale.
Ha sempre pensato che ci sarebbe morta, al buio, senza nessuna possibilità di difendersi dal nulla. Con Blaziken ha imparato che, se illuminato, dietro il buio non ci si nasconde nulla. Ma prima che lo scoprisse da sola, era stato Ruby a spiegarglielo.
Una sera che avevano dormito insieme, si era accorto che semplicemente lei non dormiva perché aveva paura. E l'aveva stretta fra le braccia, senza parlare. Le aveva piazzato un bacio sulla testa, dolcissimo, ed aveva aspettato che lei si addormentasse.
Anche Rudi era a conoscenza del suo terrore cieco e irrazionale. Lui la svegliava per fare l'amore finché lei non crollava, esausta.
Da sola, Sapphire aveva compreso che con il buio non ci puoi combattere, ma puoi conviverci. E lei faceva così, quando ancora si svegliava di notte e scopriva che il suo letto era tristemente vuoto, che lei era sola, e che non c'era nessuno pronto a prenderle la mano e a dirle che sarebbe andato tutto bene.
Non si era mai fatta battere, Sapphire.
E con Fosco la sconfitta le sarebbe puzzata di dejà-vù, di infanzia rubata. Non glielo permise per questo, principalmente. Perché non avrebbe potuto farsi rubare quei frammenti di ricordo. Non avrebbe voluto.
Perché le scelte si pagano in desideri sacrificati, non in ricordi.

Ester: Sapphire non avrebbe saputo enumerare i suoi fantasmi, se gliel'avessero chiesto.
Si sarebbe limitata a spiegare che li vedeva, saltuariamente, al sopraggiungere di un vago ricordo. Qualche volta, quand'era stanca e delusa dai suoi risultati, suo padre appariva per ricordarle che gli idoli non si possono toccare: la doratura rimane sulle mani9.
Puoi spogliarlo, un idolo, ma nella tua testa rimarrà sempre qualcosa di tremendamente irraggiungibile.
Qualche volta, invece, se si sentiva in colpa arrivava a vedere Ruby o Rudi, o anche entrambi, pronti a dirle che erano ancora lì, ad aspettarla. Ma lei non smetteva di correre.
I peggiori, però, erano gli spettri di Adriano e Alice. Esistono persone che ti logorano con la loro mancanza, Sapphire. Il cuore accelerava all'inverosimile. Devi compiere una scelta. Se si aggiungeva Rocco, poi, era terribile: non si tratta di scelte, si tratta di obblighi.
Si tratta di tirare avanti finché non ti spezzii, Sapphire. E anche dopo.

Frida: Sapphire aveva sempre pensato di essere una persona fatta di carne e di fuoco, capace d'infiammarsi facilmente.
La sua avversaria, invece, era glaciale come un iceberg, come blocchi di ghiaccio impilati. A Sapphire, il freddo, non era mai piaciuto.
Aveva un sentore vagamente acre di morte, ma anche dei rimpianti, e delle lacrime non versate.
Frida, nella sua bellezza passa da statuina di ghiaccio, le ricordò per un attimo il sorriso di Alice. E di Ruby. Una cicatrice sul volto.
Un'indimenticabile ferita. Suturata dal ghiaccio, che mai si sarebbe riaperta.
Non senza del fuoco: per questo Ruby non poteva guarire. La aspettava ancora.

Drake: i draghi, invece, sono la fantasia che si rispetti di ogni bambina prototipo standard.
Che sia una principessina o un maschiaccio, entrambe vorrebbero avere un pokémon Drago. La principessina per farsi salvare da un bel principe con un elegante Dragonair, il maschiaccio per usare Dragobolide sia sul principe che sulla principessa, con tanti saluti ai cliché di genere.
Se una ha un minimo di cervello, aveva sempre sostenuto Sapphire, o si salva da sola o non si salva10.
E, fra lei e Ruby, buffo da dichiarare, ma era sempre stato Ruby ad avere bisogno di essere salvato. E lei ci aveva pensato, sul serio, si ci era scervellata finché non aveva trovato il compromesso.
Finché non aveva deciso che, nelle sue maniere un po' ossimoriche e controverse, era giusto così. Sono scelte, obblighi e doveri. Convergono nella determinazione che è di Sapphire nel vincere, perché soltanto battendo Rocco potrà finalmente andarsene. E, possibilmente, non tornare più.

«Hai fatto in fretta» Rocco le sorrise, le Pokèball in mano, lo sguardo stanco di chi conosce già l'epilogo. «Iniziamo?».
Sapphire sorrise. E lui lo prese come un sì, semplicemente.
Non gliela rese più facile per farla finita, ma si aggrappò al suo titolo – suo che era di Adriano, in verità – con unghia e denti e artigli. Non servì a nulla. Sapphire lo spazzò via, come un'uragano, fermandosi solo nel momento in cui lui le dedicò un singolo battimani, spiazzandola.
«Complimenti, Sapphire» dichiarò, atono. «Sei la nuova campionessa di Hoenn. Prima di portarti nella Sala dei Campioni, c'è una cosa che devo chiederti. Che cosa farai, adesso?».
«Ho deciso, Rocco» sorrise, lei, conciliante. «Ci ho pensato per notti della mia vita, e ho deciso. Finché non tornerò qui, se tornerò mai, a reclamare il mio posto di Campionessa, rimarrai il Campione di Hoenn. Andrò via. Ci sono altre regioni da esplorare, medaglie da vincere. Non so se tornerò ma, se mai lo farò, ricorda sempre che il tuo posto mi appartiene. È una concessione, non un regalo».
Rocco rise, gettando indietro la testa. «Cercherò di ricordarlo, Sapphire. Qualche altra cosa da chiarire o possiamo procedere?».
Lei abbassò il capo, imbarazzata.
«Ruby» dichiarò, senza mezzi termini. «Vorrei che mandassi qualcuno da lui. Digli che non tornerò a casa, non potrei, non adesso. Forse non potrò mai. Andrò a Johto e, forse, anche a Sinnoh o Unima, o magari anche entrambe. Digli che è vero che non so mantenere le promesse, ma questo è un giuramento che non posso sciogliere: cercherò di non rischiare la vita, questa volta. E digli anche che non deve aspettarmi, per nessun motivo al mondo. Qualunque motivo lui abbia muore con me, con la mia partenza. E... per favore, digli che mi dispiace. Credo che capirà».

«E a Rudi?» domandò Rocco, mentre la scortava nella Sala dei Campioni.
Sapphire si fermò per un attimo soltanto, come per rifletterci su. Abbassò il capo. «Non dirgli nulla. Due scelte sarebbero già troppe».


***


Compromesso


1. Scie

Hoenn spariva dietro l'orizzonte, sfumata come un miraggio, dietro le onde sollevate dal traghetto.
A Sapphire veniva quasi da ridere, a pensare che se la stava lasciando dietro in quella maniera, la sua casa, i suoi genitori con annessi e connessi. Se soltanto Ruby l'avesse saputo, sarebbe andato a fermarla, lo sapeva benissimo.
E se lo vedeva davanti: a correre come un matto dietro la scia di schiuma del traghetto, in groppa a Swampert, urlando il suo nome. Non s'illuse nemmeno per un momento e, forse, nemmeno avrebbe voluto che lui la seguisse.
Sorrise appena: se nasciamo è perché, solitamente, abbiamo uno scopo.
Non avrebbe più rischiato la vita – non in maniera tanto plateale, almeno – come aveva promesso, almeno questo. Ma, su quel traghetto, decise che non sarebbe tornata. Non nell'immediato futuro.
Un Taillow solitario le si posò sulla spalla e cominciò ad arruffare le penne, per mostrarle un solitario messaggio legato alla zampa11. Lei ci badò appena, mentre finalmente Hoenn spariva appena dietro la fine del suo capo visivo.
Finalmente, Sapphire si voltò per assecondare il Pokèmon, che le stava beccando scherzosamente la guancia. Gli lisciò le piume, mentre prendeva la lettera, arrotolata con una precisione che aveva dell'irritante. Fissò l'inchiostro azzurrino e sorrise appena.
Adriano, tipico, classico e banalmente ovvio. S'infilò la lettera in tasca, senza nemmeno leggerla. Il Taillow non si mosse di un millimetro dalla sua spalla, facendola sorridere. Lei gli carezzò il becco, meditabonda, mentre tiepide scie di sole bucavano le nubi per riscaldarla appena.
Sapphire scese dal traghetto, respirando l'aria salmastra di Fiordoropoli, in una vaga reminiscenza di Bluruvia copiata in scala maggiore.
Solitamente, Sapphire cercava di evitare quei ricordi infarciti di fantasma.
Non più: la stretta che aveva sempre provato al petto – malinconia? Mancanza? – con la lontananza era andata via via scemando. Era passata dall'essere una coltellata in pieno petto a scemare in una puntura appena accennata, come un ago che non riesce a penetrare gli strati di pelle, affonda soltanto. Sopportabile.
E, forse, Sapphire si era anche rassegnata all'idea che non l'avrebbe più rivisto, né lui né Ruby. Nella sua odissea, nella sua fuga in piena regola, non si era data criterio, non un fine che non fosse quello di allontanarsi quanto più possibile.
Qualche volta, per il mero gusto di stuzzicare le ferite solo per vedere se sanguineranno ancora, Sapphire comincia a fantasticare. Senza di lei, staranno bene, benissimo, alla grande.
Ruby troverà una scialba e sparuta professoressa pokémon con cui condividere la passione per lo studio, con cui sfornare bambini miopi e con i capelli tagliati a scodella. Rudi troverà un'allenatrice di poche pretese, possibilmente con un fisico da combat girl, e semplicemente invecchierà in quella Palestra finché non si deciderà a lasciare il posto a suo figlio. Entrambi, a lei, non ci penseranno mai più.
E cosa diventerà lei, se non uno sfogo, una scia vaga e appena tracciata, un fantasma?
Verrà un giorno in cui si scoderanno di lei, entrambi. Verrà un giorno in cui qualcuno chiederà di Sapphire e loro non avranno nulla se non scie di cui parlare. Ma va bene così, la scelta era stata solo sua: Sapphire era sempre stata maledettamente brava a fuggire. Le inclinazioni sono dure a morire. Sapphire aveva già messo in conto quel senso di mancanza, di inconcluso, ma non avrebbe saputo dire a chi fosse indirizzato. Senza contare che, quel vuoto che le alleggeriva il petto colmo di movimenti insospettabili – senso di colpa, nostalgia? – che si propagavano a ondate, non era insopportabile. Prese un paio di respiri profondi, Sapphire, ispirando a pieni polmoni l'aria odorosa di mare. Guardala bene, questa città, imparala a memoria: non la vedrai mai più. Tirò fuori una mappa, seguendo il percorso da lei evidenziato, sul traghetto. Sorrise appena, nel suo ambiente, nella sua storia.
Permise a Blaziken di uscire fuori dalla sua pokéball, per camminare al suo fianco, come due vecchi amici. Sapphire sorrise al pokémon, e forse era il tramonto o stava davvero per piangere, indicando l'orizzonte con un cenno del capo.
«Andiamo a vedere di che pasta sonofatti i Capopalestra, qui?» domandò.

