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TSR - 33 - Povere Membra



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33. Povere Membra
 
- Kanto, Aranciopoli, Ospedale Civile -

“Quindi siamo nella merda più che totale?” domandò Gold, col nugolo di persone ancora attorno al letto. Yellow e Red erano alla sua destra, Marina alla sua sinistra e Sandra e Crystal di fronte a lui, con Silver sullo sfondo, con le spalle appoggiate alla parete.
“Non sappiamo cosa fare, a dire il vero. Green sembra un diavolo” ribatté Yellow, guardando Red annuire. “Non sta fermo un attimo, cerca quel maledetto cristallo e non lo trova. E poi questi malviventi… In questo momento dovremmo essere tutti alla ricerca della pietra nera e invece siamo costretti a combattere dei farabutti…”.
Le parole di Yellow riecheggiarono in quella stanza troppo buia.
“Sil, accendi la luce, per favore?” domandò Marina. Gold vide l’amico di sempre eseguire solerte la richiesta, mentre Sandra lo guardava col volto contrito.
I neon, freddi e distanti, irroravano di luce bianca quella stanza ricolma di sospiri grevi e preoccupati.
“Ormai non si fanno sentire da un po’, qualche giorno…” ribatté Red.
“No” puntualizzò invece Crystal, tirando i capelli sciolti e raccogliendoli con una mano. “Qualche giorno fa hanno colpito Adamanta. Si fanno chiamare Team Omega o qualcosa del genere…”.
“Team Omega?! Come il Team Rocket?” domandò Sandra, sorpresa.
“Non credo siano collegati” esordì Silver. “Mio padre ha fatto quel che ha fatto per diversi fattori… Questi stanno depredando tutto per una questione di denaro”.
“Denaro?” domandò Marina.
“Karen ha già rintracciato alcuni pezzi del mosaico sul mercato nero” rispose ancora il fulvo.
Calò ancora il silenzio.
“E invece, le copie?” domandò Gold. “Xavier e Jasmine? Xavier non era lui, vero?”.
“Ha un alibi” rispose Silver, unico informato su quei fatti. “E Jasmine era nel cortile con lei” disse poi, puntando il dito contro Yellow. “Sono vere e proprie copie, provenienti da chissà dove e fatte di chissà cosa”.
“Potrebbero essere dei sosia?” domandò Marina.
“E guarda caso tre sosia di tre Capipalestra? Io, Jasmine e Fiammetta?” domandò proprio Sandra, sentendosi chiamata in causa.
“Sandra si è teletrasportata via, praticamente” osservò Gold. “Non abbiamo potuto neppure toccarla, sembrava parecchio emotiva, una pazza scatenata… Sexy, ma pazza”.
“Cretino” lo rimbeccò Marina.
“Con questo…” sospirò Gold, seduto nel suo letto d’ospedale. “… intendevo dire che era totalmente differente dalla Sandra che abbiamo noi. Quella sembrava indemoniata…”.
“Jasmine pareva totalmente un’altra persona…” sospirò Red, grattando la guancia e pensando che i capelli cominciassero ormai a essere troppo lunghi.
“Esattamente!” esclamò Gold. “Sembrava una… scappata di casa, chessò… Come se fosse sopravvissuta alla guerra!”.
“È esattamente quello che pensavo di Jasmine…” s’inserì Yellow. “Non pensava come noi: ha preferito suicidarsi piuttosto che essere interrogata e arrestata...”.
“A noi è bastato parlare del mio Kingdra…” rispose Sandra “… per scatenare un vero e proprio inferno. Il suo Charizard era potentissimo”.
“Quindi…” osservò invece Crystal “… questi doppleganger sono versioni squinternate dei Capipalestra?”.
“Non vedo l’ora di vedere quella di Sabrina” sorrise Gold. “Due volte pazza!”.
“Finiscila”. Fu Marina a chiuderlo, sospirando. La situazione stava cominciando a diventare pesante. S’immedesimò per un momento in Sandra e Jasmine, cercando di comprendere cosa potesse significare vedere se stessa (o una propria copia) compiere qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare.
Si sentiva depredata e immune da ogni difesa; una sua copia avrebbe potuto tranquillamente entrare in casa sua e uccidere le persone che voleva bene, e a essere incolpata sarebbe stata lei.
Come accaduto con Xavier Solomon, più di una volta.
Poi ci ragionò.
“È la copia di Xavier Solomon, il problema” disse.
Attirò le attenzioni di tutti, tranne quelle di Silver, che si limitava ad annuire.
