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Levyan - Zero Kills - Capitolo -2: Quasi Umano

 
Zero Kills
Capitolo -2: Quasi Umano


‒ Non aprire gli occhi, Ellie…
E ancora una volta Zack si ritrovava a maledire se stesso per non essere stato attento. Il colpo ricevuto gli aveva fatto perdere l’equilibrio e lo aveva fatto rovinosamente cadere, assieme al bicchiere d’acqua che aveva in mano; ovviamente quest’ultimo si era infranto sulle piastrelle del pavimento scomponendosi in migliaia di minuscoli pezzettini. E il rumore provocato era stato sufficiente a far uscire Ellie dalla fase di sonno profondo. La ragazzina dalla chioma castana, sdraiata in posizione fetale sul divano, aveva iniziato a stropicciare le palpebre.
‒ Continua a dormire, ti prego…
Zack, fino a quel momento, era rimasto a terra e un sottile rivolo di sangue aveva iniziato a scendere dal suo labbro spaccato, proprio nel punto in cui aveva ricevuto la botta. A breve distanza da lui, c’era papà. E Zack poteva percepire il suo respiro affannoso, in certi momenti riusciva persino a captare le sue pulsazioni che con fatica spingevano il sangue a tutti gli apparati del suo corpo. L’uomo aveva ancora i muscoli del braccio destro nervosamente tesi, tremolanti, lo aveva colpito con violenza nonostante la forte difficoltà di movimento.
‒ Va tutto bene… ‒ mormorò Zack. Ed Ellie non si svegliò, la bambina riuscì a tornare tra le braccia di Morfeo.
Il papà abbassò il braccio con cui aveva colpito Zack, voltò le spalle al ragazzino e se ne tornò barcollante verso il suo studio. Zack si alzò con calma, prese una scopa e raccolse tutti i frammenti di vetro che erano sparsi sul pavimento, quindi con l’ultimo panno rimasto nel cassetto della madia asciugò l’acqua che era rimasta a terra. Portò il panno nel lavandino e lo strizzò, quindi lo stese ad asciugare su una sedia, ancora mezzo sudicio. Tornò verso il divano tenendo lo sguardo fisso sulla rampa di scale che conduceva allo studio di suo padre, spostò appena un cuscino e si sedette accanto a sua sorella. Ellie dormiva ancora. Questo era l’importante. Zack si sdraiò accanto a lei, avrebbe voluto dormire come sua sorella, ma pensò che non fosse il caso, almeno non finché lui era a casa.
Lui.
Rimase silenzioso ma vigile per tutta la notte, ogni singolo rumore lo metteva in allerta. Lo spingeva a chiudere gli occhi e a fingere di dormire. Sapeva che così non avrebbe dato fastidio a lui, non lo avrebbe provocato. All’uomo che si trovava nello studio non piaceva vedere i propri figli camminare, o peggio, correre per casa, lo disgustava, e ogni volta il fastidio lo portava a gridare, ad alzare la voce anche quando non ce n’era bisogno. E a quel punto, bisognava chiudere la bocca e abbassare la testa, altrimenti…
Zack si passò le dita sul labbro. Ormai il sangue si era rappreso, una fragile crosticina rossiccia copriva lo spacco. Tutto sommato era stato fortunato, le botte prese sul costato o sulla schiena continuavano a fare male per giorni, gli impedivano di piegarsi e di abbassarsi e la cosa lo infastidiva quando doveva tenere buona la piccola Ellie. Invece una ferita al labbro non faceva tanto male. E in più guariva facilmente. Al massimo gli dava un po’ di fastidio nel momento in cui apriva la bocca, ma era poca cosa, Zack non era un tipo particolarmente loquace.
Finalmente giunse l’alba, una debole luce cominciò a filtrare dai sottili spazi tra i pannelli delle tapparelle. Dallo studio non proveniva alcun rumore ed Ellie era ancora addormentata a pochi centimetri da lui. Zack poteva sentire il respiro caldo della bimba dietro il suo collo.