Blaziken rispose con un verso piuttosto divertito, assecondandola. Anche Taillow tubò entusiasta, come se avesse compreso quel che lei aveva detto.
Sapphire sospirò, mentre si allontanavano alla ricerca della prima palestra, il nuovo Pokèmon appollaiato sulla sua spalla e il fedele Blaziken al suo fianco. Non riuscì a trattenere un sorriso, uno di quelli spontanei, da bambina.
Aveva una gran voglia di mettersi a correre in quell'aria fresca di sera che calava sopra il giorno, senza freni, urlando come una pazza. Era, finalmente, libera.
Come una costrizione, come una promessa, non avrebbe più visto Ruby aspettarla davanti ogni palestra. Con l'aria da cucciolo ferito, bagnato di pioggia, bagnato di lacrime, ma sempre lì, per lei che mai l'aveva meritato. Mai più.
E mai più sarebbe tornata a Bluruvia, per un giorno che era diventato due, e poi due settimane e poi quasi tre mesi. Non avrebbe più rivisto Rudi, in nessuna circostanza. Anche perché, nelle ben poco vaghe reminescenze dell'ultima volta, sapeva benissimo che non avrebbe retto. Nei suoi egoistici sogni da adolescente troncata a metà, se l'immaginava ancora come l'ultima volta, smagrito e distrutto nella sua assenza.
Ma, Sapphire, non poteva davvero pensare che l'avrebbero aspettata per sempre. Senza sapere se sarebbe tornata, se li avrebbe ancora amati, se non sarebbe mai cambiata. Sapphire, come in un dipinto, scomparve nell'intreccio di vie e stradine di Fiordoropoli, gli occhi lucidi di emozione, i capelli scarmigliati dal vento anche dietro la bandana.
Una singola scia di vento le sfiorò il viso, come una carezza. In tasca, illibata, la lettera di Adriana era una tentazione incandescente. Ma non poteva leggerla subito, doveva prima cominciare. Se l'avesse letta prima della prima medaglia, sarebbe tornata indietro.
Se lo sentiva nelle ossa, un presentimento, una parodia di sesto senso. Ricominciò così, Sapphire.
Con Taillow in spalla e Blaziken che camminava al suo fianco. Sorrise.
Non aveva più bisogno che la sorreggessero.


2. Mancanza

Sapphire,
Qualche giorno fa sono andato ad Albanova, a casa del tuo amico, per informarlo della tua decisione.
Ruby non l'ha presa particolarmente bene, così che sono dovuto rimanere con lui tutto il pomeriggio e, successivamente, ho deciso (di comune accordo con i suoi genitori, ci tengo a ricordare che non rapisco ragazzini) di portarlo con me a Ceneride, magari una breve vacanza lo aiuterà. Avrebbe voluto scriverti una lettera, ma gli ho chiaramente detto che non avresti gradito: sei partita per mettere distanza, non avrebbe avuto senso permettergli di ammorbarti con le sue, infantilmente conturbanti (perdonami, mi sono permesso di leggere quella che stava per mandarti e l'ho trovata un buon esempio di proemio di un dramma), lettere. Senza contare che non avrebbe fatto altro che chiederti di tornare, fino allo sfinimento, continuamente. Non riesce a capire che ci sono scelte da cui non si può prescindere, Ruby, che le persone sono quel che sono e spesso si rifiutano di cambiare: e ci sei tu, con le tue ossessioni, con la tua ambizione e con la tua totale assenza di scrupoli. Non so se torneresti, ma credo di avere la certezza quasi assoluta che, in quel caso, ricomincerebbe tutto d'accapo: con lui che ti aspetta, giorno e notte, pioggia e sole, in ogni tua follia. L'ho visto piangere, non piangere, singhiozzare come un bambino quando tutti credevamo che saresti morta. E, per quel poco che ti conosco, Sapphire, credo di sapere che non vorresti assistere a una scena del genere, sarebbe straziante. Te ne sei andata per questo, in fondo, pensando che gli passerà. Deve farlo, il tempo guarisce tutto, o è la nostra congiunta speranza. Ruby non riesce a capirlo e, in questi tre giorni da quando sei sparita dalla circolazione, non ha fatto altro che cercare di sgattaiolare via, pronto a inseguirti. Senza, fra le altre cose, sapere dove ti eri diretta. Questo ho evitato di dirglielo, mi perdonerai, ma, davvero, non mi è sembrata una grande idea: non c'è proprio verso di farlo ragionare. Mangia solo se lo si mette davanti a un piatto pieno e gli si ricorda di farlo, dorme per poche ore e giorovaga continuamente. Non faccio che trovarlo accoccolato al suo Swampert, in un angolo della sua camera, come un cucciolo con sua madre. Fa male vederlo, ma sai cos'è meglio per lui e io, come tutta Hoenn, mi fido di te. Ti ama, Sapphire, ti ama davvero. Non fa che ripeterlo, come una nenia. Almeno finché, questa mattina, non si è interrotto e ha cambiato cantilena. Ha detto, testuali parole, “non mi amerà mai”. Sia io che Rocco siamo rimasti annichiliti (è in vacanza, non si vedono sfidanti alla Lega dai tuoi tempi), congelati. Sembrava completamente folle. È rimasto immobile, sul pavimento, con il suo Swampert che ci guardava come se fosse stato pronto a sbranarci senza sputare le ossa. Se te lo stessi chiedendo, non ha pianto. Ci ha solo guardato con gli occhi spalancati, come se non ci riconoscesse. Quando siamo passati a controllarlo, mezz'ora dopo, si era addormentato come un bambino. Nel sonno, però, piangeva. Non sappiamo cosa fare, Sapphire, tu lo conosci meglio di tutti. So che non possiamo chiederti di tornare, sarebbe incoerente e distruttivo, ma potresti scrivergli due parole, un biglietto? Se lo vedessi capiresti. È completamente e totalmente annientato. Quando gli abbiamo detto che eri partita ha cominciato a correre come un matto, cercando di capire dove fossi andata. Continuava a urlare che l'avevi promesso, avevi promesso. Si è calmato solo quando gli abbiamo spiegato che eri andata in un'altra regione (non sa quale) per continuare la tua carriera di allenatrice. A quel punto, ha detto che ti avrebbe aspettata comunque. E ha riso per un po', da solo. Vorrei provare a portarlo a Forestopoli, Alice è sempre stata più brava di me in certe cose, magari con lei riuscirà a trovare il giusto compromesso. Spero che si rimetta, Sapphire, è un ragazzino. E nessuno merita di finire come lui. Mi chiedo se, sostenendoti nella tua scelta, non abbiamo creato un danno ancora più profondo del precedente, anche se suppongo che ce lo dirà il tempo, come molte altre cose. Tornerai mai, Sapphire? È una domanda che ci poniamo tutti, di questi tempi, perché in tutta Hoenn si sente la tua mancanza, partendo da Ruby per finire con Rudi. Hai detto di non dire niente, ma so che vorresti sapere come sta. Io, al tuo posto, lo vorrei. Per cui, ancor prima di andare a prendere Ruby, sono andato a Bluruvia. Non si è mai ripreso, Sapphire, nemmeno lui. Probabilmente sei tu a fare quest'effetto, ad avvelenare le persone in questa maniera. Non l'ho quasi riconosciuto, quando l'ho trovato in spiaggia, seduto nell'ombra della scogliera. Mi ha sorriso come se mi stesse aspettando, Sapphire, e si è alzato immediatamente. Lo sapeva già, Sapphire. L'ha sempre saputo. L'ha detto lui, non mi ha nemmeno dato il tempo di spiegargli la situazione, che ha anticipato ogni cosa.“Se n'è andata” ha detto così. E io non l'ho contraddetto. Ha sorriso, poi, e mi ha lasciato un pacchettino (l'ho inviato a Fiordoropoli, non me la sentivo di affidarlo al povero Taillow, passa a ritirarlo) e mi ha detto di darlo a te, dicendoti di aprirlo quando sarai pronta per tornare. So che sospetti una mia invasione della tua privacy, ma ti giuro che non ho avuto il coraggio di toccarlo. Non mi ha dato altre istruzioni, ha detto che avresti capito ogni cosa.