“Ha ragione. Senz’offesa per le Capopalestra, ma nessuna di voi si avvicina al genio di quell’uomo… Nonostante fosse totalmente inetto, l’uomo che io e Green abbiamo incontrato sta lavorando a una macchina del tempo…”.
“Non è poco” annuì Red.
“Per nulla. Anzi, è considerevole. Ma non è assolutamente in grado di… creare illusioni dal nulla… con un macchinario, poi…”.
Sandra e Yellow si guardavano.
“Infatti pensavamo a uno Zoroark” annuì Yellow.
“Invece era questo Xavier malvagio?!” domandò Gold, quasi divertito. Yellow annuì debolmente, prima di vedere il degente sorridere.
“Questo tizio è di un altro livello! Di un altro pianeta! Beh… vi aiuterei volentieri a cercarlo, ma ho in programma diverse cose da fare a letto, nel prossimo mese, oltre alla riabilitazione…”.
Sorrise ancora, e agli occhi di Marina parve un eroe: come si faceva a mantenere quello spirito quando sapevi che per un anno avresti avuto problemi anche a fare con indipendenza anche le cose più sciocche e blande?
Era per quello che amava Gold.
Perché era straordinario e niente, niente e nessuno riusciva mai a buttarlo a terra.
Come la fenice, si rialzava sempre.
E la donna, più di tutti, non aspettava altro che un suo battito d’ali.

 
- Sinnoh, Evopoli, Casa di Gardenia –

Era diverso tempo che non percorreva i corridoi di casa di Gardenia, Marisio.
E un po’ gli era mancata, quella sensazione avvolgente quando ogni suo passo veniva accolto dalla moquette, di quel blu scuro a lui tanto congeniale. Indugiava prima di muovere ogni muscolo, assaporando ogni sensazione che provasse.
Era fermo davanti alla camera degli ospiti.
La porta era socchiusa ma poté notare il buio che avvolgeva ogni cosa, in quella stanza.
Si bloccò ancora, respirò, pensando alle parole migliori da poter utilizzare, senza però riuscire a venirne a capo.
L’uomo sospirò e portò una mano ai capelli, rassegnandosi al fatto che, eventi del genere, cambiassero necessariamente l’esistenza.
La piccola Allegra sarebbe stata protetta, si sarebbe abituata all’assenza di sua madre.
Ma Zack…
Per Zack era diverso.
Marisio bussò con la nocca dell’indice un paio di volte, sulla porta aperta che si mosse, cigolando in maniera sinistra.
“Avanti…” sentì il Capopalestra di Violapoli. Il tono dell’uomo che aveva parlato era sfatto.
Chiuse gli occhi per un momento e prese un respiro profondo, prima di spingere con la mano la porta.
La luce della lampada sul comodino rimaneva spenta.
“Zack?” domandò Marisio, indugiando sull’interruttore alla sua destra.
E sì, indugiò, perché i suoi occhi subito si concentrarono sull’aura che quell’uomo emanava.
Era calda.
Un’aura calda, arancione, divampante ma compressa. Quell’uomo stava combattendo contro se stesso e nel farlo stava utilizzando tutte le sue energie.
Fu quello il momento in cui Marisio abbassò l’interruttore, rivelando un uomo distrutto, seduto sul letto e con la testa fra le mani.
“Zack…” sospirò il fidanzato di Gardenia, avvicinandosi a lui. “Posso sedermi?”.
Il silenzio era denso e scuro. L’aura di quell’uomo continuava a imperversare dentro il suo corpo, a tormentarlo.
“Io la vedo” fece poi.
Zack alzò gli occhi. Inizialmente, con molta sincerità, credeva si stesse riferendo a Rachel.
“Siediti pure. Questa è casa tua”.
Marisio sorrise leggermente, celando il tutto dietro un lungo sospiro. “Veramente è casa di Gardenia… In ogni caso vedo la tua aura, e so come ti stai sentendo. Ed è dura”.
Zack lo guardò, non riuscendo a nascondere per un attimo la delusione. Avrebbe voluto veramente parlare con Rachel, anche solo per un istante.
“Già”.
“Posso solo immaginare cosa significhi essere nei tuoi panni, in questo momento. E mi spiace. Quando Gardenia mi ha detto che vi ospitava la vostra storia ha catturato subito la mia attenzione… Ora sono un Capopalestra e ho la facoltà di aiutarti in maniera più efficace, rispetto a prima e…”.
Zack sorrise amaramente, a quell’affermazione. “Non servono i Capipalestra, Marisio. Senz’offesa. Il mio problema non lo puoi risolvere. Mia moglie ormai è morta e non potrai fare nulla per portarla indietro”.
