Sweet Dreams
Il Chiarolite, i sogni, Jim Carrey e
le gocciole
Johikari & Lev (universalmente
conosciuti come i “Rogna”)
Black
camminava a passo lento sul binario, stringendo un sacchetto di M&M’s al
cioccolato nella mano destra, dal quale attingeva ogni cinque secondi circa.
Quella mattina aveva indossato un paio di jeans logori e una t-shirt sbiadita
con la scritta “I Love Roteolia”. Era appena tornato a Sciroccopoli, dopo
l’ennesimo giro sul Metrò Lotta e si era reso conto che la partita di
pallacanestro sarebbe iniziata a breve, era quasi in ritardo.
«Complimenti,
hai totalizzato ben ottocentosedici vittorie, è un nuovo record stabilito...»
cominciò a blaterare l’addetta al ricevimento degli sfidanti: una signorina
vestita sempre in maniera impeccabile, con la solita divisa turchese e fuxia.
«Sì,
lo ha detto anche la volta scorsa e quella prima ancora, va bene, grazie mille»
tagliò corto Black, intascando i suoi Punti Lotta e scappando via di corsa.
Stava
camminando a passo svelto nell’atrio principale della Stazione Ruotadentata,
quando incrociò il suo sguardo con quello di White, che sembrava andare in
direzione opposta alla sua, verso uno dei binari. Il ragazzo alzò la mano per
salutare, lei ricambiò con il suo solito sorriso smagliante. Da quel momento,
nella sua mente scorsero rapidissimi due milioni di modi per approcciare,
nessuno dei quali più interessante di offrirle
un M&M’s.
Black
la seguì con gli occhi, sperando che fosse lei a rivolgergli la parola, lo fece
fino a quando non si ritrovò a camminare con il collo girato di quasi
centottanta gradi, per continuare a guardarla anche dopo averla oltrepassata.
Sapeva di star facendo sfumare un’altra possibilità: un sorriso, un saluto e niente
di più, come ogni giorno, col passare dei mesi, si era innamorato di una
ragazza che non sapeva far altro che salutare e sorridere.
Black
scosse la testa, si rese conto di averla persa di vista. Era scesa nel
sottopasso che l’avrebbe condotta al suo binario, quello delle Lotte in Doppio,
come ogni volta. Il ragazzo tornò a guardarsi intorno, perdendosi piacevolmente
in quell’enorme e complessa infrastruttura che era la stazione di Sciroccopoli.
C’erano così tanti binari, così tante rotaie, ma lui era salito sempre e solo
sul caro vecchio treno delle Lotte in Singolo. A volte si trovava a ragionare
sul perché non avesse mai preso un altro treno ad uno di quei tantissimi
binari. I tabelloni erano spenti, la stazione sembrava sempre deserta, ma
allora che cosa era stata costruita a fare?
Quei
vaneggiamenti scomparvero come foglie secche al soffio del vento, quando Black
rimise piede sul suolo di Sciroccopoli. Per strada non passeggiava praticamente
nessuno, ma una gradevole musica aleggiava nell’aria, insieme al profumo di
zucchero filato e noccioline. Il sole era tramontato da poco, lasciando un
cielo debolmente illuminato che diventava via via sempre più scuro, abitato
solo da due nuvole lanuginose, una delle quali vagamente a forma di papera.
Esattamente come il giorno prima, e quello prima ancora.
Black
camminò fino al centro città, imboccando il viale principale. Il venditore di
hot-dog lo salutò animatamente, ma lui decise che avrebbe mangiato altrove.
Scrutò all’interno di due o tre negozi, intravedendo le commesse degli outlet.
Queste fissavano immobili la vetrina che era di fronte a loro, in attesa di
qualche cliente che probabilmente non sarebbe mai arrivato. Stranamente, Black
non aveva mai visto nessuno entrare a comprare qualcosa; a volte aveva ceduto
al suo buon senso e, per pietà, aveva acquistato vestiti e altri prodotti
costosissimi solo per rincuorare quelle povere venditrici. Scosse la testa, non
era il caso di pensare a certe cose.