Adriano, Capopalestra di Ceneride.
Post Scriptum: Ruby si è appena svegliato e insiste affinché ti chieda di scrivergli, per dirgli quando tornerai. Continua a dire che ti aspetterà e io mi sento in dovere di aggiungere che, sì, sono fermamente convinto che lo farà. Ti aspetteranno entrambi. Qualunque cosa tu faccia, Sapphire, non deluderli. Non lo meritano. Anche se, apparentemente, sembra tutto talmente inevitabile.
Post Post Scriptum: Spero che il mio Taillow si trovi bene con te, sono sicura che lo tratterai più che bene. Io continuo a credere in te.

3. Favole

Cinque anni erano un tempo ragionevolmente lungo, un tempo maledettamente infinito per Sapphire che viveva di secondi rubati. Il traghetto oscillava scosso dalla marea, pronto a partire, mancava solo lei, ancora incerta. Una bambina con una ciambella gonfiabile le si fermò accanto, sorridendo giocosamente.
«Vai anche tu ad Hoenn?» disse, sorridendo contenta. «Io vengo da lì, è stata una vacanza bellissima».
Sapphire rise, stranamente accomodante. Rigirava ancora il biglietto fra le mani, indecisa: due anni. Cinque anni in cui era arrivata in vetta, senza se e senza ma, anni in cui aveva capito che non si trattava di essere la migliore, ma di continuare a lottare contro se stessa, il suo unico limite. «Sì, vado lì. Torno a casa».
Avevi promesso che non saresti mai tornata, Sapphire – mormorò una voce nella sua testa, terribilmente simile a quella di Adriano – avevi promesso. Se soltanto le promesse avessero avuto un qualche tipo di valore, per lei. Ne aveva infrante talmente tante, meno una, meno l'unica che era riuscita a mantenere. O a occultare le prove in modo tale che ogni impresa sembrasse meno pericolosa. Rise.
No, non riusciva a mantenere le promesse, era più forte di lei.

«Io sono stata a Bluruvia» disse la bambina, indicando la ciambella con un cenno del capo. «Lì il mare è stupendo, sai?».
Sapphire annuì, distratta. Un pacchettino, ritirato tempo prima e mai aperto, sembrava volerle bruciare la coscia, anche attraverso la tasca dov'era nascosto. «E l'hai conosciuto, il Capopalestra?» domandò, sorridendo appena. La voleva, Sapphire, quella certezza.
aveva un bisogno fisiologico, assoluto.

La bambina scosse il capo, facendo mulinare i capelli neri. «No, il Capopalestra non lo vede nessuno, a meno che non ci siano sfidanti» disse, candidamente. «Dicono che non esca mai, che stia davvero tanto male» sorrise. «Mia sorella Lilli era innamorata di lui, sai? Solo che non è nemmeno riuscita a parlargli, dopo averlo sfidato. L'ha mandata via, senza nemmeno parlarle. Piuttosto antipatico, non è vero?».
«È malato?» domandò Sapphire, spalancando gli occhi. «Rudi è malato?». Le tremarono le mani, per un momento, poi riuscì a controllarsi. L'aria defluì dai polmoni con sibilo, mentre la bambina la guardava, senza capire. Non sa chi sono, realizzò Sapphire. È troppo piccola per saperlo.
«No, è innamorato» rispose lei, ingenuamente. E il cuore di Sapphire smise di battere. «Sai, è una storia che raccontano tutti, una favola. Se vuoi, posso raccontartela». Non aspettò nemmeno il permesso di Sapphire, per cominciare a raccontare. «C'era una volta, un'allenatrice giovanissima. Veniva da una città davvero piccola, piccolissima, Albanova, ma già tutti lo sapevano che lei era bravissima, perché aveva già stra-battuto la Capopalestra di Ferrugipoli. Lei andò lì, dicendo che in due giorni sarebbe andata via, con la medaglia. Arrivò davanti a Rudi e lui vide che era bellissima e che era anche capace di batterlo in pochi minuti. S'innamorò di lei al primo sguardo, come nelle favole, e lei di lui, perché anche Rudi era davvero bello. Lei, poi, era così piccola che stava perfettamente fra le sue braccia e si amavano così tanto. Ma lei era un'allenatrice davvero forte e, dopo due mesi, dovette partire per conquistare le sue altre medaglie, per diventare la migliore. Salvò perfino Hoenn da due pokémon enormi, che minacciavano di distruggere il mondo. Credo che non sia mai tornata a Bluruvia. Rudi la sta ancora aspettando».
Sapphire rise, mentre la bambina finalmente s'interrompeva. «È davvero questa la storia che raccontano?» domandò, scuotendo il capo. «Parlano davvero di un'allenatrice che insegue il suo dovere, che doveva salvare il mondo?». La bambina annuì, semplicemente, mentre Sapphire scoppiava a ridere.
Si piegò sulle ginocchia, per raggiungere l'altezza della bambina. «Vuoi raccontata la vera storia?» chiese, sorridendo appena. La bambina annuì, di nuovo. «Accadde tutto quasi sei anni fa. L'allenatrice aveva quindici anni, quasi sedici. Non era una bellissima principessa, una di quelle eroine da favola, oh no» rise appena, sistemando una ciocca di capelli sfuggita dal controllo della bandana. «Una volta, un mio amico, ha detto che lei era semplicemente quel che era, nel suo metro e quarantasette con un ginocchio sbucciato. Non era una principessa, era un'allenatrice. Sono entrambe cose che hai nel sangue, ma non puoi scegliere quale fare tua. Ed era determinata, certo che lo era. Arrivò a Bluruvia per prendere la medaglia e finì per rimanere lì per due mesi, come hai detto tu. Nessuno sa se fossero veramente innamorati, nemmeno lei» rise appena. «Se ne andò e rifiutò di fermarsi, salvò il mondo solo perché era convinta di essere abbastanza forte per farlo. E non tornò mai più, né a casa né da Rudi perché, semplicemente, aveva altre cose da fare, più importanti. Lasciò Hoenn e nessuno sa dove sia finita, ormai».
«Questa storia non mi piace» osservò la bambina, con estrema innocenza. «Lei è stata cattiva. Non doveva lasciarlo, doveva capire che l'amore è sempre più importante».
Sapphire si trattenne dallo scoppiare a ridere. «Oh, sì. L'amore. C'era un altro ragazzo che l'amava, che aspettava che lei si fermasse un attimo soltanto per dirle che l'amava. E lei fuggiva, ogni singola volta, senza aspettarlo» disse, con l'ombra di un sorriso sul viso. «Se n'è andata da Hoenn anche per questo».
«Avrebbe dovuto scegliere e rimanere accanto a uno dei due» disse la bambina, con aria saccente. «Anche questo è amore».
«Ha preferito pensare che entrambi sarebbero stati in grado di non pensare a lei, se fosse sparita» rispose Sapphire, piccata. «Anche questo è amore, li amava allo stesso modo, non credi? Come fai a scegliere fra due persone che ami allo stesso modo?».
«Guarda che non puoi amare due persone allo stesso modo» osservò la bambina. «Li puoi amare entrambi, ma uno lo amerai comunque di più12».
Sapphire si alzò da quella scomoda posizione e sorrise. Guardò il suo biglietto, un'ultima volta. «Grazie» sorrise, strizzando l'occhio alla bambina. «Credo di sapere cosa fare, adesso». E corse verso il traghetto, mentre infilava la mano in tasca e ne estraeva un pacchetto. Sorrise appena, quando il traghetto cominciò a solcare le acque, verso porto Alghepoli.
Verso casa.



