23.
Durante la primavera del nostro ultimo anno insieme.
Con amore,
Alice
Aprile.
Durante la primavera del nostro ultimo anno insieme.
Con amore,
Alice
Aprile.
È uno stato di simil-contraddizione quando una proposizione indica uno stato di cose, ma il soggetto che esprime la proposizione ha come opinione o pensiero un diverso stato di cose.
La proposizione “piove ma penso di no” può quindi essere considerata contraddittoria.
La proposizione “piove ma penso di no” può quindi essere considerata contraddittoria.
Alice ha fatto togliere la porta del bagno: di per sé, è un’azione disgustosa, contro ogni tipo di banale privacy, e forse è stata una misura anche troppo dura. Ma brutalmente necessaria.
Perché altrettanto brutale è la sua segreta e terrificante convinzione che Adriano vomiti il cibo che le mangia davanti, appena lei volta le spalle.
Non può esistere una diversa spiegazione, al fatto che il Capopalestra di Ceneride continui a divenire ogni giorno sempre più magro e nevrotico, se non che, dietro la porta chiusa del bagno, a tentoni non cerchi nella gola quel punto da premere per far uscire tutto.
Eppure, dovrebbe pensare Alice, Adriano ha perso totalmente la capacità di fare gesti essenziali, come insaponarsi i capelli, lavarsi i denti. Con che forza riuscirebbe a trovare la capacità di scavarsi la gola con le dita?
Ma, sulla bilancia, ha iniziato a pesarlo per timore che diventi sottile come un tratto di matita, i numeri continuano scendere e non c’è budino, gelato o pietanza che serva a fargli prendere peso.
Così, la porta del bagno è diventata legna da ardere per il prossimo Natale, il che è buffo: da meno di un mese è riuscita a metter via l’albero e gli addobbi, non le serve un altro Natale.
Inoltre, a dicembre ancora Adriano riusciva a stare seduto, a mangiare da solo. E, ogni tanto, chiacchierava senza perdersi tra i suoi pensieri.
Ma ormai è passato, tra pochi momenti di lucidità, quel tempo. Ed è rimasta solo lei, ancora Alice, ad aspettare un miracolo che non può arrivare.
Una signora appollaiata nella sua casa sull’albero le ha raccontato, tra un ramo e un altro, la storia di una bimba che cadde attraverso uno specchio, finendo in un mondo di Pokémon spettro e tra le loro ombre distorte.
Sempre di un’Alice si trattava, e forse le somiglianze non si esaurivano lì, lo ha pensato anche lei, che negli specchi a malapena si guarda e, quando lo fa, non ci si vede più.
Il suo corpo, i suoi pensieri, non le appartengono più: è tutto Adriano, per Adriano, non c’è nulla che non giri attorno a lui.
E nemmeno riesce a domandarsi cosa farebbe, lui, al suo posto. Senza certezze, senza nulla su cui contare.
E con la porta del bagno che è un’agonia di cardini rotti.
Adriano sembra non capire: si lascia convincere a mangiare una ciotola di crema di latte, e Alice la trova vuota sulla scrivania, ma nulla le toglie il dubbio che poi Adriano andrà nel bagno dalla porta sfondata e rimetterà tutto nel wc.
Lo trova che guarda la finestra con aria bramosa, come un uccello che vorrebbe spiccare il vuoto.
E Alice non nutre alcun dubbio: se lei aprisse la finestra, vedrebbe Adriano volare giù.
***
C’è il telefono che si è rotto: alzando la cornetta, si sente un rumore di statico, che chiudendo gli occhi sembra quasi un respiro.
Alice lo ha scoperto solamente il giorno in cui è entrata in camera, e ha visto Adriano accovacciato sul pavimento, la cornetta stretta tra le braccia, come un bambino.
E, istintivamente, ha pensato che Rocco l’avesse richiamata, per darle una risposta, anche un no, ma per non lasciarla in quel silenzio terribile che la stava distruggendo.
Però, quando aveva sottratto la cornetta dalle mani di Adriano, non aveva sentito nulla, e se ne era sorpresa. Poi aveva abbassato lo sguardo e aveva notato che i cavi del telefono erano stati recisi.
Quella sera, aveva visto Adriano vomitare nel bagno senza porta, e aveva pensato che aveva fatto bene, aveva ragione, lui stava bene. Ma rifiutava di assimilare il cibo.
Poi, pulendo i vestiti macchiati di vomito, aveva notato delle tracce strane: sembravano quasi filamenti di arterie o vene, incastrati lì, come nel pasto di un vampiro. Poi si era accorta che erano semplicemente cavi recisi, se non di un corpo, di un apparecchio.
E, se c’era Adriano che sorrideva e si dondolava sulla sedia del soggiorno, lanciando a terra il cuscino rosso vivo, ad Alice non sembrava che ci fosse alcun motivo valido per ridere.
***
«Lis, tu non pensi che sia stato io, non è vero?».
Oggi è lucido. Non succedeva da così tanto tempo che Alice si è dovuta prendere un paio di minuti per realizzare, e ancora adesso crede di non poterci riuscire.
«No, non penso che sia stato tu» risponde, ma non ci crede nemmeno lei.
Certo che lo pensa, certo che è stato lui. Ha vissuto nell’ansia di vederlo vomitare altri pezzi di cavi elettrici, o l’imbottitura del divano.
Non è successo. Ma, quell’immagine, non riesce a levarsela dalla testa.
«Allora perché continui a togliere porte?».
Ha tolto anche quella della sua stanza, e del salone: per il prossimo Natale avrà talmente tanta legna che potrebbe quasi accenderci la sua stessa pira funebre.
«Mi piace che la casa sembri un’unica stanza».
Non osa dirgli che anche lei lo detesta, ma non ha il coraggio di rimettere le porte al loro posto.
«Lis. Non sono stato io».
«Lo so, non eri in te quando è successo. È come se non fossi stato tu».
Adriano scuote il capo, e i capelli, un tempo folti e lucenti, gli coprono il viso come una tenda annodata e arruffata.
«Perché non riesci a credermi?».
Perché ti amo e non riesco a vederti sfiorire così, pensa, ma non riesce a dirglielo.
«Perché ti conosco, Adriano, e so quando menti».
«Non sto mentendo».
Io credo di sì.
«Va bene, ti credo».
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