Il ragazzino si alzò dal divano, in casa vigeva ancora il silenzio. Si recò verso la cucina facendo lo slalom tra blocchi di fogli scarabocchiati e lanciati alla rinfusa sul pavimento. Lui che era di natura un tipo ordinato odiava vederli lì sparsi come i frammenti del bicchiere d’acqua che aveva frantumato la sera prima, eppure la prima volta che si era azzardato a spostare gli oggetti di lavoro di suo padre dall’ordine in cui la sua mente li aveva disposti, se ne era subito pentito; Zack era il tipo di persona che imparava in fretta.
Passando la lingua lungo il palato si rese conto che la sete non gli era passata. Giustamente, aveva raccolto la sua acqua da terra, invece di berla, non aveva avuto motivo di passare.
E ripensò alla breve lite del giorno precedente: Zack, intrufolandosi nello studio, aveva preso una delle penne che appartenevano a suo padre, in quel periodo stava insegnando a Ellie a disegnare i Pokémon. Purtroppo l’uomo se n’era immediatamente accorto; e poi niente, aveva deciso di ristabilire la gerarchia domestica nel primo momento che il bambino gli fosse capitato a tiro. Nessuna parola, nessuna sgridata, nessuna risposta.
Solo Zack che cercava di posare il bicchiere in tempo, poiché sapeva che la botta non sarebbe stata delicata. Si era ripromesso che non avrebbe fatto più arrabbiare papà davanti a Ellie. Non dopo l’ultima volta quando, per difenderlo, la ragazzina aveva osato opporsi al genitore, ricavandone solamente un occhio nero e un grosso ematoma sulla schiena.
Zack bevve due sorsate d’acqua attaccandosi direttamente alla bottiglia. Rimanevano due bicchieri nella credenza ed uno era intoccabile poiché utilizzato da papà, nell’altro andava la colazione per Ellie. Pensò che fosse necessario riempire le loro scorte d’acqua alla fontanella vicino casa, tanto anche quel mese nessuno avrebbe pagato le bollette e quindi nessuno si sarebbe dissetato dal lavandino.
Aprì la credenza, il pacco dello zucchero stava per finire, avrebbe dovuto procurarsene ancora. Per fortuna ogni tanto, nei momenti di minore lucidità di suo padre, riusciva a sottrarre qualche soldo dal suo portafoglio e ad utilizzarlo per riportare a casa qualche bene di utilizzo primario dal supermercato. E tra questi lo zucchero c’era sempre. Alla fine, anche lui doveva nutrirsi in qualche modo.
Si spinse su arrampicandosi lungo i ripiani della credenza per prenderlo, nel farlo si rese conto che i muscoli della sua schiena erano doloranti a causa della notte passata sul divano. Prese il pacco dello zucchero, lo mise sul tavolo e prese il bicchiere integro che non apparteneva a papà. In questo versò alcune dita d’acqua e quasi due cucchiaiate di zucchero. Mischiò con calma, facendo attenzione a non far troppo rumore sbattendo l’acciaio della posata contro il vetro del bicchiere. Estrasse dalla credenza il sacco del pane e ne prese due pezzi belli grossi. Era secco e avrebbe potuto rompere una finestra se ve l’avesse lanciato contro; ma, come aveva imparato, i suoi principi nutritivi erano invariati.
Svegliò con delicatezza sua sorella, aveva imparato che lasciarla dormire fino a tardi significava farla poi riaddormentare a notte inoltrata e ciò la esponeva al pericolo di assistere ad un altro litigio padre-fratello. Il padrone di casa era più irascibile col buio.
Ellie non voleva proprio aprire gli occhi quella mattina.
Zack tornò in cucina e si concesse un cucchiaio di zucchero. A secco. “Berrò poi” pensò.
Ritentò nell’impresa di far alzare la ragazzina che dormiva sul divano. Si maledisse ancora una volta per averle permesso di addormentarsi lì, non riusciva ancora a prenderla in braccio e trascinarla fino al letto senza che questa si svegliasse. Quella volta Ellie si decise, aprì i suoi occhioni color nocciola e sorrise al fratello.