***


Comprensione


1. Tornare

Adriano,
So di non averti mai risposto, nemmeno con un biglietto, nemmeno con una singola parola per tutti questi anni.
Potrei dirti che mi dispiace infinitamente, ma probabilmente sarebbe soltanto una delle mie bugie, quindi te lo dico per quel che è: non potevo scrivere altrimenti, credo, mi sarebbe venuta voglia di tornare.
Invece non mi sono mai fermata nello stesso posto, credo che questo tu l'abbia intuito, dato che le tue lettere sono state sparse in ogni città di Johto, Kanto, Kalos e Unima. Non ho mai capito dove tu trovassi tante parole da scrivere, di cui una buona metà mirate ad acuire i miei sensi di colpa, ammesso e non concesso che siano mai esistiti.
Forse non te lo ricordi, non potresti ricordartelo, ma nella tua prima lettera dopo la mia partenza, mi dissi di ritirare un pacchetto, da parte di Rudi.
L'ho fatto.
L'ho aperto pochi minuti fa, mentre faccio quel che ho sempre giurato di non fare. Torno a casa, Adriano, sperando che nessuno mi stia ancora aspettando. Anche se, la verità, la conosco più che bene: conservo le tue lettere dove mi parli di Ruby e lo so, credimi,
lo so che non si è ripreso.
Lo so che l'avete mandato da Alice, sperando che lei riuscisse a fargli capire che vale la pena di andare avanti, a volte, sempre.
Non mentirò, per una volta: non sto tornando da lui, non subito. Sono diretta a Bluruvia. E, non mentire, so che sai cosa mi aveva mandato Rudi, ti è sempre piaciuto curiosare.
Ma, nel caso in cui tu, per una volta, abbia soppresso i tuoi istinti, sappi che è bastato a farmi cambiare idea. È vero, però, che non l'ho capito subito. Ci ho messo cinque anni e ho avuto bisogno di una bambina per capire che, semplicemente, l'amore è infinito, anche se io ho la percezione imperfetta che è sempre stata soltanto mia, ma esistono infiniti più grandi di altri infiniti13 e su questo non si può sorvolare.
Me l'hai insegnata tu, l'importanza di compiere una scelta: sto tornando a casa.

Sapphire.

Rocco,
Credo che tu non abbia mai dimenticato il nostro accordo.
Sto tornando ad Hoenn, a reclamare il mio posto alla Lega, a reclamare il
tuo posto. Spero non ti dispiaccia: una volta, mentre vagavo sul Monte Pira, una ragazza mi ha detto che soltanto due cose tornano sempre. I fantasmi e i rimpianti. Non so in quale categoria inquadrarmi, ma sapevamo entrambi che sarei tornata. Magari non entro una decina di giorni, ma sarei tornata. In questo momento, sono diretta a Bluruvia, dove ho alcuni conti da sistemare. Poi, dovrò passare a Forestopoli, immagino che tu sappia perché. Dopo che avrò sbrigato questi affari, finalmente passerò a trovarti, dopo tutto questo tempo. Probabilmente te lo ricorderai: me l'hai insegnato tu, che spesso non si tratta di semplici scelte, ma di doveri. E il mio dovere non è mai stato verso le persone, ma verso me stesso. Adriano ti avrà raccontato del pacco di Fiordoropoli, di Rudi, delle sue lettere senza risposta. L'ho aperto, il pacchetto, per scoprire che anche io posso sbagliare. Che avevo un altro dovere, ed era verso una persona. E magari l'ho sempre saputo, e ho scelto di ignorare tutto ciò che non fosse quello per cui credevo e credo di essere predestinata. Sarò a Bluruvia entro domani sera. Si tratta di doveri, Rocco, ricordi? Non posso evitarlo per sempre. Viene il momento in cui siamo costretti a scoprire che, oltre gli idoli, i fantasmi e i rimpianti abbiamo davvero poco. Io, i miei idoli e i miei fantasmi li ho demoliti tutti, con lentezza esasperante. Non ho rimpianti. Ho doveri. Tornerò a prendere il mio posto, ricordatelo.

Sapphire.

Alice,
Probabilmente non ti ricorderai di me, ma certamente sai chi è Ruby dato che, da quel che so, è sotto la tua custodia. Per essere diretti e sinceri, come in tutta la mia vita non sono mai stata, io sono il motivo per cui Adriano l'ha dovuto portare da te. Se ricordi ancora le vecchie storie di cinque o sei anni fa, sono anche il motivo per cui Rudi, il Capopalestra di Bluruvia, non esce di casa se non costretto. A quanto pare, non sono mai stata una così bella persona da frequentare, sebbene io sia sempre convinta di aver fatto del mio meglio. Ma, comunque, non è per questo che ti sto scrivendo: sto tornando a Hoenn, dopo anni. Presto lo sapranno tutti e così arriviamo al perché di questa lettera: Ruby non deve saperlo. Non so quanto ci metterò ad arrivare a Forestopoli, quanto tempo perderò, quanta voglia avrò di combattere con i miei fantasmi spezzettati e distrutti. Non credo di avere il diritto di chiederti favori, ma sono piuttosto certa che, almeno per il bene di Ruby, riuscirai ad assecondarmi, almeno in questo. Perché, la triste verità è che sono una codarda che ha fatto la sua scelta. Non ho la forza di andare subito a parlargli: riuscirebbe a fermarmi, l'ha già fatto più volte. Devo andare a Bluruvia, prima di parlargli, ho bisogno anche io delle mie certezze. Ti prego, cerca di non fargli sapere nulla del mio ritorno. Non voglio spezzarlo di nuovo, sappiamo entrambe, come lo sapeva anche lui, che ne sarei in grado. Sono brava a ferire le persone e ho rovinato un sacco di cose.
Sapphire.

Rudi,
So che non te lo aspetteresti mai. Ma sto tornando e, questa volta, sto tornando per restare. Ho ricevuto il tuo pacchetto e, lo ammetto, ci ho messo parecchio tempo per capirlo pienamente. Ho la risposta, quella giusta. Sto arrivando. E so che non credi al valore delle mie promesse, ma ti giuro che è vero. Ho finito i posti da esplorare, ho raggiunto quel che credo sia il mio fine ultimo. E ho capito cosa avrei dovuto fare qualche anno fa. C'è una cosa che devo dirti, che non posso scriverti, e quella deve bastarti come risposta, te ne prego.
Ti aspetto, domani, al solito posto.
Sapphire.

2. Attesa

La sabbia sotto i piedi era fredda dell'ombra del sole collassato dietro l'orizzonte.
Sapphire, sulla sabbia bagnata, si sentiva a disagio. Come se quel tempo non fosse mai passato. Ma era successo, invece, ed erano cambiate le situazioni, le persone. Non sarebbero mai più stati gli stessi. L'avevano persa per sempre, quell'innocenza da ragazzini, il senso lievissimo d'insicurezza che è delle prime volte. Spariti, persi. Giocherellò con la scatolina scoperchiata che aveva aperto dopo anni, con il fiato incastrato in gola, mentre tornava ad Hoenn. Rudi l'attendeva nell'ombra della scogliera, seduto sulla sabbia bagnata, lo sguardo perso nel mare che si gonfiava nella risacca. Sopra di lui, un mare spumoso di cirri e l'orizzonte sfumato dove Sapphire era sparita, tempo prima.

«Sei tornata» disse, sorridendo appena. «Non ci ho creduto nemmeno per un secondo, sai. E, invece, eccoti qui».
Sapphire ricambiò il sorriso, agitando appena la sua scatolina. «Sai, credo di doverti una risposta» disse, semplicemente. Scivolò sulla sabbia, al suo fianco, cercando le parole giuste per esprimersi, i versi di un qualunque cantastorie morto e sepolto. Non ne trovò. Così si limitò a cercare un motivo nel suo silenzio.
«Sei tornata solo per questo?» domandò Rudi, sottovoce, come se avesse paura della risposta che lei avrebbe potuto fornirgli. «O hai altri motivi?».
«Ho preso una decisione» rispose Sapphire, scrollando le spalle. «E sentivo di avere lasciato troppe cose in sospeso, ricordi? Come motivo, credo valga qualcosa».
Lui scrollò le spalle. «Se ti aspetti che ritratti, che ritiri tutto ciò che significa quel regalo, non posso farlo» mormorò Rudi, semplicemente. «Non significa niente. O, meglio, significa esattamente quello che dovrebbe significare».
Lei sorrise: scelte, doveri, fantasmi. Rimpianti. «Ed è per questo che non lo posso accettare, Rudi» disse lei, sospirando appena. «Anche prima di aprirlo avevo preso la mia decisione. E non è cambiata. Accettarlo vorrebbe dire ritornare al punto di partenza, e ricominciare a scappare. E non voglio».
Gli porse quel dono, quel singolo anello minuscolo nel palmo della sua mano. Quando l'aveva trovato, senza un biglietto, senza una spiegazione, il suo cuore aveva completamente smesso di battere. E lei era rimasta completamente annichilita, annientata, seduta sulla sua brandina, con il traghetto che oscillava fin troppo, seguendo il ritmo turbinoso dei suoi pensieri.
Un anello per le sue dita minuscole, un cerchietto d'oro bianco con una pietra minuscola, come lei, in cima. Una pietra azzurra, forse uno zaffiro o un'acquamarina. In quel momento, anche se non l'avrebbe mai ammesso, le sue certezze avevano vacillato. Ma soltanto per un momento: alcuni infiniti sono più grandi di altri infiniti. E le scelte spesso non sono obbligate o obbligatorie, sono semplicemente giuste.