L’altro sospirò e annuì. “Certo. Ma posso farti avere giustizia”.
“Giustizia?” sorrise ancora quello di Adamanta. Si voltò verso di lui e sospirò. “Dov’è la giustizia, quando ormai tutto è perso? Mia figlia! È lei la giustizia!” alzò la voce lui. “È lei che ha perso la madre!”.
“Anche tu hai perso tua moglie” ribatté l’altro. “Non far finta che la cosa non sia importante. Questo gruppo di persone è lo stesso che ha distrutto le Rovine d’Alfa, giusto?”.
Zack annuì, facendo spallucce.
“Credo di sì”.
“Hanno ucciso delle persone, oltre a Rachel. E questo non è per dire che la morte di tua moglie sia meno importante delle altre, quanto per farti capire che le vite delle altre vittime sono altrettanto importanti. Rachel è solo l’ennesima martire di questo mondo, sbagliato dall’interno… Io non voglio che siano altre Rachel”.
Zack rise, di gusto, lasciando Marisio spiazzato. Vedeva quel volto, divertito dall’affermazione e contemporaneamente distrutto dal dolore, in un'unica e confusa espressione, che poi mutò totalmente, quando una lacrima scese sul viso dell’uomo.
“Non ci possono essere altre… altre Rachel…” sussurrò, mentre in petto cominciava a divampare un incendio. “Rachel non era come me… o te. Né come Gardenia. Solo Allegra è come Rachel, e non perché io le ami con tutto me stesso…”.
Marisio aggrottò la fronte. “Che cosa significa?”.
Zack non voleva spiegargli perché Rachel fosse stata la persona più importante del creato, prima della nascita di Allegra. Non ne aveva la forza mentale.
“Niente, Marisio. Stanno cercando il modo di catturare Arceus”.
“Chi?!” esclamò quello.
“L’Omega Group…”.
Marisio si alzò in piedi, sconvolto. Non riusciva a comprendere come, essendo a conoscenza di quell’informazione, quello riuscisse a rimanere fermo, immobile.
Si crogiolava in quel dolore.
Forse era giusto così.
“Che informazioni hai?”.
“Le stesse che ha Ryan Livingstone” rispose, sospirando.
“Il Campione di Adamanta?”.
“Sì…”.
La porta si aprì lentamente, e Allegra fece il proprio ingresso in camera. Gli occhi azzurri erano spalancati, con l’espressione che mutò immediatamente quando vide le lacrime del padre bagnargli il viso. Il piccolo Bulbasaur la seguì immediatamente, quando lei corse vero di lui.
“Papà! Perché stai piangendo?!”.
Lì Zack crollò, sconfitto dalla disperazione, tirandola a sé e affondando il viso nel collo della piccola. Adorava il suo profumo.
“Zack…” sospirò Gardenia, appena arrivata. Guardò Marisio, che ricambiò lo sguardo, atterrito. Entrambi si erano resi conto del fatto che si stesse aggrappando con tutte le sue forze a quella bambina, per non affondare nella depressione.
“Papà!” urlò lei, stringendolo al collo e cominciando a piangere a sua volta, confusa. “Perché piangi?!”.
“Allegra, amore” fece la donna, inginocchiandosi accanto a lei. Marisio si vide costretto ad alzarsi e a prendere per il braccio Zack, che lo guardò con occhi spenti.
“Vieni con me…”.
L’uomo si alzò e lo seguì, nella camera da letto di Gardenia. Il profumo della donna aleggiava prepotente.
“Zack… Devi calmarti” diceva Marisio, stringendo l’uomo sulle spalle. “Devi calmarti, e non allarmare tua figlia”.
Quello continuava a piangere come un bambino, col volto basso celato dalle mani.
“Io non ce la faccio!” piangeva. “Non ce la faccio!”.
“Invece devi!” urlò l’altro, scuotendolo. Anche Gardenia, dall’altra camera, si sorprese di sentire la voce del suo uomo più alta del normale.
“Devi reagire! Devi fermarti e affrontare un problema alla volta!”.
“È tutto così frenetico! Credevo di farcela, Marisio! Credevo di poterla salvare!”.
“Non ce l’hai fatta, ma non hai perso tutto!”.
“No…” disse, tra i denti. “C’è Allegra”.
“E lei è tutto ciò di cui hai bisogno, adesso. Fermati e fai il suo bene”.
Zack alzò gli occhi, verdi come smeraldi ma pieni di lacrime, e incontrò quelli blu dell’uomo.