Per i primi dieci secondi. Poi notò la ferita che aveva sul labbro. Ellie si stropicciò gli occhi, si mise seduta e stirò i muscoli del suo corpo magrolino.
‒ Colazione… ‒ sussurrò Zack.
‒ G-grazie ‒ mormorò un po’ titubante la bimba.
Bevve il bicchiere di acqua addolcita e mangiucchiò quel pezzo di pane stagionato con la solita difficoltà. Zack le fece compagnia addentando il suo.
‒ Oggi mi spieghi che cos’è un Sentret? ‒ domandò Ellie.
‒ Certo ‒ rispose gioviale Zack.
Poco tempo prima papà aveva rotto una matita e l’aveva poi lasciata a terra fuori dal suo studio, per i due ragazzini era stato come un invito a nozze. Non avendo più fogli a disposizione, però, Zack ed Ellie avevano iniziato a disegnare assieme sul muro. Tanto non sembrava interessare all’uomo. Ovviamente, prendere uno dei due milioni di documenti sparsi per la casa era un sogno lontano; no, quelli erano di papà.
‒ Ti va di sentire un po’ di TV, prima?
La bimba ci pensò un attimo.                             
‒ Ok, controlliamo se è accesa ‒ si decise lei.
Insieme fratello e sorella andarono sul balcone della cucina, si sporsero appena e aguzzarono l’udito in cerca dell’audio della televisione dei vicini.
Era un’estate calda, afosa e la fortuna voleva che i tipi della porta accanto avessero la televisione in cucina, che guarda caso era la stanza più vicina alla loro, di cucina. Per tale motivo quando la accendevano lasciando la finestra aperta, loro riuscivano a seguire in qualche modo l’audio di un telegiornale o di una telenovela. I vicini erano anziani e quasi sordi, quindi alzavano il volume al massimo.
‒ È spenta… mi dispiace.
Ellie scosse la testa. ‒ Non fa niente ‒ disse ‒ la accenderanno dopo.
E Zack decise quindi di riprendere la sua lezione sui Pokémon. Toccava a Sentret, quella mattina.
Lui, per due estati della sua vita, aveva fatto lo scout. Tutto quando la mamma era ancora viva. In tali occasioni aveva avuto modo di conoscere alcuni dei Pokémon che abitano i boschi del territorio locale. Quando teneva le sue “lezioni” cercava di ripetere a sua sorella ciò che ricordava a proposito di questi ultimi.
Zack ogni tanto ripensava a quando c’era lei, la mamma. Ovviamente al poco che ricordava. E i suoi ricordi più vividi iniziavano più o meno quando suo padre aveva iniziato a dare di matto e a diventare una persona violenta: era una sera di qualche anno prima, stavano facendo cena, Ellie cominciò a piangere nel suo seggiolone rovesciandosi addosso una delle sue insipide pappine e di tutta risposta papà, iniziando a gridare, piantò il coltello fino all’impugnatura nel legno del tavolo. Ovviamente quella sera Zack assistette al più grande litigio tra sua madre e suo padre che avesse mai visto. Si urlarono contro con tutta l’aria che avevano nei polmoni. Lei lo accusava di essere cambiato e lui di essere sempre fastidiosa e impicciona, ribadendo ovviamente che non fosse lei a portare il pane a casa. Fu in quella sera che Zack cominciò a capire che forse toccava anche a lui il compito di occuparsi di Ellie. D’altronde quella piccola creaturina non sarebbe mai riuscita a sopravvivere indipendentemente.
Così le grida tra mamma e papà si fecero sempre più forti, gli insulti più aspri, le bestemmie di papà e i pianti di mamma più frequenti, gli schiaffi di lui e le sigarette di lei cominciarono ad aumentare di numero.
Finché un giorno la mamma decise di sparire. Una mattina si svegliò e lei non era più in casa. E papà non sembrava curarsene, ricordava Zack. Per fortuna, pensava invece, Ellie era ancora troppo piccola per rendersene conto, camminava da qualche mese e parlava a stento.