«Sono stata via per anni» continuò Sapphire. «E so benissimo che le favole nascondono la verità, non l'amplificano. So che hai trovato altre ragazze, so che ne troverai. Andrà bene, Rudi, lo sappiamo entrambi. L'anello potrei darlo a qualcuna che lo porterà meglio di me».
Rudi sospirò, le nocche sbiancate sulla mano stretta a pugno. Dentro, l'anello come un cerchio di fuoco sul palmo. «Non cambierai mai idea, non è vero?».
«Non sono una persona che cambia facilmente idea» rispose lei, sorridendo appena. «Pensavo che te lo ricordassi».
«Pensavo che saresti rimasta, dopo averti pregata un po'» mormorò Rudi, con l'innocenza di un bambino. «Pensavo ti fosse rimasto qualcosa».
Sapphire non rispose. Rudi proprio non riusciva ad arrivarci, che l'aveva amata per inerzia, perché aveva cominciato ad ammorbarsi di favole ben più rosee della realtà. Rudi l'aveva amata, forse, nei primi mesi. Poi lei era sbiadita, con la distanza, con l'assenza. L'aveva trovata in altre ragazze, a differenza delle storie, era bastato chiedere agli abitanti della città. Tutte con i capelli castani, un paio con una bandana in testa o al polso. Ma di Sapphire, della Sapphire dei primi mesi era rimasto solo uno spettro sbiadito di malinconia. Se soltanto Rudi fosse stato in grado di comprenderlo, allora sarebbe stato tutto più facile. Se soltanto lei se ne fosse resa conto prima, non ci sarebbe stato bisogno di correr via da Hoenn, da casa sua. Anche lei figlia dei suoi fantasmi, dei suoi errori, Sapphire si era giocata cinque anni contro un'entità che non poteva controllare, contro le sue convinzioni.
«Siamo le scelte che facciamo, Rudi» rispose lei, dolcemente, prima di alzarsi, scrollandosi la sabbia dalle gambe. «E io, senza saperlo, avevo già scelto».
«Non avevi scelto me» osservò Rudi, abbattuto. La sabbia grigiastra di luna gli rimase impigliata sulle mani, sulle gambe, sui vestiti mentre si alzava.
«No, non avevo scelto te» confermò lei, abbassando lo sguardo, a disagio. «Ma ho avuto bisogno di capirlo anche io».
Per un attimo, sembrò di nuovo la quindicenne piena di speranze e di ambizioni che aveva messo piede a Bluruvia per la prima. Sapphire e il suo metro e quarantasette con un ginocchio sbucciato, Sapphy per la sua famiglia e le sue amiche, Sapphire sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma era cresciuta, era cambiata e finalmente aveva capito: Sapphire, semplicemente Sapphire, nel suo metro e cinquantacinque con un ginocchio pieno di cicatrici biancastre; Sapphy per i suoi genitori che, certe abitudini, non le hanno mai perse, Sapph per Ruby, Sapphire sui documenti. Sapphire per i suoi fantasmi.
Non ha mai avuto il coraggio di chiedersi che tipo di Sapphire fosse stata per Rudi, non ne ha mai avuto la forza. Se l'avesse fatto, con tutta probabilità, avrebbe trovato prima la sua risposta. E adesso doveva sopportare un devastante senso di colpa, lo sguardo di Rudi venato di rabbia e delusione, e lei che non riusciva a non pensare che stava perdendo tempo. Che nemmeno volando sul dorso di Swellow riuscirebbe a raggiungere Forestopoli prima di due ore. Proprio non riusciva a non pensarci, era più forte di lei, il tempo. Gliel'aveva insegnato Dialga, che il tempo ti schiaccia.

«Devo andare» riuscì a borbottare, prima di voltarsi. Non le impedì, però, di sentire la voce di Rudi, velata di risentimento.
«Io ti ho aspettata» gridò. «Ti ho aspettata per quasi sei anni».
Sapphire non lo guardò nemmeno. «C'è una persona che mi ha aspettata per ancora più tempo».

3. Patetico

Ruby si sentiva incommensurabilmente e totalmente patetico.
Erano passati quasi sei anni, sei anni in cui lui non aveva fatto altro che scriverle ogni singolo giorno, supplicandola di tornare, in lettere che probabilmente Adriano aveva prontamente intercettato, aiutato da Alice. L'aveva rimpianta per giorni, per settimane, mesi, anni. Ogni giorno che cedeva il passo al seguente gli era sembrato ancora peggiore del suo predecessore, senza fine, ventiquattro ore che non si consumavano mai. Sei anni di vuoto, di cibo ingollato a forza, di acqua bevuta per mero istinto di sopravvivenza. Anni di macigni, rimpianti, fantasmi.
E ancora ci sperava.
Si diede dello stupido, silenziosamente, mentre la porta della sua stanza si apriva con uno scatto e con l'agonia dei cardini. Alice, pensò subito Ruby. Era sempre Alice. Alice che si sedeva accanto a lui per delle ore, portandogli qualche notizia di Sapphire, lettere di Adriano e Rocco, i pasti. Ma mai, mai una lettera da parte di Sapphire. Nemmeno una. Una singola, dannata lettera dove si scusasse per averlo abbandonato in quel modo. Ma, nella striscia di luce che rischiarò la sua stanza in penombra, Ruby non vide Alice. Vide una sagoma minuta, familiare. E, per un attimo, ci sperò per davvero. Sperò che fosse tornata, lei, la sua Sapphire. Si diede dello sciocco, nella sua testa. Era patetico, incredibilmente patetico. E stupido, anche, se davvero continuava a sperarci.
Non sarebbe tornata, le premesse c'erano tutte, senza possibilità di equivoco: Sapphire era sparita, inghiottita dalla lontananza, lasciandolo solo con il suo macigno, sul petto.
E così pensò, finché non se la ritrovò davanti. E, miracolosamente, era ancora lei, tutta intera, una Sapphire di carne e di fuoco che credeva di non poter più rivedere. Sapphire, semplicemente Sapphire.
Non più nel suo metro e quarantasette, con il ginocchio graffiato e scorticato, e quel suo sorriso inciso di pietra e vetro e lame. Sapphire che si chinava per scivolare accanto a lui, e perfino Swampert non la respingeva, ma la lasciava toccarlo, parlargli. Ruby si sentì veramente patetico: aveva tanto fantasticato sul suo ritorno che, a fatto avvenuto, non seppe cosa fare. Aveva sempre pensato di avere due possibilità – amarla o ammazzarla14 – e di avere le capacità di scegliere.
Quando, invece, era soltanto infinitamente patetico, immobile, come congelato o pietrificato dallo sguardo di Sapphire. Se avesse scelto di amarla, avrebbe anche scelto di non lasciarla mai, di aggrapparsi a lei per respirare, per sempre. E se fosse esistito qualcosa dopo quel sempre, allora anche dopo quella seconda eternità.
Se avesse scelto di non amarla, allora sarebbe stata la stasi. Sarebbe finito in una dimensione di tempo diviso in ghiaccioli, in ghiaccioli affilati come lame pronte a squarciarlo a metà. Se solo avesse avuto la forza di scegliere, allora, le avrebbe davvero considerate, quelle due opportunità. Non ci era riuscito. Era rimasto a guardarla, come un patetico idiota, come lo scemo del villaggio.
Come si fa con un'idolo ancora fresco di doratura, intonso e illibato dietro uno strato di polvere. A guardare Sapphire che, per la prima volta in vita sua, parlava mangiandosi le parole, senza un'ordine ben preciso, girandosi attorno.
E lui si sentiva come se l'avesse pugnalato a porte, patetico, come se l'avesse lasciato a dissanguarsi per terra. Si guardarono, solo per una frazione di secondo, dove perfino Sapphire si ritrovò a vacillare, incerta. Le occhiaie, sotto i suoi occhi duri come pietre, erano una scia fievolissima.

«Sono tornata, Ruby» riuscì a cavarsi dalla bocca. Ruby, in un lampo di consapevolezza, si accorse che Sapphire stava tremando. «Sono qui».
Lui sorrise, e sembrò quasi che la pelle del viso potesse lacerarsi per quel minimo sforzo. «Lo so» disse, tossendo le parole. «Ti ho aspettato».
Dejà-vù.
Sapphire sputò via i grumi d'argilla e sabbia che si moltiplicavano nella sua bocca, incollando la lingua al palato, impedendole di parlare. Ruby, come un bambino, si era rannicchiato sul pavimento, avviluppato nelle spire di Swampert, con la testa che ciondolava di sonno.
«Lo so» sussurrò Sapphire. Si concesse un gesto inusuale, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita, così piano che Ruby dubitò perfino che fosse accaduto. «E non ci sono parole per dire quanto io ne sia eternamente grata».