“Nulla è perduto. Secondo te far preoccupare Allegra in quel modo ti aiuterà?”.
Zack abbassò il volto e fece cenno di no.
Sentiva la pioggia piangere al di fuori della finestra. Il cuore gli batteva forte, troppo forte. Doveva tirare fuori quel veleno.
Marisio vide l’aura dell’uomo esplodere all’improvviso, illuminare il suo volto triste e tornare nuovamente nel suo corpo.
“Devi reagire” ripeté lui.
“Io…”.
Zack strinse i denti e sospirò. LI digrignò, chiuse gli occhi e poi li riaprì.
“Lo odio. Io odio Lionell Weaves”.
Marisio fu sorpreso da quella reazione. Lasciò la presa dalle spalle dell’uomo e lo vide sedersi sul letto di Gardenia.
“Chi è?”.
“Il padre di Rachel. L’uomo che l’ha uccisa. Il Capo dell’Omega Group”.
“Come farebbero a catturare Arceus, Zack. Potrebbe essere importante”.
“Tramite il Cristallo della Luce. Che è nello Snowflake, a Nevepoli. E un viaggio nel tempo, se non trovano Allegra…” farfugliò lui, evitando di dare una giusta spiegazione a un sempre più confuso Marisio.
“Che cosa significa?!”.
Zack alzò lo sguardo e sospirò. Poi si alzò e uscì dalla stanza, lasciando Marisio da solo, per qualche secondo.
“Aspetta!” esclamò l’altro, voltandosi e inseguendolo.
Quando rientrò in camera da sua figlia, quella era tra le braccia di Gardenia, che la cullava con amore.
“Piccola…” sospirò lui, avvicinandosi a lei. Allegra aprì gli occhi, tristi come mai suo padre li aveva visti, e si gettò tra le sue braccia.
“Come ti sei fatto male?” domandò poi, ancora col singhiozzo.
“Cosa?” chiese Zack, cercando conferma guardando Gardenia. Lei annuiva, accondiscendente.
“Certo, Zack. Le ho detto che ti sei fatto male, ecco perché piangevi. Vero?”.
Gli occhi di Zack rimasero a fissare quelli di Gardenia. Annuì debolmente, l’uomo, guardando poi sua figlia.
“Sì, amore mio. Sono caduto dal letto”.
Allegra spalancò gli occhi.
“E ti sei fatto male?!”.
Zack non riuscì a non sorridere. “Sì, ho battuto un po’ la fronte”.
“Aspetta” disse lei, allungando il collo e mettendosi sulle punte dei piedi. Schioccò poi un bacio sulla testa del papà, stringendolo infine in un abbraccio. “Tra poco andrà sicuramente meglio”.

 
- Sinnoh, Nevepoli –

I passi affondavano per qualche centimetro all’interno della neve fresca, inzuppando totalmente i pantaloni del completo di Lionell.
Sentiva il freddo attorno alle caviglie, e anche più sopra, fino all’inizio del polpaccio, e quel vento che soffiava dalla valle alle loro spalle non faceva altro che aumentare il gelo che s’inseriva tra le ossa.
Anche ad Adamanta faceva freddo ma, lui che era già stato in quella città, sapeva che anche in estate le cime dei picchi più alti non venissero mai spogliati da quel velo niveo.
Linda era alla sua destra, di tanto in tanto lo guardava, avvolto nella sua voluminosa sciarpa di lana nera, col cappotto lungo che faceva da scudo alla neve che gli sbatteva contro.
Malva invece era alla sua sinistra, col volto interamente scoperto. Per lei, che non era abituata a quei climi così rigidi, la neve era qualcosa che aveva visto soltanto nei film alla tv. Lionell la guardò per qualche istante, saggiandone con lo sguardo la bellezza del volto, freddo per la neve sulla pelle, e candido, come quello d’una principessa.
I capelli rossi cadevano erano stati lasciati sciolti e, mossi com’erano, divennero un ricettacolo per tutti quei puntini bianchi.
Era bella, Lionell lo sapeva e Linda vedeva nei suoi occhi la stessa scintilla che accendeva il suo sguardo quando, nei momenti in cui lui era da solo con lei.
Sospirò, riconoscendosi gelosa. Alzò poi gli occhi, vedendo le prime abitazioni di Nevepoli dare loro il benvenuto. Era tutte piccole villette a schiera rivestite in legno, coi tetti imbiancati dalla neve e i giardinetti che in quel periodo dell’anno necessitavano di parecchia manutenzione. Non si sconvolse infatti quando, non appena entrati nella periferia della città, diversi uomini stavano spalando la neve dai vialetti delle loro case.