Da quel momento, papà aveva iniziato a perdere sempre più vitalità. Zoppicava, usciva poco all’aria aperta, mangiava appena e passava intere settimane chiuso in studio o in cantina. Quella volta che Zack era entrato nelle sue stanze era subito rimasto impressionato dal pessimo odore che vi fosse. All’olezzo del padre che lavorava giorni interi al computer e ai suoi esperimenti senza mai lavarsi ci aveva fatto l’abitudine, ma sembrava quasi che quell’uomo facesse i suoi bisogni a terra nella sua stanza per non perdere neanche un istante del tempo che avrebbe potuto spendere lavorando.
Quanto era dimagrito, negli ultimi tempi. Si era ingobbito, i suoi capelli avevano perso colore così come la sua pelle e in ultimo anche la sua voce, era divenuta rauca e gracchiante.
‒ La loro coda ad anelli è molto forte, si sorreggono su di essa per guardare più lontano oltre i ciuffi d’erba alta…
Ellie seguiva, catturata dalle su parole, scrutando ogni minimo particolare dei disegni che Zack cercava di realizzare sul muro di casa. Sentret le era piaciuto molto ed era in quei momenti, quando vedeva lo sguardo perso della sorella seguire le sue labbra come fossero due ballerine intente ad eseguire dei passi di danza, che Zack riusciva a sorridere con sincerità.
‒ Vuoi vedere una cosa? Potrei ancora avere la foto di quando abbiamo trovato una colonia di questi Pokémon…
Ellie esultò ‒ Nel cassetto della mamma?! ‒ chiese tutta felice.
‒ Nel cassetto della mamma ‒ confermò Zack.
Il cassetto della mamma altro non era che un cassettino in cui all’inizio confluite solo tutte le vecchie foto in cui compariva tutto il nucleo familiare unito come un tempo, Ellie lo aveva destinato a tale uso dopo un pomeriggio in cui, assieme a Zack, aveva tentato di ricostruire la fisionomia della mamma senza riuscirvi, quindi il cassetto era divenuto lo scrigno in cui tutti e due mettevano foto e ritratti datati in modo da conservarli assieme. Allo stato attuale contava ben dodici foto sviluppate dal fotografo, tre polaroid e un cammeo con una foto in bianco e nero mezza stinta il cui soggetto non era stato identificato neanche dopo mesi dal suo ritrovamento, ma che avevano conservato lo stesso, per sicurezza.
Ellie si alzò contentissima e si diresse di corsa e a piedi scalzi verso il cassetto della mamma il quale si trovava sul mobile che fiancheggiava il caminetto, appena dietro al divano. Sentire il rumore dei suoi piedini a contatto con le piastrelle fece però rabbrividire Zack che ancora non l’aveva seguita. Un orrido sospetto nacque alla base della sua schiena e gli corse lungo la spina dorsale congelando ogni sua singola vertebra.
La sera prima aveva pulito il pavimento dalla schegge di vetro, ma l’aveva fatto al buio.
E due più due non fa tre.
‒ Aaaah! ‒ Ellie emise un acuto grido dalle profondità dei suoi polmoni.
‒ Ellie! ‒ Zack scattò in piedi.
La bimba non cadde, per fortuna, ma si appoggiò al divano, affrettandosi a controllare la pianta del piede ferito. Trovò una lunga linea rossa da cui cominciarono a sgorgare copiosi rivoli di sangue. Allora sentì il dolore vero.
‒ Ahia! Zack, mi fa male!
‒ Ferma, Ellie, aspetta, ora me ne occupo io tu… resisti… non fare rumore ‒ la incitò frettolosamente Zack. La sua mente aveva subito pensato alla peggiore delle alternative e immediatamente il dolore delle percosse aveva iniziato a farsi sentire in anticipo. Il ragazzino si era diretto verso il cassetto degli stracci, sperava di trovarne qualcuno per fermare la fuoriuscita di sangue di sua sorella ma…
‒ Oh no!