Ruby non la guardò nemmeno.
Cominciò a tremare, rannicchiato sul pavimento, scosso da singhiozzi che avrebbero potuto spezzarlo a metà. Cominciò a gracchiare il nome di Alice, con le lacrime che gli scorrevano sul viso, come scie di lava bollente che lo scavava fino alle ossa, trapassando i muscoli. La Capopalestra arrivò correndo, una pezzuola umida fra le mani, che posò sul capo di Ruby, sussurrandogli qualcosa all'orecchio, con fare infinitamente materno.
Lui non smise, nemmeno per un attimo, di tremare, fra le braccia di Alice che lo reggeva, per impedire che si sfracellasse sul pavimento, diventando un milione di briciole. Finché lui non trovò la forza di alzare la testa dal grembo di Alice, facendo crollare la pezzuola con un rumore umido, bagnato, che fece sobbalzare Sapphire. Aveva gli occhi lucidi, forse di pianto, forse di febbre. Rise appena, scoprendo i denti.
Con orrore, Sapphire si accorse che uno di questi era scheggiato, di quando Ruby si era lasciato cadere a faccia in giù, sul pavimento, senza forze. Lei se n'era andata da due settimane e mezzo e nessuno, nessuno, avrebbe mai scommesso sul fatto che lei sarebbe tornata. Nemmeno lei, probabilmente e, di certo, non Ruby. Era già abbastanza patetico senza che si mettessero in mezzo tutte quelle stupide fantasie, quei fantasmi. E gli idoli.

«Shh» sussurrò Alice, sfiorandogli la fronte con le dita pallide. «Va tutto bene, Ruby. Respira. Va tutto bene, ti fidi di me?».
Ruby annuì, cullato dal suono delle sue parole. Puntò gli occhi, completamente spalancati, su Sapphire, mentre muoveva le labbra, senza parole, senza riuscire a esprimere un concetto già vissuto. Sospirò, lui, prima di rilassarsi appena, sciogliendo le spalle dalla posizione innaturale che avevano assunto. Si sforzò di sorridere, Ruby, in una smorfia grottesca che fece arretrare Sapphire.
«Alice» esalò, con fatica immensa. «Quanto di quello che ho visto è vero?».

4. Veli

Non le aveva creduto.
A Sapphire si bloccò il fiato in gola, mentre correva via da quella città, da Ruby, da Alice e il suo sguardo velato di malinconia, da tutti quanti. Una leggera pioggerellina le sferzava il viso, ma non importava. Avrebbe anche potuto piangere, in quel momento, e nessuno l'avrebbe mai saputo. Esclusa lei. E ne avrebbe sempre avvertito il marchio, come una maledizione, sottopelle come un segreto che solo lei avrebbe potuto conoscere. Avrebbe pianto a dirotto, se soltanto si fosse ricordata com'è che si fa a piangere. Non versò nemmeno una lacrime.
Si congelarono tutte come spuntoni di diamante nell'iride, minuscole scheggie di vetro ghiacciato che l'avrebbero ferita, in ogni momento, senza che lei riuscisse minimamente ad impedirlo. Sapphire si fermò soltanto quando, due giorni dopo, si ritrovò ad Iridopoli. Nemmeno per un momento, una frazione infinitesimale di quel tempo che non riusciva a contare, era riuscita a trovare la forza di piangere, di urlare. Di dirsi quant'era stata immensamente e completamente stupida, ingenua, una stupida ragazzina piena di sogni. E così aveva camminato, corso, per inerzia, senza avvertire nulla che non fosse la pioggia che si abbatteva sulla sua pelle, ferendola, scavandola, penetrando dietro i muscoli per infradiciarle le ossa. Ruby. Sapphire si fermò solo davanti l'entrata della Lega, per specchiarsi in un velo d'acqua. Le venne restituita l'immagine sbiadita di una Sapphire distrutta dal sonno, dalle intemperie. Erano tornate le occhiaie, contorni violacei come lividi sotto gli occhi.
E i capelli erano pieni di foglie e rametti secchi, la pelle tutta piena di graffi di quando si era impigliata nei cespugli durante la sua folle corsa.
Sapphire, ritta come un fuso e sottile come uno stelo, di fronte al posto che le spettava per diritto, spezzata come una rosa, d'inverno durante le tempeste. E non c'era speranza, nemmeno un velo, nemmeno una percezione minima dei rimasugli del vaso di Pandora. Ancora in piedi: Sapphire, anni prima, aveva giurato che non si sarebbe più appoggiata a nessuno, mai più. Le tremavano le ginocchia, entrambe scorticate di sangue raggrumato dietro un velo di terra. E il tempo era finito, consumato dalla speranza e dai sogni, così come le scelte. Ruby. L'aveva creduta un'allucinazione, un delirio, un incubo. E lei era rimasta, inerme, a vederlo piangere e dimenarsi mentre le urlava di andar via, lontano da lui. L'aveva fatto, se n'era andata aveva cominciato a correre come una pazza, senza nemmeno conoscere la sua meta. Per inerzia, aveva continuato a camminare, con tutti i muscoli doloranti, e la speranza era finita, persa per sempre. Insensibile, Sapphire misurò l'ampiezza di ogni singolo passo, cercando di squarciare il velo che avvolgeva i suoi pensieri.
Uno, due, tre. Pausa.
Le ginocchia facevano tremendamente male, la testa girava per la mancanza di sonno. Sapphire strinse i denti, spezzando il labbro sotto la loro forza rabbiosa.
Un passo, il seguente e quello dopo ancora.
Fosco che, ammantato d'oscurità, le gettò uno sguardo indecifrabile, liquido come petrolio e fumoso di carbone. Non si mosse nemmeno, non disse niente, non le chiese spiegazioni. Si limitò a lasciarla passare. Sapphire non si voltò indietro, nemmeno per un secondo. Il buio come cornice per i suoi sogni infranti, per i suoi pensieri spezzati in mille frammenti tutti taglienti, per i suoi idoli demitizzati e privi di doratura.
Sapphire sorrise.
La porta si chiuse come uno scatto. Passi infiniti, le ombre dietro di lei a seguirla come amanti, avanti, andare avanti per inerzia, per non sentire dolore. Per anestetizzare il prurito di cicatrici pronte ad aprirsi alla minima pressione.
Il contatto sterile, forzato, fra scarpa e suolo. Ogni muscolo contratto, gli occhi spalancati di stanchezza.
Ed Ester e i suoi fantasmi: prendili per mano, Sapphire. Sembrava voler dire così.
Prendili per mano e accettali per quelli che sono. Non ti lasceranno mai più e non importa cosa farai per impedirlo: ci sono cose che non puoi cambiare. Il fantasma preferito di Sapphire era di un grigiofumo venato di rosso rubino.
Lo prese per mano e fu esattamente come affondare nella nebbia, nel mare brumoso d'inverno, come soffocare in una cappa di veli lievissimi. Un fantasma dagli occhi allucinati, senza bocca, che può solo guardarla, in un silenzio infinito.
Prendimi per mano, coraggio. Disse così. Possiamo andare all'inferno, se vuoi.

Fluttuare come un fantasma nel freddo secco, affilato, e sprofondarci fino alle ossa, senza altre scelte.
Frida non la guardò nemmeno, altezzosa, una bella scultura di ghiaccio anch'ella, fatta per sorridere e ferire.
Il respiro ghiacciato del fantasma, Sapphire se lo sentiva addosso come una maledizione. Come i suoi occhi umidi di lacrime congelate, riflesso esatto di quelli di Sapphire. Sospirò.
Ed era quello, il freddo vero: quando il suo fiato si condensava per diventare vapore, un vero di parole evanescenti, disciolte nell'aria.
Potevi affondarci le mani, se eri coraggioso, e coglierne i sottintesi. O potevi proseguire, un passo dietro l'altro, facendo attenzione a non scivolare nel ghiaccio.
Sapphire non riusciva a muovere le mani, nemmeno volendo, nemmeno potendo: aveva gli arti contornati da quelli neri-grigi-rossi del suo fantasma.
E Drake dallo sguardo costernato, la guardò in tralice nel suo percorso infinito, dispiaciuto come chiunque si trovi davanti a una persona rotta in mille pezzi. Avrebbe potuto fermarla, non lo fece.
Sapphire che continua a strisciare, come un verme, come un ferito cronico, verso la fine. E un fantasma che le carezzava il capo e cantava per lei, impietosito.
Rocco spalancò gli occhi, nel vederla entrare, barcollante e incerta sui suoi arti pallidi. Corse verso di lei, in tonfi pesanti che a Sapphire sembrarono decisamente eterni, senza tempo e spazio, sospesi nel vuoto.
La raggiunse nel secondo esatto in cui il fantasma la lasciò andare – si era fatta sorreggere. Promesse infrante, ancora, anche in quelle con sé stessa. Sono le uniche dove non puoi barare col mazzo – sul pavimento della Lega, senza forze. La raccolse, un semplice fagotto rannicchiato sui suoi spigoli, con gli occhi spalancati. Sapphire, la campionessa di Hoenn. Guardò Rocco negli occhi, con un sorriso dolcissimo.
E scoppiò a piangere.