Raggiunse
il quartiere sportivo in pochi minuti di camminata a passo svelto. Intravide a
diverse centinaia di metri di distanza la silhouette curva dello Stadio
Stellare, illuminato dai riflettori e dalle insegne al neon. Fortunatamente,
non vi era alcuna fila: Black poté oltrepassare i nastri che delineavano la coda
e raggiungere il botteghino.
«Un
biglietto, tribuna F» chiese.
«Certamente»
rispose la commessa, vagamente somigliante a quella del banco di accettazione,
al Metrò Lotta «ecco a lei, buon divertimento» sorrise, porgendo il cartoncino
stampato in cambio delle banconote del Dexholder.
«E’
l’ultima partita della stagione, giusto?» chiese lui.
Quella
sorrideva, sembrava non avere altro per la testa.
«Mi
scusi...» ritentò Black.
«Buon
divertimento» rispose insensatamente la commessa.
Il
ragazzo non seppe come reagire. Rinunciò e, scrollando le spalle, entrò nel
tunnel che lo avrebbe condotto al suo posto.
«E’
proprio vero, la gente non sa più apprezzare gli sport, ormai tutti
preferiscono vedere i match dal salotto di casa propria, sui loro televisori»
commentava il signore seduto accanto a Black.
L’uomo,
un tipo baffuto sulla sessantina, era un accanito tifoso di ogni sport
possibile e immaginabile. Black lo aveva visto assistere a delle partite di
basket, di football, di tennis. Sembrava sempre fisso su quella scomoda
poltroncina a lamentarsi dei reumatismi, ma pronto a balzare in piedi ed
esultare ad ogni punto segnato.
«Tu
sei un bravo ragazzo, pensavo che non saresti venuto dopo l’ultima delusione»
disse, rivolto al Dexholder.
«Assolutamente
no, non mi perderei mai una partita dei nostri ragazzi, neanche un’amichevole» rispose
Black.
Non
aveva voglia di parlare con quell’uomo, ma non era mai riuscito ad entrare in
quel maledetto stadio senza farsi notare da lui. D’altronde, loro due erano gli
unici due tifosi che avessero mai assistito ad una partita dal vivo, in tutta Sciroccopoli.
«Bravo,
ragazzo. Come hai detto che ti chiami? Blake?» fece il signore.
«Black,
come il colore» lo corresse lui.
«Black,
ciao, com’è andata la partita?» lo salutò Tony, il ragazzo della reception.
«Ehi
Tony, centoventidue a centootto per noi, gli Eagles hanno fatto un gioco
veramente fantastico» rispose con entusiasmo.
«Cavolo,
io non sono riuscito a vederla neanche in tv, avevo veramente troppo da fare,
oggi» si lamentò Tony.
«Sarà
per la prossima volta, un giorno vieni allo stadio con me» Black gli diede una
pacca sulla spalla, prima di prendere l’ascensore e salire al quinto piano
dell’Hotel Moondance, in cui alloggiava praticamente tutte le notti. Si chiese
cosa mai avesse tenuto Tony tanto occupato, mentre i numeri si susseguivano
lentamente sul piccolo schermo vicino al tastierino. Quel povero ragazzo diceva
di essere sempre pieno di impegni, ma Black non lo aveva mai visto muovere un
dito, se non per prendere e dare le chiavi delle stanze a tutti i clienti che
alloggiavano in quel residence. Ossia, lui solamente. Era certo di essere
l’unico, lì dentro, aveva camminato per tutti i corridoi e navigato per ogni
piano: luci spente, porte chiuse, nessun rumore, nessuna presenza umana.
Decise
di lasciar perdere, si fece una doccia, si mise il pigiama e si addormentò come
un bambino, avvolto nel lenzuolo fresco e pulito.
Quella
notte, ebbe gli incubi. Sognò di essere immobile, su un tavolino, mentre un
gruppo di persone lo studiava attentamente. Erano sagome scure e indefinibili,
messe in controluce da un luminoso faro appeso al soffitto. Black tentava di
divincolarsi, per opporre resistenza a quelle invadenti presenze, ma scoprì di
non potersi muovere, di non poter parlare, di non poter interagire col mondo
esterno. Si sentiva privo del proprio corpo.