I bambini correvano festanti sui marciapiedi, riempiendo di risate i giardini imbiancati.
Lionell abbassò lo sguardo sull’asfalto, su cui era stato gettato del sale; l’acqua sporca, quel ghiaccio ormai sciolto, si raccoglieva ai lati della carreggiata e finiva nelle grate delle fogne.
“Questo posto è molto caratteristico” sorrise Malva, guardandosi intorno. Il suo sguardo fu focalizzato sulla grande parete rocciosa che raccoglieva la città in un abbraccio protettivo.
“Nevepoli è meravigliosa” aggiunse Lionell. Non appena entrati in città il vento s’abbassò, lasciando soltanto la neve a poggiarsi delicatamente su di loro.
“Ho bisogno di asciugarmi” fece Linda. Si voltò e vide un paio di scagnozzi, dell’ultimo gruppo che si era aggregato, intenti a seguirli in silenzio.
Avevano ormai assemblato un esercito e ovunque si girasse riusciva a riconoscere persone arrivate lì per adempiere a quella missione.
Avanzarono rapidamente, raggiungendo il centro della città. Lì convergevano quattro grosse vie. La prima, quella che stavano percorrendo, era quella che portava all’esterno della città, e sostanzialmente collegava Nevepoli a Sinnoh tramite i percorsi 217 e 216, e prima ancora attraverso il Monte Corona.
A est vi era la zona panoramica, in cui neve e mare s’incontravano su di una lunga passeggiata, un po’ in salita, un po’ in discesa.
Le panchine lì non servivano, perché nessuno voleva sedersi sul bagnato, tuttavia le ringhiere aiutavano la gente a non cadere dallo strapiombo.
Suggestivo, con lo sguardo Linda cercava di vedere attraverso la piazza centrale, dov’era collocato il loro albergo, assieme ad altre strutture come la Palestra di Bianca, il Pokémon Market o il Centro Pokémon.
La strada più battuta era però quella che portava a sud, dove una lunga scalinata permetteva ai viaggiatori di raggiungere il secondo porto di Sinnoh, dopo quello di Canalipoli.
Era da lì che le persone s’imbarcavano per il Parco Lotta di Sinnoh, uno dei più grandi in circolazione.
Camminarono fino alla Palestra, con Lionell che si guardava attorno, curioso ma col volto fiero.
I capelli umidicci per via della neve erano tirati indietro, sempre ordinati; con le sopracciglia ben curate, il naso dritto e neppure l’accenno di barba, che il mattino dopo avrebbe sicuramente rasato. Lionell Weaves era un uomo potente e di classe, e aveva una cosa in più agli altri: un obiettivo.
Aveva qualcosa per cui vivere, al contrario di molti uomini, che reputava feccia che si trascinava da un giorno all’altro senza sapere bene perché.
Lui era superiore.
Prese per mano Linda e la invitò a seguirlo accanto alla Palestra, e poi anche dopo, scrutando, oltre le cime degli alberi.
“Quello” fece lui, sorridendo, puntando il dito contro l’unica grande costruzione in pietra che si ergeva oltre gli abeti innevati. “Quello è il Tempio di Nevepoli. E…” indugiò col dito sulla montagna alle spalle dell’antico edificio. “Le vedi quelle vecchie scale?”.
Linda spalancò gli occhi verdi e avvicinò la testa a quella di Lionell, per poi pronunciare le labbra.
“Aguzza la vista” sorrise Lionell, lisciandosi ancora i capelli.
“Sì, sì… La vedo” aggiunse l’altra. Effettivamente era riuscita a mettere a fuoco la salita verso la grossa montagna alle spalle della città.
“Lì ci sono due cose parecchio importanti per noi, Linda” osservò il capo dell’Omega Group.
“C’è il Lago Arguzia, lì, no?” domandò quella, voltandosi verso di lui. Specchiò lo sguardo nel suo, vedendolo annuire.
“Sì. Ma lì c’è anche uno dei più grandi bunker militari dell’intera nazione, tesoro mio”.
“Lo Snowflake…” sussurrò l’altra, col sorriso sulle labbra.
“Esattamente. Domani all’alba le nostre mani saranno sul Cristallo della Luce, e finalmente Arceus sarà nostro”.
Il vento soffiò ancora, gelido e impietoso, lasciando sulle guance candide di Linda un rossore quasi gentile. Rientrarono in albergo, pronti per la grande giornata.

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