5. Pazzia

Cominciò così, il regno di Sapphire alla Lega: una statua di ghiaccio che aspetta la prossima sfida e quella dopo ancora.
Non ve ne erano, persone con abbastanza fegato da sfidarla, la sua fama spaventava abbastanza per impedire ogni iniziativa.
E lei attendeva, trascinandosi nei suoi giorni e in quelli a venire, senza alcuna percezione che riuscisse a scuoterla abbastanza dai suoi pensieri.
Erano sempre lì, qualunque cosa lei facesse: dal momento esatto in cui apriva gli occhi, scoprendoli ancora incrostati di sogni, all'istante in cui le toccava stendersi e provare a prendere sonno, senza riuscirci. Rocco si era rifiutato di lasciare Iridopoli, per tenerla sotto controllo, per assicurarsi che continuasse quantomeno a respirare.
Quando lottava, quando qualcuno era talmente sciocco da farla combattere, era uno spettacolo che lasciava senza fiato. Non si muoveva quasi, schierava uno, massimo due Pokèmon.
E finiva subito, in un turbinio di mosse che stordivano l'avversario e lo stendevano senza possibilità di replicare. Al suo fianco, il fedele Blaziken. Che la sorreggeva, sfiorandola appena, permettendole di scivolargli addosso quando le ginocchia smettevano di reggerla.
Promesse infrante: non riusciva più a rimanere in piedi da sola, Sapphire, non più.
Ogni passo che muoveva era disgustosamente e tremendamente incerto, strascicato, senza criterio. Quando era sola e provava ad andare avanti, da sola, crollava inevitabilmente.
Più di una volta l'avrebbe trovata, Rocco, riversa sul pavimento.
Sapphire, ancora piccola, talmente rannicchiata che tornava ad essere alta un metro e quarantasette, con le ginocchia piene di ferite che non si rimarginavano mai. Non pianse mai più. Non ne avrebbe avuto la forza, non quando ogni passo si trascinava dietro veli di stanchezza e percezioni annullate. E lo sapeva benissimo, Rocco, che Sapphire non dormiva, se non una o due ore per notte.
E il caffè era sempre finito, perché si rifiutava di comprarne. Aspettava che il tempo, o il sonno, se la prendesse. Ma non succedeva mai. Continuava a esistere, perennemente sveglia, Sapphire. La campionessa di Hoenn che, da quel trono, nessuno avrebbe mai scomodato.
Nel via-vai di gente dalla Lega, c'era sempre Adriano, ammantato di verde acqua, ogni settimana con una decina di buste legata fra di loro con uno spago.
Sapphire non le scioglieva mai. Sapphire le prendeva e le tirava in aria, sorridendo appena quando il suo Blaziken le arrostiva senza troppi complimenti. Non leggeva nemmeno il mittente: lo sapeva già. E, nelle settimane che si susseguivano, l'unica cosa che sembrava animarla un minimo erano i roghi con le lettere portate da Adriano.
Erano i singoli attimi dove la sua bocca smetteva di essere un semplice taglio sul viso – un'indimenticabile ferita – per diventare uno scrigno ricco di tesori, di denti piccoli come perle e affilati come rasoi che affondavano nella carne indifesa del labbro. Erano i momenti in cui quasi sorrideva, presa da chissà quale ricordo.
E Rocco si spaventava nel vedere che Sapphire aveva l'abitudine di voltare il capo, verso un'angolo completamente vuoto, e tendere la mano, come per prendere qualcosa. Come per prendere un'altra mano, semplicemente, come per congiungersi a un fantasma nero e grigio. E rosso.
E muoveva le labbra, sussurrando qualcosa. Non ancora, mormorava Sapphire. E Rocco impallidiva e guardava Adriano, senza parole, mentre Sapphire affilava lo sguardo sul mucchietto di cenere. È una cosa debole, il senno di una persona, rifletteva Rocco ed era un pensiero talmente doloroso da farlo annaspare in cerca di ossigeno.
È la corruzione della sostanza stessa di un individuo. La sostanza di Sapphire, al pari di quella di Ruby, era marcia come acqua stagnante in un vaso di fiori vecchio di giorni15.
In questo si somigliavano. Ma il dubbio che logorava Rocco, riflesso identico di quello che doveva aver logorato Alice di Forestopoli, era che il senno di Sapphire se lo fosse inghiottito il buio.
Eppure, Alice la sua risposta poteva trovarla da sé: c'è un confine sottilissimo che separa la sanità mentale dalla follia.
Era mai stato matto, Ruby? Forse no.
La follia non è essere a pezzi o custudire un oscuro segreto. La follia sono le persone, amplificate16. E Ruby era principalmente consunsione, tristezza e attesa. Nulla di più. Cosa fosse Sapphire, invece, non era facile da stabile: si perdeva, Rocco, in una selva di pensieri senza fine e senza scopo.
Era pazza, Sapphire? Era incoerente, ossimorica, strana, difficile e pazzamente e inconfutabilmente spezzata. Ma era pazza?

Guardandola nelle sue fisime, nelle sue abitudini, Rocco cominciava a partorire una parvenza di risposta: Sapphire e la cenere, la cenere e Sapphire. Un giorno si svegliava e sosteneva che era di quello che erano fatti i fantasmi. Di cenere. Poi si correggeva e aggiungeva che erano anche fatti di ricordi, ricordi e cenere e polvere. E sangue e paure. Lei, per averne sempre uno al suo fianco, aveva preso la sua paura più grande – il buio – e ne aveva creato un mostro. L'aveva lasciata rotolare nell'attesa polverosa, nella cenere e nei ricordi finché non era diventato un fantoccio nero e grigio.
Non contenta, l'aveva preso per mano. Con una lama si era aperta le vene per potergli dare il suo sangue e nutrirlo di dubbi, tingendolo di rosso.
Sangue, vinorosso, melograno.
Gocce enormi che ticchettavano nelle vene, insopportabili. Inchiostro colorato per dare un nome alle sue fantasie, alle sue paure perse in quel tempo che non riusciva a controllare. Rosso rubino in nome di un nome che non era un nome, ma una ferita scolpita sulle ossa del viso. E Rocco a correrle dietro, senza capire, senza capirla: a rincorrere i suoi incubi di carne e sangue, come lei, a rincorrerla quando si rifiutava di dormire e di mangiare e poi diventava talmente debole che c'era da prenderla di peso per portarla a letto. E anche in quelle condizioni faceva resistenza, graffiava e mordeva affinché le lasciassero la dignità di tornare da sola: promesse infrante. Muoveva due passi e cadeva, inevitabilmente, sulle ginocchia, ferendosi. Senza eccezione. E, nel raccoglierla, lei guardava Rocco con uno sguardo che urlava parole. Lasciami nella polvere, sembrava dire. Rocco non l'avrebbe mai fatto.
Ma era pazza, Sapphire?
Forse sì.


6. Spettro

Attesa.
I mesi che si susseguivano senza tregua, senza avvenimenti: si era sparsa, la voce della glaciale Capopalestra e c'era chi faceva la fila per provare a sfidarla. I pochi che ci riuscivano fallivano poi al suo cospetto, in poche mosse, da una ragazza con lo sguardo vuoto che combatte sorretta dal suo Blaziken.
Un cantastorie ci avrebbe potuto scrivere una ballata, una gran bella storia di tristezza e tradimenti e angoscia. Non lo fece nessuno. Sapphire avrebbe incenerito chiunque ci avesse provato, senza troppi sensi di colpa. La sua attesa perenne, il suo ghiaccio che sgocciolava all'apparir di uno sfidante sui quindici, sedici anni. Che si rivedesse in quei ragazzi, non era un mistero. E li sconfiggeva come si fa con gli idoli: con le mani piene di doratura. Finché non crollava, esausta, fino al prossimo sfidante. Sorgeva per poche ore e cadeva subito dopo, costringendo Rocco a raccoglierla quando smetteva di provare ad alzarsi. Un'attesa triste, che consumava, che la consumava. Finché, un giorno, non terminò.

Fu il giorno in cui un ragazzo si presentò al suo cospetto, di prima mattina, il viso ombreggiato da un berretto troppo alto. Lei non lo guardò nemmeno, appoggiata a Blaziken con gli occhi socchiusi, come se stesse dormendo. Ma non dormiva. Non avrebbe mai potuto farlo, lo sapeva.
Non parlò nemmeno, si limitò a fare quel che riusciva a fare nel miglior modo possibile: vincere. E vinse, ovviamente, senza provarne alcun piacere, apatica. Vuota come una bella statua di vetro o cristallo.

Lo sfidante sorrise appena, muovendo un paio di passi verso di lei. «Non ti accendi più». E qualcosa, in Sapphire, finalmente, scattò.
Come un meccanismo a molla, come un ingranaggio che viene sbloccato. Senza troppi perché: improvvisamente, successe. Sapphire spalancò gli occhi, infinitamente perplessa, infinitamente sorpresa. Dopo mesi di apatia, finalmente, mostrò una reazione. Si scostò dal suo Pokèmon, con un balzo, con le gambe tremanti.
«Cosa ci fai qui?» gridò, con tutta la forza che aveva in corpo. Adesso, in un buffo dejà-vù della volta precedente, era lei a tremare.
Ruby sorrise e Sapphire ebbe la certezza che, se il suo fantasma avesse posseduto una bocca, sarebbe stato il riflesso di quella di Ruby.
«Ti ho scritto» mormorò lui. «Ti ho scritto il giorno dopo che te ne sei andata. Ti ho scritto continuamente, una, due lettere al giorno. Le davo ad Adriano per fartele arrivare: pensavo che, altrimenti, non le avresti mai aperte» sorrise appena, amareggiato. «Non mi hai mai risposto» fogli bruciati. «Per un po', ho pensato che tu non fossi mai tornata. Che fosse stato tutto uno dei miei soliti sogni: Alice continuava a dirmi di no, ma io non le credevo mai. Pensavo che, in caso contrario, mi avresti risposto».