Si
svegliò tutto sudato, sul bordo del letto, intrappolato nel lenzuolo ormai
ridotto ad uno straccio. Impiegò qualche minuto per riprendersi, altrettanti
per prepararsi e buttare giù una sorta di programma della giornata. Avrebbe
fatto un altro giro di lotte al Metrò, poi pranzo a Roteolia, sarebbe tornato a
casa e infine avrebbe passato la sera al Luna Park, dato che per quella sera
non erano state programmate partite. A pensarci bene, un’alternativa era costituita
dal Teatro Musical... ma l’idea non lo aveva mai mandato su di giri. Scese a
fare colazione con caffè caldo e cornetto.
«Buongiorno»
lo salutò Tony, immobile come sempre dietro il bancone della reception.
Black
alzò la mano, sorridendo in risposta.
Uscì
dall’hotel con la cintura delle Ball stretta alla vita e la borsa degli
strumenti fornita di ogni oggetto possibilmente necessario. Raggiunse la
Stazione Ruotadentata, camminando per le deserte vie di Sciroccopoli. Entrò
nell’atrio e si diresse verso il suo binario preferito, quello delle Lotte in
Singolo. Fece il primo gradino, poi ebbe un’idea. Si tirò indietro.
Non
avrebbe fatto un altro giro sullo stesso treno, ancora una volta. Si era
stancato. Aveva voglia di provare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso. Voltò
appena lo sguardo: intravide il cartellone su cui spiccava la scritta “Lotte in
Doppio”. Sorrise.
Scese
di fretta i venti gradini che lo separavano da quel luogo sconosciuto. Notò che
sembrava tutto uguale al binario che era abituato a frequentare, ma non perse
la speranza. Mostrò la sua Scheda Allenatore alla commessa, frettoloso e pieno
di foga, ma questa parve ignorarlo.
Black
se ne rese conto e ritentò, magari la signorina era solo distratta.
«Vorrei
salire su questo treno, potrebbe...» le sue parole si persero nell’aria, come
nuvolette di vapore in inverno.
La
commessa, vestita in divisa turchese e fuxia, fissava il vuoto assoluto, come
se persino Black fosse invisibile. Il Dexholder provò a non scomporsi, ma la
cosa lo stava mettendo a disagio. Al terzo tentativo ignorato, per evitare la
violenza, scelse di mollare. Era tutto così strano, era tutto così inquietante.
Uscì
dalla stazione, non volle neanche riprovare il binario delle Lotte in Singolo.
Si mise a camminare per Sciroccopoli senza una meta. Decise che era il caso di
distrarsi, corse verso la zona est della città, raggiungendo la ruota
panoramica pochi minuti dopo. Acquistò un biglietto dallo statuario omino della
baracchetta, salì sull’attrazione che era, come da tradizione, vuota.
Si
trovò a scrutare lontano, quando la sua cuccetta si trovava all’apice della
ruota. Dopo vari chilometri di città, a sud scorgeva il deserto, a nord la
foresta e a est e ovest i due ponti che collegavano Sciroccopoli al resto di
Unima.
Ebbe
l’illuminazione. Comprese di aver avuto un’ottima idea, decidendo di salire su
quella ruota panoramica. Il suo cervello si era rilassato abbastanza da trovare
una possibile soluzione.
Il
resto di Unima...
Era
passato veramente tanto tempo dall’ultima volta che era uscito da Sciroccopoli,
a pensarci bene, non ricordava affatto l’ultimo suo viaggio fuori dalla
metropoli. Non ricordava neanche cosa dovesse fare, per uscirne. Probabilmente,
l’unico modo per farlo era proprio il treno del binario delle Lotte in Doppio.
Sarebbe potuto arrivare chissà dove, anziché alla solita Roteolia.