Erano finiti, ricordò che l’ultimo era stato utilizzato la sera prima per asciugare l’acqua caduta in terra. Si voltò, lo trovò ancora appeso allo schienale della sedia.
‒ Ah! Zack, ne esce sempre di più! – esclamò la bambina, terrorizzata dalla sua stessa ferita.
E lì, Zack conobbe il terrore: sua sorella, dimenandosi, scivolò dalla sua posizione, cadendo rovinosamente su alcuni dei mille appunti di suo padre, inzaccherandoli di sangue.
E dopo aver perso quasi venti o trenta battiti, il ragazzino perse qualche anno di vita.
‒ Che cos’è tutto questo baccano?!
Udì gracchiare suo padre dal piano di sopra.
Una porta si aprì e sbatté subito dopo, dei passi rumorosi di un uomo leggero ma sgraziato scesero le scale e si fecero sempre più vicini, un ringhio minaccioso e gutturale tuonò nel petto dei due ragazzini come la voce del diavolo in persona.
E l’ultima immagine che Zack vide fu il volto sporco e intriso di lacrime di Ellie che in una sola ed unica espressione lasciava intendere due cose: un pizzico di gratitudine per ciò che aveva fatto per lei da sempre e una valanga di maledizioni che lui rivolgeva a se stesso per non essere stato abbastanza attento, per non averci pensato, per aver parlato della foto nel cassetto, per aver lasciato cadere il bicchiere, per aver finito i panneggi e per altre centinaia di cose.
Poi tutto era ovattato nella percezione di Zack.
La figura di suo padre che compariva nel salotto, la sua espressione nel rendersi conto dello stato dei suoi preziosi documenti, i suoi insulti vuoti rivolti alla bambina.
Uno sguardo tra gli occhi piangenti e rassegnati di Ellie e quelli inermi e rassegnati di Zack. Quindi la mano dell’uomo accecato dalla sua furia inumana che spingeva la bambina da sotto il mento, facendola sbilanciare e inciampare sul gradino del caminetto. Il corpo di questa che cadeva all’indietro una seconda volta e, con violenza, si schiantava contro alari, facendone cadere uno e rimanendo impigliato all’altro.
La canotta unta e logora di Ellie si strappò contro i pezzi di ferro battuto. La sua testa color castano spento si abbandonò contro il terreno e il suo corpo esanime smise di muoversi, con uno degli alari conficcati lungo la schiena tra due delle sue sottili costole.
Zack non vide più niente.
In qualche modo andò verso di lei, piangendo copiosamente e gridando senza emettere alcun suono dai suoi polmoni vuoti. Le prese la testa tra le sue mani e la strinse a sé. Ricordava bene la sensazione di morbidezza che aveva percepito: la morbidezza del suo collo spezzato. Quindi, riprendendo fiato, le strillò all’orecchio di rialzarsi, di tornare indietro. Da lui.
‒ Apri gli occhi, Ellie…
 
 
 
 
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Lev è tornato!
Siamo di nuovo qui, termina la grossa pausa successiva al termine di Ceneri e Piume. Ripartiamo in quarta e lo facciamo con un bel prequel: quella che vedete è una storia di tre capitoli che presenta il personaggio di Zero (uno degli "antagonisti" in Ceneri e Piume) e ne descrive approfonditamente le origini, chiarendo parecchi dubbi e inserendo molti nuovi elementi che incuriosiranno i più acuti di voi.
La storia è abbastanza cruda e violenta, ne sconsiglio la lettura ai più sensibili e ai più puri di cuore, mi scuso dicendo che forse avevamo tutti bisogno di un po' di cattiveria umana, giusto?

In ogni caso, ecco a voi Zero Kills, spero vi piaccia, fatemi sapere ogni vostro pensiero a proposito dell'intera serie, magari scrivendo qui sulla pagina. Grazie per la fiducia e l'attenzione, buona lettura ;)

- Lev

P.S. dopo Zero Kills, avremo una bella One Shot di approfondimento e poi... si riparte con Nubian, torniamo ai nostri amati Dexholder <3

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