«Le ho bruciate tutte» bisbigliò lei, ridendo sottovoce. «Non ne ho letta nemmeno una. Pensavi che l'avrei fatto? Avrei potuto farlo?».
«Avresti dovuto, Sapphire» mormorò lui, di rimando. Si avvicinò ancora, talmente tanto che le loro fronti si sfioravano. «Avresti dovuto perché non ho mai smesso di aspettarti, al punto tale di pensare che tu non fossi mai tornata. Perché, appena sono riuscito a mettere da parte le mie convinzioni, ho girato tutta Hoenn per raccogliere quelle dannate medaglie e venire qui, da te. Perché non ho mai guardato o voluto nessun'altra. E perché te l'ho scritto in ogni singola lettera, Sapph, anche in quelle che non ti ho mai spedito perché non sono stato abbastanza coraggioso per farlo: ti amo».
E lei smise di respirare, inevitabilmente.
«Ti andrebbe di tornare con me, a casa?».

Lei sorrise, evanescente, lattea e trasparente come una pellicola davanti al suo fantasma.
«Non posso» disse, semplicemente. «Sono tornata, non sono più partita. Il mio dovere, adesso, è rimanere qui, come Campionessa» sorrise. «Anche se non mi accendo più, devo restare».

«Non l'ho mai messo in dubbio, nemmeno per un secondo» ammise Ruby, sottovoce. «Non sei mai cambiata. Sono io che continuo a ostinarmi fino all'inverosimile».
Ed era vero: poteva essere cresciuta, in un certo senso, ma la Sapphire quindicenne era ancora lì, sotto la brina.
Si affacciava dietro i fantasmi della Sapphire adulta, ma c'era ancora, sotto tutta la cenere, la polvere e il sangue. E Ruby, come sempre, la temeva del terrore che si ha per il primo amore, quello vivo dietro una facciata di delusione e sogni spezzati. Fece per andarsene, voltando le spalle, sconfitto.

«Non posso venire con te, Ruby, perché il mio dovere è qui» disse nuovamente lei, fermandolo a pochi passi dalla porta. «Ma tu, tu...» s'interruppe, guardandolo sottecchi. E lui sperò con tutto il cuore che lei non lo stesse prendendo in giro. Pregò Arceus che fosse seria, che stesse davvero per chiedergli di rimanere. «Tu potresti restare».
Ruby le sorrise dolcemente. «Perché?» mormorò. «Dammi un motivo per rimanere». Come se non fossero bastati i suoi, di motivi.
«Perché ti piace il modo in cui sorrido, e i miei occhi e la forma del mio collo. E ami il tuo odore, il modo in cui piego la bocca quando sorrido. E perché mi ami da sempre» lui si ritrovò a sorridere, insieme a lei. «Perché mi hai aspettata per anni e mi hai scritto tutte quelle lettere a cui io non ho mai risposto. Perché mi hai perdonato di tutto, dalle mie incoerenze ai tradimenti e gli abbandoni. Tranne quando ho messo a rischio la mia vita» rise appena. «E, se tutto questo non bastasse, perché ti amo anche io».
Bastò. Fu un attimo, un'attesa quasi irrisoria, con Ruby che la sollevò – constatando con orrore che era fin troppo debole e leggera – per stringersela addosso, impedendole di muoversi. Non l'avrebbe mai lasciata andare. Non più.
Sapphire lo sentì ridere nell'incavo del suo collo e in quel momento capì che ne era valsa la pena, di aspettare tutto quel tempo. Si voltò indietro solo per un attimo, alla ricerca di un consenso o di un'obbiezione che non arrivò mai.
Spalancò gli occhi, perplessa e sconcertata. Poi sorrise, sollevata: il suo fantasma era sparito.




***


Orizzonte



Ruby non saprebbe dire se si è innamorato di Sapphire la prima volta, o la seconda, o magari la terza e così via.
Sa che è successo, un giorno, e lui ci si è trovato immerso fino al collo con annessi e connessi, senza sconti. Ruby non ha mai creduto nell'amore a prima vista, nel colpo di fulmine, escluso quello fisico e decisamente poco piacevole, e nelle favole della buonanotte dove ti promettono l'eternità quando poi, magari, potresti non ricevere nemmeno un secondo. Sa che si sono feriti, forse irrimediabilmente, così tante volte che è impossibile enumerarle. Sa che lei ha amato un altro, ma che ha amato anche lui. Sa che l'ha abbandonato, ignorato e pungolato a morte. Ma sa anche che la ama e, alla fine, non può farci nulla. E, nell'orizzonte degli eventi che si staglia davanti a loro come una tempesta a cui non possono accogliersi, almeno ha delle certezze. Sa perfettamente che, la prossima volta che si sveglierà, la troverà accanto a sé.




1 "Era Lo, semplicemente Lo alla mattina, dritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Dolly a scuola. Era Lola in pantaloni. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti" - Lolita, Nabokov
2 "Magra come un'alice e rossa come una volpe, una diavoletta né bella né brutta, ma dotata di una grazia selvatica che la fa piacere a tutti" - Pantera, Benni
3 Da un discorso di Mussolini, concetto poi ripreso nell'omonimo film
4 "Come una seconda spina dorsale che l'avrebbe sorretta negli anni a venire, un secondo cuore che avrebbe battuto nel suo petto" - Il diario segreto di Anna Bolena, Maxwell
5 Dialogo preso dal videogioco Rubino Omega/Zaffiro Alpha
6 Riferimento al Manga (Relazione fra Adriano e Alice)
7 Riferimento a un dialogo presente nel videogioco Rubino Omega/Zaffiro Alpha
8 "Siamo fatti della stessa sostanza di cui siamo fatti i sogni" - Shakespeare
9 "Non bisogna toccare gli idoli: la doratura rimane sulle mani" - Madame Bovary, Flaubert
10 "O ti salvi da sola o non ti salvi" - Lucky, Sebold
11 Perdono, non mi è venuto niente di meglio in mente, come mezzo postale
12 Riferimento alla serie tv "Reign"
13 "Alcuni infiniti sono più grandi di altri infiniti" - Colpa delle stelle, Green
14 Non ricordo bene dove l'ho sentito, credo sia una sorta di luogo comune
15 "La sostanza di mia madre era marcia come acqua in un vaso di fiori vecchio di giorni" - La quasi luna, Sebold
16 "La follia non è essere a pezzi o custudire un oscuro segreto. La follia siamo io o voi amplificati" Dal film: Ragazze interrotte



Note finali:
Perdonatemi per questa one-shot così lunga, ma non mi andava proprio di dividerla, è troppo un unico blocco di avvenimenti per poterla spezzare. Così ve la siete sorbiti, sempre se la leggerà qualcuno, tutta per intero. Scusatemi ancora, sono terribilmente prolissa. Spero vi sia piaciuta e scusatemi per le note così brevi:) - Bessie



"Una postfazione si rende dolorosamente necessaria: una volta, un mio amico mi disse che leggeva tutto quello che scrivevo con la mia voce, un altro disse che invece la voce narrante era chiaramente quella di Lexie Grey. Ma, poiché decisamente non sono un personaggio di Grey’s Anatomy, probabilmente dovrei spiegare chi sono. Mi chiamo Gaia, secondariamente Bessie, ho vent’anni e sono una studentessa full time di storia moderna. Quello che non è il mio full time è questo, la scrittura. E, una parte di quel che scrivo, è, recentemente, questo Fandom, che ha tornato ad appassionarmi – lo ammetto – con l’uscita degli ultimi videogiochi, che mi hanno fatto riscoprire il piacere di smettere di studiare in piena sessione. Nemmeno a dirlo, dopo aver giocato ad Alpha Sapphire, ho deciso che avrei scritto questa storia: si può desumere dalla lunghezza che non è andata particolarmente bene ma, come spesso succede, mi sono lasciata prendere la mano (e il braccio, e probabilmente qualche pezzo di gamba). Per questo, sono contentissima di poter cominciare proprio con quella che, a suo tempo, è stata la mia prima storia nel Fandom, ed è proprio vero che i primi amori non si scordano mai: questa storia è stata l’inizio (della fine), e da questa è cominciata la mia magica avventura tra storie che non pensavo avrei mai scritto. E, poiché una cosa tira l’altra, non sono riuscita a scrivere solamente Frantics, come era nei miei piani iniziali: recentemente, mi sono data interamente alla Quarta generazione, con un breve momento di sclero quando sono usciti Sole e Luna. E, questo è (quasi) tutto. Il resto probabilmente lo scopriremo con il tempo, perché credo che non ci sia modo migliore del leggere per conoscere una persona. Al prossimo mese e grazie per avere letto questa storia.

Gaia Bessie"

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