Corse
di nuovo verso la stazione. Sapeva cosa fare. La commessa probabilmente aveva
preso la decisione di ignorarlo, ma lui sapeva bene che, ogni sera, White
tornava a prendere quel treno. Sarebbe stato sufficiente parlare con White,
chiederle di farsi accompagnare da lui, magari in qualità di alleato, in un
viaggio sul treno delle Lotte in Doppio.
Aspettare
White era un enorme impegno. Basandosi sui classici stereotipi, le donne erano
solite a tardare sempre, ad un appuntamento. Il bello, era proprio questo
minuscolo particolare: quello non era un appuntamento, Black la stava
aspettando solo per farsi fare un favore.
In un certo
senso però la ragazza riusciva a fargli effetto, era solo questione di
ritrovarsela davanti.
Fra un sorso
di Sprite e un altro, ripensò alla commessa svampita che poco prima lo aveva
bellamente ignorato. Era così surreale e allo stesso tempo abbastanza
irritante, quasi come se fosse un giocattolo, una bambola, non aveva fatto
altro che fissare il vuoto inesorabilmente inconsistente.
Era seduto
lì, su una panchina fredda, leggermente bagnata per via dell’umidità che
cominciava a calare con la sera.
Poi, una
figura femminile e aggraziata non passò inosservata agli occhi di Black che,
gettando la lattina vuota alle sue spalle, si alzò e la seguì correndo un po’,
per poi chiamarla.
White si
voltò e, sorridendo come era solita fare si fermò qualche secondo.
«Buonasera
Black» lo salutò gentilmente, il castano fece un cenno con il capo,
aggiustandosi il cappello.
«Ehi White,
stai andando sul treno delle Lotte in Doppio?» chiese, senza esitazione.
Prima le
lotte, poi le donne, si ripeteva. Era principio, più che altro.
«Sì, tu in
quelle in Singolo» affermò continuando a sorridere.
«Non oggi!
Ti va di andarci insieme?» chiese passandosi una mano dietro il collo.
White lo
guardò vuota, come se tutto d’un tratto avesse terminato le batterie e il suo
classico carattere pieno di vita si fosse spento. E per un attimo, a Black si
gelò il sangue.
«È stato un
piacere parlare con te» disse semplicemente, stirando le labbra e passandogli
di fianco.
Istintivamente
Black la fermò afferrandole il polso.
«Che sta
succedendo, White?» domandò leggermente infastidito.
La ragazza
non rispose alla domanda, ma disse nuovamente “è stato un piacere parlare con
te”, come un disco rotto.
Non riusciva
a capire il perché di quegli strani comportamenti, sentiva solo l’atmosfera
pesante e leggermente inquietante accrescere intorno a loro. La richiamò di
nuovo, ma non ottenne risposta.
Al
contrario, ella si voltò verso di lui con una smorfia, un’espressione che non
le apparteneva.
«Non puoi»
mormorò, poi andò via, perdendosi nel buio.
Black
sentiva il cuore esplodergli dal petto, era deluso, adirato e anche spaventato.
Inizialmente,
aveva pensato bene di tornare all’Hotel ma poi si fermò a riflettere. Tutto
sommato, lui non voleva rifare le stesse azioni, ritornare all’Hotel, salutare
Tony, dormire avendo gli incubi, svegliarsi e ripetere la giornata.
Cominciò a
correre dalla parte opposta e prese il sottopasso per le Lotte in Doppio,
fregandosene altamente di ciò che sarebbe potuto succedere.
Vuoto,
completamente desolato era il binario.
Non si
vedeva nessun allenatore, neanche White stessa. Solo una giovane commessa,
vestita sempre allo stesso modo, con un sorriso finto e cortese, che aspettava
solamente qualche allenatore. Black fece un respiro profondo e si avvicinò a
lei, mostrandole la scheda allenatore per la seconda volta e la richiamò
pienamente infastidito.
«Mi scusi,
vorrei passare» disse impaziente picchiettando il piede a terra.
Lei non
rispose, ancora un volta.
Il ragazzo
non ne poteva più, era diventata una questione di principio, doveva salire su
quel treno. Si fece forza e scavalcò il passaggio, cominciando poi a correre,
sentendo la donna voltarsi verso di lui e seguirlo.
Oramai era
salito su quel treno però, ce l’aveva fatta. Si appoggiò un attimo con la
schiena e sospirò, riprendendo fiato.
“È fatta,
Black” si disse mentalmente, sorridendo appena.
Eppure, su
quel treno in movimento non c’era anima viva. La situazione era dannatamente
inquietante, talmente tanto che per un attimo il ragazzo rimpianse di esserci
salito, a quell’ora, in quella situazione.
Dopo qualche
minuto passato ad ascoltare solo il suo respiro, le luci cominciarono a
lampeggiare come fari, e alcuni passi a farsi sentire solo quando era completamente
buio.
Mugolò un
“c’è qualcuno?” trattenuto per via della tensione che teneva in corpo,
appiattendosi allo schienale.
“Prossima fermata: m517_Error” sentenziò la
voce robotica femminile, scandendo bene il nome della fermata.
Black rimase
interdetto, sentendo quella frase. Error, error, error… nella sua mente
rimbombava solo quella parola.
Poi, divenne
tutto buio, definitivamente. Il rumore dei passi si fece più forte, e il treno
per un attimo pareva avere aumentato la velocità.
Le
sensazioni che provava in quel momento erano indescrivibili, un susseguirsi di
panico e terrore muto.
«Ti avevo
detto che non potevi venire» si sentì dire da una voce familiare come poche.
La figura
snella e un po’ bassina avanzò con un sorriso a trentadue denti, mostrando poi
i suoi capelli castani raccolti nella classica coda.
«White!
Grazie al cielo sei tu. Ma dove ci sta portando il treno?» chiese sollevato
alla ragazza.
Ella si
avvicinò a lui ancora sorridente e mise le mani dietro la schiena.
«Indietro»
rispose fresca come le rose bagnate di rugiada.
«Indietro…?»
«Per
riprendere la nostra vita quotidiana».
Black la
fissò con occhi sgranati e per un attimo credette che quello fosse solo uno dei
suoi incubi. Ma era così realistico, sentiva di star vivendo perfettamente il
suo momento, con quella ragazza che tanto gli piaceva ma che in quel momento
pareva essere un'altra.
Allo stesso
tempo però era surreale, nella vita reale non sarebbe mai successo nulla di
tutto ciò.
In un mondo reale, magari, sarebbe potuto salire su quel treno senza alcun problema.
Black incastonò i suoi occhi in quelli della ragazza, con fare distrutto.
In un mondo reale, magari, sarebbe potuto salire su quel treno senza alcun problema.
Black incastonò i suoi occhi in quelli della ragazza, con fare distrutto.
«Ma tu...
chi sei? E questo, che razza di mondo è?» domandò, vedendo impallidire l'altra.
Ricominciare tutto da capo, sempre perfettamente identico, in un percorso che non lo faceva avanzare quasi come se fosse intrappolato non gli piaceva e non lo convinceva.
Ricominciare tutto da capo, sempre perfettamente identico, in un percorso che non lo faceva avanzare quasi come se fosse intrappolato non gli piaceva e non lo convinceva.
«Non so di
cosa tu stia parlando, questo è il tuo mondo, Black» il ragazzo scosse la testa
e frustrato le urlò contro; «Un mondo che non mi permette di andare avanti in
nessun modo non è altro che una prigione! E tu non sei White, quello alla
reception non era Tony, come le commesse tutte uguali, nulla di questa Unima è
reale!» poi, le lanciò uno sguardo pieno di disperazione.
«Dimmi come
si torna indietro» sussurrò stanco alla ragazza che storse il naso infastidita
da quel comportamento. Poi disse qualcosa, ma Black non la sentì più, chiuse
gli occhi e cadde a terra, privato delle sue forze.
Black era dentro l'incubo di un incubo, ancora una volta. Aveva aperto gli occhi e si era cominciato a guardare intorno, notando solo le pareti grigie di una stanza al buio, poco illuminata dalla fioca luce del misero lampadario attaccato al soffitto. Anche in quella situazione non riusciva a muoversi, ma l'unica semplice differenza era che non c'era nessuno là dentro, oltre lui stesso. Provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì. Era in uno stato vegetale davvero opprimente, essendo conscio della situazione.
Poi la porta si aprì, rivelando una figura scura, alta, robusta. Portava un camice bianco, con alcune chiazze rosse sulle maniche. Black trasalì e provò a muoversi, ma nulla, era tutto inutile.
L'uomo prese una siringa e si avvicinò ancora di più, Black potè giurare di aver visto un principio di sorriso da sotto la mascherina, poi chiuse nuovamente gli occhi, mentre una sostanza tossica cominciava a scorrere nel suo corpo.
Ma quello era solo l'incubo di un incubo, nulla di reale, solo una mera finzione del suo cervello, e quando si sarebbe risvegliato, sarebbe tornato a vivere la sua routine quotidiana.
Infatti, il suo sonno era finito e lui si ritrovava sul suo letto, nella sua stanza dell'Hotel Moondance. Si alzò e andò in bagno a sciacquarsi il viso, pallido di paura. Poi si fece forza e si vestì, scendendo sotto alla reception; Tony però non era al suo posto dietro al bancone e ancora non vi erano altre persone oltre lui, all'interno di quell'Hotel.
Uscì fuori e l'unica cosa che vide furono alcune foglie volare per via del venticello tipico di prima mattina. Ma quella città, solitamente brulicante di persone, in quel momento aveva spento le sue luci brillanti e allegre, lasciando solo un alone grigio ai lati.
Cominciò a camminare per la città, ricordando lentamente tutto quello che era successo la sera precedente con White sul treno, sentendo l'ansia crescere e scorrere nelle vene. Era ormai a conoscenza del fatto che quello non fosse il mondo reale se non una riproduzione distorta e alternativa di esso, ma non di come potesse uscirne. Perché nonostante cercasse di andare avanti, tornava al punto di partenza, indipendentemente da quale strada prendesse.
Poi, Black si fermò e si rese conto che non poteva aprire una porta, se era chiusa a chiave dall'esterno.
Qualcosa da fuori bloccava il passaggio, e quindi il problema non era quel mondo finto, ma quello reale. Ma non riusciva a ricordare come ci fosse finito o cosa ci fosse all'esterno, lentamente aveva dimenticato tutti gli avvenimenti che precedevano quel suo limbo.
Si sentì toccare la spalla da qualcosa, sentendo un brivido lungo la schiena si voltò lentamente, ritrovandosi davanti uno spettacolo tremendo.
White, quella ragazza che tanto gli piaceva, snella e un po' bassina, che di sorrisi sempre viveva, lo osservava con le labbra curvate all'insù, gli occhi completamente vuoti, neri, due pozze senza fondo. E non diceva niente, lo osservava e basta, con quegli occhi che non possedeva. E dopo la sua apparizione, vide Tony uscire dall'Hotel, con gli stessi occhi, lo stesso sorriso, lo stesso terrore che emanava il suo viso. E anche gli altri abitanti che parvero svegliarsi insieme, camminavano per la strada, pronti a svolgere le loro faccende quotidiane con lo stesso sguardo cupo e disumano.
Black rimase in silenzio e non disse nulla, ma improvvisamente si lasciò andare a una risatina nervosa, disturbante. La giovane annuì soddisfatta e rise a sua volta, estraendo dalla tasca un coltellino. Prese per mano il ragazzo e lo portò in disparte.
«Dobbiamo aggiustare i tuoi occhi, se vogliamo continuare a vivere nella nostra vera Unima, non trovi?» chiese retoricamente, vedendo poi il ragazzo annuire, che aveva ormai perso il senno.
E in disparte dalla folla di persone e lontano dai negozi, si poteva notare un piccolo esserino, simile ad un tapiro, aspettare con impazienza nuovi incubi da poter divorare, all'interno della finta Unima, all'interno del chiarolite, laddove Black era rinchiuso.
Black era dentro l'incubo di un incubo, ancora una volta. Aveva aperto gli occhi e si era cominciato a guardare intorno, notando solo le pareti grigie di una stanza al buio, poco illuminata dalla fioca luce del misero lampadario attaccato al soffitto. Anche in quella situazione non riusciva a muoversi, ma l'unica semplice differenza era che non c'era nessuno là dentro, oltre lui stesso. Provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì. Era in uno stato vegetale davvero opprimente, essendo conscio della situazione.
Poi la porta si aprì, rivelando una figura scura, alta, robusta. Portava un camice bianco, con alcune chiazze rosse sulle maniche. Black trasalì e provò a muoversi, ma nulla, era tutto inutile.
L'uomo prese una siringa e si avvicinò ancora di più, Black potè giurare di aver visto un principio di sorriso da sotto la mascherina, poi chiuse nuovamente gli occhi, mentre una sostanza tossica cominciava a scorrere nel suo corpo.
Ma quello era solo l'incubo di un incubo, nulla di reale, solo una mera finzione del suo cervello, e quando si sarebbe risvegliato, sarebbe tornato a vivere la sua routine quotidiana.
Infatti, il suo sonno era finito e lui si ritrovava sul suo letto, nella sua stanza dell'Hotel Moondance. Si alzò e andò in bagno a sciacquarsi il viso, pallido di paura. Poi si fece forza e si vestì, scendendo sotto alla reception; Tony però non era al suo posto dietro al bancone e ancora non vi erano altre persone oltre lui, all'interno di quell'Hotel.
Uscì fuori e l'unica cosa che vide furono alcune foglie volare per via del venticello tipico di prima mattina. Ma quella città, solitamente brulicante di persone, in quel momento aveva spento le sue luci brillanti e allegre, lasciando solo un alone grigio ai lati.
Cominciò a camminare per la città, ricordando lentamente tutto quello che era successo la sera precedente con White sul treno, sentendo l'ansia crescere e scorrere nelle vene. Era ormai a conoscenza del fatto che quello non fosse il mondo reale se non una riproduzione distorta e alternativa di esso, ma non di come potesse uscirne. Perché nonostante cercasse di andare avanti, tornava al punto di partenza, indipendentemente da quale strada prendesse.
Poi, Black si fermò e si rese conto che non poteva aprire una porta, se era chiusa a chiave dall'esterno.
Qualcosa da fuori bloccava il passaggio, e quindi il problema non era quel mondo finto, ma quello reale. Ma non riusciva a ricordare come ci fosse finito o cosa ci fosse all'esterno, lentamente aveva dimenticato tutti gli avvenimenti che precedevano quel suo limbo.
Si sentì toccare la spalla da qualcosa, sentendo un brivido lungo la schiena si voltò lentamente, ritrovandosi davanti uno spettacolo tremendo.
White, quella ragazza che tanto gli piaceva, snella e un po' bassina, che di sorrisi sempre viveva, lo osservava con le labbra curvate all'insù, gli occhi completamente vuoti, neri, due pozze senza fondo. E non diceva niente, lo osservava e basta, con quegli occhi che non possedeva. E dopo la sua apparizione, vide Tony uscire dall'Hotel, con gli stessi occhi, lo stesso sorriso, lo stesso terrore che emanava il suo viso. E anche gli altri abitanti che parvero svegliarsi insieme, camminavano per la strada, pronti a svolgere le loro faccende quotidiane con lo stesso sguardo cupo e disumano.
Black rimase in silenzio e non disse nulla, ma improvvisamente si lasciò andare a una risatina nervosa, disturbante. La giovane annuì soddisfatta e rise a sua volta, estraendo dalla tasca un coltellino. Prese per mano il ragazzo e lo portò in disparte.
«Dobbiamo aggiustare i tuoi occhi, se vogliamo continuare a vivere nella nostra vera Unima, non trovi?» chiese retoricamente, vedendo poi il ragazzo annuire, che aveva ormai perso il senno.
E in disparte dalla folla di persone e lontano dai negozi, si poteva notare un piccolo esserino, simile ad un tapiro, aspettare con impazienza nuovi incubi da poter divorare, all'interno della finta Unima, all'interno del chiarolite, laddove Black era rinchiuso.
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